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Mario Castelnuovo-Tedesco: Caprichos de Goya op.195


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Ovvero, un'ipotesi interpretativa che mi sono fatto sui suoi “caprichos goyeschi”.

Una lettura attenta dell'opera in questione, prima ancora che uno studio vero e proprio, impone - all'interprete accorto - una riflessione sulla scrittura di Castelnuovo-Tedesco, per ciò che concerne il suo rapporto con la chitarra classica - strumento per cui, in questo caso, scrive. Se anche è evidente che i caprichos non si discostino prepotentemente dalla restante produzione del compositore, mi pare di intuire, in quest'opera in particolare, un'amplificazione e un'esaltazione di quelle che sono tutte le caratteristiche di MCT, per quello che riguarda la sua scrittura per chitarra.

 

Al di là di semplici evidenze riguardanti la scrittura non propriamente idiomatica per lo strumento - in primo luogo per quello che riguarda la reale suonabilità di alcuni fraseggi, accordi o soluzioni impiegate in intere sezioni - si fa evidente la volontà, del compositore, di ottenere da uno strumento come la chitarra, una varietà di timbri, di espressioni e soprattutto dinamiche impossibili a qualsiasi chitarra, prima ancora che chitarrista. A mio avviso, queste scelte, non possono essere giustificate dalla banale evidenza che Castelnuovo-Tedesco non conoscesse, se non da ascoltatore, le possibilità della chitarra; né dal fatto che - in quel senso - il suo termine di paragone più vicino (al momento della scrittura) fosse uno strumento completamente diverso, (e opposto se si pensa alla natura intima della chitarra, che evidentemente Castelnuovo-Tedesco non ignorava) come il pianoforte.

In questi giorni mi sono fatto un'idea che, a mio avviso, nobilita ed esalta l'intento del compositore, e lo esula da quello che per alcuni è una ricerca di possibilità che la chitarra non può ottenere: sono infatti ormai convinto che Castelnuovo-Tedesco, all'epoca della scrittura dell'op 195, fosse ben cosciente di quelle che avrebbero potuto essere le possibilità dinamiche della chitarra (dedicherà buona parte della sua attività di compositore alla chitarra, e ad un interprete che di certo non possiamo considerare privo di possibilità espressive): nel mantenere una così vasta tavolozza espressiva - e mi ripeto, soprattutto per ciò che riguarda la dinamica - io credo che abbia giocato un ruolo decisivo l'idea di chitarra, più volta espressa da Segovia, come strumento musicale evocatore di suoni orchestrali (non una chitarra imitatrice: la differenza è infatti sostanziale).
Un'idea - quella di Segovia - che evidentemente affonda le radici, pur mutandone la resa nel tempo, in quella che fu la rivoluzione llobettiana della chitarra impressionista: con possibilità timbriche - date e dallo strumento utilizzato, e dalla mano destra, e dalle posizioni da ricercare per la mano sinistra - grandissime.
In questo senso, pur non conoscendone alcune peculiarità, io credo che un compositore come Castelnuovo-Tedesco, ponendo l'interprete non tanto a fare i conti con delle reali richieste del compositore, ma con un'immaginario sonoro, evidentemente orchestrale, da rendere con efficacia, abbia capito in maniera profonda l'essenza e la natura intima della chitarra. Il musicista che voglia, riuscendoci, rendere vivi i contrasti, dovrà infatti - prima ancora che tentare tecnicamente tutte le varie possibilità concessegli dal suo virtuosismo - entrare nell'ottica onirica della chitarra (appunto sognata) del compositore fiorentino: immaginare suoni inauditi, nel tentativo di proporre non tanto il suono in sé, ma un'idea di suono, che ne evochi a sua volta un'altra.

Una doppia lettura (e forse paradossale nell'esigenza di unire due mondi opposti) tanto cara a Goya, che nella resa di immagini oniriche, immaginifiche, si impone una lucida analisi (prima che una critica) di un'intera società. Come nel caso di una delle più note incisioni goyesche della raccolta: “El sueño de la razón produce monstruos”, dove l'ambivalenza del significato del termine sueño ci suggerisce che i mostri possono essere generati dal sonno della ragione, tanto quanto dal “sogno” della ragione: dove il sogno è inteso come limite estremo di un'utopica visione del mondo iper-razionale. Così mi pare di aver intuito essere anche la scrittura di Castelnuovo-Tedesco, nello specifico per quello che riguarda quest'opera, culmine del suo pensiero sulla chitarra, essa ci impone, partendo ovviamente da una lucida ed analitica lettura del testo, di entrare a contatto con il lato più fervido della nostra immaginazione. Con relative sorprese - come sempre accade in questi casi - per ciò che l'interprete scopre di sé.

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Riflessione decisamente interessante. 

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