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In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig

 

Tanto è vera tanto è difficile da accettare...

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....

In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig

 

Caro Maestro,questa differenza, in riferimento all'età, mi incuriosisce.

E' un dato scientificamente dimostrato o si basa sulla esperienza personale?

 

Io ne do una testimonianza derivante dalle mie osservazioni di parecchie centinaia di studenti, ma suppongo (anche se non ne sono specificamente informato) che esistano anche degli studi scientifici sull'argomento.

 

dralig


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....

In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig

 

Caro Maestro,questa differenza, in riferimento all'età, mi incuriosisce.

E' un dato scientificamente dimostrato o si basa sulla esperienza personale?

 

Io ne do una testimonianza derivante dalle mie osservazioni di parecchie centinaia di studenti, ma suppongo (anche se non ne sono specificamente informato) che esistano anche degli studi scientifici sull'argomento.

 

dralig

 

E' assolutamente vero! Questa osservazione è estendibile anche alla capacità di leggere a prima vista, bambini che hanno iniziato correttamente a 5/6 anni dotati naturalmente di una certa predisposizione, ad 11 leggevano a prima vista con una facilità straordinaria pezzi anche di una certa complessità (più difficili di quelli che si danno solitamente per la lettura a prima vista agli esami di conservatorio).

 

Roberto Fabbri

 

Non vorrei, però, che la differenza riposi sul "talento": entrambi, infatti, avete posto l'accento, in premessa, che deve trattarsi di un bambino dotato o talentuoso.

Nel mio mestiere, didattico come il vostro, io sfido tutti i giorni la natura? I miei ragazzi sono giovani adulti (19-20 anni), già rovinati dalle scuole dell'obbligo. Eppure, i risultati non mancano.

Io stesso mi vanto di "essermi fatto" da solo: dopo un calvario di insuccessi scolastici, con maestri mediocri, a 18 anni, con un metodo fatto in casa, ho invertito la tendenza.

Certe regole statistiche, quando applicate all'universo uomo, mi fanno paura...


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Non vorrei, però, che la differenza riposi sul "talento": entrambi, infatti, avete posto l'accento, in premessa, che deve trattarsi di un bambino dotato o talentuoso.

Nel mio mestiere, didattico come il vostro, io sfido tutti i giorni la natura? I miei ragazzi sono giovani adulti (19-20 anni), già rovinati dalle scuole dell'obbligo. Eppure, i risultati non mancano.

Io stesso mi vanto di "essermi fatto" da solo: dopo un calvario di insuccessi scolastici, con maestri mediocri, a 18 anni, con un metodo fatto in casa, ho invertito la tendenza.

Certe regole statistiche, quando applicate all'universo uomo, mi fanno paura...

 

Non mi trovo tra coloro che sostengono la necessità di iniziare a suonare uno strumento in tenera età, e l'impossibilità di imparare benissimo a farlo iniziando più tardi. Ho condotto al diploma un allievo - oggi direttore artistico di un ben noto festival di chitarra - che iniziò a suonare a 32 anni, essendo già sposato e padre di famiglia: la passione per la musica e per la chitarra, se pur esplosa in lui tardivamente, era tale da poter dare un senso alla sua vita, e facendo leva sulla sua buona volontà fu possibile superare tutti gli ostacoli. Del resto, nemmeno io ero stato un enfant prodige: iniziai a quasi tredici anni.

 

Quello che sostengo è che, a seconda dell'età in cui si inizia lo studio della chitarra, occorre seguitare percorsi differenti: un principiante di 20 anni può fondare la propria tecnica sull'assimilazione di concetti che, come tali, a un bimbo di sette anni non risultano né utili né facili da imparare: in questi casi, l'apprendimento e l'insegnamento passano, devono passare, per altre vie (e i diversi modi di insegnare a suonare la chitarra ai bambini formano ormai una vera e propria letteratura). E' altrettanto chiaro che, una volta imparati i fondamenti, a un bambino che abbia praticato regolarmente per alcuni anni, risulterà disponibile una sorta di capacità preternaturale, che gli consentirà di suonare tranquillamente per il resto dei suoi giorni senza dover ripetere quotidianamente gli esercizi di tecnica: è ovvio. Che, per giungere a tanto, debba avere talento specifico per la musica, è altrettanto ovvio: in mancanza del talento, non esiste nemmeno una motivazione allo studio, una qualsiasi remunerazione al dispendio di tempo e di fatica. Non sarà lo stesso per chi abbia imparato la tecnica incominciando a 18 anni o più: per quanto ben assimilati, i fondamenti non si integrano più - non nella stessa misura - alla "natura", rimangono disponibili a patto che la persona seguiti a coltivarli con un esercizio quotidiano. E - anche se non può esistere una prova scientifica al riguardo - io sono convinto che l'interessato potrà sviluppare le sue potenzialità e suonare in modo corrispondente al suo talento, ma non nella stessa misura in cui avrebbe potuto farlo se avesse iniziato a sette anni: ciò almeno riguardo ad alcuni aspetti dell'esecuzione, ad esempio la velocità e l'agilità.

 

Inoltre, non bisogna confondere l'apprendimento di materie che implicano soltanto un lavoro della mente (come nei casi che tu citi) con l'imparare a suonare uno strumento, il che comprende anche una sorta di iper-abilità manuale comandata dal cervello. Sono due cose diverse. Se così non fosse, le persone più intelligenti sarebbero anche le più dotate nella musica, ma non è così, non necessariamente.

 

dralig


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La pianista Madeline Bruser nel suo noto e per certi versi prezioso testo "The Art of Practicing" ha una interessante affermazione a riguardo (pp.21-22, edizioni Bell Tower, New York 1997).Traduco:

 

"Le composizioni musicali, assieme a semplici scale, forniscono abbondanti opportunità di sviluppare la tecnica. Ma alcuni preferiscono usare esercizi per focalizzare una tecnica particolare. In tal modo, quando incontrano la stessa richiesta tecnica in una composizione, sono liberi di godere di più la musica e concentrarsi meno sulla tecnica. Altri, me compresa, preferiscono impiegare tutto il tempo dello studio sulla musica, anche se questo significa isolare un passaggio difficile e lavorarci estensivamente come se fose un esercizio. In ogni caso, il repertorio tecnicamente impegnativo richiede sempre questo tipo di studio. Fate quello che vi diverte di più".

 

Agli "sfortunati" che debbono (o scelgono di) fare anche esercizi può consolare il trovarsi in compagnia di fior di virtuosi, Segovia compreso, che facevano così anche loro.


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La pianista Madeline Bruser nel suo noto e per certi versi prezioso testo "The Art of Practicing" ha una interessante affermazione a riguardo (pp.21-22, edizioni Bell Tower, New York 1997).Traduco:

 

"Le composizioni musicali, assieme a semplici scale, forniscono abbondanti opportunità di sviluppare la tecnica. Ma alcuni preferiscono usare esercizi per focalizzare una tecnica particolare. In tal modo, quando incontrano la stessa richiesta tecnica in una composizione, sono liberi di godere di più la musica e concentrarsi meno sulla tecnica. Altri, me compresa, preferiscono impiegare tutto il tempo dello studio sulla musica, anche se questo significa isolare un passaggio difficile e lavorarci estensivamente come se fose un esercizio. In ogni caso, il repertorio tecnicamente impegnativo richiede sempre questo tipo di studio. Fate quello che vi diverte di più".

 

Agli "sfortunati" che debbono (o scelgono di) fare anche esercizi può consolare il trovarsi in compagnia di fior di virtuosi, Segovia compreso, che facevano così anche loro.

 

Il pensiero citato, secondo me, esprime bene l'alternativa che si è posta in questo topic. E la chiosa "Fate quello che vi diverte di più" mi pare più adatta alla variabilità del caso concreto.

 

Quanto a Segovia, è certamente utile conoscere le abitudini dei grandi maestri, tuttavia l'emulazione dovrebbe arrestarsi al fine e non anche al mezzo.

 

Mi rimane, comunque, il dubbio sulla fonte della pratica attribuita a Segovia: chi l'ha detto, e dove, che fosse avvezzo a questa pratica di esercizi?


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L'ha detto lui stesso un sacco di volte, nelle interviste, nella autobiografia e nel disco MCA dove ha registrato, vecchissimo, gli esercizi che continuava a fare da quando era giovane e che ha anche pubblicato.

Riguardo alla osservazione su fini e mezzi mi permetto di non concordare; da sempre i maestri indicano dei metodi, cioè dei mezzi per arrivare ad un fine.

In un certo senso è l'unica cosa che possono fare, oltre ad esprimere il loro talento; ma quello non possono passarlo agli altri, possono però indicare una strada ed accompagnare chi li segue.


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L'ha detto lui stesso un sacco di volte, nelle interviste, nella autobiografia e nel disco MCA dove ha registrato, vecchissimo, gli esercizi che continuava a fare da quando era giovane e che ha anche pubblicato.

 

Si riferisce alle scale e agli esercizi sulle legature edite dalla Columbia?

o c'è qualcos'altro che ignoro?

 

Riguardo alla osservazione su fini e mezzi mi permetto di non concordare; da sempre i maestri indicano dei metodi, cioè dei mezzi per arrivare ad un fine.

In un certo senso è l'unica cosa che possono fare, oltre ad esprimere il loro talento; ma quello non possono passarlo agli altri, possono però indicare una strada ed accompagnare chi li segue.

 

Dubito che il maestro, che abbia scritto un metodo, poi, lo esegue quotidianamente: il manuale è scritto per l'allievo, e l'autore non lo rilegge tutti i giorni.

E ciò a tacer d'altro, come ad esempio alle esigenze commerciali, che portano i maestri a scrivere qualunque cosa solo per venderla... ma che in realtà non vale nulla.

Insomma, la personalizzazione del percorso e la relatività del metodo, secondo me, sono la chiave di lettura per ogni disciplina.


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E ciò a tacer d'altro, come ad esempio alle esigenze commerciali, che portano i maestri a scrivere qualunque cosa solo per venderla... ma che in realtà non vale nulla.

 

Chi agisce in questo modo non è un maestro.

E' un laido mercante.

 

dralig


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E ciò a tacer d'altro, come ad esempio alle esigenze commerciali, che portano i maestri a scrivere qualunque cosa solo per venderla... ma che in realtà non vale nulla.

 

Chi agisce in questo modo non è un maestro.

E' un laido mercante.

 

dralig

 

però accade spesso.... ce n'è tanta di roba fatta così sul mercato.

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