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"Quel benedetto giro di do"


Ospite King
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Noi chitarristi "classici" siamo un po' delle talpe.

Come ho già detto e ripetuto, impariamo dai jazzisti.

 

Una talpa che non si sogna di essere un leopardo non dà fastidio a nessuno e non si rende ridicola, Vladimir.

 

Dai jazzisti si può imparare il jazz, posto che interessi: a me non interessa e non mi sento in colpa per questo. Le cose di cui avevo bisogno per fare quello che volevo fare, le ho imparate. Al di fuori di quelle, per la mia attività di musicista, credo che mi sia servito di più parlare e scrivere tre lingue - oltre l'italiano - che studiare il jazz (ovviamente, con tutto il rispetto per quest'arte).

 

dralig

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Tra improvvisazione e composizione v'è opposizione di significato.

 

Che l'improvvisazione sia una prassi difficile, ricca di sfaccettature e che necessiti di grande preparazione non è messo in dubbio.

L'articolo di Michelangeli parla, fin dal titolo, della inadeguatezza (!) di un chitarrista classico nel non saper accompagnare la canzonetta di turno, come se questo fosse uno dei fondamentali difetti del chitarrista.

Mi domando se i primi violini di un'orchestra stabile si pongono queste domande o se all'ultimo anno di direzione orchestrale non vi sia una particolare serie di lezioni dedicate all'accompagnamento delle hit-parade degli anni '80.

 

Leggo dappertutto le lagne di chi si lamenta che lo strumento a sei corde non entra nei circuiti più importanti.

Si pensa forse che saper accompagnare un gruppo di amici dopo cena sia un elemento cardine della preparazione di un concertista?

Ci sono persone e artisti in questo forum che mi possono insegnare che esistono elementi di studio da affrontare (soprattutto non musicali) praticamente infiniti, tutti volti al miglioramento meccanico, esecutivo, interpretativo e culturale.

 

Vogliamo, per favore, concentrarci sulle cose serie e mettere da parte le sciocchezze?

Non sono sciocchezze.

O perlomeno, si sta generalizzando.

Un conto è accompagnare la Locomotiva di Guccini, un conto è improvvisare su Giant Step.

 

Io invece trovo che si sia spostato il discorso centrale dell'Editoriale di Michelangeli - l'importanza di essere in grado di accompagnare canzoni di musica leggera e l'inadeguatezza (si, lo so, sto diventando pedante) di un chitarrista nello scoprirsi incapace di farlo - verso un tema ben più sofisticato che si deve estendere a tutti gli strumenti.

 

Noi chitarristi "classici" siamo un po' delle talpe.

Come ho già detto e ripetuto, impariamo dai jazzisti.

 

Potrò anche sbagliarmi, è indubbio, ma ho tutta la sensazione di vederci benissimo.

 

Pensi davvero che Arturo Benedetti Michelangeli fosse preoccupato dal fatto di non essere in grado di improvvisare ai livelli di Michael Pertucciani?

O pensi che Michael Camilo sia alla ricerca della pozione magica per raggiungere la tecnica di un Vladimir Horowitz che interpreta il concerto per pianoforte No. 3, Op. 30 di Sergei Rachmaninoff?

 

Impariamo dai Jazzisti a fare cosa? A fare Jazz? E perchè?

E se ci concertassimo, invece, su un repertorio ricco conosciuto per meno di un terzo da poco meno di un terzo dei suoi interpreti?

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Dai jazzisti si può imparare il jazz, posto che interessi: a me non interessa e non mi sento in colpa per questo.

 

E' quello che mi chiedo.

Perché si deve imparare qualcosa da una materia, si, parallela, ma differente. A che proposito?

Ci sono moltissimi temi e argomenti di studio che dovrebbero essere affrontati con serietà e tra questi mi prenda un colpo se annovero il giro di Do per non sentirmi inadeguato davanti a chi mi chiede di "accompagnare" l'ultima hit del cantantuncolo di turno.

 

Preferisco imparare, prima, a distinguere il surrealismo di Magritte da quello di Dalì. Mi sarà più utile.

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No, non bisogna fare jazz se non lo si vuole.

 

Il bello di quei musicisti è il rapporto molto concreto con lo strumento.

Riuscire ad armonizzare una melodia complessa senza usare la carta e penna a tutti i costi...

Può servire, non si sa mai.

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Ospite Neuland
No, non bisogna fare jazz se non lo si vuole.

 

Il bello di quei musicisti è il rapporto molto concreto con lo strumento.

Riuscire ad armonizzare una melodia complessa senza usare la carta e penna a tutti i costi...

Può servire, non si sa mai.

 

Concordo. E' una tecnica buona di avere, la considererei l'anticamera dell'improvvisazione tonale, oltre alla comprensione attiva dell'armonia. Per certi stili, poi, è una qualità indispensabile: il chitarrista barocco, oltre al basso generale, sapeva accompagnare ad hoc. Un'altro esempio: l'impiego della chitarra di Schubert era anche quello da "strumento d'asporto" per le scampagnate, e qualche suo Lied, come tanti altri popolari di allora, sarà stato cantato insieme ad una semplificazione istantanea della parte del pf o aggiunto al volo.

 

Neuland

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