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lindina

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  1. Vedi Fabbri, non ti devi risentire per le parole:difendi tranquillamente le tue capacità musicali. Io non vengo di certo a tuoi concerti e quindi respingo l'invito, non mi piace il tuo suono, la tua tecnica, il tuo "chitarrismo" insomma e da quanto ho potuto vedere sui video che tu (e non io ) hai inserito in rete ho abbastanza elementi per decidere quanto espresso. Tuttavia in me trovi un amico perchè difendi strenuamente la tua concezione della chitarra e lo fai educatamente; per questo mi sono permesso di scrivere il mio giudizio anche se a te contrario. Io - come te - ho in tasca la sola mia verità e non è detto che sia più giusta della tua. regards giorgio tortora
  2. Forse Fabbri comincia ad esagerare. Avevo in un mio precedente intervento provato ad "osservare" il fenomeno con il quale nell'arte ogni "dogma" può venir smentito o trasformato da nuovi elementi (sociali o culturali essi che siano) che viaggiano oggi a pari passo con le velocità di ogni cosa che tutti conosciamo. Pur essendo un assertore del "prendere atto ed accettare" le nuove inevitabili indicazioni ritengo che l'arte sia un valore assoluto e che - quando non valutabile o riconoscibile oggettivamente - sia patrimonio di menti illuminate. Elitario ovviamente e quindi per pochi. Gli altri (me compreso) possono proporre anch'essi nuovi modelli, difendere le proprie nuove convinzioni e magari "scaricare" precedenti e consolidate convinzioni frutto di insegnamenti pur eleganti e nobili. Con queste coordinate gli slanci in avanti di Fabbri si scontrano con il personaggio che lui sta cercando di costruire (leggi: un diverso, nuovo ma sempre riferimento culturale) perchè non danno l'idea di difendere la nuova strada, ma se stesso. Egli - da quanto fa vedere dai video su Youtube - non è un grande chitarrisa (immagino lo sappia); egli tuttavia cita a propria garanzia le dediche di illustri compositori, che quindi - per parallelismi - garantiscono per li e - sempre per spericolati parallelismi - lo legittimano a compiere tutte le aperture che crede,quella alleviana compresa. Quest'ultimo "meccanismo", ancora quello della "consacrazione da dedica" (lo chiamo così perchè non credo sia affine alla dedica intesa in senso classico, ma riguardante situazione private, eleganti inviti, ecc. ovviamente posso essere smentito) non vale per me di certo come sigillo di un percorso comune di aggregazione o pensiero artistico da parte dei vari Brouwer Domeniconi o il giovane Iannarelli a formare un gruppo ideologizzato - e quindi come nel passato), che riconosce la Fabri una qualsivoglia grandezza (che poi lui brandisce e utilizza) ma significa - e lo ripeto - un lucido, ovviamente legittimo percorso di Fabbri stesso verso una possibile notorietà a prescindere da ogni cifra stilistica. Egli stesso ringrazia ed afferma "mi fate un favore...." a chi lo critica, ed è questa la miglior prova del disegno. Ma allora qual'è il punto della discussione: è legittimo questo agire? SI. Ma allo stesso tempo è elegante ? molto di meno, quindi starà al solo Fabbri smentirci con successi inconfutabili. Con Allevi lui va a nozze; la situazione mi ricorda quel mondo in cui alcuni jazzisti che - essendo tanti - creano una comunità che - forte come detto dei numeri - protesta e vince il teorico "vecchio" o "obsoleto" mondo di nemici accademici che - paradossalmente - neppure sanno di essere nè mondo, nè nemici. E l'acqua intanto passa, fomenta, produce, e radica! Scrivi quindi Fabbri, convincimi, stupiscimi perchè così avrai fatto centro, ma non farmi cadere nella melassa di prevedibili risposte o del muro contro muro, che ti vede molto capace ecc. ecc. giorgio tortora
  3. Per quel poco che ne so, Roberto Fabbri sta seguendo con la sua chitarra un percorso decisamente diverso da quello che ha educato la maggior parte dei chitarristi. Non sta di certo a me dire a che punto è la sua tecnica, il suo tocco ecc, ma colgo la sua volontà di imporre nuovi modelli culturali chitarristici per sbloccare - la chitarra- da quel quella spirale inversa che presto, inevitabilmente la inghiottirà. Con ciò intendo dire che per quanto moderni o giovani che siano i chitarristi di oggi, essi si scontrano molte volte con personali esercizi di stile su temi (scusate) aridi; in Italia - soprattutto - ci sono totem del sapere che con la forza del loro microcosmo creano dogmi dello stile e del sapere chitarristico senza considerare i segnali che il mondo intero invia a tutti ed in tutte le direzioni. La chitarra ne è più toccata rispetto ad altri strumenti perchè è la più debole tra gli stessi; mai è stata digerita a pieno da Istituzioni Concertistiche di prestigio e lei stessa si è abbassata il livello con la complicità di una moltitudine di chitarristucoli che tutt'oggi si autoeleggono a docenti di masterclass, ecc. ecc. Tutti sanno, tutti hanno la verità (io compreso) ma nessuno ancora ha intrapreso (o compreso) qual'è la nuova direzione (musica - linguaggio - filosofia- antropologia- contemporaneità). Personalmente a me non piace Fabbri, e nemmeno la musica che suona. Egli tuttavia propone la propria visione della chitarra, di certo più interessante rispetto a quella di uno dei migliaia di chitarristi che tengono un qualsiviglia concerto in una qualsivoglia Chiesa o Auditorium di provincia con Sor, Giuliani o magari il bran a loro dedicato. A Fabbri gli si può contestare tutto; il suono, la tecnica, le imprecisioni, il repertorio, e questo probabilmente lui lo sa, ma ma il coraggio no! Egli difende se stesso rilanciano, creando nuovi modelli di e creando un passaparola internet che gli creerà detrattori ma anche molti estimatori.Oggi siamo nel 2008 e meccanismi stilistici o di ortodossia musicale accettati dai chitarristi fino alla mia generazione (ho 50 anni) NON ESISTONO PIU. Un mio amico d'infanzia oggi espone i propri quadri al MOMA di New York ma di certo non è Kandinsky. Giorgio Tortora
  4. lindina

    Liutaio Michele greci

    Molti anni fa ho fatto più di 500 Kilometri per recarmi a Pesaro dove - nell' ambito di una fiera di strumenti musicali - veniva presentata un chitarra innovativa del liutaio Greci. Il chitarrista (Bruno Battisti D'Amario) svolse un concerto,ed il TG 2 annunciò persino al telegiornale questa grande innovazione italiana (senza ovviamente svelarne i segreti della costruzione), parlando di "volume raddoppiato paragonabile a quello del pianoforte"ecc. A me parve invece che il volume fosse assolutamente normale, e mai più vidi questo strumento (dalla forma questa sì particolare) tra le mani dei chitarristi. Se potrà essere utile alla discussone credo che in tema di "suono, volume, equilibrio" (ovvero delle peculiarità della chitarra) uno dei pionieri della chitarra Fausto Ciurlo, per l'intera vita indagò sugli aspetti fisici del suono e della sua rifrazione con conclusioni che la storica casa EKO cercò di trasformare in realtà allestendo a Recanati un futuristico laboratorio per la costruzione di innovativi strumenti musicali (chitarre) che - in piccola parte - furono commercializzate con il nome di Chitarre Giuliani". Già negli anni '40, '50 tuttavia i liutai cercarono ognuno le migliori soluzioni per lo strumento che - con i limiti dei sistemi di amplificazione di allora - di certo rendeva poco soprattuto in termini di volume sonoro. Una curiosità riguarda il celebre Hauser che percorse un'altra strada, ovvero partendo dal concetto di "sala" che avrebbe poi ospitato la chitarra, produsse alcuni strumenti dotandoli di un cono in rame/alluminio/duralluminio/ che amplificavano la risonanza degli stessi con risultati suggestivi. Con ciò si ingannava la pretesa della "quantità" appagando comunque l'ascolto.
  5. Per quello che può aiutare, della Suite esiste una ottima incisione di Baldazar Benitez.
  6. Grazie a voi! Giorgio Tortora
  7. Grandissimo duo!
  8. Come annunciato qualche giorno fa, apro un post per dare il giusto peso ad uno strano concerto per chitarra ed orchestra composto nell'800 da tale Giovanni Bonfante detto Panizza. Si tratta - secondo il mio parere - di una pagina di grande valore che, anzi, potrebbe aprire scenari inediti su molte convinzioni chitarristiche di oggi. Per amor di verità sottolineo che non si tratta di una riscoperta, in quanto - teoricamente - già edita (pur con molte modifiche) ma che in realtà credo pochissimi conoscano. Fu il compianto Bruno Tonazzi che mi diede la "dritta" nei lontani anni '80, ci lavorai moltissimo, e varie volte provai a pubblicare senza successo il concerto. In un recente trasloco ho ritrovato questa pagina ed ora la sottopongo ben volentieri al villaggio globale dei chitarristi che - grazie a questo forum - sapranno fare le giuste valutazioni sul lavoro di Panizza, con l'auspicio che il concerto possa trovare presto numerosi esecutori ed estimatori. Di seguito il lavoro di prefazione da me svolto all'epoca al quale ben volentieri farò seguire la partitura e parti. Giorgio Tortora Giovanni Bonfante Panizza Concerto per Chitarra e Orchestra revisione di Giorgio Tortora Prefazione La letteratura chitarristica dell‘800, con particolare riferimento ai concerti per chitarra e orchestra, è legata in maniera imprescindibile ai compositori * di nascita e formazione culturale italiana. Tutti attribuiamo infatti alle opere di Giuliani, Molino e Carulli, una fondamentale valenza storica nei confronti dello strumento chitarra, ma poche volte ci siamo chiesti il perché di questa insolita, e per nostra fortuna, generosa produzione. Per meglio comprendere il problema, anche in funzione di una successiva interpretazione del concerto qui presentato, sarà utile dividere l’analisi su tre linee principali ovvero: - l’epoca e relative vicende storiche che la attraversano - l’area geografica in cui si svolge - lo strumento musicale che ne è il protagonista Partendo dalla prima di queste tre linee (che in seguito vedremo inevitabilmente intrecciarsi tra loro), e precisando che la, o le vicende in questione si svolgono in un lasso di tempo che va dalla fine del ‘700 per arrivare allo prima metà del secolo successivo (si potrebbe tuttavia restringere ulteriormente il periodo di almeno dieci anni per ciascun dato), sarà molto importante soffermarsi sulla cronica instabilità socio-politica che l’allora costituenda Italia viveva. Come noto, la situazione, alle prese con problemi più “terreni” che di nobile causa, di certo non favoriva le espressioni culturali intese come valore, e pertanto quegli artisti (soprattutto musicisti) che intendevano vivere del proprio talento, per forza di cose dovevano volgere il loro sguardo altrove, in particolare in direzione di Vienna . Proprio in questa città, indiscussa capitale culturale europea, erano infatti “gli italiani” gli artisti più ricercati e contesi dalla nobiltà e dalla ricca borghesia, e quindi quel virtuosismo romantico di cui erano maestri, li rendeva discreti protagonisti di quella vita: violinisti, cantanti, ma anche chitarristi, rappresentavano così per la immutabile società asburgica un inimitabile ed ammirato esempio di stile. A proposito, non a caso la maggior parte della produzione di questi musicisti nasceva proprio a Vienna, perché proprio lì non sarebbero mancate le occasioni per diffonderla; una produzione tanto imponente quanto variegata, in cui la richiesta di “Leichte Stucke”, di Temi Variati o di Concerti, era praticamente continua. Si inserisce a questo punto il secondo elemento, ovvero la città di Trieste, crocevia di culture, di razze, ma soprattutto grande emporio dell’Impero oltre a suo unico sbocco sul mare. *leggi: chitarristi-compositori Ultimo baluardo della cultura italiana, e allo stesso tempo ultima frontiera imperiale, Trieste costituiva un passaggio obbligato anche per i protagonisti di questa singolare migrazione, ma anche per soggiorni prolungati. Paganini vi dimorò a lungo, ambiguo ospite a Villa Murat residenza di Elisa Baciocchi (sorella di Napoleone Bonaparte), e lo stesso Mauro Giuliani, i cui genitori a Trieste risiedevano stabilmente, vi si soffermò a più riprese; le varie “accademie” sostenute in città presso il “Teatro Nuovo” da altri virtuosi ancora, risultavano inoltre quasi dei pretesti per restare vicini - pur in territorio straniero - alla propria identità (radice) di appartenenza per lingua** e in un certo senso anche per tradizioni. L’ultimo elemento, il terzo - ovvero la situazione dei chitarristi di allora - è forse il più impietoso, in quanto da più fonti ci giunge notizia di una categoria di musicisti troppe volte (e più di altri “colleghi”) alla disperata ricerca di una stabilità economica, piuttosto che della luce ispiratrice, e così anche uno strano personaggio di nome Antonio Gracco che più avanti conosceremo come cooprotagonista della nostra storia, poteva risultare quanto mai utile a quei “maestri” ospitati nei confronti se non della propria esistenza, almeno di un tranquillo periodo di vita. La storia del concerto per chitarra e orchestra di Giovanni Panizza, inizia proprio da lui, da Antonio Gracco maestro di pianoforte, chitarra e canto, di cui nonostante molteplici ricerche da parte di vari studiosi di storia locale, ben poco si conosce. Soltanto da una testimonianza di Eugenio Pavani, assessore nella Dieta di Trieste durante la metà dell’800, si apprende che nacque in quella città nel 1795 o 1796, dove svolse un’intensa attività musicale prevalentemente didattica, ben presto trasferita nella vicina Gorizia in cui divenne acclamato protagonista delle maggiori iniziative musicali. Gracco, lucido e intelligente impresario di se stesso e soprattutto lungi da esporsi in attività musicali primarie (accademie o concerti), come molti altri suoi “colleghi” rivolgeva principalmente ai rampolli delle famiglie più in vista i propri interessati servigi di maestro. Doveva inoltre essere particolarmente attento a tutto ciò che accadeva nel mondo della musica o meglio, nel microcosmo della chitarra se, come risulta dal suo “CATALOGO DELLA MUSICA\ APPARTENENTE A ME ANTONIO GRACCO\ANNO 1832\MAESTRO DI MUSICA IN GORIZIA”, **a Trieste, la lingua principale era l’italiano e non il tedesco. continuava ad annotare e catalogare minuziosamente tutte le composizioni e riduzioni dei musicisti al momento più in voga, e di cui considerata la tempestività temporale degli inserimenti, in qualche caso doveva conoscere in prima persona. La sua “arma” professionale del resto era proprio questa: la conoscenza di fatti, di artisti e delle loro nuove opere, per poi vantare in provincia quella credibilità necessaria a sostenere il proprio “nome”. Tornando per un momento alle vicende dei musicisti italiani a Vienna, vi è un ulteriore parallelismo che lega quell’epopea con l‘Italia, o meglio con alcuni italiani lì effettivamente residenti, come i potenti editori Artaria e Cappi. Proprio a Trieste infatti, risulta traccia dell’introvabile “quarto” concerto di Mauro Giuliani, e precisamente in un foglio in cui il sig. Domenico Vicentini, rappresentante per tutte le venezie dei citati editori italoaustriaci, oltre che della Casa Ricordi , reclamizzava: “4587 pezzi di musica” dei ”venti milla” editi, e fra cui risultano 5 imprecisati concerti per chitarra e orchestra. Si sa altresì, che nei primi anni dell ‘800, a Trieste, in piazza della Borsa al n. 601 “si copia e vende musica vocale ed instrumentale”, e che proprio lì Antonio Gracco, quando non impegnato a dare lezioni di musica, vi trovava lavoro come copista. Da una parte pertanto un incredibile “pastiche” di elementi, per la maggior parte importanti per la chitarra, e dall’altra un personaggio – sempre vicino alla chitarra - che con metodo, pazienza e puntigliosità costruiva il proprio destino. Tornando al Concerto per Chitarra e Orchestra di Giovanni Bonfante Panizza, due ora sono gli elementi certi: un’annotazione sulla prima pagina della partitura che reca scritto: “ORIGINALE\CONCERTO PERCHITTARRA\SIG.PANIZZA\LI’ 24 SETTEMBRE 1824” , e il secondo la sua registrazione nella seconda pagina del citato “ Catalogo della Musica” di Gracco , a presumerne la proprietà. Gracco Si chiederà a questo punto il lettore, chi mai fosse Giovanni Bonfante Panizza, solito presentarsi come “Accademico Filarmonico di Bologna” , protagonista delle attività musicali (soprattutto religiose) della cittadina adriatica, e in particolare perché mai scrisse un concerto per chitarra e orchestra dalle così insolite dimensioni: ben 11 fiati oltre agli archi! Il compianto Bruno Tonazzi, a cui si deve, congiuntamente al musicologo Pier Paolo Sancin la riscoperta del “Fondo Musicale Antonio Gracco” presso la Biblioteca civica “J.Hortis” di Trieste, (e nel quale è compreso anche il manoscritto del concerto di Panizza) lo indica come compositore, organista e direttore d’orchestra di origine veneziana, giunto a Trieste intorno al 1822. Scrisse e rappresentò con qualche successo alcune opere: “I Due Figaro” nel 1824, e dieci anni più tardi “Gianni di Calais”, ma oltre a ciò, se si eccettua per una piccola produzione cameristica ed una farsa: “Sono eglino maritati?”; null’altro (oltre al concerto per chitarra) di lui ci è pervenuto. Una delle ipotesi per quanto riguarda il concerto per chitarra, potrebbe vedere Panizza comandato a comporlo forse da uno dei tanti chitarristi di passaggio o – come detto - all’epoca residenti in città: Mauro Giuliani e Luigi Rinaldo Legnani (oltre ai minori Matteo Bevilacqua, Pietro Bernardini Stramanon, Antonio Rovetta). Ma, se si esclude per ovvi motivi e con grande probabilità la commissione da parte di qualcuno dei citati chitarristi, perché mai avrebbe dovuto un “operista” , o meglio un organista come Panizza, cimentarsi nella composizione di un’opera per chitarra e orchestra così corposa, quando per accontentare un potenziale committente locale, sarebbe bastato un semplice ripieno in quartetto? Nascono pertanto alcuni dubbi: - Poteva un compositore non-chitarrista, comprendere e scrivere così efficacemente i rapporti dinamici fra lo strumento obbligato e l’orchestra? - Quale relazione stilistica lega infine i concerti per chitarra e orchestra oggi conosciuti, e quello di Panizza? - Fu veramente Panizza l’autore del concerto? Molte potrebbero essere le supposizioni: che non si tratti dell’introvabile “quarto” concerto di Mauro Giuliani è pressochè certo, in quanto da Giuliani stesso apprendiamo in una lettera del marzo 1828 indirizzata a Domenico Artaria , che il tempo iniziale del “suo” concerto era un Maestoso“…ed aggiungerò a questi il Maestoso del quarto Concerto per franchi 160….”, mentre nel nostro caso è un “Allegro Giusto” il tempo di apertura (fig.4), ma che il concerto si tratti un lavoro, magari parzialmente originale, di Gracco anziché di Panizza potrebbe avere senso. Antonio Gracco, della cui personalità abbiamo già detto, di certo possedeva le capacità artistiche e tecniche per comporlo (vedi le Variations & Polonais pour la Guitarre - , oltre ad alcune giustificazioni “umane” per non comparire in veste di autore. Come detto, la sua attività si svolgeva fra Trieste e Gorizia, città quest’ultima soprannominata la “Nizza austriaca” perché, a differenza della vicina Trieste, la ricca borghesia austriaca che vi soggiornava rappresentava, anche culturalmente, l’aspetto sociale dominante. Potevano inoltre essere molteplici le ragioni per attribuire l’opera ad altra persona, dalle più pratiche (come il voler ostentare conoscenze artistiche di livello) a quelle più meschine (fra tutte la regola del non rischiare mai nulla di proprio in termini di altrui giudizio). Siamo consci che il lettore potrà trovare questa tesi quantomai audace, ma se si considera che un altro lavoro per chitarra e orchestra, e precisamente la parte chitarristica del noto Concerto in La magg. di Ferdinando Carulli, viene con le stesse modalità attribuita da Gracco a tale Michele Diana oltre ad aggiunge, sicuramente di propria mano in partitura (quest’ultima correttamente attribuita a Carulli) due insolite e finora sconosciute parti di oboe si evince come, relazionandosi al periodo storico in questione, “pasticci” simili potevano capitare. Un ulteriore elemento di dubbio lo rivela l’insolita stesura della partituta, che presenta l’ordine degli strumenti in veste inconsueta; se è vero infatti che all’epoca era cosa quasi ordinaria la disposizione dello strumento obbligato in testa di partitura, è certamente inconsueto che un operista come Panizza, forte di un bagaglio culturale presumibilmente notevole, seguisse questa tendenza. Da una attenta analisi calligrafica, risulta poi che la parte staccata dello strumento obbligato, è stata redatta dal Gracco stesso, mentre per la partitura è chiaro l’intervento di un’altra mano. Tante e tali circostanze rendono dunque decisamente incerta l’attribuzione del concerto in quanto, e come precedentemente scritto, risulta poco chiaro, non tanto il rapporto di conoscenza tra Gracco e Panizza (comunque del tutto plausibile), ma quello artistico e professionale. Incomprensibile rimane inoltre il motivo che poteva spingere un musicista preparato, ma tutt’altro che affermato come Giovanni Panizza, a scrivere un concerto per chitarra e orchestra senza una seria prospettiva di esecuzione (e quindi di guadagno), e soprattutto perché affidarlo (o venderlo) ad un chitarrista non esecutore come Gracco, il quale al massimo avrebbe potuto “girarlo” ancora (in ogni caso la sola parte chitarristica) a qualche suo benestante alunno provetto. Che si tratti allora del “Concerto per Chitarra e Orchestra” di Giovanni Panizza, o meglio di Giovanni Bonfante detto Panizza, di Antonio Gracco o di altro compositore, non è più fondamentale, a meno che un giorno non risulti la prova inconfutabile per la sua attribuzione ad un nome di musicista tanto prestigioso da permettere ancora una volta la rilettura del repertorio storico chitarristico. Il concerto per chitarra e orchestra di Giovanni Panizza, è in ogni caso (non solo per i chitarristi), un’opera di grande respiro; ingiustamente rimasto sepolto nell’oblio per più di centocinquant’anni, e probabilmente mai eseguito nemmeno nella propria epoca, è senz’altro meritorio di considerazione . Diviso in tre tempi (Allegro giusto; Andante sostenuto; Tempo di Polacca) già in prima analisi lascia trasparire una sensibilità musicale consona al proprio tempo: della chitarra viene compresa la sua complessa e intrinseca relazione armonica (non a caso il concerto è scritto in La Magg.), rispettando forse ancor più che in altri casi ( vedi:chitarristi-compositori) il rapporto con l’orchestra, soprattutto nei vari richiami in combinazione ed imitazione con gli strumentini. Siamo infine convinti che questo concerto, più ancora di altri, potrà incontrare il favore dei chitarristi di oggi in quanto, e forse per la prima volta libera la chitarra dal fastidioso microcosmo inevitabilmente legato all’artigiano chitarrista (esecutore, compositore, impresario di se stesso, didatta, ecc.) a cui ancor oggi purtroppo vi si lega un’immagine riduttiva: con umiltà potremo, e ci piacerà pensare, che Giovanni Bonfante Panizza, o chi per lui, scrisse il concerto semplicemente per amore. L’auspicio ultimo è che tale opera venga messa a disposizione dei chitarristi da parte di qualche editore illuminato affinchè tutti possano suonare e “ragionare” sulla storia del nostro meraviglioso strumento. Gorizia, dicembre 1986 Giorgio Tortora Note del revisore Per il “Concerto per chitarra e orchestra” di Giovanni Bonfante Panizza, il revisore ha voluto mantenere intatto l’impianto originale, in quanto esso è risultato perfettamente consono allo stile compositivo del primo ‘800 , con particolare riferimento alle temporalità sequenziali dello strumento solista in opposizione sia al quartetto d’archi, che al tutti. Onde rendere più efficace la sua esecuzione in chiave moderna, è stato operato il trasporto di quegli strumenti a fiato (clarinetti in Sol, trombe in Re, corni in Re) cui l’odierno sviluppo tecnico ne ha cambiato l’impostazione strutturale. In partitura è stato interpretato il ruolo del citato “basso” con una sua separazione grafica tra gli strumenti cello e contrabbasso. Sono stati infine apportate alcune aggiunte dinamiche e di fraseggio, in quanto il manoscritto presentava in tal senso (oltrechè per ragioni “storiche” espresse in prefazione) svariate lacune, così come è stata variato l’ordine degli strumenti in partitura originariamente previsti nel seguente ordine: chitarra, archi , legni, ottoni, basso. Bibliografia La Chitarra a Trieste nella prima metà dell ‘800 – B.Tonazzi – Il Fronimo n. 37. Nuove acquisizioni sull’opera e sulla vita di Mauro Giuliani: gli anni del soggiorno napoletano (1824 – 1829) – F.E.Araniti. Manoscritti Piccolominei, Manoscritti Musicali -P.P.Sancin - Trieste, Biblioteca Civica Ricerche sulla vita musicale a Trieste (1750 1950) – G.Radole- Paganini a Trieste – B.Tonazzi Le musiche per chitarra nella raccolta di manoscritti della Biblioteca civica di Trieste – P.P.Sancin – il Fronimo n.78 [align=center][/align][align=center] PANIZZA CONCERTO 1..pdf
  9. Tornano al quesito iniziale posto da Gianmaria Loretti, non sono assolutamente d'accordo su una "specie" di prassi esecutiva che preveda il cambiamento di melodia, note e quant'altro. Quando riflettevo su argomenti che riguardano le revisioni storiche (vedi per esempio: M. Giulani - Variatoin su l'air " A Schisserl und a Reindl ed. Chanterele) il mio pensiero va alla contestualizzazione temporale di tutti proprio tutti, gli elementi, in quanto i vari periodi storici che riguardano le vicende musicali di alcuni personaggi a noi cari - nella fattispecie quello di Giuliani - erano così "umani" da disarmare qualsiasi elucubrazione e successivi dogmi delle seicorde da parte di molti "che sanno". Case editrici che poco tenevano alle fonti ed incauti revisori fecero il resto, creando tuttavia verità che - tramandate da insegnante ad allievo ecc.- hanno creato teneramente vari "falsi storici". Fu Ruggero Chiesa e con lui Vincenzo Saldarelli che per primi misero ordine alle tante versioni e verità soprattutto in riferimento alla musica italiana. Poi venne Brian Jeffery, Thomas Heck, e molti altri che - pubblicando - le versioni urtext avvicinarono di molto le esecuzioni moderne ala "verità" dei compositori. Con queste righe - che cred come al solito mi attireranno le solite valanghe di strali da parte dei noti saccenti italiani ( ma - guarda caso - non quelli stranieri) vorrei dare una mia particolare chiave di lettura su ciò che i chitarristi appassionati di 800 eseguono: su tutto una grande debolezza umana da parte dei nostri grandi maestri chitarristi (Giuliani, Legani, Moretti, Carulli, Carcassi, ecc.) in particolare del primo citato al quale poco importava di prassi esecutive, o di inflazionare il mercato con eccesso di composizioni, figuriamoci su ragionamenti o sul lasciare volutamente dubbi ai posteri. Egli era una semplice persona, molto italiana se vogliamo, che spesso scendeva a compromessi per quei quattro soldi che poi gli servivano per vivere. Il mio ragionamento - ovviamente - lo vorrei approfondire con più dati, elementi, così forse da risparmiarmi qualche stralo, e lo farò volentieri in quanto sono assolutamente convinto che la storia della chitarra non la fanno i teorici con mille verità assolute, ma i chitarristi che amano mettersi in gioco magari per 100 euro a concerto (e ce ne sono tanti!). Per questo motivo, affinchè Gianmaria possa decidere da solo come suonare Giuliani, rimando la lettura ad un testo FONDAMENTALE che racchiude preziose lettere che Giulian stesso inviava ai suoi amici ed editori. Il libro aprirà una luce radiosa: "Nuove aquisizioni sull'opera e sulla vita di Mauro Giuliani: gli anni del soggiorno napoletano 1824-1829" di Filippo Eduarno Araniti. Come cadeu per tutti ecco in allegato una di queste disarmanti lettere (spero che si legga): Giorgio Tortora Admin Edit Download: Pagina 1 : Link Pagina 2 : Link Fine Admin Edit PS per tutti gli appassionati. Faccio notare che nella seconda pagine di questa lettera Giuliano cita testualmente una cosina per noi chitarristi da poco................ "aggiungerò il Maestoso del quarto concerto"!!!!!! Ebbene molti sanno di questo concerto e molti lo hanno cercato dappertutto senza fortuna. Che ci sia un quarto concerto è cosa certa perchè è Giuliani stesso a dirlo (e tutti noi sappiamo di quanto la chitarra ne avrebbe bisogno) . Io qualche idea ce l'ho, e credo presto aprirò un post per provare a vedere se questo fenomenale mezzo di comunicazione che si chiama internet potrà mettere insieme le varie conoscenze e colmare finalmente queste lacune. Ora mi occupo sempre meno di ricerca storica legata alla chitarra (mi piace comporre),ma all'epoca (vent'anni orsono) con alcuni compagni di viaggio (autorevolissimi) avevamo - dalla Germania - capito alcune cose e individuato un percorso. Come ho già scritto precedentemente, per la chitarra dell'800 non vi è una sola verità, pertanto molte indicazioni devono prevedere - proprio in fase di ricerca - elementi di "piccolo cabotaggio", ovvero filtrate dalle stesse miserie umane che riscontriamo in questa lettera. In mia mano posseggo copie di altre incongruenze che - da un punto di vista pragmatico - sconvolgerebbero le tesi dei soliti totem del sapere chitarristico (sempre quelli:attendo strali), ma che in realtà, con la presa d'atto di un periodo/persona risultano di facile intepretazione. Su un argomento tuttavia credo bisognerà soffermarci perchè - sono convinto - potrà avere un grande valore per la chitarra. Non si tratta di una novità, anzi, alcuni ci hanno già lavorato (a mio parere in maniera deleteria) ma la maggior parte dei chitarristi non è a conoscenza e si stupirà. Ora vado in Austria a dirigere qualche concerto, poi a Venezia, finisco il mio quartetto "Races, Sliwowitz and Anolam Smiles", pubblico la "Sonata" che Marko Feri ha inciso e quindi partiamo!
  10. Sono assolutamente d'accordo Maestro Carfagna;e' una questione di etica, di buon gusto, di naturale eleganza. Lo scontro tuttavia è con la legittima conoscenza dello studioso che può dar altresì prova di ciò che propone ovvero filtrato da anni di ricerca, ma il concetto di fondo - quello che io sollevo - riguarda quanto vale quel famoso "se suona bene" dell'Agosti che Lei ha citato. Per me molto, per altri - credo - nulla, e lo vedremo dalle successive risposte che probabilmente s succederanno. Che Brouwer non sia uno "specialista" probabilmente è vero, ma se prendiamo come riferimento il lato filosofico siamo sicuri che poi sia così? La pittura ci potrebbe venire in aiuto: se guardo a Vedova molte cose non le comprendo ma nel contempo mi inchino. Lo stesso per Sandro Chia o per il giovane Delutti; ciò perchè qualche tecnico, qualche specialista mi dice che quel percorso, quel momento, quelle lacerazioni.....Se però trovo altri spazi, molto ampi, radicati e difesi da una diversa supremazia conoscitiva, figlia di altrettanti Agosti. Brouwer può far tenerezza, un poco meno se difeso idealmente da Dino Valls (il pittore), ma diviene lui la "corazza" quando Horacio Ferrer indica lui e non altri come " nel giusto". Oggi siamo nel 2008 e - di questo sono convinto - la nuova cifra culturale si chiama "talento". Le regole (quelle musicali) devono quindi rispondere anch'esse all' intelligenza dell'artista che in maniera automatica le traduce in atto; ne è un esempio il suo brano "Découpages" che certamente farà parte della mia biblioteca. regards giorgio tortora
  11. Il cosiddetto "problema degli abbellimenti" ha comportato, e tutt'ora comporta innumerevoli punti di vista soprattutto in relazione al micro/macrocosmo della chitarra. Si tratta - molto spesso - di disputare i propri convincimenti che - spesso figli di retaggi culturali, di legittimi insegnamenti - molte volte si tramutano in verdetti (vedi: esami d conservatorio) con pollice su o giù a prescindere dal talento dell'interprete. Non è un problema da poco in quanto è noto che l'area geografica o il periodo storico, ne modificano i logici aspetti formali, trasformando quindi il "battere" in "levare", o passando per le moltiplicazioni dei trilli o dagli accenti degli arpeggi. Le fonti sono molte e così le ragioni; difficile dar torto a chiunque (con la premessa di non essere presi in giro) lasciando quindi alle libere convinzioni o deduzioni il compito di "abbellire" l'essenza principale della musica. Un parallelo so si potrebbe fare con gli accenti dei gruppi detti "irregolari" (sestina e doppia terzina), o con le proporzioni tra tempi semplici e composti. Materia difficile per tutti ed io - per primo - non posseggo nessuna verità. Con ciò credo di fare cosa gradita pubblicando un piccolo riassunto delle convinzioni di un compositore autorevole, Leo Brouwer che mi consegnò questo foglio alcuni anni orsono. All'epoca tolsi il nome e lo sottoposi all'attenzione di tre autorevoli didatti: tutti si scandalizzarono consigliandomi - ognuno dei tre - un'altra chiave di lettura. Ebbene, Brouwer è famoso a livello mondiale, mentre i tre possono "bocciare" un alunno del corso di composizione sul tema - in particolare delle "inegalitè"! Se poi osserviamo, semplicemente osserviamo, la globalizzazione della scrittura musicale che sta inevitabilmente avvenendo con i vari Finale e Sibelius, il tutto si complica ulteriormente in quanto, se è vero che qualsiasi nota scritta con quei software è modificabile nei vari aspetti grafici o di playback, è altrettanto vero che la disponibilità "base" degli stessi è la più frequentata dai compositori,trascrittori ed editori. A voi le risposte Giorgio Tortora
  12. Devo molto a Bruno Giuffredi anche se di lui conosco ben poco. Ho visto quindi il video con curiosità e gli dico bravo perchè il suo "chitarrismo" è elegante e nobile. Giorgio Totora
  13. Segnalo la pubblicazione di "Serpenti e Scale" di Giorgio Tortora. E' un brano per flauto e chitarra - ed UT Orpheus - ispirato ad un gioco di carte (solitario:serpenti e scale), che "gioca" anch'esso, con le potenzialità tecniche dei due strumenti.
  14. Giorgio Tortora - Variazioni su un tema popolare gradese- ed. Sinfonica Le variazioni traggono ispirazione da un delicato ed antico canto dei pescatori dell'isola di Grado. Ho utilizzato - come scrittura - un linguaggio il più possibile tradizionale, sia per le moltiplicazioni, che per gli aspetti modali, in linea con il modello ottocentesco, anche se - di sicuro - non con quel livello.
  15. La cosiddetta "tecnica Carlevaro" prevede una particolare 'impostazione delle mani con relativa postura corporea. Uno degli aspetti insiti negli esercizi per la mano sinistra del maestro uruguaiano, è volto al miglioramento del cambio di posizione ovvero con l'eliminazione del tipico rumore della corda. Trattandosi comunque di argomenti specifici il miglior consiglio che posso dare sarà quello di farsi guidare dal proprio insegnante che meglio di tutti conosce i limiti manuali dei propri allievi.
  16. Caro Dralig vedo che sei preparato sull'argomento VilaLobos - Segovia. Ovviamente ognuno conosce una storia, la più sicura, chi diteggiò quei lavori per primo, Carlevaro, la leggenda di suo fratello Augustin, l'idiosincrasia subliminale tra Villa Lobos e Segovia stesso. Tutto, di più, ancora, ... del concerto che doveva nascere per chitarra e orchestra di percussioni ecc. Ma vedo che ho toccato nervi scoperti! Gli stessi che creano infinite sere di scuole, di dogmi, di verità, nel gioco perverso di colui che sa! Chi ha ragione oggettiva?, Chi avrà ragione filtrando i pensiero con la filosofia dei punti di vista? Eri forse con Segovia quando egli "rifiutò cortesemente" di diteggiare? Sai chi ha ragione? Colui che fa le cose con i due soli possibili dogmi dell'arte: ETICA & ESTETICA! Ci rimarranno altrimenti infinite discussioni su chi sa di più (e ci sarà sempre nel mondo uno in testa)o di meno. Comunque sono pronto finchè non mi stufo e ti lascio il dogma del sapere.
  17. Matanya sa bene che il "problema" delle cosiddette "dediche" è sempre molto delicato. Nel microcosmo della chitarra, ovvero quello rappresentato dalle attribuzioni, dediche, collocazioni, stesure, ecc. tutto va contestualizzato ad altrettanti argomenti. Egli - che da una vita si applica con passione e competenza alla storia della chitarra - probabilmente avrà ragione, ma spieghi meglio il suo punto di vista. La pubblicazone di Aguado del 1826 si intitola effettivamente "Seconda Escuela spagnola....." ma è scritta già in francese, e quindi la dicitura della dedica a De Fossa può venir recepita in vari modi. Il mio primo incontro con Matanya risale al lontano 1982 ad Heidelberg, con Carlevaro, e già allora egli predicava la prudenza. Ecco allora che questo"divertissement" aguadiuano può essere il pretesto per chiarire altri e ben più importanti aspetti della letteratura chitarristica. Il più evidente riguarda l'opera di Villa Lobos: tra le versioni Segovia e quello odierne che le sostituiscono di Zigante chi ha ragione? E' un argomento che mi rode da anni perchè ogni volta che è affrontato in maniera scientifica o filosofica, (stile Matanya, per capirci...) apre (ed ha già aperto) personalismi e malumori da parte dei soliti principi della chitarra italiana. Con le incertezze o - per contro - sicurezze potremmo scrivere un libro! Da Tonazzi (con l'incidente De Call) ,a Raphael Andia per la sua convinta attribuzione Weiss/Ponce, passando per il contenzioso Giuliani/Lhoyer ecc. La mia proposta?Scegliamo un argomento, lo affrontiamo, svisceriamo, e con il contributo di più conoscenze - sistema di analisi che si rende oggi possibile grazie al meccanismo comunicativo della rete - scriviamo una sola verità. Grazie quindi all'autore di questo post per il pretesto!
  18. Ovviamente il cosiddetto "Metodo Aguado" esiste; da esso, molte case editrici ne hanno estrapolato studi ed esercizi che tutt'ora sono in uso. Per chi fosse interessato alla sua conoscenza specifica rimando all' edizione parigina del 1826 reperibile - all'epoca - dallo stesso Aguado al prezzo di 30 franchi. Nello specifico essa rappresenta la 3° stesura (la prima in francese dopo le due versioni spagnole) dedicata comunque - come per le altre - a De Fossa. Come qualcuno ha già scritto, oggi sono facilmente reperibili alcune versioni urtext, fra cui aggiungo quella di Minkoff.
  19. Il nuovo lavoro di Giorgio Tortora - per due chitarre - dedicato alle atmosfere e suggestioni del circo di felliniana memoria - livello difficoltà: medio.
  20. Giorgio Tortora "Le Bouquet" 12 studi ed. Sinfonica una serie di delicati studi rivolti agli alunni del corso inferiore Link per l'acquisto: http://www.sinfonica.com/italian/per_autore.php?auth=Giorgio%20Tortora
  21. "Tarentella n.1, una nuovissima composizione per 4 chitarre di Giorgio Tortora ed. Le Productions d'Oz - Montreal
  22. La "Sonata" fu l'ultima composizione scritta dal maestro triestino. Egli si dedicò molto alla chitarra grazie alla sua amicizia con Bruno Tonazzi, una delle figura più importanti in ambito didattico del secolo scorso. Venne pubblicata con Chanterelle su proposta di Giorgio Tortora che ne curò la revisione. Contattando lo stesso http://www.giorgiotortora.com si potranno ottenere mlte altre informazioni sull'opera di Viozzi, e sul reperimento di molte pagine chitarristiche ancora inedite.
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