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Edoardo Catemario

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Tutti i contenuti di Edoardo Catemario

  1. Sono contento di vederti qui, Francesco.
  2. appunto... Come ci arrivi a diecimila messaggi o più (per sedere alla destra del padre) con la qualità? Non è una critica, Cristiano, a me non fa nè caldo nè freddo restare novizio a vita... Cordialmente Catemario
  3. Se ti prende un attacco di logorrea, poi, basterà che dividi i tuoi messaggi in singole frasi... Magari così arrivi ad una media di 20 al giorno Cordialmente Catemario P.S Solo perchè non so se considerare "cordialmente" una frase...
  4. Alla media di 2 messaggi al giorno prima di essere una "devota" ti ci vorranno 15 anni (minuto più minuto meno)...
  5. Beh, non ti preoccupare Butterfly...
  6. La tua affermazione (ma probabilmente io non ho capito bene): "...non inseguendo modelli di riferimento che non hanno nulla a che fare con quello che oggi stiamo facendo (per chiarire: altro esempio del genere potrebbe essere il tentativo far riecheggiare nelle chitarra il clavicembalo quando si suonano Scarlatti ecc.)" mi ha indotto a pensare che stessi proponendo modelli estetici "idiomatici" desunti dallo "strumento" chitarra. L'esempio che hai riportato mi sembrava suggerisse appunto di non riferirsi a modelli clavicembalistici nel caso di Scarlatti, la qual cosa a me sembra autolesionistica. Un artista, nella mia immaginazione (citiamo ancora Glenn Golud?), è egli stesso un "ermeneuta". Chiunque voglia fornire canoni "scientifici" che sostituiscano interamente la sensibilità artistica o la "ingabbino" in una scatoletta preconfezionata è (a mio avviso) un folle. Io non intendo rinunciare alla purezza filologica in quanto ricerca; mi propongo piuttosto di usarla per comprendere come i canoni di interpretazione si siano evoluti attraverso i secoli. Il tutto nel tentativo di immedesimazione profonda con la musica che suono. La verità, di cui parlava Mullenbach, passa, a mio modestissimo avviso, anche per la filologia. Almeno quanto passa per il "confronto-dialogo" di socratica memoria e per la fusione degli orizzonti di Gadamer ... Vorrei aggiungere una personalissima sensazione. Mi sembra che, negli ultimi vent'anni l'interprete "analfabeta" stia finalmente lasciando posto ad un interprete culturalmente evoluto. Ciononostante, per quanto riguarda il livello culturale di una esecuzione, mi pare che stiamo assistendo ad una sorta di schizofrenia. Ci sono persone estremamente colte che, al momento di trasferire la propria cultura in una esecuzione, non sono in grado di trasformarla in ricchezza strumentale per nulla o solo in minima parte... Cordialmente Catemario
  7. Rassegnarsi ed accettare modelli strumentali autoreferenzianti, a mio modestissimo avviso, è prova di autolesionismo. Nella mia formazione ho considerato i modelli extrachitarristici una grande ricchezza. Io non ho dubbi. Nello lo scegliere tra un arpeggio di un chitarrista e la chiarezza polifonica di un coro propendo per la seconda. Cerco di ottenere la stessa chiarezza polifonica anche sul mio strumento lavorando sull'indipendenza timbrica e dinamica delle singole voci, ad esempio. Cerco i miei riferimenti in quelle esecuzioni che hanno fatto "tradizione" a prescindere che esse non siano state fatte da chitarristi... ascoltando e riascoltando Kirkpatrick o Ross prima di incidere Scarlatti o Demus prima di suonare Mozart. Sta poi all' intelligenza dello strumentista colto riuscire a rendere chitarristico un modello "culturale" extrachitarristico. Insomma, per quanto mi riguarda la musica suona "Musica" a prescindere dallo strumento che si suona. In una delle molte cene avute con Alexander Mullenbach (direttore della SommerAkademie di Salisburgo, eccellente compositore e pianista) ci siamo intrattenuti anche sul rapporto tra libertà esecutiva e rigore testuale. Riporto "a braccio" la sua tesi (che io ho adottato completamente). "Un esecutore dovrebbe cercare la verità della musica. La bellezza è di questa verità solo una parte. Ogni esecutore sarà in grado di ricostruire quel livello di verità del quale ha conoscenza o percezione. In questo senso lo studio quotidiano è il campo su cui si confrontano immaginazione e rigore". Molto cordialmente Catemario
  8. Quella mia sul "mondo dei chitarristi scalzi" era ovviamente una facezia. Anche se non del tutto priva di un qualche fondamento. Il fatto che ci siano ancora molte persone che si fanno abbindolare da questo o quel prodotto (chitarre, astucci, accordatori elettronici, lime per le unghie, prodotti rinforzanti ma anche repertorio etc) perchè usati dal "mito di turno" e che i "miti" si siano moltiplicati (c'è ancora bisogno dell'opera di diffusione di un valido concertista per poter scoprire del repertorio) non vuol dire che le persone non si lascino influenzare. Sbaglio o tu stesso parlavi dell'impatto devastante di una certa politica sottoculturale dei media? A me sembra che in molti ancora si "appoggino" a prassi di ascolto consolidato, a preconcetti esecutivi obsoleti, alla cultura del "sentito dire" ed altre amenità del genere. Senza contare che i malati di "cialtronite acuta" sono ancora un numero mica da ridere... Con questo non intendo dire che non ci sia speranza. Anzi. Due miei allievi hanno vinto il "Preistrager" di Salisburgo (sono cioè stati scelti fra i sei migliori musicisti giovani di tutta la SommerAkademie). Questo, se non erro, non succedeva ad un chitarrista dai tempi in cui lo vinse Josè Miguel Moreno. La cosa ha creato un minimo di attenzione intorno alla chitarra in un ambiente che normalmente non sa niente del nostro strumento. E ha aperto a loro due la possibilità di un discreto numero di concerti ed un disco... Il fatto che alcuni allievi privilegiati, di alcuni maestri che sanno cosa dicono, non siano influenzati o influenzabili, caro Lucio, non cambia gran che la situazione generale. Non ancora almeno. Se questi allievi diventeranno professionisti di buon livello ed avranno intelligenza musicale sufficiente a "fare la differenza", magari le cose saranno diverse... Cordialmente Catemario
  9. Le relazioni tra musica e matematica non sono un'invenzione del XX secolo. Bach (giusto per citarne uno) ha largamente utilizzato una gran quantità di relazioni numeriche (dalla serie di Fibonacci al numero Phi). Quando parla di aspetti buffi ed imbarazzanti, nella storia della composizione del XX secolo, ha qualcosa o qualcuno in particolare in mente? Cordialmente Catemario
  10. In un mondo di chitarristi se viene detto dalla persona giusta... pochi minuti! Basterà inventarsi che si tratta del rimedio naturale contro l'irrigidimento della spalla destra o sinistra o che permette al nostro quinto chakra di comunicare direttamente con la terra... Ci sono personaggi che hanno fatto scuola qualche anno fa proponendo improbabili soluzioni "extrachitarristiche". E che hanno avuto anche un bel po' di allievi... Bella chiave di lettura. Una canzone di qualche anno fa recitava: "I'm a Barbie girl in a Barbie world, life in plastic is fantastic..." Quanti preferiscono un mondo di plastica apparentemente perfetto ed uniforme alla vita reale? Quanti preferiscono la "similcarne di McDna" ad una "parmigiana di melanzane"? Cordialmente Catemario
  11. La stanzetta è un habitus mentale. Ci sono chitarristi che ne sono schiavi fisicamente (non si muovono dalla propria città neanche se gli sparano) ed altri che pur viaggiando a destra e a manca la stanzetta se la portano "dentro". La stanzetta (vera limitazione dell'orizzonte del pensiero) gli impedisce di riconoscere la bellezza (o la "verità") anche se vi ci sbattono il muso. Nella mia esperienza, volendo ricondurre questo discorso teorico ad una maggiore concretezza, ho potuto notare che quanto più uno strumentista è insicuro (per non voler dire "cialtrone", termine a me caro) tanto più procede per dogmi, si barrica dietro le sue intuizioni e rifiuta categoricamente l'idea di far parte di una scuola di pensiero perchè ciò minerebbe alla base l'alta considerazione che egli nutre per la propria originalità. Discorso a parte meriterebbe la capacità di ascolto. Mi pare (e qui vorrei conferma o smentita da chi abbia esperienze simili o discordanti dalla mia) che moltissime persone (e moltissimi chitarristi a prescindere dal livello) ascoltino un concerto in una disposizione d'animo molto pericolosa: quella "comparativa". "Non suona come suonerei io"... "Non suona come su disco"... "Non suona come ha suonato l'anno scorso"... "Non suona come il mio idolo"... Etc etc... Con questo non voglio dire che il pensiero critico di ognuno di noi possa prescindere totalmente l'esperienza e la comparazione ma che mi sembra fuorviante e fuorviato un giudizio basato aprioristicamente solo sulla comparazione. Cordialmente Catemario
  12. Vede, io cerco di capire se un determinato chitarrista ha qualcosa da comunicarmi. Cerco di allontanare dalla mia mente ogni preconcetto. Se una persona mi comunica qualcosa, a livello affettivo, razionale, emotivo o quant'altro, io sono felice... In generale non mi intrattengo a parlare con interpreti che non mi sembrano molto bravi. Nello specifico, non chiederei mai a qualcuno perchè sta arpeggiando sistematicamente ogni bicordo. Non mi interessa. Nè mi piace l'idea di "metterlo sulla graticola". Avrà fatto quella scelta (se è una scelta) perchè gli è sembrata la migliore o non ne ha trovate altre. Più in là semplicemente non arriva. Dal canto mio, se un esecutore ha dato prova di "cialtronite acuta", so che non andrò ad ascoltarlo una seconda volta. Per nulla antipatico invece. Io ascoltavo Lipatti ed Enescu, il quartetto Amadeus, Accardo... Ho preso treni e fatto lunghi viaggi per ascoltare tutte le prove di un determinato concerto di Celibidache... Ci sono persone chiuse nella loro minuscola stanzetta che preferiscono immaginare che il mondo si esaurisca all'interno di quell'angustissimo spazio. C'è chi non trova utile non dico confrontarsi con altri strumenti ma semplicemente ascoltare musica in cui la chitarra non sia inclusa. Ora, tutte queste caratteristiche si rifletteranno inevitabilmente nel modo di suonare. Perchè una esecuzione sia ricca di affetto, cultura ed energia (nonchè di consapevolezza) bisogna che l'esecutore in questione ne sia in possesso e sappia comunicarle. E che abbia lavorato con coscienza, a casa, cercando nel testo tutta la verità e l'immedesimazione di cui è capace. Affetto, cultura e consapevolezza non si improvvisano. Men che meno su di un palcoscenico... Cordialmente Catemario
  13. Il ruolo di un interprete è quello di restituire un brano nella sua "verità". Per questo ci si sforza di trovare, ogni giorno, nello studio, un compromesso tra rigore e fantasia. In questo senso qualunque "intuzione" basata sul rapporto istintivo con la musica è la benvenuta in fase di studio. Un esecutore attento cercherà di sottoporla al vaglio della propria cultura. Se supererà questo "setaccio" diventerà probabilmente parte della sua esecuzione in pubblico. Questo naturalmente presuppone che ci sia un lavoro "attivo" nei confronti delle proprie esecuzioni. Che si ascolti attentamente ciò che si fa e come lo si fa. Anche un "errore" interpretativo, uscito Dio sa come durante lo studio, può , a volte, essere lo spunto per l' approfondimento di un aspetto che non era stato considerato. Insomma anche un "errore" ha le sue possibilità creative. A mio modestissimo avviso, la differenza tra un esecutore mediocre ed un buon (o ottimo) esecutore sta nella "consapevolezza". E' importante che un'esecuzione non sia casuale. Includa cioè tutta la cultura, l'affetto e l'energia di cui siamo capaci... Cordialmente Catemario
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