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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Studi brillanti, Angelo Gilardino


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Ieri, venerdi 16 maggio, ho concluso la composizione degli "Studi brillanti" per chitarra. Si tratta di dodici brani legati a specifiche finalità didattiche, descritte nei sottotitoli. Essi costituiscono il seguito della raccolta dei venti "Studi facili" (Edizioni Curci) e riflettono le mie convinzioni e le mie aspettative riguardo a quello che sarà il livello tecnico e musicale dei giovani chitarristi del prossimo futuro. Come spesso dichiaro a chi lamenta la difficoltà dei miei Studi, anche di quelli "facili", ho lavorato per l'umanità di domani, non per la gente di oggi. Ho lavorato per gli studenti che non accettano i loro limiti e che amano le sfide. Per indole, non sono un compositore divertente, e ancora meno lo divento quando, alla volontà di manifestare in musica il mio modo di essere e di pensare, si associa la responsabilità di insegnare qualcosa a chi mette la mia musica sul leggio.

 

Angelo Gilardino

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dralig.  Le chiedo , quando verranno pubblicati questi ultimi suoi studi? e una curiosità, agli inizi del suo percorso compositivo componeva con la chitarra in mano . grazie   saluti  prof.

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dralig.  Le chiedo , quando verranno pubblicati questi ultimi suoi studi? e una curiosità, agli inizi del suo percorso compositivo componeva con la chitarra in mano . grazie   saluti  prof.

 

Gli studi verranno pubblicati entro l'anno. Ho appena finito di comporli, adesso devo curare la scrittura delle articolazioni, delle legature, delle dinamiche, dell'espressione; e poi l'impaginazione, che preparo di persona, inviando all'editore il testo bon à tirer. 

Fino al 1980 si, per comporre mi appoggiavo alla chitarra - ma scrivevo pochissimo. Da quando ho iniziato a comporre gli "Studi di virtuosità e di trascendenza" (1981), ho preferito scrivere a mente, e fino al 1995, l'anno in cui ho imparato ad adoperare i programmi di notazione musicale computerizzata, ho lavorato sempre e solo a mente. Successivamente, ho imparato a servirmi del playback, che adopero come correttore di bozze: ascoltando quello che  scrivo, individuo i "lapsus calami" e li correggo. Il primo concerto per chitarra e orchestra, però, fu scritto nel 1996 durante i corsi estivi di Chatillon a memoria (non avevo con me una chitarra e tanto meno un computer).

dralig

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dralig  grazie per le risposte piu' che esaustive.   Al riguardo Le vorrei chiedere, quando compone per solo chitarra si sente in qualche modo ristretto e contenuto nello scrivere , dato dalla media estensione dello strumento e dalle difficoltà intrinseche nel connubio armonico melodico ,impossibilitato di allargare l'orizzonte lavorando sulla tastiera con una sola mano e meno ottave "limite se così  si può chiamare" che il compositore per organo o pianoforte non ha . Oppure si sente avvantaggiato proprio per la peculiarità che la chitarra ha nei confronti di altri strumenti , data dal colore, timbri, tocco, sfumature , chiari scuri, secchi dolci caldi ecc... grazie   saluti         prof.

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dralig  grazie per le risposte piu' che esaustive.   Al riguardo Le vorrei chiedere, quando compone per solo chitarra si sente in qualche modo ristretto e contenuto nello scrivere , dato dalla media estensione dello strumento e dalle difficoltà intrinseche nel connubio armonico melodico ,impossibilitato di allargare l'orizzonte lavorando sulla tastiera con una sola mano e meno ottave "limite se così  si può chiamare" che il compositore per organo o pianoforte non ha . Oppure si sente avvantaggiato proprio per la peculiarità che la chitarra ha nei confronti di altri strumenti , data dal colore, timbri, tocco, sfumature , chiari scuri, secchi dolci caldi ecc... grazie   saluti         prof.

 

Domanda impegnativa. No, non sento questo limite, perché sono nato contemporaneamente come chitarrista e come compositore. Subito dopo l'esame di solfeggio, incominciai lo studio della composizione, anche se allora non immaginavo di servirmene per comporre a mia volta, ma solo per comprendere a fondo la musica - quella che suonavo e che leggevo in partitura. Quindi, fin dai primi abbozzi compositivi per chitarra, imparai a forgiare i materiali in dimensioni e in proporzioni intrinsecamente chitarristiche, pensate nella "geografia" dello strumento. Il senso di limitazione che Lei descrive può essere patito - e ho conosciuto situazioni in cui certamente lo era  - da compositori abituati a lavorare con l'orchestra, con il pianoforte, con l'organo: costoro pensano naturalmente in dimensioni e proporzioni molto più ampie di quelle in cui "nasce" il brano pensato da un compositore che sia anche chitarrista. Il punto, quindi, non è evitare di urtare delle barriere liminari, ma  pensare in modo che queste non appaiano mai.  Dipingere un quadro nel modesto formato di 40x50 centimetri è un limite solo se il pittore è nato come un affreschista e si è formato dipingendo pareti e volte. Uno dei rischi che ho avvertito, scrivendo per "il mio strumento", è invece quello di rimanere impigliato nell'idioma, perdendo di vista l'obiettivo essenziale del comporre, che è quello della forma musicale. Il limite - questo sì - in cui muore - ancor prima di nascere - la maggioranza delle musica scritta dai chitarristi, è quello di essere priva di forma, e di consistere soltanto in successioni di gesti idiomatici privi di un nesso costruttivo. Per distinguere un brano di musica per chitarra da una successione di gesti chitarristici annotati, basta - al musicista esperto - un'occhiata a una pagina, come a un architetto basta uno sguardo per capire se un edificio è stato progettato da un suo collega o costruito senza progetto, a spanne,  da un muratore. 

 

dralig

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Mi pare che facendo riferimento agli Studi di virtuosità e trascendenza di Gilardino, il problema delle ristrettezze possibili che la chitarra porta in sè vengano smentite su tutti i fronti. 

La cosa paradossale, o forse no, è che tutte le novità di scrittura presenti in quei brani rivelano la loro palese natura scopertamente; erano lì, chiaramente intellegibili, cosa che però nessuno aveva visto. Perchè? Evidentemente per rivelarle serviva sia il pensiero del compositore che quello del chitarrista. Mancando uno dei due non sarebbe stato possibile venirne a capo.

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Un mattone non è una casa, e non lo è nemmeno un mucchio di mattoni. Chiunque suoni la chitarra può, tentando le corde per gioco, "trovare un mattone". E poi trovarne un altro, e altri ancora. Il punto non è scovare, frugando nel reticolato corde-tastiera, qualche granello di pepe o qualche zuccherino. Il punto è metterli insieme, com-porli, in modo che abbiano un senso musicale: fino a che non si ergono in muri e in pareti, i mattoni non servono a niente.

 

E' molto istruttivo, per gli studenti, essere guidati nella comprensione del processo che trasforma "il ritrovamento del mattone" in un'idea musicale, e un'idea musicale in premessa, o argomento da sviluppare (tema) o da iterare cambiando continuamente punto di vista (variazioni). L'osservazione di questo processo abilita lo scolaro a capire il discorso musicale e, in esso, la forza, l'ampiezza, l'originalità, la coerenza dell'artefice che l'ha costruito. O le sue debolezze. 

 

dralig

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E' una delle critiche che in passato (un passato ormai quasi remoto), ho sentito esprimere nei confronti di questi Studi, critiche che vedevano nel reiterato uso del cambio di posizione un handicap nei confronti del pensiero musicale. Critica priva di fondamento ed espressione, quella si, di una mancanza di conoscenza della materia armonica e formale da parte di chi la formulava. A me è sempre parso evidente, fin dalla prima lettura fatta, che quello era un mezzo, efficacissimo, per veicolare sullo strumento un pensiero musicale esistente a priori. 

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E' una delle critiche che in passato (un passato ormai quasi remoto), ho sentito esprimere nei confronti di questi Studi, critiche che vedevano nel reiterato uso del cambio di posizione un handicap nei confronti del pensiero musicale. Critica priva di fondamento ed espressione, quella si, di una mancanza di conoscenza della materia armonica e formale da parte di chi la formulava. A me è sempre parso evidente, fin dalla prima lettura fatta, che quello era un mezzo, efficacissimo, per veicolare sullo strumento un pensiero musicale esistente a priori. 

 

 

Se ti interessa una lezione sui particolari criteri compositivi che, nella storia della musica, sono stati impiegati dai grandi maestri nella creazione di opere didattiche (criteri diversi da quelli adoperati per la composizione "libera") e, nel particolare, riguardo all'uso della progressione - anche negli studi per chitarra -, sui suoi valori didattici, sulla disciplina che ne deve regolare la pertinenza formale, sulla sua efficacia "estetica", e sui limiti e rischi connessi, sono a tua disposizione. Come sempre, con le musiche in mano, e le matite colorate per l'analisi. La musica è il mio mestiere, e non chiedo di meglio che esercitarlo. Quanto alle critiche, un autore che pubblica le sue opere le accetta un linea di principio e non discute direttamente il loro contenuto. Se poi vengono formulate da personaggi che, come tutta preparazione in campo compositivo, possono esibire un diploma di chitarra, le ragioni per astenersi da ogni considerazione si moltiplicano, e si riassumono efficacemente nel verso del Sommo Poeta: "Ché perder tempo a chi più sa più spiace".

dralig

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