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Riporto qui un post di Matanya Ophee relativo al repertorio ascoltato al G.F.A. 2013.

 

In the previous thread, David Starobin said this:

"... I was shocked looking at the repertoire lists of the competitors. It's as if the last half-century had not taken place-and I DON'T mean that regarding only contemporary repertoire...."
I am now home getting calmed down by the serene atmosphere of my own surroundings and it occurred to me to look at this. David is wrong. It is not as if the last half-century had not taken place, but rather as if the last 200 years had not taken place.
In five days of concerts, with three concerts by major international performers every day, we heard one work by Diabelli, 3 Franz Liszt arrangements for the piano of Schubert songs, that were subsequently arranged by Mertz for the guitar, one Giuliani pastiche of music by Rossini, one piece each by Aguado and Coste. And that is by the professionals. One competitor managed to get in an Elegie which is usually attributed to Mertz but in all likelihood was actually by one Russian composer named Chernikov, and one did a Regondi piece. That's it.
No Sor, no Carulli, no de Fossa, no de Lhoyer, no Bobrowicz, no Padowetz, no Petolletti, to mention a few names off the top of my head. No David, this is not hand-wringing.
This is a wake.
I once said, (probably stealing this from somebody...) that an instrumental discipline that ignores its past, does not deserve to have a future. The kind of future the GFA is preparing for the guitar is not something I am too keen on contemplating.

 

Per quanto mi riguarda sfonda una porta aperta. Ma non credo sia mai superficiale sottolineare la quasi completa disattenzione al repertorio di eccellenti interpreti.

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Riporto qui, a proposito di questo argomento, una risposta che ho scritto stamattina ad un post di cui condivido le intenzioni, scritto da Angelo Marchese, in cui si rimarcava un deficit di conoscenza (e studio) del repertorio da parte dei chitarristi.

 
Scriveva Rosen, a proposito dell'opera pianistica: "Ci vorrebbero solo circa otto ore per leggere tutte le Sonate di Schubert – ancor meno se si saltano i ritornelli – e circa altre cinque per per conoscere il resto che ha scritto per pianoforte solo […] In circa sei mesi di lettura a prima vista per tre ore al giorno si potrebbe passare attraverso la maggior parte della musica per tastiera di Bach, Haendel, Mozart, Chopin, Schumann, Mendelssohn e Brahms. In un altro paio di mesi si possono aggiungere Haydn, Debussy e Ravel. Un’ora e un quarto sarebbe sufficiente per tutta la musica per pianoforte di Schoenberg, e in un’ora e mezza si arriva a Stravinsky, comprese le opere per pianoforte e orchestra, e dieci minuti ciascuno per le opere per pianoforte solo di Webern e Berg. Non aver fatto questo… è un handicap." 
 
Alla luce di questo, quello che evidenzia Angelo è giusto: molti chitarristi al di là delle opere che affrontano per studiare, non hanno nemmeno una conoscenza sufficiente del repertorio chitarristico, figuriamoci musicale in senso lato: questo denota una mancanza di cultura che, quando si suona, a prescindere da quanti e quali brani si scelga di suonare, si palesa agli occhi di tutti quelli la cui cultura (musicale e non solo) possa essere definita tale senza provare troppo imbarazzo verso questo termine.
In ultimo - anche qui il paragone coi pianisti diventa sempre inevitabile - mi è capitato di seguire con molta passione il Concorso Van Cliburn: non ho potuto non constatare - a monte di tutte le considerazioni sui partecipanti, sulla qualità delle interpretazioni, e quant'altro - che se per la chitarra venisse fatto un concorso con quel sistema: quindi con quella esigenza di quantità di repertorio da suonare a memoria, si creerebbe una cernita - anche tra i professionisti del concorso - impressionante (e forse imbarazzante). 
Io credo che al Cliburn, fatti i dovuti conti, i candidati arrivino con più di 3 ore di repertorio (e che repertorio!) preparato. Non ho potuto ancora constatare, nella mia conoscenza con pianisti, un loro sviluppo fuori norma delle attività cerebrali e meccaniche che giustifichi una loro esclusiva vocazione alla conoscenza - e alla capacità di saper suonare - un così vasta porzione di repertorio in così poco tempo. Ne educo, quindi, che sia "semplicemente" un fatto culturale, frutto anche dello sviluppo di uno strumento che ha consolidato perfettamente il repertorio, la tecnica per suonarlo, e così via. Non vorrei apparire precipitoso (ammetto, nel dirlo, un pizzico di sarcasmo), ma forse anche per la chitarra potrebbe essere ora di fronteggiare un approccio simile, e al repertorio, e al come suonarlo (non parlo, ovviamente, di tecnica).
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E da qui nasce la distinzione, spesso molto forte per quanto riguarda il nostro strumento, tra concertista (persona che prepara programmi a volte molto impegnativi con brani legati fra loro con un percorso logico) e concorsista (persona che porta alla perfezione ristretto programma nel quale tutti i principi espressivi musicali sono razionalizzati e schematizzati mentre quelli tecnici risolti). Caratteristiche tipiche del concertista sono la versatilità, la capacità di essere brillante sia come solista che come partner in un gruppo da camera e la curiosità. Il concorsista invece é forte di una sicurezza inattaccabile sotto ogni aspetto.

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Ma poi sto GFA chi l'ha vinto?


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Anton Baranov


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E da qui nasce la distinzione, spesso molto forte per quanto riguarda il nostro strumento, tra concertista (persona che prepara programmi a volte molto impegnativi con brani legati fra loro con un percorso logico) e concorsista (persona che porta alla perfezione ristretto programma nel quale tutti i principi espressivi musicali sono razionalizzati e schematizzati mentre quelli tecnici risolti). Caratteristiche tipiche del concertista sono la versatilità, la capacità di essere brillante sia come solista che come partner in un gruppo da camera e la curiosità. Il concorsista invece é forte di una sicurezza inattaccabile sotto ogni aspetto.

Credo che questo intervento centri il punto: come può esserci interesse verso un certo tipo di repertorio se poi i concorsi stessi tendono a penalizzare chi lo sceglie?


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Credo che questo intervento centri il punto: come può esserci interesse verso un certo tipo di repertorio se poi i concorsi stessi tendono a penalizzare chi lo sceglie?

 

Eughenos, scusami, ma che cosa c'entra la scelta di un repertorio e l'approfondimento e lo studio di questo con i concorsi?

Non stiamo affermando che i concorsi sono lo scopo unico e finale di un musicista, vero?

 

Voglio dire, per il poco che può valere, ho fatto concorsi per 7 anni e appena mi sono reso conto che più basso era il livello della musica che i concorrenti suonavano più avevano speranze di passare le prove (visti anche, poi, i pareri - mai chiesti - espressi dai giurati) mi sono dileguato. Quando una specie di bisonte*, in uno dei concorsi più importanti per le sei corde, già presidente della Giuria dopo una mia esecuzione di un brano obbligatorio (Emilio Pujol, Guajira) mi disse che la mia eliminazione è scaturita da (cit.) "scadentissima tecnica nell'uso dell'etouffée" capii che era il caso di guardare da un'altra parte.

Per la cronaca, la scadentissima tecnica, era in realtà l'applicazione precisa e millimetrica - costata (inutili) giorni di lavoro - dei quattro differenti tipi di etouffée (anche all'interno dello stesso brano) che lo stesso compositore descrive nella Escuela Razonada. Credo che il bisonte* non fosse abituato alla versione "estridente".

 

Per l'amor del cielo: pensare di scegliere un repertorio per soddisfare questo genere di giudizio è, a mio modo di vedere, il fallimento del musicista. 

 

Esistono per contro molte altre realtà -dove in Giuria siedono musicisti competenti che non sono propensi a lasciarsi abbindolare dalla melodia strappamutande o dagli effetti speciali. Spesso, in queste occasioni, i concorrenti che propongono ed interpretano musica che, se registrata in un unico CD non vincerà mai il Grammy, non credono ai loro occhi quando vedono il loro nome passare la prova eliminatoria, quella semifinale e addirittura vincere.

 

*musicalmente parlando


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Eughenos, scusami, ma che cosa c'entra la scelta di un repertorio e l'approfondimento e lo studio di questo con i concorsi?

Non stiamo affermando che i concorsi sono lo scopo unico e finale di un musicista, vero?

 

Voglio dire, per il poco che può valere, ho fatto concorsi per 7 anni e appena mi sono reso conto che più basso era il livello della musica che i concorrenti suonavano più avevano speranze di passare le prove (visti anche, poi, i pareri - mai chiesti - espressi dai giurati) mi sono dileguato. Quando una specie di bisonte*, in uno dei concorsi più importanti per le sei corde, già presidente della Giuria dopo una mia esecuzione di un brano obbligatorio (Emilio Pujol, Guajira) mi disse che la mia eliminazione è scaturita da (cit.) "scadentissima tecnica nell'uso dell'etouffée" capii che era il caso di guardare da un'altra parte.

Per la cronaca, la scadentissima tecnica, era in realtà l'applicazione precisa e millimetrica - costata (inutili) giorni di lavoro - dei quattro differenti tipi di etouffée (anche all'interno dello stesso brano) che lo stesso compositore descrive nella Escuela Razonada. Credo che il bisonte* non fosse abituato alla versione "estridente".

Per l'amor del cielo: pensare di scegliere un repertorio per soddisfare questo genere di giudizio è, a mio modo di vedere, il fallimento del musicista. 

Esistono per contro molte altre realtà -dove in Giuria siedono musicisti competenti che non sono propensi a lasciarsi abbindolare dalla melodia strappamutande o dagli effetti speciali. Spesso, in queste occasioni, i concorrenti che propongono ed interpretano musica che, se registrata in un unico CD non vincerà mai il Grammy, non credono ai loro occhi quando vedono il loro nome passare la prova eliminatoria, quella semifinale e addirittura vincere.*musicalmente parlando

Mi rendo conto che non sono stato chiaro: oggi per molti i concorsi sono quasi l'unica occasione di esibire il proprio talento. Lungi da me affermare che siano l'unico parametro con cui giudicare un musicista: dico solo che forse sarebbe opportuno, da parte di chi organizza i concorsi, provare ad inserire nelle prove brani obbligatori che servano a constatare qualcosa che vada oltre la capacità dei concorrenti di infilare più note nello spazio di un secondo. Io credo che questo onere di mettere in chiaro che un dato concorso non voglia solo premiare l'atletismo dei concorrenti spetti a chi lo organizza: se così non è, chi porta un certo tipo di repertorio deve quasi subito rassegnarsi ad essere eliminato. Sulla sostanza sono assolutamente d'accordo con Lei.

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 che forse sarebbe opportuno, da parte di chi organizza i concorsi, provare ad inserire nelle prove brani obbligatori che servano a constatare qualcosa che vada oltre la capacità dei concorrenti di infilare più note nello spazio di un secondo.

 

Sacrosanto. Ma forse sarebbe anche opportuno che i chitarristi accorti inizino a valutare e a dosare con più minuzia la loro partecipazione ai concorsi. I concorsi, sembrerà strano, vivono della partecipazioni di concorrenti che, iniziando drasticamente a mancare, farebbero riflettere non poco gli organizzatori.

 

Anche il pianoforte, tornando al paragone con i pianisti, ha una miriade di concorsi/beffa come la chitarra stessa li ha. Una gara all'ultima nota nel vortice dell'interpretazione più arida, insulsa e insignificante che, puntualmente, delude i musicisti che vi partecipano: gli stessi concorsi chiamano a giudici vincitori passati che, secondo i loro canoni estetici (per lo più incentrati su nozioni non elaborate, apprese da due o tre generazioni di musicisti che hanno tramandato le stesse, sempre avendone cura di non rielaborarle), non possono che perpetuare lo scempio.

 

Il punto, a mio avviso, è un altro: che per ciò che riguarda i pianisti si finisce poi che, il mondo della musica, si concentra e si appassiona nel seguire il Van Cliburn e lo Chopin. (Che pure sono concorsi non del tutto immuni ai peccati di cui sopra; ma almeno ci provano).

 

Per quello che concerne i chitarristi che, invece, si ritengono musicisti mi chiedo: perché vi partecipano, a queste corride della musica, alimentando - anche economicamente - un sistema che, dal punto di vista musicale è completamente e inopinabilmente fallimentare? Se l'unico modo per mettersi in mostra è umiliarsi forse sarà il caso di riflettere sulla possibilità di trovare una terza via, o rimanere a casa. 


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Buona domanda: perché si partecipa ai concorsi, oggi?

Io credo che, tolta la curiosità giovanile, ai concorsi oggi partecipino musicisti che, all'inizio della loro carriera, vogliano 1) trovare un modo per farsi conoscere da questo o da quel personaggio presente in giuria, 2) arrotondare le entrate se sono certi di essere tra coloro che quasi certamente arriveranno a premi e 3) per rimpolpare il curriculum con voci che fanno tanta gola a chi scandaglia i titoli per l'attribuzione delle cattedre in scuole di ogni ordine e grado, con le dovute - poche! - eccezioni. Permane, poi, un'idea un po' romantica del concorso che scopra talenti e li lanci in una carriera folgorante e bla bla bla... Non ne vedo da anni.

 

Una domanda ancora migliore, secondo me, potrebbe essere: che cosa può offrire, oggi, la vittoria di un concorso? O - peggio - che cosa fanno, oggi, i vincitori dei concorsi per sfruttare l'offerta del "pacchetto premio"?

Ecco, qui le criticità sono tante. Si inizia con la scelta del repertorio, scelta operata da un comitato artistico, o da un direttore artistico... insomma, da qualcuno che, per mezzo di quella scelta, dovrebbe - si spera consapevolmente - indirizzare fin da subito il concorso in modo pressoché inequivocabile. Allo stesso modo, una notevole importanza riveste anche la scelta della giuria, vale a dire di quel manipolo di persone che decreterà in prima persona i parametri di giudizio secondo i quali il concorso avrà - o meno! - un vincitore. Ecco, a questo punto, la palla passa ai concorrenti: selezione dei brani a libera scelta, iscrizione, partecipazione, eliminatoria, semifinale, finale e vittoria... e poi???

I primi premi dei concorsi più importanti sono ghiotti in tre portate: premio in denaro, concerti e contratto discografico. Il primo è venale, quindi non c'è molto da dire, ma sui concerti e sul disco qualche considerazione si può fare, e non posso dire che le mie siano considerazioni felici.

La faccio breve: quanti si ricordano dei dischi di - chessò... - Petrit Ceku, che ha registrato per Naxos dopo aver vinto il Pittaluga nel 2007? O Elise Neumann, che ha registrato per Brilliant dopo aver vinto il Barrios appena due anni fa? Vengo al dunque: che cosa fanno questi vincitori per sfruttare una spinta così forte? Hanno delle vele sufficientemente robuste per catturare il vento che soffia loro in poppa?

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