Se ho ben capito, il problema sollevato non è tanto sul valore artistico dei chitarristi, bensì sulla stima incondizionata di cui godono le letterature degli strumenti "seri", cioè indipendentemente da chi li suona.
Contrariamente a quanto si pensa, anche la musica vive di marchi, nel senso proprio del marketing. Con tutti gli inconvenienti che comporta.
Il pianoforte nel corso dell'ottocento è diventato la "marca" di strumento musicale più nota e diffusa tra musicisti e ascoltatori. Come è noto, ogni marchio è associato a un posizionamento del prodotto: un marchio (se è veramente tale) evoca immediatamente nella mente del consumatore potenziale il valore che egli dà a quel prodotto, il suo uso e lo status che rappresenta. Nella musica, il pianoforte e il violino sono marchi di qualità assoluta per il grande pubblico. L'immagine che evoca il pianoforte è una sala da concerto, con un pianista in frac che si concentra su difficilissimi passaggi di una partitura di Liszt o di Chopin. Poi lo hanno usato Beethoven (altro marchio), Mozart, Brahms, e anche i grandi compositori del novecento.
La chitarra invece richiama i cantautori, i Beatles e il rock. Anche le osterie, se si vuole essere sarcastici nel sottolineare la differenza di marca. Insomma, nell'immaginario dell'uomo medio, la chitarra è come un capo acquistato al mercato rionale contro un abito firmato, ovvero un'utilitaria contro un'elegante Rolls Royce. Creare un marchio è difficilissimo, ancora più difficile è modificarne la percezione (in positivo, si intende), per cui i chitarristi devono imparare a convivere con l'immagine che il marketing musicale ha creato per loro, e possibilmente a comunicare con competenza e cortesia che il marchio che caratterizza il loro strumento è ingeneroso.
In ogni caso, i musicisti intelligenti conoscono bene la chitarra anche se non la suonano. Mi rendo conto che ciò non attenua la frustrazione di chi, quando dichiara di saper suonare la chitarra, riceve l'invito a far ascoltare una canzone di Battisti o di Guccini. Si può comunque rispondere con un sorriso che non l'abbiamo in repertorio, e magari eseguire uno studio di Sor.