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Ospite Pierluigi Potalivo
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Ospite Pierluigi Potalivo

Scusa Bernardo, ti ho lasciato in sospeso la domanda spiritosa

 

PS: cosa c'entra Heidegger con tutto questo discorso?

 

Va bene, mi hai colto in fallo... E non ti sfugge niente però...! Inoltre mi fai lavorare... perchè poi mi 'parte la ciavatta', la pantofola, con l'ontologia, e mi dilungo. Questa disciplina, che fa molti 'discorsi sull'essere' che fanno torcere il naso, mi è sembrato, anche a te, la associo sempre al nome del povero professor Heidegger (che l'ha approfondita assai). Lo prendo come emblema di quei discorsi, ma era, in fondo, un tranquillo pensatore; una giornata all'Università, la sera una sinfonia di Mendelssohn e vai col tango. No, lui non c'entra, povero professore. Come tanti altri filosofi seri si è spremuto come un limone per tutta la vita, cercando la sua verità, e per questo tanto di cappello. Va bene, comunque, Hegel non appassiona nemmeno me, anche se è andato sullo spirituale. Ho le mie letture, ma non sto nemmeno lì a menarla con tutto il pensiero occidentale, che di certo non si esaurisce dentro casa mia...!

 

Vorrei cercare di parlare un po', piuttosto, di spirituale riversato nella creazione artistica, che è, dopo la forma, l'altra parte della nostra questione. Senza però volerti urtare, soprattutto senza 'incensi' e 'sacrestie', di cui qui, non abbiamo bisogno alcuno. Andiamo sui personaggi al di sopra di ogni sospetto. Diversi tra i grandi, infatti, hanno sentito (sono tornati a sentire, forse, dopo il Rinascimento) la questione spirito-arte. Si può non includere tra loro quei grandi compositori che erano anche molto religiosi (Liszt, Franck, Bruckner). Sarebbe troppo comodo accostare loro allo spirituale...allora Skrjabin, per esempio, con tutte le sue teorie nuove su musica/colore. Poi, c'è un libro molto bello di Kandinskij, 'Lo spirituale nell'arte'. Mi spingo a dire che ti piacerebbe. Ed è una dimostrazione che di spirito si può parlare anche senza misticismo, il quale, concordo coi tuoi sospetti, ha sempre quel retrogusto dolciastro: che sa di superc....la, in breve. Ecco un bel passo di Kandinskij, all'inizio del VIII capitolo:

 

“La vera opera d'arte nasce in modo misterioso, enigmatico, mistico (ok usa questa parola, ma non farci caso ora...), “dall'artista”. Staccata da lui, acquista vita indipendente, diventa una personalità, un soggetto autonomo, con un respiro spirituale, che conduce anche a una vita materiale reale: che è un essere. Non è dunque un fenomeno indifferente e dovuto al caso; […] come ogni essere possiede bensì forze attive, capaci di ulteriore creazione.”

 

Ti ho citato questo passo non per farmi scudo con le parole di un eminente pittore, ma per dirti che di queste cose si parla, e da molto. Si tratta poi, qui, di grandi artisti, e che hanno sentito tutto questo come vero, in loro. Si potrebbe continuare con altri nomi, altre arti (Carmelo Bene, per esempio). Vedi che si può parlare di questa materia senza confondersi con 'l'osservanza dei riti della domenica', con i comandamenti, con cose che insomma hanno a che fare con lo spirito inteso come 'pratica', appunto, o precetti cui sottomettersi. Cose sulle quali, se ho capito bene i tuoi dubbi e fastidi, sono d'accordo con te.

 

Si possono evitare anche i testi sacri, sebbene nulla vieta di servirsene. Anzi, potrebbero costituire una fonte autorevole in più, anche se poi si finirebbe per entrare in quell'ambito di sapore religioso che tu, Bernardo, vuoi evitare. Il maestro dralig, però, sente di farlo rispondendo a una tua frase (lo chiamo maestro poiché qualcosa nel nome come nell'eloquio mi fa pensare che abbia navigato a lungo nelle acque della composizione musicale!). Vediamo come, sfiorando questo territorio, possiamo poi tornare a uno spirituale meno 'di chiesa', che, abbiamo deciso, non ci piace. Per esempio, mettendolo in connessione col Rinascimento, che ci dà altri spunti ancora.

 

Accanto a una ineccepibile interpretazione delle Scritture (quale tra i 'manuali' ha maggiore autorità?...), il maestro manca, secondo me, un punto importante. Cioè che quello Spirito di cui scrive, e che discende come un dono travolgente è lo Spirito Santo, il quale costituisce per gli apostoli, e tutti quelli che vengono invasi, 'penetrati' dalla sua potenza (come i Santi, come la Vergine), una particolareinvestitura. Il principio-Spirito, come essenza, che i mistici greci chiamavano Logos, è la 'scintilla di Dio' che è donata ad ogni uomo dalla creazione (“In principio era il Logos”, Vangelo di Giovanni), e che pertanto appartiene a tutti i suoi figli. Ma questo principio si perse gradualmente ad opera delle 'forze delle tenebre', che pure sono nell'uomo come controaltare (“Le tenebre non l'hanno riconosciuto”). Nel segno di un riconoscimento di quel principio, vivo pertanto nell'umanità intera – ma solo nei discepoli, o pochi prescelti, in quel modo 'brutale' – sta il senso della discesa del Redentore: il Logos si fa carne.

 

Questa scintilla è la 'divinità dell'uomo', che nel Rinascimento ha ispirato la filosofia neo-platonica. L'uomo riconosce in sé, nella perfezione del suo corpo (l'uomo Vitruviano), nella capacità di disporre delle cose del mondo, Dio in lui, sé stesso come essere divino; l'uomo come gloria di Dio, nel senso di riassumere in sé la divinità (presente nello sguardo del Battista di Leonardo). Se lo Spirito non è meritato, ciò si deve al fatto che esso, semplicemente, è donatoall'uomo: il Redentore, che si incarna per ricordare all'uomo donde esso viene e la missione dell'amore, è infatti il 'figlio dell'uomo': è ciò che risiede, come un sole, dentro ogni creatura, che però lo ignora, vivendo nelle 'tenebre' a causa della 'caduta'. Nel tentativo di resuscitare l'arte e il pensiero greco, gli artisti del Rinascimento trovano l'uomo come propaggine di Dio. Questo è il fiore di quell'età così gloriosa per gli italiani.

 

Ma fino a qui non si esce dai testi, dai ragionamenti nei quali non c'è esperienza viva per noi, oggi. Allo stesso tempo, averne l'esperienza vivente, per me, non impone unicamente le folgorazoni sulle vie di Damasco o le estasi di Angela da Foligno. Il limite – inconsapevole, credo – di questa visione è proprio quello di fermarsi a un 'discorso sullo Spirito', dimentico di muovere in quell'elemento – un po' come i filosofi scolastici. Ciononostante, capisco che un po' di ratio, almeno un pizzico, ci vuole. Infatti, se da una parte è sacrosanto che dal principio primo non si estrae altro principio, allo stesso tempo è altrettanto vero che o si è nel principio o non si è; cioè non si può parlare del principio da fuori del principio stesso: sarebbe come afferrarsi i capelli e pretendere di galleggiare in aria. Ecco, per me, il difetto dell'impianto di quelle dottrine, le quali pretendono di reggersi su sé medesime, ignorando che ciò che consente loro di pensarsi è il principio stesso che muove in loro.

 

Pertanto ogni manifestazione umana - e le arti sono certo quelle più spirituali - è manifestazione stessa del principio. Non si può dire che solo secondo una certa visione esiste 'l'opera d'arte originata dallo Spirito': se non si estrae spirito da spirito, non si hanno teorie che lo comprendono e altre che lo escludono. Esso è in ogni cosa. Per me possono solo esistere creazioni particolarmente infuse di spirito e altre meno – a seconda di chi le trasmette. Ma ogni creazione muove dall'universo intuitivo, che è di natura spirituale, e che fornisce l'energia sia a Bach che a Toto Cutugno. E non si manifesta in forme 'aperte' o 'chiuse', bensì in quelle che noi, a seconda delle nostre capacità, conferiamo alle intuizioni che ci attraversano. Ma penso anche che il maestro dice bene quando intuisce che ciò che origina la forma è una 'energia latente'. Proprio così! Dal mio punto di vista è una ottima 'intuizione', appunto. Solo che vale per tutte le creazioni, belle o brutte. Quando parlavo di cercare quella energia, che si manifesta come tale all'inizio nel compositore, nel tentativo farsene attraversare, mi riferivo proprio a questa forza. Dalla forma di cui disponiamo (stesa sullo spartito) si può tentare, risalendo all'indietro, di risalire alla forza. Tentare immaginativamente, da artisti; non c'è bisogno di essere San Paolo...

 

Nel mio piccolo scritto dal titolo 'Classicismo Barbarico' dico chiaramente, come ti ho scritto ieri, Bernardo, che, scontata l'ovvia assenza di ogni Beatitudine (negata peraltro a priori ai chitarristi…grandi 'peccatori'!), la mia è stata la ricerca di una 'resa artistica' della forza di una musica; il tentavo di una nuova 'messa a terra', oltre a quella esistente, di matrice immaginativa, appunto. Ecco le 'contraffazioni', le 'rielaborazioni'. Tutto qui. Dopo la presentazione del maestro dralig sulle modalità di comparsa dello Spirito, la sola condizione per aver scritto una buona rielaborazione sarebbe che all'ascolto si scoperchino i tetti delle case...se non succede, beh, non è 'good pappa'...

 

Ma se si parla di Spirito senza crederci poi tanto, Bernardo, come una nozione libresca cui - legittimamente s'intende – si neghi la possibilità di tramutarsi in un'esperienza vivente, si pone lo Spirito fuori di sé, cioè fuori dell'uomo. Così, il maestro ignora tutti i doni intuitivi avuti finora da questo principio, che appartiene a lui tanto quanto al peggiore tra gli uomini. Quest'ultimo, meno evoluto di un artista, ne farà un uso scellerato. L'altro li trasforma in arte. Dunque si può ben dire che un compositore, che abbia coscienza di spirito o meno, muove già di suo – e con familiarità - nelle intuizioni. Non ha granché bisogno di teorie sullo Spirito. Ne è già un valente alfiere. Quanto al cercare l'esperienza vivente di una forza, dunque, il maestro, non interessato né incuriosito, la derubrica, Scritture alla mano, unicamente come privilegio dei Santi. E così se ne libera con facilità, dialetticamente. E sicuramente, almeno nei suoi raggiungimenti più alti, le vere esperienze spirituali appartengono ai rari uomini che, per questo, chiamiamo Beati.

 

E' senza dubbio vero che dallo spirito non può estrarsi altro spirito. Infatti ho sempre e solo parlato di cercare, evocare una forza (che è appunto una), riuscire a captarla, non farne un estratto, un surrogato. Il risultato sarà quella forza sola, anche se passata attraverso un'altro essere: il che non 'sporca' la forza, ma ne fa, ancora una volta, un incontro (sempre artistico, ideale, nella 'contraffazione'), come fu per il compositore x. Ma ciò si nega è, secondo me, proprio la possibilità di evocare, o perché no, 'invocare'. Se l'esperienza del Rinascimento appartiene spiritualmente in particolare a noi italiani, allora al di là di una mostra di pittura – ancorché piena di meraviglie - voglio credere a ciò che quegli uomini possono ancora insegnarci a realizzare. Ammirato da quella compresenza di nascente spirito scientifico unito a una fede ancora pulsante mi illudo allora, forse, di vedere nella Virgo Advocata non solo una statuetta, ma la possibilità della fede in un principio: da uomini del XXI secolo, si può farlo solo col sentimento di un Miserere...

 

Pierluigi

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Scusa Bernardo, ti ho lasciato in sospeso la domanda spiritosa

 

PS: cosa c'entra Heidegger con tutto questo discorso?

 

Va bene, mi hai colto in fallo... E non ti sfugge niente però...! Inoltre mi fai lavorare... perchè poi mi 'parte la ciavatta', la pantofola, con l'ontologia, e mi dilungo. Questa disciplina, che fa molti 'discorsi sull'essere' che

 

[CUT]

 

 

Naturalmente l'ascolto dell'Essere deve rappresentare una costante di chi vuole ascoltare lo Spirito. Risulta importante questa frase di Heidegger : " Il tratto fondamentale del pensiero non è l'interrogare, bensì l'ascoltare quel che viene suggerito da ciò che deve farsi problema".

Quindi l'ascolto sostituisce la domanda e il nostro dire diventa dire originario perché proveniente dall'Essere. L'atto artistico in se è dell'uomo e affermare che proviene dallo Spirito è un atto di fede.

DS

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Ospite Pierluigi Potalivo

Ecco, lo vedi che combina Heidegger...? Ora bisognerebbe chiedersi cosa si intende per Essere, ed ecco che cominciamo a rotolarci nella dialettica...mai fidarsi dell'ontologia! Grazie comunque, Domenico. Certo che l'atto artistico è dell'uomo e solo dell'uomo. Se provenga dallo Spirito o meno non può provarlo nessun Heidegger, nessun ragionamento. E' il limite della ratio. Quindi si, è un atto di fede.

 

Pierluigi

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Accanto a una ineccepibile interpretazione delle Scritture (quale tra i 'manuali' ha maggiore autorità?...), il maestro manca, secondo me, un punto importante. Cioè che quello Spirito di cui scrive, e che discende come un dono travolgente è lo Spirito Santo, il quale costituisce per gli apostoli, e tutti quelli che vengono invasi, 'penetrati' dalla sua potenza (come i Santi, come la Vergine), una particolareinvestitura. Il principio-Spirito, come essenza, che i mistici greci chiamavano Logos, è la 'scintilla di Dio' che è donata ad ogni uomo dalla creazione (“In principio era il Logos”, Vangelo di Giovanni), e che pertanto appartiene a tutti i suoi figli. Ma questo principio si perse gradualmente ad opera delle 'forze delle tenebre', che pure sono nell'uomo come controaltare (“Le tenebre non l'hanno riconosciuto”). Nel segno di un riconoscimento di quel principio, vivo pertanto nell'umanità intera – ma solo nei discepoli, o pochi prescelti, in quel modo 'brutale' – sta il senso della discesa del Redentore: il Logos si fa carne.

 

Potrà sembrare - ed effettivamente è - aliena alle tematiche di un forum di chitarra una discussione di questo argomento, ma l'impegno e la serietà dell'interlocutore esigono una risposta altrettanto seria. L'identificazione tra logos e spirito non è esatta, o perlomeno non lo è nell'ambito del sapere che ci è stato trasmesso dal Libro. Per non impancarmi a teologo - purtroppo non lo sono - cito, tra le molte fonti disponibili al riguardo, una delle più recenti, accreditate e laicamente stimabili (l'autore non è un teologo, ma un biblista). Scrive Sergio Quinzio ("Un commento alla Bibbia", Adelphi, 1991, pag. 546): "Non abbiamo un'espressione capace di rendere i contenuti di un termine ebraico come "davàr" - "parola", inseparabile dal suo compimento -; e non l'aveva neppure il quarto evangelista, che scrivendo in greco era condannato a scrivere "logos" (o "Logos"), termine troppo legato alle filosofie pagane, come noi siamo condannati a tradurlo con un teologico "Verbo", o con una "parola" (o "Parola") consumata da troppi usi insignificanti. È penoso aprire il Vangelo di Giovanni e trovarsi subito di fronte a questo davàr-omer-Logos-Verbum-Parola-parola, a proposito del quale nessuno potrebbe sperare di leggere neppure la millesima parte di quello che è stato scritto. Che cosa si esprime, o piuttosto che cosa si nasconde ormai da troppi secoli, dietro questa parola "Parola"? [...] Ma il termine greco disponibile per dire questo è vicino piuttosto a significare il contrario".

 

Lo Spirito che irrompe nell'uomo non è quindi connaturato all'uomo, ma è qualcosa che lo raggiunge inspiegabilmente in un certo punto della sua vita, e la sconvolge. Gli Apostoli, fino alla Pentecoste, sono dei poveri grulli sperduti nella paura e nella viltà: se un briciolo di spirito fosse stato in loro, la morte del loro maestro non li avrebbe abbattuti, e certo non avrebbe permesso che Pietro, dopo aver visto miracoli e ascoltato la Parola, rinnegasse colui che gli aveva affidato le chiavi della sua chiesa. Infatti, dopo la resurrezione, Cristo non si manifesta agli Apostoli, ma a due loro conoscenti (Emmaus), perché ha ormai concluso la sua parabola terrena, e da allora in poi Dio sarà presente nel mondo in altra forma: quella che si manifesta nella fiamma pentecostale: lo Spirito trasforma quei poveri diavoli in poliglotti, taumaturgi e profeti.

 

Ciò detto, avverto il pericolo - che le mie parole non hanno scongiurato - di lasciar intravvedere una mia personale convinzione di essere toccato dallo Spirito, e di parlare come chi senta che le parole gli vengono date. Ovviamente, non è così: ho soltanto inteso, con il mio intervento, offrire un contributo alla corretta lettura della parola "Spirito" spiegandone un'accezione che mi è familiare. Chi ha composto un omaggio a San Juan de la Cruz ("Noche oscura") e un concerto intitolato "Leçons de Ténèbres", sa di brancolare nel buio e di essere ben lontano dalla Luce. Il che non gli impedisce di leggere le storie di coloro che, invece, dallo Spirito furono investiti.

 

Forse, in fondo, prevale una mia convinzione che il comporre musica fondata su altra musica - operazione che mi è familiare, e dalla cui pericolosa fascinazione debbo continuamente guardarmi per fare senza eccedere – sia anch'essa, non diversamente e non da meno del suonare musica altrui – un'operazione ermeneutica: per cui Britten sarebbe - e sinceramente lo credo - un interprete di Dowland proprio nella misura in cui è compositore in proprio. Il secolo ventesimo è stato il secolo dell'interpretazione - e delle sue derive...

 

Senza pubblicare manifesti, mi sembra tuttavia importante l'osservazione del Domenicano sul primato della forma: la condivido, e nelle mie "interpretazioni" di Schubert, Sor, Giuliani, Tarrega, Ponce, etc., ho sempre lavorato sugli interni, mai sull'architettura.

 

dralig

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Ospite Pierluigi Potalivo

Grazie per la sua risposta. Sono d'accordo con lei, maestro, che il soggetto può esulare dalle tematiche di un forum come questo (Heidegger poi...ma è stata colpa mia, se lo evochi lui reagisce e sono dolori per tutti...).

 

Non penso, davvero, che lei si attribuisca nessuna discesa dello spirito santo. A me, in generale e senza riferimenti ad alcuno, piace parlare senza veli o sottintesi. Il Logos è anche 'suono', quello di Brahman che crea l'universo etc.. Come sa, si potrebbe andare oltre, e di molto. Ma anch'io, però, avverto un pericolo nella pur pacifica - e umana - discussione, quando essa avvenga attraverso reciproche citazioni o interpretazioni. In questo modo essa svuota le nostre personali istanze, fredda il calore delle nostre idee. Mi piace molto la seconda parte del suo messaggio. Di là da esegesi, ancorché interessanti e autorevoli, lei, da uomo navigato, parla delle sue preoccupazioni, delle convinzioni maturate nei lunghi anni di un esercizio compositivo che è, di certo, il suo unico e vero maestro.

 

Nessun manifesto quindi, mi creda, ma quel naturale (di nuovo, umano, nella sua fragilità) bisogno di parlare all'ascoltatore a mo' di prefazione: un "Voi ch'ascoltate", certo meno poetico. L'ermeneutica non c'entra, maestro. Ho il sacro terrore, anzi, di chiunque detti regole interpretative. E' un rischio che mi sono assunto consapevolmente, quello di modificare un'architettura. L'averlo realizzato 'in stile' è, forse, ciò che provoca quella vicinanza pericolosa, quel 'doppio' che può urtare. Che abbia il buon Domenicano la sua forma, pertanto, come tutti noi abbiamo un corpo; è pacifico per me. Tuttavia, e si può in libertà non credervi o sentire il contrario, era quello di agire sull'interno (meglio, attraverso un interno, che credo vivo) proprio il fine prefisso.

 

Un saluto,

 

Pierluigi

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