Vai al contenuto
Novità discografiche:

Come eseguire lo "staccato"?


Messaggi raccomandati

Ospite darkdragon
Inviato

Una domanda: tali accorgimenti nel controllo delle vibrazioni sono avvertibili in un contesto non isolato?

Immagino un brano composto da decine e decine di battute che vengono eseguite in veloce successione, lasciando una coda di vibrazioni sonore...Lo staccato di una piccola nota tra mille è avvertibile a livello "psichico" per l'ascoltatore? E se ci mettiamo pure i riverberi della sala da concerto?

E poi (sempre come spunto di discussione)...non è ipotizzabile che alcune risonanze, sebbene indesiderate, diano caratterizzazione al brano interpretato?

Scusate le domande banali, ma l'argomento mi interessa molto....

  • Risposte 21
  • Creato
  • Ultima Risposta

Miglior contributo in questa discussione


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  87
  • Content Count:  2241
  • Reputation:   100
  • Joined:  24/11/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Macintosh

Inviato
Una domanda: tali accorgimenti nel controllo delle vibrazioni sono avvertibili in un contesto non isolato?

Immagino un brano composto da decine e decine di battute che vengono eseguite in veloce successione, lasciando una coda di vibrazioni sonore...Lo staccato di una piccola nota tra mille è avvertibile a livello "psichico" per l'ascoltatore? E se ci mettiamo pure i riverberi della sala da concerto?

E poi (sempre come spunto di discussione)...non è ipotizzabile che alcune risonanze, sebbene indesiderate, diano caratterizzazione al brano interpretato?

Scusate le domande banali, ma l'argomento mi interessa molto....

 

Nel decidere che cosa fare delle vibrazioni che si prolungano oltre la durata scritta dei suoni, si prende in considerazione per prima cosa l'aspetto armonico, cioè la compatibilità delle vibrazioni rimanenti rispetto a quello che segue. In secondo luogo, se si constata che il permanere delle vibrazioni non comporta situazioni armonicamente scorrette, si valuta l'aspetto fraseologico, cioè si decide se, anche in presenza di una piena compatibilità, il lasciar vibrare è conveniente rispetto al risultato che si vuol ottenere, per esempio dal punto di vista ritmico (rispetto al quale le vibrazioni rimanente possono risultare controproducenti), etc: i casi sono veramente tali e tanti da rendere molto difficile una loro enunciazione in linea di principio.

 

Le risonanze sono percettibili come suoni reali, e come tali vanno trattate: possono risultare incompatibili, oppure compatibili e utili (per esempio, per collegare due accordi senza corde a vuoto che si vuole eseguire con effetto di legato), oppure compatibili e inutili (nel caso in cui si voglia creare l'effetto di staccato, è chiaro che le risonanze sono controproducenti).

 

Per controllare le risonanze, bisogna esserne consapevoli: ogni volta che si suona su una determinata corda una delle note: mi, la, si, re, sulle corde inferiori - se libere - partono delle risonanze: c'è un altro, piccolo chitarrista che suona lo strumento dal di dentro. Ci si può servire di lui, oppure si può esserne intralciati e molestati: è questione, si, di tecnica.

 

Attenzione: anche l'innocua e generosa sesta corda a vuoto è foriera di un poderoso armonico: sul diesis, in doppia decima sulla fondamentale. E' sconcertante, qualche volta, sentire un interprete creare armonie bitonali senza che il suo orecchio ne venga minimamente avvertito.

 

dralig


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  38
  • Content Count:  391
  • Reputation:   88
  • Joined:  19/12/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Macintosh

Inviato
.......

Attenzione: anche l'innocua e generosa sesta corda a vuoto è foriera di un poderoso armonico: sul diesis, in doppia decima sulla fondamentale. E' sconcertante, qualche volta, sentire un interprete creare armonie bitonali senza che il suo orecchio ne venga minimamente avvertito.

 

dralig

 

 

già..suonare un brano in Mi minore e..avere il fantasma del sol diesis che aleggia nell'aria...

 

 

 

mr


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  35
  • Content Count:  476
  • Reputation:   8
  • Joined:  21/11/2005
  • Status:  Offline

Inviato

L'attenzione al controllo delle risonanze mi ha interessato molto da tempo.

 

Personalmente sarei portato ad un approccio piuttosto rigoroso e meticoloso alla questione (e lo sanno i miei allievi, costretti da me ad un ascolto e controllo del suono al quale in genere non erano abituati).

 

Certamente su uno strumento come la chitarra non si può pretendere di arrivare allo stesso controllo della risonanza che è dato dall'uso del pedale del pianoforte (a parte la questione giustamente sollevata del riverbero ambientale sul quale evidentemente l'esecutore non ha controllo, e che vale per tutti, anche per i pianisti).

E certo parte del fascino dello strumento sta anche in un suo comportamento un po' "eretico" rispetto a certi canoni tradizionali. Già i liutisti e i chitarristi del barocco giocavano con questo che è un limite ma anche una risorsa (i raddoppi di ottava dati dalle incordature, le scale eseguite volutamente alternando corde diverse, gli strani "rivolti" degli accordi dovuti anch'essi all'assenza dei bassi che sarebbero stati "giusti" teoricamente). Perfino quegli strani accordi finali di do maggiore con il mi basso che usa talvolta Giuliani sono una concessione, calcolata, alle peculiarità sonore dello strumento per cui si "tollera" che per avere un maggior ripieno sonoro un accordo finale di un tempo di sonata sia un terza e sesta. Questa constatazione prima, e poi ricerca stupita delle risonanze "casuali" e impreviste anche dal compositore è stata la "ossessione" dell'ultimo Alirio Diaz, che raccontava di essersi accorto solo recentemente del mare di possibilità sonore che così si aprivano - ricordo qualche lezione recente a cui ho assistito sul Fandanguillo di Turina o sulla Frescobalda.

Nel tempo ho anche notato che alcuni compositori con i quali ho lavorato hanno un approccio per così dire tollerante al problema. De resto, se un pittore ama lavorare gettando furiose spatolate di colore sulla tela evidentemente non si preoccupa al decimillimetro di dove va a finire ogni macchiolina di colore come farebbe un pittore iperrealista; ha priorità diverse.

Anche alcuni compositori che peraltro lavorano in modo particolare e rigorosissimo anche sul contrappunto - e scrivono per chitarra praticamente come se la suonassero - hanno un atteggiamento su questo dovuto alle priorità che si danno, e che determinano una certa tolleranza su aspetti da loro reputati secondari. Un altro invece, alla sua prima esperienza compositiva per chitarra, mi chiedeva come indicare le durate dei suoni in partitura tenendo conto delle risonanze dovute alla tecnica esecutiva. Un altro ancora, all'opposto, ha immaginato la riverberazione ambientale già nell'atto compositivo e vuole che in genere tutto risuoni il più possibile proprio per mimare o immedesimarsi anche esecutivamente in questa ambientazione sonora, alla quale poi ovviamente si aggiunge l'ambiente vero e proprio.

Qualche esempio sonoro delle problematiche cui ho accennato è reperibile nel mio MySpace dove ho recentemente inserito due pezzi di Paolo Ugoletti e due di Gilberto Cappelli

http://www.myspace.com/pierobonaguri


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  38
  • Content Count:  391
  • Reputation:   88
  • Joined:  19/12/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Macintosh

Inviato
Una domanda: tali accorgimenti nel controllo delle vibrazioni sono avvertibili in un contesto non isolato?

Immagino un brano composto da decine e decine di battute che vengono eseguite in veloce successione, lasciando una coda di vibrazioni sonore...Lo staccato di una piccola nota tra mille è avvertibile a livello "psichico" per l'ascoltatore? E se ci mettiamo pure i riverberi della sala da concerto?

E poi (sempre come spunto di discussione)...non è ipotizzabile che alcune risonanze, sebbene indesiderate, diano caratterizzazione al brano interpretato?

Scusate le domande banali, ma l'argomento mi interessa molto....

 

come già detto è difficile da sostenere una linea di principio.

Probabilmente la prima cosa da fare sarebbe vedere, intuire l'intenzionalità compositiva a seconda del tipo di scrittura adottata. Cioè, è evidente, che per me come compositore, se so che esiste per lo strumento questa questione, se la percepisco come controllabile e se una cosa la scrivo, è perchè desidero che così venga eseguita. Per guidare l'interprete adotto per la chitarra dei principi base, intercambiabili a secondo dei casi:

1 la notazione esplicita della polifonia (con l'adozione della quale è facile che si incasinino presto le cose, ma sicuramente, su doppio pentagramma, è la migliore soluzione) = l'interprete suona semplicemente ciò che è scritto, come è scritto (il che non vincola affatto le possibilità interpretative)

2 l.v. lascia vibrare = l'interprete gestisca a suo piacimento le risonanze

3 . il punto tipico dello staccato = indica il suono da smorzare anche in contesto di l.v.

Spesso a quanto sopra si aggiunge il vincolo della diteggiatura, spesso, anzi sempre esplicita nella mia musica.

 

Per quello che riguarda il lato "psichico", che chiamerei percettivo, tieni conto che l'orecchio è uno strumento finissimo, molto più dell'occhio, sensibilissimo alle più minute variazioni microarticolatorie, quindi percepisce, in condizioni ottimali (riverberazioni eccessive non sono accettabili in nessuna sala da concerto a meno da non essere esplicitamente richieste), tutto.

 

 

Il secondo punto lascia molteplici possibilità e sono d'accordo sull'utilizzo dei due pentagrammi per la chitarra, al di là di tutto la visione grafica la ritengo fondamentale e spesso credo che venga sacrificata un certo tipo di scrittura al riguardo, specialmente nel contrappunto-armonico, quando non sono realmente sempre presenti le linee contrappuntistiche.

Un'altra cosa mi sembra interessante Fabio, quando si suonano anche due linee si ha già un bel da fare con le relative risultanti che ne derivano in armonici vari e già qui la "scelta" di cosa lasciare e o pulire è un vero lavoro che del resto, oltre a essere uno degli aspetti affascinanti della chitarra, richiede appunto una sensibilità che onestamente mi sembra secondaria spesso negli interpreti (non tutti ovviamente) ma preoccupati più di altri aspetti...mentre ritengo che questo mondo apparentemente sotterraneo sia proprio una delle magie della scrittura della chitarra e da li anche la sua difficoltà.

 

 

con simpatia

m


  • Group:  Ammministratori
  • Topic Count:  865
  • Content Count:  3653
  • Reputation:   227
  • Joined:  14/11/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Windows

Inviato

come evidenziavo in post precedente, i pianisti imparano a gestire queste ancor prima dell'utilizzo dei pedali. Sanno cioè alzare un dito, mentre abbassano l'altro e così via, non incollano la posizione allo strumento come fanno la maggior parte dei chitarristi.

 

Fabio, da quel che mi risulta il problema è sempre stato l'opposto ovvero, far si che i valori delle note più lunghe vengano rispettati. 'Alzare le dita' come dici tu dalla tastiera della chitarra è molto più facile che lasciarle premute.

Ho perso qualche pezzo per strada?


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  38
  • Content Count:  391
  • Reputation:   88
  • Joined:  19/12/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Macintosh

Inviato

come evidenziavo in post precedente, i pianisti imparano a gestire queste ancor prima dell'utilizzo dei pedali. Sanno cioè alzare un dito, mentre abbassano l'altro e così via, non incollano la posizione allo strumento come fanno la maggior parte dei chitarristi.

 

Fabio, da quel che mi risulta il problema è sempre stato l'opposto ovvero, far si che i valori delle note più lunghe vengano rispettati. 'Alzare le dita' come dici tu dalla tastiera della chitarra è molto più facile che lasciarle premute.

Ho perso qualche pezzo per strada?

 

Forse Fabio intende la coscienza dell'articolazione, nel fare l'esempio dei pianisti. E' vero d'altra parte che spesso i chitarristi come dice Cristiano tendono agli inizi a a suonare a stento le durate reali, ma poi passano anche a suonare facendo sovrapporre molti suoni per via delle posizioni della sinistra, questo purtroppo succede per via della notazione chitarristica che a differenza di quella pianistica, ad esempio in un arpeggio con basso albertino il pianista articola sollevando le dita (salvo l'inserimento del pedale di risonanza) mentre un chitarrista mantiene la posizione anche se, può operare con la chiarezza del tocco, la nitidezza dell'attacco.

E' un problema squisitamente grafico della notazione che in effetti nella chitarra non viene rispettata precisamente.

 

m


  • Group:  Membri
  • Topic Count:  38
  • Content Count:  391
  • Reputation:   88
  • Joined:  19/12/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Macintosh

Inviato

 

mentre un chitarrista mantiene la posizione anche se, può operare con la chiarezza del tocco, la nitidezza dell'attacco.

 

esattamente

 

 

E' un problema squisitamente grafico della notazione che in effetti nella chitarra non viene rispettata precisamente.

 

m

 

mhh...non sarei così sicuro...spesso, anche nella musica classica, la notazione è precisa. ma forse non ho capito questo punto.

 

Mi riferisco al semplice fatto che per un pianista una croma è una croma da sempre, poi quando utilizzerà il pedale di risonanza ovviamente..mentre per un chitarrista già dall'inizio, se pensiamo alla scrittura delle opere di Carulli, Paganini, ancor di più, i effetti la notazione non rispetta la vera durata dei suoni e d'altra parte non suoniamo come è scritto graficamente ma spesso (gli allievi) inconsciamente...indirizzati dagli insegnanti appunto a tenere determinate posizioni...

 

 

m

Ospite darkdragon
Inviato

Da quel che ho afferrato il problema è a monte di tutto: il percorso didattico "tradizionale" non mi sembra affronti il fattore risonanze fin dall'inizio degli studi (scusate se sbaglio, io mi baso sulla mia poca esperienza avuta sotto i miei insegnanti). D'altronde occorre una certa conoscenza dell'armonia, e di quest'ultima lo studente ne sente parlare...dopo mooolti anni che "indossa" lo strumento...


  • Group:  Ammministratori
  • Topic Count:  865
  • Content Count:  3653
  • Reputation:   227
  • Joined:  14/11/2005
  • Status:  Offline
  • Device:  Windows

Inviato

passano anche a suonare facendo sovrapporre molti suoni per via delle posizioni della sinistra, questo purtroppo succede per via della notazione chitarristica che a differenza di quella pianistica, ad esempio in un arpeggio con basso albertino il pianista articola sollevando le dita (salvo l'inserimento del pedale di risonanza) mentre un chitarrista mantiene la posizione anche se, può operare con la chiarezza del tocco, la nitidezza dell'attacco.

 

Prendo alla lettera il problema descritto.

Si tratta di un problema da affrontare da due principali angolazioni.

La prima è quella primaria della conoscenza dello strumento. Al di là della sua idiomaticità è opportuno prendere atto, al momento della scrittura, della sua grammatica espressiva. Evitare ostinati sul FA, I tasto 6a corda con melodie in 12a posizione, per fare un esempio estremo. Il lavoro del compositore per chitarra, insomma.

 

La seconda è quella di un approccio musicale che si solleva dallo strumento; conoscete meglio di me i vantaggi tratti da una lettura musicale in senso lato e non chitarristica. Mi ritrovo spesso a suggerire una lettura della musica scritta osservando il segno, senza trasformarlo in suono. E' da questo approccio che moltissime idee interpretative nascono letteralmente dal nulla e durate, sovrapposizioni e in genere tutte le problematiche legate alla tenuta del suono sono risolte dalla mente che chiede un risultato.

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un membro per lasciare un commento

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora
×
×
  • Aggiungi...

Informazioni importanti

Usando il Forum dichiari di essere d'accordo con i nostri Terms of Use.