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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Studio No.10 (Num. Segoviana), Fernando Sor


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Beh, credo di non essere troppo d'accordo con te. Uno studio può essere un buono studio o anche uno studio stupendo, sarà comunque uno studio.

Gli studi rappresentano un genere di composizioni che non hanno nulla da invidiare alle altre, ma che hanno comunque una loro caratteristica.

Così come c'è il tema con variazioni, in cui viene proposto un tema al quale si apportano alcune variazioni, o un rondò che è caratterizzato dalle strofe dopo le quali torna, appunto il ritornello, o una sonata, un minuetto ecc...così il termine "studio" indica quelle composizioni caratterizzate da un particolare accorgimento tecnico.

Ed il fatto che lo scopo sia quello di insegnare a superare l'ostacolo, non vuol dire che si tratta di composizioni di second'ordine anzi, la letteratura chitarristica abbonda di composizioni stupende, che sono proprio degli studi! (es: recuerdos de la alhambra)...

Per quanto riguarda il n.1 di HVL, l'autore ha indicato una diteggiatura ben precisa, ma si presta anche a molte modifiche quindi possiamo diteggiare tutto con pm o con pi, e in tanti altri modi, trasferiremo il motivo di studio ad un altra diteggiatura, ma non lo priveremmo della sua essenzialità, così come ad una scala con im possiamo sostituire mi o am, ecc.

Al n.10 di Sor, se eliminiamo quella diteggiatura (pipi), lo depauperiamo completamente del suo motivo sostanziale in quanto, se lo diteggiamo ad esempio con amiam ( una delle possibili soluzioni), lo trasformeremmo in una sorta di studio su un tremulo a singhiozzo, e ciò non avrebbe senso, perchè se vogliamo studiare il tremulo ci sono ben altri studi più appropriati per cui, non mi sembrerebbe un'incoerenza trovargli anche un nome diverso da studio opera 31 n.19 :D

 

Se devo essere sincero non sono per nulla d'accordo con te: il genere (o meglio sotto-categoria) a cui appartiene una composizione non credo che da solo sia sufficiente a conferirgli un certo carattere, così netto e preciso da richiedere un certo tipo di approccio anziché un altro.

Inoltre un atteggiamento "interpretativo" autentico credo che se ne infischi altamente di queste distinzioni: se al chitarrista X il passaggio suonasse "meglio" (per comodità possiamo assumere in questo caso per "meglio" la pronuncia che si pensa conferisca l'alternanza di p-i) con una diteggiatura diversa credo che non solo potrebbe farlo, ma dovrebbe essere obbligato a farlo. Credo che l'unico modo per "depauperare" un brano sia solo suonarlo male: se un brano subisce tale sorte solo dal cambio di 2 dita significa che probabilmente é già povero di suo e l'unico interesse che può avere é solo legato ad un misero espediente meccanico.

Per citare ancora il M° Saggese, ricordo che ha scritto di fare il tremolo, spesso, alternando p-m (se non erro)...suonare così il Recuerdos é "depauperarlo"? Se lo suona bene (e ne sono convinto) non credo assolutamente.

Poi obiettivamente non capisco perché sostituire una diteggiatura estremamente complessa come quella dello studio #1 di HVL con p-m possa andare bene e sostituire la diteggiatura di una misera quartina invece ci dovrebbe portare a cambiare nome allo studio. Mi sembra una contraddizione difficilmente giustificabile.

Propongo un test: vengano postati 4 esecuzioni con diteggiature diverse da qualcuno dei grandi chitarristi che scrivono qui, difficilmente si percepirà la differenza.

Ho ascoltato il M° Catemario suonare questo studio, usando esattamente una diteggiatura "da tremolo": p-a-m-i (se non ricordo male), e non credo che non andasse bene, al contrario. I singhiozzi nel tremolo li fanno quelli che non lo sanno fare.

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Gli studi rappresentano un genere di composizioni che non hanno nulla da invidiare alle altre, ma che hanno comunque una loro caratteristica.

Così come c'è il tema con variazioni, in cui viene proposto un tema al quale si apportano alcune variazioni, o un rondò che è caratterizzato dalle strofe dopo le quali torna, appunto il ritornello, o una sonata, un minuetto ecc...così il termine "studio" indica quelle composizioni caratterizzate da un particolare accorgimento tecnico.

 

Bisogna distinguere il genere dalla forma. Tema e variazioni, rondo, minuetto, sonata, sono definizioni che si riferiscono alla forma del pezzo. Il titolo Studio invece indica un genere di composizione con finalità didattiche (concetto il cui significato si può estendere), genere all'interno del quale si possono dare forme molto differenti: dal continuo alla forma tripartita alle forme episodiche, non escluso il tema con variazioni. Mentre Sor predilige la forma unitaria - con un solo modello di scrittura per ciascun studio - e spesso la attua attraverso il continuo, Villa-Lobos le adopera quasi tutte (continua, ternaria, episodica, tema e variazione).

 

 

 

Per quanto riguarda il n.1 di HVL, l'autore ha indicato una diteggiatura ben precisa, ma si presta anche a molte modifiche quindi possiamo diteggiare tutto con pm o con pi, e in tanti altri modi, trasferiremo il motivo di studio ad un altra diteggiatura, ma non lo priveremmo della sua essenzialità, così come ad una scala con im possiamo sostituire mi o am, ecc.

Al n.10 di Sor, se eliminiamo quella diteggiatura (pipi), lo depauperiamo completamente del suo motivo sostanziale in quanto, se lo diteggiamo ad esempio con amiam ( una delle possibili soluzioni), lo trasformeremmo in una sorta di studio su un tremulo a singhiozzo, e ciò non avrebbe senso, perchè se vogliamo studiare il tremulo ci sono ben altri studi più appropriati per cui, non mi sembrerebbe un'incoerenza trovargli anche un nome diverso da studio opera 31 n.19 :D

 

Se devo essere sincero non sono per nulla d'accordo con te: il genere (o meglio sotto-categoria) a cui appartiene una composizione non credo che da solo sia sufficiente a conferirgli un certo carattere, così netto e preciso da richiedere un certo tipo di approccio anziché un altro.

Inoltre un atteggiamento "interpretativo" autentico credo che se ne infischi altamente di queste distinzioni: se al chitarrista X il passaggio suonasse "meglio" (per comodità possiamo assumere in questo caso per "meglio" la pronuncia che si pensa conferisca l'alternanza di p-i) con una diteggiatura diversa credo che non solo potrebbe farlo, ma dovrebbe essere obbligato a farlo. Credo che l'unico modo per "depauperare" un brano sia solo suonarlo male: se un brano subisce tale sorte solo dal cambio di 2 dita significa che probabilmente é già povero di suo e l'unico interesse che può avere é solo legato ad un misero espediente meccanico.

Per citare ancora il M° Saggese, ricordo che ha scritto di fare il tremolo, spesso, alternando p-m (se non erro)...suonare così il Recuerdos é "depauperarlo"? Se lo suona bene (e ne sono convinto) non credo assolutamente.

Poi obiettivamente non capisco perché sostituire una diteggiatura estremamente complessa come quella dello studio #1 di HVL con p-m possa andare bene e sostituire la diteggiatura di una misera quartina invece ci dovrebbe portare a cambiare nome allo studio. Mi sembra una contraddizione difficilmente giustificabile.

Propongo un test: vengano postati 4 esecuzioni con diteggiature diverse da qualcuno dei grandi chitarristi che scrivono qui, difficilmente si percepirà la differenza.

Ho ascoltato il M° Catemario suonare questo studio, usando esattamente una diteggiatura "da tremolo": p-a-m-i (se non ricordo male), e non credo che non andasse bene, al contrario. I singhiozzi nel tremolo li fanno quelli che non lo sanno fare.

 

Anche qui, bisogna distinguere. La prima cosa da fare è leggere lo Studio come l'autore lo ha concepito e scritto. Se l'urtext è a portata di mano, la prima cosa da fare è accantonare le revisioni e leggere il testo primario con estrema cura e attenzione, comprese le didascalie, le quali spesso rendono chiaro il proposito dell'autore. Una volta capita la concezione dello Studio, il lettore può servirsene a fini differenti. Se è uno studente e deve imparare o migliorare le sue prestazioni nelle tecniche specifiche studiate (appunto) dallo studio, dovrà esercitarsi con quelle. Se invece non ha nulla da imparare dallo studio in questione, e ciò nonostante il medesimo lo attrae dal punto di vista estetico, per i suoi valori musicali, sarà liberissimo di cercare le diteggiature più adatte a rendere manifesti quei valori che ha individuato, e dei quali può darsi che sia il rivelatore, al di là del pensiero del compositore medesimo. In questo caso, non abbiamo più un uso didattico, ma un uso artistico dello studio. Porqueddu ieri, in un suo messaggio, ammetteva che, in un determinato passaggio di uno dei miei Studi, aveva accettato la diteggiatura dell'autore, cosa che non fa quasi mai. Che fa l'autore? Coda tra le gambe e zitto: altrimenti gli interpreti gli possono dire: prova tu a suonare le cose che hai scritto.

 

Quindi, c'è un solo punto uguale per tutti, studenti e concertisti: primo, leggere quello che l'autore ha scritto. Poi, ciascuno va per la sua strada. Stando attenti a imboccare quella giusta.

 

dralig

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2) Altrimenti si fa inevitabilmente una scelta all’interno del lascito didattico di Sor (Metodo e Studi) usando quel che si ritiene valido in base ai propri scopi artistici e tecnici, scartando altro; insomma non si segue in tutto e per tutto Sor, ma si valorizza quel che riteniamo possa darci ancora oggi (e secondo me è tanto) anche se suoniamo uno strumento più grande del suo, usiamo le unghie, adottiamo una posizione della chitarra e delle mani diversa dalla sua.

Che uno studente dei primi corsi possa fare questa operazione di filtro da solo mi sembra altamente improbabile; e allora ci si affida, almeno provvisoriamente, ad un riferimento che normalmente è l’insegnante che si è scelto. Da questo punto di vista la lettura che un gigante moderno della chitarra come Segovia ha fatto degli studi di Sor è (almeno strumentalmente) di valore incalcolabile per entrare anche nel pensiero tecnico di un grande maestro del Novecento (il cui pensiero strumentale e tecnico è molto più vicino al nostro tempo rispetto a quello di Sor, almeno in rapporto a forma dello strumento, impostazione, uso delle dita e delle unghie, ecc.). Anche in questo caso si potrebbe dire che seguire una diteggiatura è collegato ad altri aspetti, ed è in realtà un modo di assimilare un pensiero tecnico e musicale. Personalmente ad un ragazzo consiglierei questo approccio, stimolandolo appena possibile alla verifica personale della sua validità.

 

Caro Piero, lo studente dovrebbe essere guidato dall'insegnante - e dal medesimo caldamente esortato - allo studio dei testi, non delle loro manipolazioni. La vicenda di Segovia e degli studi di Sor ormai è un fatto storico, e non sarà male ricordarlo agli studenti che ci leggono. Segovia, nel 1937, si stabilì a Montevideo, in Uruguay, dove visse per nove anni, nel corso dei quali - almeno fino al 1943 - vide la sua attività concertistica gravemente depauperata a causa degli eventi bellici e del boicottaggio decretato contro di lui dagli agenti di concerti statunitensi. Si ritrovò quindi nella necessità di sostituire una parte considerevole dei suoi introiti con attività sostitutive, e fu in quella situazione di emergenza che concepì il fascicolo delle scale e la revisione degli Studi di Sor. Non aveva a disposizione una biblioteca musicale con urtext, ma solo i volumi che poteva reperire nei negozi latino-americani o che i chitarristi locali gli prestavano. Così, dovette basare la sua revisione degli Studi di Sor non sulle edizioni pubblicate durante la vita dell'autore, ma su quello che trovava: è evidente che si servì dell'appendice al Metodo per chitarra Sor-Coste, appendice nella quale si trova la maggior parte dei 20 Studi da lui selezionati, ai quali aggiunse alcuni (pochi) Studi il cui testo gli fu dato da Attilio Rapat o da Abel Carlevaro. Quindi, Segovia non ebbe - al'epoca in cui preparò l'edizione dei 20 Studi - un accesso a tutta l'opera didattica di Sor in edizione primaria, ma accesso a delle selezioni, dalle quali trasse il materiale che poi riordinò. Basterebbe questo a collocare una volta per tutte il volume Sor-Segovia nella posizione che gli compete: un lavoro svolto utilitaristicamente da Segovia in condizioni sfavorevoli. Se poi aggiungiamo il fatto che Segovia lavorava da solo, senza un editor che lo aiutasse a mettere a punto i suoi manoscritti e a correggere le bozze, in quadro è completo. E' un'edizione sfortunata, da mettere rispettosamente da parte, insieme agli errori che contiene.

 

Per comprendere l'estetica segoviana a fondo, abbiamo le sue edizioni primarie delle musiche di cui fu il mallevadore, le sue stesse composizioni e i suoi dischi. La musica di Sor, comunque la vogliamo interpretare, ha valori propri ed autonomi, che richiedono di essere compresi e studiati in quanto tali, per quello che sono, e non attraverso i filtri dei revisori. Nemmeno se i revisori si chiamano Segovia.

 

dralig

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Una volta capita la concezione dello Studio, il lettore può servirsene a fini differenti. Se è uno studente e deve imparare o migliorare le sue prestazioni nelle tecniche specifiche studiate (appunto) dallo studio, dovrà esercitarsi con quelle. Se invece non ha nulla da imparare dallo studio in questione, e ciò nonostante il medesimo lo attrae dal punto di vista estetico, per i suoi valori musicali, sarà liberissimo di cercare le diteggiature più adatte a rendere manifesti quei valori che ha individuato, e dei quali può darsi che sia il rivelatore, al di là del pensiero del compositore medesimo. In questo caso, non abbiamo più un uso didattico, ma un uso artistico dello studio.

 

 

Mi sembra giustissima la Sua considerazione Maestro

 

infatti, se noi consideriamo un brano, e ne vogliamo fare il miglior uso artistico, allora sono d'accordo con kokis, un atteggiamento interpretativo autentico se ne infischia di andarre appresso a certe distinzioni.

E' chiaro che se usando una diteggiatura diversa da quella indicata ottengo un effetto migliore, arricchisco il contenuto di quello che sto suonando, lo interpreto meglio, lo suono più facilmente, lo rendo più bello...allora sarebbe assurdo non apportare le dovute modifiche, anche perchè la diteggiatura spesso è qualcosa di molto personale ( Saggese cambiando la diteggiatura del tremolo lo fa meglio, Porqueddu cambiando la diteggiatura agli studi di Gilardino li fa meglio, ecc.). Ci sono anche i casi in cui la diteggiatura va cambiata perchè l'autore del brano, non essendo un chitarrista, propone delle posizioni non realizzabili....

Però su una cosa non ci siamo intesi kokis, sostituendo la diteggiatura dello studio n. 1 HVL otteniamo un'alternanza delle dite diversa che, anche secondo me si presta benissimo ad un altro modo di esecuzione, e ad un altro motivo di studio ( lo studio n. 1 diventa un ottimo esercizio anche eseguendolo con pm o con pi, ecc....

per lo studio n.10 di sor, il discorso è diverso. Credo, e correggetemi se sbaglio, che Sor abbia pensato a come dare un'ottima stabilità al polso destro. Il movimento pipi eseguito velocemente, si presta benissimo a questo scopo, ma generalmente lo troviamo sui bassi. Sor ha portato all'eccesso la cosa ( il motivo di studio), proponendo lo stesso movimento sui cantini. In questo modo il polso della mano destra dovrà rimanere fortemente bloccato e sotto controllo per consentire il movimento.

Per questo motivo, sor ha inventato quella musica e credo anche che quel tipo di difficoltà (l'alternanza di pipi) si consideri che venga superata per chi deve fare l'esame di compimento inferiore.

Se noi cambiamo la diteggiatura, il brano lo possiamo fare pure meglio, ma lo priviamo di qualcosa, del suo contenuto didattico che forse, al di là della bella musica, è la sua cosa più importante, è la cosa che questo studio da sempre si porta in gembo e chi ci vuole trasmettere a tutti i costi...

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Anche qui, bisogna distinguere. La prima cosa da fare è leggere lo Studio come l'autore lo ha concepito e scritto. Se l'urtext è a portata di mano, la prima cosa da fare è accantonare le revisioni e leggere il testo primario con estrema cura e attenzione, comprese le didascalie, le quali spesso rendono chiaro il proposito dell'autore. Una volta capita la concezione dello Studio, il lettore può servirsene a fini differenti. Se è uno studente e deve imparare o migliorare le sue prestazioni nelle tecniche specifiche studiate (appunto) dallo studio, dovrà esercitarsi con quelle. Se invece non ha nulla da imparare dallo studio in questione, e ciò nonostante il medesimo lo attrae dal punto di vista estetico, per i suoi valori musicali, sarà liberissimo di cercare le diteggiature più adatte a rendere manifesti quei valori che ha individuato, e dei quali può darsi che sia il rivelatore, al di là del pensiero del compositore medesimo. In questo caso, non abbiamo più un uso didattico, ma un uso artistico dello studio. Porqueddu ieri, in un suo messaggio, ammetteva che, in un determinato passaggio di uno dei miei Studi, aveva accettato la diteggiatura dell'autore, cosa che non fa quasi mai. Che fa l'autore? Coda tra le gambe e zitto: altrimenti gli interpreti gli possono dire: prova tu a suonare le cose che hai scritto.

 

Quindi, c'è un solo punto uguale per tutti, studenti e concertisti: primo, leggere quello che l'autore ha scritto. Poi, ciascuno va per la sua strada. Stando attenti a imboccare quella giusta.

 

dralig

 

Certo M°, la questione é quella che avevamo già affrontato per quanto riguarda lo studio n° 1 di HVL: un grande rispetto del testo e dell'autore che spesso si può tradurre nell'abbandono di certe indicazioni per poter rendere al meglio il brano in questione.

 

Però su una cosa non ci siamo intesi kokis, sostituendo la diteggiatura dello studio n. 1 HVL otteniamo un'alternanza delle dite diversa che, anche secondo me si presta benissimo ad un altro modo di esecuzione, e ad un altro motivo di studio ( lo studio n. 1 diventa un ottimo esercizio anche eseguendolo con pm o con pi, ecc....

Credo che anche usando qualunque altra combinazione, nello studio n°10, si abbia un qualche motivo di studio, dovendo raggiungere un risultato di un certo tipo che forse non é così immediato con le altre dita.

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E' chiaro che se usando una diteggiatura diversa da quella indicata ottengo un effetto migliore, arricchisco il contenuto di quello che sto suonando, lo interpreto meglio, lo suono più facilmente, lo rendo più bello...allora sarebbe assurdo non apportare le dovute modifiche, anche perchè la diteggiatura spesso è qualcosa di molto personale ( Saggese cambiando la diteggiatura del tremolo lo fa meglio, Porqueddu cambiando la diteggiatura agli studi di Gilardino li fa meglio, ecc.). Ci sono anche i casi in cui la diteggiatura va cambiata perchè l'autore del brano, non essendo un chitarrista, propone delle posizioni non realizzabili....

 

Mi trovi naturalmente d'accordo, Rudimental, ma visto che tra i lettori del forum vi sono degli studenti proporrei una aggiunta importante alla tua considerazione.

 

La modifica di una diteggiatura (riguardante la MD o la MS) deve essere effettuata dopo una serie di valutazioni che sono tutt'altro che superficiali.

 

In primis, come tu stesso fai notare, è necessario conoscere la storia del compositore, sapere se si tratta di un concertista - ed in questo caso che genere di concertista - o meno.

Nel caso si tratti di un concertista prima di procedere alla modifica bisogna valutare con attenzione ogni suggerimento e metterlo in pratica.

A certi livelli è ovviamente una tecnica non applicabile ma per chi ancora ha a che fare con esami di conservatorio suggerisco sempre (per il miglioramento e l'esercizio meccanico) la messa in pratica della diteggiatura indicata.

Se il compositore non è un concertista o comunque non è un esecutore il lavoro si sposta sul revisore: identica procedura.

 

Fatta questa prima valutazione/verifica - estremamente importante - occorre poi spostare l'attenzione sulle proprie capacità e capire se la modifica deriva da una scelta interpretativa o meccanica.

Sul primo caso non mi soffermerei a lungo. Si tratta di un genere di modifica che per gli allievi curano direttamente i relativi insegnanti.

Nel secondo caso, invece, occorre fare una profonda auto-analisi e chiedersi se è il caso di evitare l'ostacolo o affontarlo di petto cercando (con metodo, costanza e grande fatica - e ben poco divertimento - ) di risolvere il problema.

 

In soldoni: la personalizzazione di una diteggiatura è un dettaglio importante in una esecuzione ma ad allievi e diplomandi farebbe bene (molto bene) tentare le vie - apparentemente tortuose - suggerite dal compositore/revisore, metterle in pratica dunque passare alla modifica vera e propria (con la supervisione di un docente).

 

Nelle edizioni Orpheé spesso la diteggiatura (di entrambe le mani) è omessa.

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Credo che anche usando qualunque altra combinazione, nello studio n°10, si abbia un qualche motivo di studio, dovendo raggiungere un risultato di un certo tipo che forse non é così immediato con le altre dita.

 

 

Sicuramente utilizzando altre combinazioni si possono avere nuovi motivi di studio, che saranno anch'essi interessantissimi però, un motivo di studio che già c'è di per sè, noi lo andiamo a togliere, ed è proprio il motivo più importante in quanto, è il motivo generatore, perchè senza quel motivo di studio, senza quella particolare finalità, probabilmente quella musica non esisterebbe.

Lascia che poi il brano avrà altri mille motivi per essere funzionale didatticamente e non solo, ma noi gli abbiamo tolto l'anima...

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"Caro Piero, lo studente dovrebbe essere guidato dall'insegnante - e dal medesimo caldamente esortato - allo studio dei testi, non delle loro manipolazioni. La vicenda di Segovia e degli studi di Sor ormai è un fatto storico, e non sarà male ricordarlo agli studenti che ci leggono. Segovia, nel 1937, si stabilì a Montevideo, in Uruguay, dove visse per nove anni, nel corso dei quali - almeno fino al 1943 - vide la sua attività concertistica gravemente depauperata a causa degli eventi bellici e del boicottaggio decretato contro di lui dagli agenti di concerti statunitensi. Si ritrovò quindi nella necessità di sostituire una parte considerevole dei suoi introiti con attività sostitutive, e fu in quella situazione di emergenza che concepì il fascicolo delle scale e la revisione degli Studi di Sor. Non aveva a disposizione una biblioteca musicale con urtext, ma solo i volumi che poteva reperire nei negozi latino-americani o che i chitarristi locali gli prestavano. Così, dovette basare la sua revisione degli Studi di Sor non sulle edizioni pubblicate durante la vita dell'autore, ma su quello che trovava: è evidente che si servì dell'appendice al Metodo per chitarra Sor-Coste, appendice nella quale si trova la maggior parte dei 20 Studi da lui selezionati, ai quali aggiunse alcuni (pochi) Studi il cui testo gli fu dato da Attilio Rapat o da Abel Carlevaro. Quindi, Segovia non ebbe - al'epoca in cui preparò l'edizione dei 20 Studi - un accesso a tutta l'opera didattica di Sor in edizione primaria, ma accesso a delle selezioni, dalle quali trasse il materiale che poi riordinò. Basterebbe questo a collocare una volta per tutte il volume Sor-Segovia nella posizione che gli compete: un lavoro svolto utilitaristicamente da Segovia in condizioni sfavorevoli. Se poi aggiungiamo il fatto che Segovia lavorava da solo, senza un editor che lo aiutasse a mettere a punto i suoi manoscritti e a correggere le bozze, in quadro è completo. E' un'edizione sfortunata, da mettere rispettosamente da parte, insieme agli errori che contiene.

 

Per comprendere l'estetica segoviana a fondo, abbiamo le sue edizioni primarie delle musiche di cui fu il mallevadore, le sue stesse composizioni e i suoi dischi. La musica di Sor, comunque la vogliamo interpretare, ha valori propri ed autonomi, che richiedono di essere compresi e studiati in quanto tali, per quello che sono, e non attraverso i filtri dei revisori. Nemmeno se i revisori si chiamano Segovia.

 

dralig

 

Caro Angelo,

lungi da me ogni intento polemico, io direi che se devo insegnare ad un allievo a suonare non posso evitare di proporre i testi che hanno aiutato e aiutano me. Il lascito didattico segoviano è quantitativamente minuscolo (pochi volumetti; del resto ricordo bene dal mio corso a Ginevra come era parco di parole Segovia nell’insegnamento), ma a me è stato e continua ad essere utilissimo, anche se qualche volume è stato scritto per far fronte a problemi economici.(L’ “Histoire du Soldat” di Stravinski è stata pensata per fare soldi in un momento difficile, ma questo non le impedisce di essere un capolavoro). Certo è giusto informare l’allievo che nei “20 studi” revisionati da Segovia ci sono differenze rispetto alle edizioni originali.

I “20 studi” di SorSegovia sono poi, come sappiamo tutti, all’origine delle prove d’esame ministeriali per V e VIII anno e non credo che un allievo debba temere nel presentare quella edizione all’esame.

 

Sulla datazione delle 24 scale diteggiate da Segovia ho una curiosità sulla quale forse tu puoi aiutarci: sono in possesso di una vecchia edizione, un po’ diversa da quella della Columbia che tutti conosciamo, pubblicata da Romero & Fernandez a Buenos Aires. Non c’è data di pubblicazione, ma il volumetto che ho, oltre all’autografo manoscritto di Segovia, ha una firma e una data vergate a penna sulla copertina: Riccardo Vaccari, 1923. Se non ci sono errori, questo farebbe pensare ad una edizione delle scale decisamente anteriore agli anni ‘30.

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Caro Angelo,

lungi da me ogni intento polemico, io direi che se devo insegnare ad un allievo a suonare non posso evitare di proporre i testi che hanno aiutato e aiutano me.

 

Nemmeno io in questo caso nutro intenti polemici, anche se considero la polemica un formidabile strumento culturale, naturalmente quando è condita di stima personale e di grande rispetto per le opinioni altrui.

 

Io non credo che si debba trasmettere agli allievi solo ciò che si è imparato, ma ciò che esiste e che si ha il dovere di imparare di continuo, aggiornando le proprie conoscenze. Negli anni 1950-1970 (convenzionali, solo per dare un'idea) era normale lavorare gli Studi di Sor nell'edizione di Segovia, semplicemente perché non esistevano le ristampe delle edizioni d'epoca e le edizioni critiche: da 20-30 anni a questa parte, l'editoria chitarristica ha fatto prodigi, mettendo a disposizione di tutti i testi originali, e il colpo di grazia l'ha dato Internet, con la collocazione on line di moltissime riproduzioni di edizioni d'epoca, disponibili gratuitamente. Essendo questa la realtà, non esiste più il benché minimo motivo per servirsi dell'edizione Segovia, che è semplicemente zeppa di errori. Anch'io ho imparato i 20 Studi nell'edizione Segovia - negli anni Cinquanta - ma subito mi sono dato da fare per cercarne altre, e quando trovai l'edizione Dobrauz, con i testi originali, nel 1958, misi da parte Segovia e incominciai a leggere Sor. Mi dispiace dirlo, ma anche solo il mantenere la selezione segoviana (pur abbandonando l'edizione) è uno sbaglio, perché Sor ha scritto altri Studi magnifici, e non c'è nessuna giustificazione nell'escluderli dai programmi solo perché Segovia non li scelse. Meno che mai oggi, quando sappiamo che Segovia lavorò a sua volta su una selezione.

 

 

Il lascito didattico segoviano è quantitativamente minuscolo (pochi volumetti; del resto ricordo bene dal mio corso a Ginevra come era parco di parole Segovia nell’insegnamento), ma a me è stato e continua ad essere utilissimo, anche se qualche volume è stato scritto per far fronte a problemi economici.(L’ “Histoire du Soldat” di Stravinski è stata pensata per fare soldi in un momento difficile, ma questo non le impedisce di essere un capolavoro).

 

Non ho mai sostenuto che il lavorare a fini di sostentamento obblighi a lavorare male. L'edizione di Segovia degli Studi di Sor non è attendibile non perché Segovia l'abbia preparata a fini di guadagno (cosa del tutto lecita), ma perché non poté lavorare in condizioni tali da permettere di preparare una buona edizione. Tutto lì. Stravinskij lavorò tutta la vita su commissione, non solo per l'Histoire, il fatto è che ai suoi committenti consegnava dei lavori molto ben rifiniti.

 

 

 

Certo è giusto informare l’allievo che nei “20 studi” revisionati da Segovia ci sono differenze rispetto alle edizioni originali.

 

Secondo me è giusto il contrario, cioè far imparare gli Studi sul testo originale e poi, agli studenti interessati alla ricerca, far svolgere le comparazioni con le varie edizioni revisionate (non c'è mica solo quella di Segovia, si incomincia da Coste...). Questo li condurrebbe a rendersi conto del fatto che Sor non aveva bisogno di revisioni, ma di maggior rispetto.

 

I “20 studi” di SorSegovia sono poi, come sappiamo tutti, all’origine delle prove d’esame ministeriali per V e VIII anno e non credo che un allievo debba temere nel presentare quella edizione all’esame.

 

Se uno sa leggere, forse si merita di imparare l'Infinito nella lezione il cui testo recita "l'ermo colle", non "l'ermo collo" o "l'ermo calle".

 

 

 

 

 

 

Sulla datazione delle 24 scale diteggiate da Segovia ho una curiosità sulla quale forse tu puoi aiutarci: sono in possesso di una vecchia edizione, un po’ diversa da quella della Columbia che tutti conosciamo, pubblicata da Romero & Fernandez a Buenos Aires. Non c’è data di pubblicazione, ma il volumetto che ho, oltre all’autografo manoscritto di Segovia, ha una firma e una data vergate a penna sulla copertina: Riccardo Vaccari, 1923. Se non ci sono errori, questo farebbe pensare ad una edizione delle scale decisamente anteriore agli anni ‘30.

 

Certo. Ci sono parecchie edizioni argentine di cose di Segovia risalenti agli anni Venti, e non tutte sono state poi ristampate altrove. Per esempio, c'è una bellissima composizione di José Maria Franco, che Segovia aveva in repertorio, e che è rimasta sepolta in un'edizione bonoarense ormai introvabile.

 

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Il motivo di interesse che permane in quella edizione degli studi di Sor per me sono sostanzialmente le diteggiature come espressione di un alto pensiero musicale e strumentale applicato a materiale didattico. Lavorare su quel libro a me serve, anche se ci sono discordanze rispetto all'originale, e per questo continuo sia ad usarlo io che a proporlo.

Didatticamente il "Sor-Segovia" mi sembra una operazione funzionante.

Ma, avendo ormai detto abbondantemente il perché, non intrattengo oltre i lettori.

Ciao

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