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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

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Ospite Pierluigi Potalivo
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Ospite Pierluigi Potalivo

E' più che giusto accettare i dissensi Nicola, penso poi che, nel mio caso, a 40 anni sia davvero quasi un obbligo. Nel confronto, magari accanto a qualche frizione, esce sempre qualcosa che ci aiuta a comprendere meglio noi stessi. Sembrano parole fatte, che tutti sanno a memoria, ma poi contengono sempre una grande verità!

 

Grazie per l'augurio di buono lavoro, che mi fa molto piacere e che contraccambio sinceramente. Ognuno che fatica onestamente su uno strumento, dedicandoci la vita, possiede una piccola scintilla luminosa, che va protetta e incoraggiata, e gli va riconosciuto sempre il merito della fatica per tenerla accesa, qualsiasi musica si faccia. Ti mando un gran saluto! :)

 

Pierluigi

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Ospite Pierluigi Potalivo
Certo che per essere sopraffatti dall'autorevolezza di Giuliani ce ne vuole.

 

Eh si, ci vuole una cosa che si chiama devozione, reverendo Gui.

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Ospite Pierluigi Potalivo

Padre Gui, nello spirito la forma non esiste, c'è solo il mondo sterminato delle intuizioni, lei dovrebbe saperlo. Incluso nel prezzo c'è un CD in custodia cartonata. Le forme di noi uomini della carne sono quelle di cacio.

 

Per rimanere in tema avrei una preghiera. Si spieghi un po' meglio, padre, la scongiuro. Lei è alquanto sibillino. Finora si è capito che ama Clementi, ma la sua comunicativa somiglia a quella di una pietra pomice. E inoltre, perché come nickname ha scelto proprio quello di un inquisitore?

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Ospite Bernardo Gui
E inoltre, perché come nickname ha scelto proprio quello di un inquisitore?

 

Nessun motivo in particolare. Stavo rileggendo Il nome della rosa al contrario e "iug odranreb" mi suonava magnificamente.

 

Si spieghi un po' meglio, padre, la scongiuro. Lei è alquanto sibillino.

 

Pensavo che la domanda fosse chiara per chiunque abbia sostenuto quel paio di esami tra il quinto o l'ottavo anno. Ma tant'è, è sabato e cercherò di spiegarla meglio, così assomiglierò un po' di più ad un utente serio e rispettoso della retichetta.

 

Allora, in Guernica - che è un quadro gigante - ciascun dettaglio, dal dentino del cavallo all'occhio storto del tizio steso, al piedone in basso a destra, dalla finestrella al modo in cui è spezzata la spada, tutto e dico tutto è disposto in modo che nel complesso, a livello macroscopico, esista un equilibro (o un disequilibrio cercato) tra le varie zone della tela.

 

Ora io posso prendere una riproduzione formato uno a uno del quadro, tagliarla a pezzettini e ricomporla in un altro modo. È lecito farlo: nessuno fortunatamente qui in Italia mette in dubbio la liceità di una operazione culturale di questo tipo. Nascono però un paio di domande: primo, ha senso quello che sto facendo? Perché è vero che la giustapposizione di tutti quei dettagli crea l'equilibrio complessivo della tela, ma è anche vero l'esatto opposto, ossia che ogni singolo dettaglio prende significato anche dal luogo in cui è ubicato e dalla relazione con tutti gli altri e dal progetto costruttivo complessivo (questo è l'altro significato del termine "forma" che le sfugge, probabilmente inebriato da fragranze vaccine). Staccare quei dettagli e riposizionarli in un altro posto significherebbe dunque né più né meno che, nel migliore dei casi, modificare il significato di quell'opera, oppure, nel peggiore, di deprivarla totalmente.

 

Ma mettiamo che io sia particolarmente fortunato e si avveri il migliore dei casi: trovo un'altra disposizione possibile dei dettagli in modo che acquistino un altro significato. A questo punto subentra la seconda domanda: chi è il dannato genio tra Pablo Picasso e Bernardo Gui? Quale sarà la disposizione migliore degli elementi? La mia o la sua? Per cui: a chi potrebbe mai interessare un Bernica quando l'originale è infinitamente migliore?

 

Tutto questo tenendo presente in primo luogo che con Guernica siamo comunque di fronte a un esempio - pur estremo - di arte figurativa non astratta, semantica (mi si passi il termine); in secondo luogo, si tratta di un'opera moderna e rivoluzionaria, quindi poco legata ad una tradizione e ad una aspettativa da parte della ricezione.

 

Nel caso della Sonata classica invece, "lo spirito" (eccolo!) e il fascino intramontabile di questa struttura formale consistono esattamente nell'aspettativa dell'alto-borghese medio della Vienna del primo Ottocento. Ciascun tempo di sonata deve rispondere a delle precise aspettative psicologiche del pubblico, dettate dalle sue esperienze di ascolto precedenti (che per comodità potremmo chiamare tradizione). L'abilità del compositore (e in alcuni casi la sua grandezza) sta giocare tra i contenuti sonori che lui concretizza, e la tradizione che gli si pone davanti. Ossia, da bravo demiurgo, sta plasmando materia (sonora) secondo una forma (eccola di nuovo! e continuo a non sentire odore di formaggio.)

 

Per cui, come il dentino del cavallo, ogni periodo, ogni inciso, ogni modulazione, ogni cellula ritmica, ogni frase di un brano, prendono significato all'interno della forma in cui vengono poste.

 

Contariamente a Picasso che era libero di decidere l'architettura costruttiva del suo Guernica, il povero Mauro si trovava inoltre a dover scrivere - se voleva mettere assieme il pranzo con la cena - un pezzo in quattro movimenti, di cui il primo è in forma-sonata e l'ultimo in forma di rondò, perché era questo che pretendeva il facoltoso e istruito amateur viennese di turno.

 

Nello "spirito" quindi la forma esiste eccome, e con il solo "mondo sterminato delle intuizioni" al massimo si vince a Trivial Pursuit facendosi beffa degli amici ignoranti. Nella mia modesta opinione (che però deriva da opinoni molto meno modeste) dunque, lo "spirito di una sonata" (e di ogni composizione) consiste, detto brutalmente, nella dialettica tra schema formale e il vasto e fiorito mondo delle intuizioni. Niente forma, niente dialettica. Niente dialettica, niente spirito. Niente spirito, nessun senso.

 

Proprio ieri ascoltavo Schiff che parlava della prima Sonata dell'op. 10 di Beethoven. Se la prendeva con chi non eseguiva il ritornello alla fine dell'esposizione nel primo movimento (altro che tagliuzzare e riassemblare, un solo ritornello non eseguito!), considerato più che in altri casi necessario all'equilibrio formale del pezzo. E invitava chi non fosse d'accordo a scrivere la sua sonata senza mutilare il genio di Beethoven.

 

Quindi, alla fine della fiera, la domanda è veramente: perché sì?

 

 

 

 

 

[Ho modificato la penultima frase perché era in una lingua che ben poco aveva a che fare con l'Italiano.]

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Ospite Pierluigi Potalivo

Eppur si muove! Grazie Bernardo, sapevo che lei sarebbe sortito dall'eremo. E allora apriamo questa fiera!

 

Che la sostanza della sua disquisizione - che certo ha le sue motivazioni e i suoi pregi - fosse desumibile (e all'istante!) da chi abbia sostenuto giusto quel paio di esametti, denota tutta la sua inguaribile fede nell'umanità. E però anche una certa voglia, un po' aprioristica, di sminuire un lavoro cui non si riconosce nemmeno l'onestà intellettuale... ma che ci vuole fare, siamo fatti così. Se non si passa attraverso un po' di lotta non siamo contenti. :)

 

In ogni caso, finalmente! Il primo commento che non sia una frettolosa spernacchiata deve essere accolto, al di là di tutto. E lei, Bernardo, è un vero alfiere. Non avevo dubbi che quei mini-commenti fossero i primi lapilli di un'eruzione. Che lei si lanci nella valanga le fa onore (lo dico senza un filo di malizia); che poi questo prorompere venga passato coram populo come la concessione (per fare una buona volta giustizia della mia opera) come frutto di un sabato un po' tedioso, dove magari manchi di meglio da fare, ci sta, egregio Gui, è la dinamica dello scontro dialettico, no?

 

Ora, però, col suo permesso, usciamo dai piccoli pungiglioni (l'esame, il non esame, le forme di cacio, la mancanza di devozione, gli afrori vaccini, il fare un prodotto buono solo per infinocchiare gli allocchi etc.). Dopo aver mostrato gli attributi, ora, se è d'accordo, riponiamoli in nome di uno scambio che non sia autistico ma dove alla fine si possa dire di essere, almeno in piccola parte, diversi. Ha appena cominciato lei con la sua disamina, anche se ancora nel segno della piccola punizione, del far tornare un piccolo arrogante nei ranghi. Ma va bene, dai, si era ancora un po' nell'elemento-pernacchia. Proseguo io adesso, nel segno del puro e affabile conversare, il più possibile nella ricerca della trasparenza e della concordia. Più di tutto insomma, come sicuramente anche lei, amo la condizione in cui posso parlare di musica fruttuosamente. Lei non mi conosce, e ignora quanto non ci sia nulla di più lontano dalla mia volontà che lo scontro, lo scambio di sarcasmi, le polemiche. Al contrario, Bernardo, mi trovo sempre meglio a parlare senza veli, a carte scoperte, anzi col cuore in mano, il che forse la stupirà. Ma rifletta, davvero sinceramente, su come lei reagirebbe, dopo essersi rotto la schiena per comporre un'opera, studiarla, inciderla e stamparla a sue spese (non uno studietto ma un intero disco di musica classica), nel leggere come feedback mezze righe sarcastiche, o quanto meno un po' ambigue, con sotto un video di un altro compositore che rielabora, forse a significare “ti metto a posto con un solo link”... allora lei è davvero un fustigatore! :) Io ho solamente postato il risultato del mio lavoro e delle mie idee, e ciascuno ha diritto alle proprie reazioni, compreso ignorarlo. Ma essere guardati un po' dall'alto in basso, Bernardo, non piacerebbe a nessuno; inoltre la musica di tutto il disco è scritta bene, come sa benissimo (perché certamente questa sua lunga e interessante analisi impone che lei abbia ascoltato con attenzione), e non merita quella sufficienza.

 

Allora, tutti abbiamo studiato, e molto; siamo passati attraverso quei tomi di indicibile noia (Ciriaco, Pedron, De Ninno, Surian, e poi giù con le varie 'Fenomenologie della prassi interpretativa' etc); tomi che anche lei si sarà sorbito, sguerciandosi gli occhi, colmo di aspettative verso i doni dell'Ontologia. I quali, nel suo caso come nel mio, non sono arrivati. Intendo, non scaturiti dalle quelle carte dotte, dai plagiat, licet eccetera - che mi hanno fatto scappare a gambe levate dalla facoltà di Italianistica, dove credevo di trovare un'Arcadia di ispirati per ritrovarmi a parlare solo di glosse e note a piè di pagina. Quei doni, quelle maturazioni, emergono piuttosto dalle profondità delle nostre esperienze, dei nostri incontri, no? Soprattuto quando la vita ci chiama in causa con energia: anche lei avrà perso un aereo col suo bagaglio sopra, o si è trovato a dover improvvisare di fronte a un imprevisto, o, che so, si è trovato di fronte due che volevano derubarla; le cose della vita...stai per fare un'esibizione e ti comunicano un disgrazia, o, in totale disperazione, arriva uno sconosciuto che ti dice quelle parole che ti salvano il C**o, e così via. Io credo che sono soprattutto queste cose che entrano nella musica che si fa o si pensa. Con buona pace del professor Heidegger. E così entriamo nella questione.

 

E' mia convinzione che i danni della storiografia, della saggistica che ci sommerge (come saprà ho scritto un saggio sui preludi di Giuliani, ma esso è una specie di pamphlet, mi guardo bene da certa serietà) e di un approccio sempre più ostinatamente scientifico siano penetrati nel nostro pensiero, fiaccandolo, direbbe Nietzsche, con una serie di forzature sempre più incalzanti. Artisti come Goethe cominciarono a intravvederne i pericoli proprio all'epoca di Giuliani, i quali vengono denunciati chiaramente da cento anni. Nella musica, secondo me, oggi essi sono: l'idolatria per le intenzioni, come vengono chiamate, dell'autore; un'identica, esagerata sottomissione all'analisi e la sopravvalutazione di ciò che può donare in termini artistici (poco, bisogna ci si faccia di ciò una ragione); pertanto un culto delle glorie del passato o quello della libertà sfrenata della sperimentazione, dovuti entrambi a un'eccessiva intellettualizzazione dell'arte. Le 'filosofie della musica moderna', le 'palingenesi del gesto artistico' insieme alle già dette 'fenomenologie' hanno un peso enorme nell'aver determinato lo stato attuale della musica. Che magari non è poi così penoso come talvolta si sente dire, anche se la penetrazione sempre maggiore del mercato ha avuto esiti pessimi. Non è la mia, infatti, né una negazione del contemporaneo (parola piuttosto aberrante...), né il classico lamento del tipo 'fino a Stravinskj la musica si poteva ascoltare ma quella di Sciarrino ti torce le budella, mentre la buona vecchia musica... etc'. No davvero. Buono e cattivo, un po' come in tutto. Lux Aeterna di Ligeti, o i suoi Preludi per piano sono musiche davvero belle. Certo, dopo un'ora di clusters ti si torce la coratella, ma poi occorre capire perché si è giunti, e sempre più spesso, ai nocchini (colpetti di nocca) sulla cassa della chitarra, alle corde sfregate col cucchiaino, ai rumoretti dementi spacciati per Ars Nova. La mia risposta: questo è da attribuire a un lungo e ostinato movimento di pensiero che ci ha lentamente rinchiusi nelle dottrine, le quali non hanno a cuore le sorti delle arti, cui si attaccano come parassiti, ma solo il soddisfacimento delle proprie istanze dialettiche. La filologia è, io penso, tra questi movimenti. Molto pensiero, poco cuore.

 

Lei ha frainteso la mia risposta a Nicola, Bernardo, immaginandomi prostrato di fronte alle gesta del glorioso Giuliani (che grande lo è stato, glielo assicuro, anche senza scrivere il Tristano). Quel sentire apparteneva agli uomini di fine '700, e si rivolgeva al mondo greco classico perduto. Io, da esecutore che preparava programmi, mi sono semplicemente chiesto come si potesse, dopo 80 anni di Asturias, pensare di suonarne o peggio ancora inciderne una milionesima versione. La risposta è stata una risposta del sentire: suona il tuo pezzo preferito, in un certo senso 'unisciti' ad esso fino al punto di diventarlo, così che (se sembra arrogante pazienza, solo io so della bontà o mendacità delle mie intenzioni) esso possa ricrearsi, continuare a crescere, dunque anche un po' modificarsi, nelle tue mani, attraverso di te. Il risultato sarà qualcosa che appartiene a te come alla musica che hai scelto: l'avrai appunto, e in un senso davvero profondo, interpretata; cioè essa è passata attraverso di te. Può farsi benissimo per altri 200 anni, ed egregiamente, con Asturias così come Albeniz l'ha pensata; semplicemente, questo è stato il mio sentire e il mio modo di interagire con Giuliani. Che comunque è quello delle rielaborazioni di ogni epoca, che sono innumerevoli.

 

Mi perdoni, ma ridurre questa esperienza all'esempio del quadro tagliato in pezzi e riassemblato a collage non è proprio pertinente. Deve sapere che, tecnicamente, si definisce rielaborazione 'l'immissione di elementi originali in un'opera altrui'. So che già questa definizione le fa l'effetto del fumo negli occhi, ma una rielaborazione è questo nella tecnica. Nello spirito è ben altro. Certo, non basta prendere 6 battute di Giuliani, poi aggungervi 6 delle nostre e ricominciare con Mauro. Ma chi facesse così sarebbe ridicolo. E' chiaro che la commistione tra materiale proprio e quello dell'originale deve trovare la sua via per generare una commistione, un incontro che abbia un senso. Ma proprio qui, vedremo tra un attimo, lei individua quella che crede la 'tara' della mia opera: lo stravolgimento del senso (per l'appunto dell''intenzione' di cui parlavo prima).

 

Ma prima una domanda. Come può, in coscienza, portare come riassunto della mia modalità di agire sull'op.15 di Giuliani (al di là del senso, cui arriveremo) l'esempio di un quadro spezzettato e rimontato con gli stessi frammenti? Lei senz'altro conosce bene il rondò op.15 originale. Ebbene, mi costringe a un riepilogo che può essere tedioso, ma a questo punto doveroso, del mio lavoro su di esso (attraverso di esso): l'incipit è quello di Giuliani con piccole varianti (direbbe Nicola, con una espressione simpatica, è 'pappa' di Mauro), mentre il primo couplet è totalmente nuovo; si ripete il tema, il secondo couplet è leggermente variato con fioriture ma sostanzialmente pappa-Mauro, mentre il tema in fa maggiore che segue è totalmente originale; esso porta alla coda, che è quella di Mauro. Si passa allo sviluppo (essendo, la mia versione, un rondò-sonata) il quale è totalmente originale e porta alla cadenza, idem nuova, con cui si torna al tema. Dopo i ritornelli arriva la lunga coda, anch'essa totalmente nuova. Mi rincresce, Bernardo, ma lei non può affermare quelle cose, dal momento che il mio materiale originale – my pappa – supera, in quantità, quello di Giuliani. E lo stesso dicasi, tranne che per lo scherzo, per gli altri movimenti. Ma è una disquisizione sterile questa: non c'è nessuna volontà di misurarmi con l'originale, di 'sfidarlo' per farne una versione migliore e portare l'ascoltatore alla domanda 'chi è meglio dei due?'... L'op.15 di Giuliani è un lavoro che ho suonato e amato molto. La sua domanda, dunque, su chi possa essere il genio tra Bernardo che spezzetta il Guernica e lo serve con cannuccia (per dirla di nuovo con Nicola) e Picasso è ovviamente più che retorica, ma manca il giusto bersaglio, non avendo io fatto quel genere di minestra. Ma lei poi aggiunge – e siamo al 'senso' - che, quand'anche si trovi un nuovo significato dalla mescolanza, si priverebbe l'opera del senso complessivo che l'ordine preciso delle sue componenti originali le dava. Ora finalmente si capisce il rimprovero sulla forma del suo post precedente, che mancherebbe nella rielaborazione. Lei dice questo perché vede nell'immobilità del significato di un'opera un valore assoluto: ma ignora, o si rifiuta di concepire, che lo stesso significato può essere veicolato anche con una forma diversa. Bernardo, questo è ciò che una rielaborazione dovrebbe proporsi di fare. Cosa crede che sia una 'fantasia su frammenti di x o y'? Quello è il suo spirito, e stiamo per avvicinarci al centro del discorso.

 

Proprio la parola 'spirito', infatti, ci porta pian piano al cuore di tutta la faccenda, che risiede nella questione spirito-materia/forma. Quando io dicevo 'non c'è forma nello spirito', per fugare ogni possibile dubbio, non mi riferivo allo 'spirito del tempo', allo 'spirito con cui Giuliani componeva'. Mi riferisco allo Spirito (maiuscolo), che nelle cose della musica, come in tutte le espressioni umane, non ha – per definizione – materia. Essa è contenuta in potenza nello Spirito. In quel 'mondo infinito di intuizioni' di cui parlo è contenuta tutta la musica, ma non ha ancora, appunto, forma. Quando lei ha un'idea musicale, come si manifesta? da dove viene? Si manifesta nel suo pensiero (nella sua anima), da regioni ignote, evidentemente – altrimenti tutti giù a scrivere 'Tristani', 'none sinfonie' etc... Essa ha forma? Beh, ancora no. Lei, poi, la traduce in suono: ora il pensiero (che è manifestazione dello Spirito) si è fatto forma. Ma fino a qui, tutto risaputo. Mi segua bene ora, perché arriviamo davvero al punto.

 

La filologia stabilisce – impone – una riverenza per le cosiddette 'intenzioni', verso cui una fedeltà assoluta (sempre presunta con un bel a priori e mai provata, soprattutto quella dei defunti...) sembra essere il goal, come si dice in Inghilterra, di ogni esecutore. La ricerca di quelle intenzioni si basa sui lasciti musicali, sulla materia (anche se sonora), sulla forma. Ma essa, per forza di cose (è la condizione umana) ci giunge, da pensiero vivo che era per quell'attimo nella mente del creatore, ormai immobile, coagulata. In tutta la sua meraviglia s'intende, nel caso dei grandi compositori. Ora, si impone a generazioni di poveri studenti di cercare lì, nella coagulazione, il sangue vivo. Certamente, esso reca l'impronta della vita che fu! e che può – grazie al miracolo dei suoni – tornare a pulsare. Ma solo in quella forma. Ma qual'è la forma di Bernardo Gui, quella di ieri, quella di oggi...? Il bimbo o il Bernardo uomo o il vecchio che sarà? Poiché oggi, in questo secondo, lei ha nella forma una variazione microscopica, quel millimetro di ruga in più, di ieri: eppure lei è e sarà sempre Bernardo come anima. Quale Bernardo è vero? Quale Beethoven è Beethoven (primo, secondo, terzo periodo)? Quale Schönberg è quello buono? in uno c'è Verklärte Nacht, in un'altro c'è Pierrot Lunaire. E soprattutto, quanti Verklärte Nacht sono esistiti in Schönberg, la prima la seconda stesura, le milioni di vie che poteva prendere il tema iniziale o quella che per forza di cose un creatore deve scegliere per poter andare avanti? Verklärte Nacht è uno nella stesura, ma la sua anima, il suo cuore pulsante, quella cosa che si è presentata ad Arnold come urgenza di essere espressa, in una parola il suo senso, è infinito e viene dall'infinito, come infinite sono le forme che avrebbe potuto avere – è questo che intendo per 'Spirito di una sonata'. Naturalmente quel qualcosa filtra attraverso Arnold, reca l'impronta della sua personalità e del suo genio. Più grande è il cuore di chi riceve quelle 'visite', più la differenza tra Antonello Venditti e Federico Mompou sarà evidente. Ecco come si può comprendere il sottile inganno che vede il 'senso di un'opera' risiedere nella sua forma. Certo, se si parte da questo assioma, allora cambiare la forma è stravolgerne il senso. Ma il senso di Bernardo è Bernardo-spirito, che rimane tale nonostante la pelle levigata del fanciullo o le rughe, o un taglio di capelli diverso, un soprabito giallo o marrone, insomma la sua apparenza sensibile.

 

Dire che è gratuito cercare quella vibrazione, quel particolare mondo emotivo (che ogni bel pezzo di musica reca con sé), per farsene attraversare e vedere come si presenta l'incontro tra te e quel mondo, significa privarsi di una gran bella esperienza (glielo posso giurare). E in nome di cosa ci si dovrebbe astenere da un'esperienza del genere? In nome di un preteso rispetto. In nome della forma di una creazione, che deve (e perché, se in essa ve ne sono infinite?) rimanere tale ad perpetuam rei memoriam; dimentichi del fatto che essa non vive solo quando la perpetuiamo sempre identica, come il 'Padre Nostro': essa è viva anche quando tace. Se non lo fosse stata, non avrebbe vissuto nell'anima di colui che l'ha portata a terra dal mondo delle intuizioni, in cui tutti muoviamo. Non è viva nella carta, essa muore nella carta. Per questo gli analisti della carta si perdono, secondo me, nel dito e non vedono la luna. Perché per capire il fiume stanno fermi alla foce, invece di cercare la sorgente. Credo proprio che se il rispetto è adoperato per censurare (a patto che, non si ripeterà mai abbastanza, si sia in buona fede, ecco perché insistevo sulla devozione), nulla sarà possibile che non sia approvato da una delle tante caste, in questo caso della cultura, che, ci faccia caso Bernardo, decidono sempre ciò che deve piacerti e quello che non deve. E ti ritrovi a pensarlo, nemmeno sai perché. E se, nel suo caso, questo pensiero è proprio 'pappa sua' e così sempre sarà, e vabbé che siamo nemici per così poco?... Però, secondo me, la dimostrazione che viviamo di pregiudizi scelti al posto nostro è che nel mio album ci sono altri pezzi miei originali, su cui lei, Bernardo, mi concederebbe ogni diritto di vita e di morte, i quali sono stati postati tanto quanto la rielaborazione. Ma è questa che smuove certe avversità dal subconscio.

 

Spero davvero di aver contribuito a chiarire a lei e a chi segue questa discussione, il perché di questo lavoro.

 

A presto! :)

 

Pierluigi

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Ospite Bernardo Gui

Lei ha molti pregi, egregio Potalivo, ma non quello della sintesi. Mi sa che dovrà attendere un altro sabato per una risposta esauriente ad un messaggio così lungo su un argomento così sugoso.

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Ospite Pierluigi Potalivo

Attendo volentieri qualche giorno, Bernardo! Mi rendo conto che il mio post è assai lungo, ma l'argomento è a sua volta importante ed è stato nei miei pensieri e sentimenti per anni.

A presto allora,

Pierluigi :)

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