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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Doping per musicisti


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Il problema che ha l'allievo di Giorgio Signorile ce l'ho anch io..

Mi dicono che suono dignitosamente(detto da lui è un complimento esagerato),mi hanno invitato a suonare in un tri,che per ore è un duo,ma ho detto ,no,grazie,

E' vero che non è la mia aspirazione suonare in un trio o un duo o altro,ma voglio essere sincera,con voi e con me stessa: la verità è che ti dici che se vai con un trio vai a fare un repertorio che ,si immagina, abbia anche l' obiettivo di arrivare ad essere eseguito in pubblico.

Questo è stato un fattore pesante nel mio no.L'avrei detto comunque,ma ci avrei almeno pensato su.

Quando studio sono presa dallo studio e dal fine dello studio,totalmente.Se studio il tremolo e non mi esce benissimo una nota sui bassi me lo perdono e tiro diritto.

Se mi dovesse succedere davanti anche alla persona musicalmente più ignorante del mondo,mi sentirei morire.Ed è così perchè davanti alla gente ci ho suonato.Poi non l'ho più voluto fare per sei mesi circa.

Conosco i miei limiti ed i punti deboli che ho,ma non per questo mi sento insicura.So fare dalla A alla D,e basta,ma quello lo so fare. E Lo so.

Nonostante questo mi agito.

Non prenderò mai un farmaco perchè credo che moralmente sia un vincere sleale.

E' una guerra con me stessa.

Quello che sto facendo è cercare di non pensarci,non pensarci,altrimenti il pensiero si ingigantisce ediventa un problema,come la verifica di fisica.

Non so niente di training autogeno e roba del genere,ma se insultare la parte stupida di me,quella che mi fa agitare senza motivo,può servire,sono sulla buona strada.

ciao!

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Conosco i miei limiti ed i punti deboli che ho,ma non per questo mi sento insicura.So fare dalla A alla D,e basta,ma quello lo so fare. E Lo so.

 

Sentire (più precisamente, lèggere) questo da una allieva sedicenne è rincuorante.

Non solo è la strada giusta per ottenere dei risultati artisticamente validi ma è - più importante - la strada giusta per vivere senza angosce stupide alla ricerca della "somiglianza a tutti i costi" o, peggio, del "risultato a tutti i costi".

 

Aggiungo: credo che tutti, chi più chi meno, nei primi anni di studio, al momento di dover eseguire pubblicamente il lavoro preparato in mesi o anni di studio solitario soffrano condizioni di non completa tranquillità. A me questo non pare un "problema" né tantomeno una "malattia" per cui occorre ingerire sostanze chimiche.

Andiamo! E' normale emozione dello stare al centro dell'attenzione. Succede a chi deve esporre davanti ad una commissione, a chi deve camminare in mezzo a parenti per arrivare all'altare, a chi deve dare esami universitari o interrogazioni importanti, a chi deve parlare a quattr'occhi con il capo dell'azienda per cui lavora, a chi deve leggere una relazione, a chi deve presentare un evento e via discorrendo.

Ho visto fin troppo spesso giovani musicisti partecipare a corsi di yoga o training autogeno perché "ho un problema in pubblico". Non ci andare in pubblico, se ti fa star male.

 

Trasformare l'emotività in un "problema" risolvibile con una pillola è davvero qualcosa di pericoloso.

Meglio affrontare con i propri mezzi queste prove. Cosa accadrà, altrimenti, quando verrà fuori un vero problema?

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Non ci andare in pubblico, se ti fa star male.

 

Nel campo della chitarra classica si vive un paradosso pericoloso, molto ben evidenziato da questo 3d, ovvero la convinzione che studiare questo strumento significhi poi fare il concertista solista.

 

Ai chitarristi tremolanti consiglierei umilmente di darsi alla musica da camera...stare su un palco in 3 è molto diverso che starci da soli...il concertista solista è un ruolo che può svolgere adeguatemente solo chi dispone di una personalità molto particolare...è una qualità esistenziale direi...e se la paura di sbagliare è più forte della necessità di imporsi al pubblico bisogna fare altro.

 

Senza contare che bisogna andare in giro da soli in una sequela di camere d'albergo.

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Hai molto ragione Alfredo, iniziare con l'assieme è un ottimo allenamento mentale alla situazione palco, a prescindere dal fatto che si può suonare musica sovente molto bella. Per quanto riguarda la soluzione del problema esame della persona a cui mi riferisco vi riferirò l'evoluzione, così per curiosità, ma vorrei non si pensasse che tale persona cerca solo dei mezzucci per arrivare ad un facile risultato. Ribadisco che cerca solo di arrivare ad una valutazione che ripaghi del lavoro compiuto

Mi piace molto lo scritto di Lulù, semplice, ha preso ben coscienza della sua storia personale, anche se breve per ora!. E' molto giovane e credo abbia tutti i mezzi per migliorare sotto quel punto di vista, soprattutto perchè, come dicevo, ne ha preso coscienza, e ciò è importantissimo. Ciao!

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C'è un aspetto che mi sembra giusto rimarcare.

Suonare in pubblico fa fare un passo avanti alla interpretazione ed alla stessa comprensione del pezzo da parte di chi suona (a me succede sempre), nel senso che la comunicazione tra interprete e pubblico svela aspetti del pezzo che prima rimanevano latenti, come allo stato potenziale (oltre ad evidenziare, proprio per questo motivo, anche possibili lacune dello studio come ad esempio certe scelte di diteggiatura. Questo è evidentissimo per me quando paragono le opere diteggiate a tavolino a quelle pubblicate dopo il rodaggio di esecuzioni di un grande interprete).

 

Da questo punto di vista mi sembra che il vero problema non sia l'uso o meno di un farmaco (io non li uso, ma in condizioni particolari psicofisiche una eccezione non mi scandalizzerebbe) quanto il percepire la esecuzione pubblica per quello che è, una risorsa anche per chi suona (in questo senso non la vedo come una lotta, con se stessi e tantomeno con il pubblico, anche se ci fosse in esso qualche "malintenzionato" - ogni tanto capita). Si può benissimo decidere di fare a meno di questa risorsa, specie se si suona solo per diletto, ma occorre essere consapevoli che si perde qualcosa di bello.

Faccio fare ai miei allievi in conservatorio una esercitazione di classe al mese proprio per questo motivo. Nessuno è costretto a suonare e se il pezzo non è pronto sono io il primo a dire all'allievo di aspettare, ma l'idea è che suonando per qualcuno (non in lotta o contro qualcuno) si fa una esperienza artistica finalmente compiuta.

Aiutare l'allievo a percepire il suonare in pubblico così lo ritengo parte del mio compito di insegnante.

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C'è un aspetto che mi sembra giusto rimarcare.

Suonare in pubblico fa fare un passo avanti alla interpretazione ed alla stessa comprensione del pezzo da parte di chi suona (a me succede sempre), nel senso che la comunicazione tra interprete e pubblico svela aspetti del pezzo che prima rimanevano latenti, come allo stato potenziale (oltre ad evidenziare, proprio per questo motivo, anche possibili lacune dello studio come ad esempio certe scelte di diteggiatura. Questo è evidentissimo per me quando paragono le opere diteggiate a tavolino a quelle pubblicate dopo il rodaggio di esecuzioni di un grande interprete).

 

Da questo punto di vista mi sembra che il vero problema non sia l'uso o meno di un farmaco (io non li uso, ma in condizioni particolari psicofisiche una eccezione non mi scandalizzerebbe) quanto il percepire la esecuzione pubblica per quello che è, una risorsa anche per chi suona (in questo senso non la vedo come una lotta, con se stessi e tantomeno con il pubblico, anche se ci fosse in esso qualche "malintenzionato" - ogni tanto capita). Si può benissimo decidere di fare a meno di questa risorsa, specie se si suona solo per diletto, ma occorre essere consapevoli che si perde qualcosa di bello.

Faccio fare ai miei allievi in conservatorio una esercitazione di classe al mese proprio per questo motivo. Nessuno è costretto a suonare e se il pezzo non è pronto sono io il primo a dire all'allievo di aspettare, ma l'idea è che suonando per qualcuno (non in lotta o contro qualcuno) si fa una esperienza artistica finalmente compiuta.

Aiutare l'allievo a percepire il suonare in pubblico così lo ritengo parte del mio compito di insegnante.

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Ringrazio tutti per quello che avete scritto.

E' stata una bella cosa,perchè mi si è aperta una porta nel cervellino.e una vocina mi ha detto che quando vai davanti al pubblico per dare la tua musica lo fai solo per quello Fin quando ci si va come andare davanti a tanti giudici col fucile puntato,pronti a spararti alla prima stecca ,beh,non hai capito ancora niente.

Sarà stata un'illuminazione zen?

Fatto sta che aver "sentito" questa cosa,sentito intendo realizzato, mi ha rasserenato.

Poi penso che ci vorrà ancora tempo,perchè mi devo scrollare di dosso un po' di adolescenza.

Non c'è un farmaco per questo?

 

ciaoo!

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Mi fa piacere il post di Piero, che trovo molto di buon senso. Sovente noi insegnanti diamo per scontato che un ragazzo che suona bene in classe possa fare lo stesso su un palco, e non sempre è così...l'esercitazione in pubblico va nella direzione anche di scoprire le eventuali difficoltà di cui in oggetto, e renderle soprattutto palesi all'esecutore stesso, in modo che cominci a lavorarci su, aiutato dal'linsegnante, se crede che la sua strada possa essere quella.

Mi piace sottolineare anche ciò che Piero dice all'inizio, che nessun brano alla fine è veramente studiato e compreso se non è stato suonato in pubblico, e lì se ne scoprono sempre aspetti nuovi

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Ringrazio tutti per quello che avete scritto.

E' stata una bella cosa,perchè mi si è aperta una porta nel cervellino.e una vocina mi ha detto che quando vai davanti al pubblico per dare la tua musica lo fai solo per quello Fin quando ci si va come andare davanti a tanti giudici col fucile puntato,pronti a spararti alla prima stecca ,beh,non hai capito ancora niente.

Sarà stata un'illuminazione zen?

Fatto sta che aver "sentito" questa cosa,sentito intendo realizzato, mi ha rasserenato.

Poi penso che ci vorrà ancora tempo,perchè mi devo scrollare di dosso un po' di adolescenza.

Non c'è un farmaco per questo?

 

ciaoo!

 

Mi pare che l'umanità stia lottando disperatamente per preservare la giovinezza, non per scrollarsela di dosso.

Il grande obiettivo di un artista è riuscire a mantenere la propria immaginazione e la propria freschezza - doni tipici dell'infanzia - mentre l'intelletto cresce e mentre il corpo invecchia. Ci riescono in pochi, perché pochi sono abbastanza intelligenti da capire che la cosa più stolta è voler diventare qualcosa o qualcuno.

 

dralig

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Ringrazio tutti per quello che avete scritto.

E' stata una bella cosa,perchè mi si è aperta una porta nel cervellino.e una vocina mi ha detto che quando vai davanti al pubblico per dare la tua musica lo fai solo per quello Fin quando ci si va come andare davanti a tanti giudici col fucile puntato,pronti a spararti alla prima stecca ,beh,non hai capito ancora niente.

Sarà stata un'illuminazione zen?

Fatto sta che aver "sentito" questa cosa,sentito intendo realizzato, mi ha rasserenato.

Poi penso che ci vorrà ancora tempo,perchè mi devo scrollare di dosso un po' di adolescenza.

Non c'è un farmaco per questo?

 

ciaoo!

 

Un farmaco credo di no. Una cosa che aiuta tantissimo me è suonare per amici, per gente che mi ascolta non "col fucile puntato" o con indifferenza o in maniera "tecnicistica," ma semplicemente desiderosa di ascoltare qualcosa di bello e coinvolta cordialmente con me che cerco di proporglielo.

 

Questa esperienza per me è come un paradigma, un modello cioè, a cui cercare di rifarmi, per quello che dipende da me, anche quando suono in situazioni più "fredde", neutre o addirittura con qualche punta di ostilità.

 

L'adolescenza, con i suoi lati belli e brutti, passa da sola quando è ora; importante è che nel passare non ci lasci poi cinici, disincantati, senza entusiasmo per le cose belle e grandi e solo "affaristi"; qualche amicizia vera può fare la differenza.

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