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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Doping per musicisti


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Mi fa piacere il post di Piero, che trovo molto di buon senso. Sovente noi insegnanti diamo per scontato che un ragazzo che suona bene in classe possa fare lo stesso su un palco, e non sempre è così...l'esercitazione in pubblico va nella direzione anche di scoprire le eventuali difficoltà di cui in oggetto, e renderle soprattutto palesi all'esecutore stesso, in modo che cominci a lavorarci su, aiutato dal'linsegnante, se crede che la sua strada possa essere quella.

Mi piace sottolineare anche ciò che Piero dice all'inizio, che nessun brano alla fine è veramente studiato e compreso se non è stato suonato in pubblico, e lì se ne scoprono sempre aspetti nuovi

 

Non facciamo confusione, per piacere. Se accettassimo queste conclusioni, arriveremmo alla sentenza secondo la quale chi non suona mai in pubblico non può capire un brano di musica nella sua essenza e in tutti i suoi dettagli, il che ovviamente non è vero.

 

Un conto è capire, un altro conto è trasmettere ad altri la propria comprensione. Per fare ciò, bisogna imparare un'arte, che è quella della comunicazione, e questa si impara stando in pubblico, certo: si impara a comunicare agli altri ciò che si è compreso ed elaborato in precedenza nella propria mente. Che questo possa funzionare anche a rovescio, non è da escludere a priori, ma è chiaro come il sole che, se si sa leggere la musica al di là della decifrazione, quel che c'è da capire può essere capito senza necessariamente doverlo suonare in pubblico: vogliamo per caso sostenere che un Celibidache non avrebbe potuto capire a fondo un Preludio di Villa-Lobos? E' peraltro verissimo ed evidente il fatto che molti esecutori credono di comunicare al loro pubblico l'essenza di composizioni delle quali non hanno capito niente: la comunicazione funziona, ma il messaggio è fasullo.

 

dralig

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Si hai ragione Angelo, ho esasperato un pò l'idea, comunque è pur vero che in pubblico scopri sempre cose nuove che nello studio casalingo a volte sfuggono, al punto che a volte cambio sul momento delle diteggiature perche mi pare che la frase suoni meglio...ma è ovvio che il lavoro in studio deve comunque essere completo e compreso appieno altrimenti il gioco non funziona, ciao

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Beh...se fossi costretto a capire la musica attraverso l'interpretazione strumentale potrei darmi all'ippica...dato che tecnicamente sono in grado di espletare circa il 10% di ciò che elaboro mentalmente.

Peggio ancora, non potrei neanche comporre, dato che ciò che scrivo, ormai, mi è in buona parte impraticabile strumentalmente e che lo faccio senza l'ausilio dello strumento.

 

Mi sembra che la "musica" sia qualcosa di talmente vasto da permettere veramente a tutti coloro che la percepiscono più o meno in profondità un approdo possibile. Che si tratti di fare il concertista, solista o in formazioni cameristiche...l'insegnante, per menti musicalmente già preparate o per ragazzi che devono imparare a mettere le mani sullo strumento ( e quest'ultimo è secondo me un compito che richiede capacità non comuni)...il compositore...la ricerca...il critico...non c'è che l'imbarazzo della scelta per rovinarsi la vita!

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Studi sulla concentrazione? Training mentale? Betabloccante?

Ma parliamo sempre di musica?

Se si ha quest'ansia di suonare in pubblico la cosa migliore da fare - l'unica - è quella di non suonare in pubblico e aspettare che i tempi per farlo siano maturi.

Non me ne volere, Giorgio, è che non riesco a comprendere come sia possibile che una persona che fa qualcosa che ama - data per scontata la preparazione di base - dovrebbe tremare.

 

 

Il fatto che Lei non riesca a comprendere, Maestro, non vuol dire necessariamente che il pensiero partorito da una mente che non sia la sua sia automaticamente una stupidità inconcepibile dall'umanità intera...

 

Come può, Lei, emettere questo genere di giudizi inequivocabili senza neppure conoscere un individuo, il suo background sociale, culturale, familiare, senza sapere il suo carattere, il suo percorso di vita e chi ne ha ne metta? senza considerare, insomma, "la persona"? Questo mi spaventa...

 

E se invece si imparasse a suonare in pubblico solo facendolo e rifacendolo? come qualsiasi altra cosa d'altronde...

 

Provi a immedesimarsi (se non Le costa troppa fatica) nel giovane alle primissime esperienze in pubblico che legge questa sua frase... cosa dovrebbe fare? sentirsi un alieno e "mettersi ad aspettare i tempi per farlo"?

 

Aggiungo: credo che tutti, chi più chi meno, nei primi anni di studio, al momento di dover eseguire pubblicamente il lavoro preparato in mesi o anni di studio solitario soffrano condizioni di non completa tranquillità. A me questo non pare un "problema" né tantomeno una "malattia" per cui occorre ingerire sostanze chimiche.

Andiamo! E' normale emozione dello stare al centro dell'attenzione. Succede a chi deve esporre davanti ad una commissione, a chi deve camminare in mezzo a parenti per arrivare all'altare, a chi deve dare esami universitari o interrogazioni importanti, a chi deve parlare a quattr'occhi con il capo dell'azienda per cui lavora, a chi deve leggere una relazione, a chi deve presentare un evento e via discorrendo.

 

Eccolo che tenta di aggiustarsi...

 

Non ci andare in pubblico, se ti fa star male.

 

Niente da fare.

 

Personalmente penso invece che la musica sia curativa, parlando di "sensibilità emotiva". E aggiungo: penso che l'agitazione possa essere generata da innumerevoli cause talmente diverse e talvolta incredibili che persino la stessa vittima non riesce a individuarle. Queste cause non solo si riflettono nella musica ma anche nella vita quotidiana. La musica può essere un ottimo mezzo per riflettere su questi aspetti e migliorarsi.

Penso che nessuno abbia il diritto di consigliare di NON esibirsi in pubblico. Per nessun motivo. Anzi, penso sia più intelligente incoraggiare. Incoraggiare ad assumere l'esibizione a piccole dosi, gradualmente, finché il classico e atavico "istinto di fuga" (che in situazioni come queste non ha motivo di esistere, specie se si ha qualcosa da dire "musicalmente") sparirà da solo.

 

Ciò che incrementa la sensazione di paura è il non prevedere le reazioni del proprio corpo in una situazione di stress (reazioni biologiche del tutto normali). Nel momento in cui si conoscono non fanno più così paura. E non facendo paura spariscono poco a poco.

 

Penso che la tensione si vinca così: studio della musica (e dello strumento) e studio di se stessi, in parti uguali. Penso che uno sbilanciamento verso l'uno o verso l'altro possa generare o una classica "macchinetta" o un filosofo. Nessuno dei due però "fa musica"

Alla fine l'obbiettivo è avere consapevolezza di se stessi e consapevolezza della musica. E ciò si ottiene anche con esecuzioni tremolanti. Aiutano a conoscere se stessi.

 

Questa è una sintesi di ciò che penso.

 

In ultima analisi mi permetto di aggiungere, Maestro, che qui nessuno mette in discussione le sue attività musicali, ma per quanto riguarda l'aspetto umano (stando a quello che traspare di Lei dal forum e quindi da un mezzo virtuale, prendendo quindi le dovute precauzioni, sia io che scrivo, sie Lei che legge) mi sento di affermare, non l'abbia a male, che un po' di umiltà e senso di immedesimazione, talvolta, potrebbero esserle utili.

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Penso che la tensione si vinca così: studio della musica (e dello strumento) e studio di se stessi, in parti uguali. Penso che uno sbilanciamento verso l'uno o verso l'altro possa generare o una classica "macchinetta" o un filosofo. Nessuno dei due però "fa musica" :)

Alla fine l'obbiettivo è avere consapevolezza di se stessi e consapevolezza della musica. E ciò si ottiene anche con esecuzioni tremolanti. Aiutano a conoscere se stessi.

 

Questa è una sintesi di ciò che penso.

 

 

 

 

Se ci si pone nel fenomeno musicale come partecipante - compositore, interprete, ascoltatore: non fa differenza - non sorgono disturbi del comportamento come il panico (tremito, sudorazione, tachicardia, scariche adrenaliniche, etc.). Il disturbo sorge quando, rispetto al fenomeno musicale, ci si pone come entità separata, come ego, alla ricerca di esiti non intrinseci all'evento musicale (affermazione personale, ricerca dell'applauso, approvazione e cooptazione da parte di autorità come tali riconosciute dal soggetto, per esempio nel caso di esami e concorsi). La musica è un fenomeno complesso, che richiede la compresenza e la compartecipazione di soggetti privi di motivazioni costituite nell'ego. Infatti, i disturbi colgono assai poco i musicisti che alla compartecipazione sono chiamati istituzionalmente (gli orchestrali e i coristi) e molto di più i musicisti che annettono alla performance solistica significati che appartengono alla sfera dell'affermazione di sé stessi e alla remunerazione privilegiata (in tutti i sensi). E' chiaro che, a tale sindrome, dà luogo la concezione "americana" del successo, con annesse mitologie (essere il number one, e scemenze del genere). I guasti che ne derivano sono inevitabilmente pesanti, a volte distruttivi. La filosofia, in senso lato, può essere molto utile nel riportare i musicisti a una percezione non distorta della realtà. Il superamento del disagio non avviene in tempi lenti: se si comprende l'origine della propria sofferenza, la liberazione è istantanea, se non la si comprende si continua a patire, e si chiama miglioramento ciò che in realtà è l'abitudine a star male.

 

dralig

 

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Il fatto che Lei non riesca a comprendere, Maestro, non vuol dire necessariamente che il pensiero partorito da una mente che non sia la sua sia automaticamente una stupidità inconcepibile dall'umanità intera...

Come può, Lei, emettere questo genere di giudizi inequivocabili senza neppure conoscere un individuo, il suo background sociale, culturale, familiare, senza sapere il suo carattere, il suo percorso di vita e chi ne ha ne metta? senza considerare, insomma, "la persona"? Questo mi spaventa...

 

 

Non dovrebbe spaventarsi. O forse sì, ma sta di fatto che quello che ho descritto è un normale punto di vista. Forse diverso dal solito, politicamente scorretto o opinabile ma un punto di vista.

 

E se invece si imparasse a suonare in pubblico solo facendolo e rifacendolo? come qualsiasi altra cosa d'altronde...

 

Non è mai stato affermato il contrario di questo.

La questione è ben diversa e più seria della solita sequela di frasi fatte circa le funzioni psico-terapeutiche della chitarra.

Si parla del fare ciò che si è pronti a fare e invece di tremolare sul palcoscenico dico sempre che è meglio partire attrezzati.

 

sentirsi un alieno e "mettersi ad aspettare i tempi per farlo"?

 

Sentirsi un alieno per quale motivo?

Sì, suggerirei di non suonare in pubblico finché il lato emotivo non causi eccessivi sbandamenti. Nonostante il suo atteggiamento a me questo pare un comportamento ben più fruttuoso dell'andare allo sbaraglio, anche considerando l'alternativa.

 

Eccolo che tenta di aggiustarsi...

 

Complimenti. Sono questo genere di uscite che stimolano la conversazione.

Letta questa gemma di bonton ero tentato dall'agire nel modo più consono ma ho ritenuto opportuno rispondere ugualmente.

 

Personalmente penso invece che la musica sia curativa, parlando di "sensibilità emotiva".

 

E come vede nessuno le dice che cerca di 'aggiustarsi'.

Prendiamo atto della sua posizione e tutti ne traiamo conclusioni.

E non ha nulla di spaventoso.

 

penso che l'agitazione possa essere generata da innumerevoli cause talmente diverse e talvolta incredibili che persino la stessa vittima non riesce a individuarle. Queste cause non solo si riflettono nella musica ma anche nella vita quotidiana. La musica può essere un ottimo mezzo per riflettere su questi aspetti e migliorarsi.

 

Cosa c'entra questo con la fifa del suonare in pubblico? Lei elenca una serie di affermazioni per me altamente discutibili ma essendo tutte Off Topic non argomenterò in questa sede.

 

Penso che nessuno abbia il diritto di consigliare di NON esibirsi in pubblico. Per nessun motivo.

 

Alla faccia del giudizio inequivocabile, eh?

Questo è il suo pensiero ed è libero di tenerselo.

Dal mio punto di vista suggerire una esecuzione in pubblico ad un interprete non pronto per farlo è un grosso e grossolano errore e non fa altro che allontanare dalla possibilità di trarre piacere dall'esibirsi.

 

Anzi, penso sia più intelligente incoraggiare. Incoraggiare ad assumere l'esibizione a piccole dosi, gradualmente, finché il classico e atavico "istinto di fuga" (che in situazioni come queste non ha motivo di esistere, specie se si ha qualcosa da dire "musicalmente") sparirà da solo.

 

Vedo che, sempre alla faccia dei giudizi inequivocabili, ne ha la certezza. E voglio sperare che questi consigli arrivino da una esperienza di insegnamento diretta.

 

Penso che la tensione si vinca così: studio della musica (e dello strumento) e studio di se stessi, in parti uguali. Penso che uno sbilanciamento verso l'uno o verso l'altro possa generare o una classica "macchinetta" o un filosofo. Nessuno dei due però "fa musica" :)

Alla fine l'obbiettivo è avere consapevolezza di se stessi e consapevolezza della musica. E ciò si ottiene anche con esecuzioni tremolanti. Aiutano a conoscere se stessi.

 

Un bel quadretto.

Ma, mi dispiace comunicarglielo, da esecuzioni tremolanti ho sempre visto ottenere disagio e allontanamento dalla musica.

 

In ultima analisi mi permetto di aggiungere, Maestro, che qui nessuno mette in discussione le sue attività musicali, ma per quanto riguarda l'aspetto umano (stando a quello che traspare di Lei dal forum e quindi da un mezzo virtuale, prendendo quindi le dovute precauzioni, sia io che scrivo, sie Lei che legge) mi sento di affermare, non l'abbia a male, che un po' di umiltà e senso di immedesimazione, talvolta, potrebbero esserle utili.

 

Mi dispiace deluderla ma molti, per la mia soddisfazione, mettono in discussione le mie attività musicali e quando questo avviene con spirito di costruzione non ne traggo altro che grande giovamento.

Io non ho tempo di immedesimarmi. Si immedesimi lei e grazie per l'interessamento a ciò che potrebbe tornarmi utile, ma non occorre si preoccupi di questo.

 

Mi piace dire quello che penso anche se chi legge e/o risponde si 'spaventa'.

Soprattutto se si 'spaventa'.

 

In ultima analisi, per contro, le suggerisco una lettura più attenta dei post che commenta con fervore e passione (benvengano sempre). Probabilmente, come è accaduto qui, contengono già ciò che lei riporta nella risposta

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Faccio fare ai miei allievi in conservatorio una esercitazione di classe al mese proprio per questo motivo. Nessuno è costretto a suonare e se il pezzo non è pronto sono io il primo a dire all'allievo di aspettare, ma l'idea è che suonando per qualcuno (non in lotta o contro qualcuno) si fa una esperienza artistica finalmente compiuta.

Aiutare l'allievo a percepire il suonare in pubblico così lo ritengo parte del mio compito di insegnante.

 

Precisamente, Piero. E' la mia stessa identica procedura anche se io mi limito a prove bimestrali.

L'importante è non mettere a disagio l'allievo creando una situazione a lui sgradevole, d'ansia e di paura (che sia immotivata lo si scoprirà più avanti). E per raggiungere un risultato in questo contesto, correggimi se sbaglio, non penso si debba suggerire l'ingerimento di sostanze chimiche.

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e se la paura di sbagliare è più forte della necessità di imporsi al pubblico bisogna fare altro.

 

Attento. Ci si potrebbe spaventare davanti a questo genere di suggerimenti.

 

Senza contare che bisogna andare in giro da soli in una sequela di camere d'albergo.

 

Per non parlare delle città che visiti delle quali conoscerai sempre e soltanto Aeroporti, Terminal e Stazioni Ferroviarie (salvo poi mischiarle in un unico minestrone): quando si prende un aereo per Pisa per poi raggiungere Firenze e durante si vedono solo Treni e Aeroplani la questione diventa oltremodo seccante!

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Nulla si compie scrivendo un brano musicale

Nulla si compie ascoltando un brano musicale

Nulla si compie suonando un brano musicale

John Cage - Silence

 

Occorrerà cambiar mestiere, Roberto. Che dici?

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La filosofia, in senso lato, può essere molto utile nel riportare i musicisti a una percezione non distorta della realtà.

 

ok.

 

Ma direi piuttosto

 

La filosofia, in senso lato, può essere molto utile nel riportare i musicisti a una percezione non distorta della propria realtà. Ergo una concezione non distorta di se stessi. Ergo in primis accettarsi per come si è e poi tentare di cambiarsi (possibilmente in meglio). Me lo disse Lei a lezione che per essere musicisti intelligenti è presupposto fondamentale "essere se stessi". Ma penso che sia ancora più pre-supposto che si debba prima "capire" se stessi! :) o no?

 

Penso che di realtà ne esista una per ogni paio di occhi, a questo mondo, con un'infinità di sfumature che connotano ciascuna di esse (sfumature evidenti ma anche impercettibili).

 

Ho risposto un po' di fretta onestamente.

 

 

Comunque, per rimanere IT, non penso che per superare le proprie difficoltà a suonare di fronte a chicchesia ci si debba rintanare in un buco in ritiro meditativo e aspettare una qualche illuminazione. Perché si finisce solo con l' "immaginare" la situazione potenzialmente stressante e in genere ce la si immagina nella maniera sbagliata. Penso che si debba provare, sbagliare, migliorare e se necessario sbagliare di nuovo. Finchè non si capisce. Non penso che sia un problema da risolvere solo intellettualmente comodamente seduti sul sofà di casa. Specie per chi è alle prime esperienze.

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