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Questa discussione è nata dal thread "Compositori 2014" ed è stata isolata perché reputata di interesse.

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I giovani interpreti che vogliono iniziare una carriera concertistica credono che in un ipotetica finale di un concorso sia meglio portare l'introduzione e capriccio di regondi e la sonata di ginastera piuttosto che krenek o manèn


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So già che sono off topic ma probabilmente i giovani interpreti che vogliono iniziare una carriera concertistica credono che in un ipotetica finale di un concorso sia meglio portare l'introduzione e capriccio di regondi e la sonata di ginastera piuttosto che krenek o manèn

Ecco, appunto, i rivoluzionari. La Fantasia-Sonata di Manén fu composta nel 1929 e la Suite di Krenek nel 1953. Già nel 1935, Manén aveva capito l'aria che tirava, nel bel giardino del chitarrume, per il suo pezzo, e l'aveva messo in salvo realizzadone una splendida versione per orchestra, nei riguardi della quale parecchi direttori non sembrano nutrire le dubbiose circospezioni dei chitarristi: la eseguono senza timori (Salvador Brotons, Per Anderberg, per citare solo quelli con cui ho potuto discutere di persona alcuni aspetti emersi nel confronto tra l'originale per chitarra e la versione per orchestra). Nell'anno di grazia 2014, i chitarristi esitano ancora, e sognano l'avvento di compositori di genio che possano "rivoluzionare" il loro repertorio. Per il 2450.

 

dralig

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Ecco, appunto, i rivoluzionari. La Fantasia-Sonata di Manén fu composta nel 1929 e la Suite di Krenek nel 1953. Già nel 1935, Manén aveva capito l'aria che tirava, nel bel giardino del chitarrume, per il suo pezzo, e l'aveva messo in salvo realizzadone una splendida versione per orchestra, nei riguardi della quale parecchi direttori non sembrano nutrire le dubbiose circospezioni dei chitarristi: la eseguono senza timori (Salvador Brotons, Per Anderberg, per citare solo quelli con cui ho potuto discutere di persona alcuni aspetti emersi nel confronto tra l'originale per chitarra e la versione per orchestra). Nell'anno di grazia 2014, i chitarristi esitano ancora, e sognano l'avvento di compositori di genio che possano "rivoluzionare" il loro repertorio. Per il 2450.

 

dralig

 

Ed è musica di grandissimo spessore!

E' davvero incredibile come esistano pagine come quelle citate e si continuino a tritare le solite lagnandosi dell'assenza di repertorio e, di conseguenza, operando quelle che si chiamano scelte - quando invece sono imposizioni belle e buone - imbarazzanti tra cui trascrizioni per chitarra sola (sic) di musica orchestrale, musica da ascensore e pagine che sembrano scritte da un dilettante nel 1700.

E centinaia di opere di pregio accantonate con le solite scuse: il pubblico, il mercato, la comprensione, la difficoltà. Tutti problemi che, ovviamente, appartengono a chi li descrive.

 

So già che sono off topic ma probabilmente i giovani interpreti che vogliono iniziare una carriera concertistica credono che in un ipotetica finale di un concorso sia meglio portare l'introduzione e capriccio di regondi e la sonata di ginastera piuttosto che krenek o manèn

 

Emanuele, ti prendo in parola e ti domando: a che cosa serve fare una scelta simile?

O meglio: a che cosa serve vincere un concorso suonando musica imposta da uno standard che non appartiene a chi suona?

E quindi: che senso ha definirsi musicisti se la musica è scelta da altri (e non parlo di composizioni obbligatorie, ma quelle a cui ti riferisci, quelle che "si suonano nelle finali dei concorsi")?

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Ma come si fa a prendere un pezzo quasi sconosciuto e suonarlo in concorso se poi la commissione manco lo conosce??


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Ma come si fa a prendere un pezzo quasi sconosciuto e suonarlo in concorso se poi la commissione manco lo conosce??

Penso che se la commissione è composta da Musicisti  il problema non esiste!!! 

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Se la commissione ignora un pezzo scritto due settimane prima da un diplomato di chitarra che non sa che cosa sia la composizione e crede di stare componendo solo perché è capace di annotare sulla carta una serie di gesti che compie sul "suo strumento", non si verificheranno problemi: i giudici si renderanno conto dell'immaturità del candidato e lo elimineranno. Se invece la commissione ignorasse un pezzo scritto cinquant'anni prima da un compositore di indiscutibile profilo artistico-professionale (ad esempio, il citato Manén), allora sarebbe il candidato a dover eliminare la commissione, andandosene non appena si fosse reso conto di trovarsi di fronte a degli ignoranti.

 

dralig

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Personalmente, ho  un' esperienza ancor più difforme,

Nello scorso autunno il MIUR mi ha proposto  di andare a presiedere la giuria  della  sezione finale di Chitarra ed Arpa  all "Premio delle Arti", riservato ad una cinquantina di studenti già' selezionati nei rispettivi Conservatori di Musica. Ho accettato  per sgranchirmi un pò e per visitare il bell'Istituto bresciano.

Tale finale si svolgeva in due tempi, ma qualche parola risentita mi è venuta proprio dalle colleghe arpiste che non hanno esitato a definirmi "burocrate" perché volevo fosse applicato il regolamento, che voleva non fossero valutate le trascrizioni o spacciati per !moderni (o contemporanei) pezzi di oltre cent'anni or sono.

Fatto buon gioco a cattiva sorte, pur tenendo il punto,  memore delle comissioni di cui facevo parte  giovinetto, con  Clelia Gatt iAldovtandi (!) o  Marie Selmi.Dongellini, il concorso si è felicemente concluso.

Così pure è avvenuto per quello chitarristico, ma con una basilare differenza: nessuna trascrizione ammessa ed un buon numero di scelte che, sia alle eliminatorie che alla finale, prilegiavano il moderno,come da C.M.Unanimi naturalmente i due colleghi strumentisti che erano con me.

Se mai, e qui ritorno più propriamente in tema, si notava il privilegio accordato ad alcune composizioni sempreverdi: decine di "Fantasie" di Mertz e decine di "Sonate" di Ginastera!Fu come rimpinzarsi di pernici tartufate per tre giorni di seguito, e ad ogni pasto!

Nessuna musica italiana mioderna o contemporanea, qualche Giuliani, qualche Torroba, due o tre scelte di postavanguardia piegata alla chitarra.

Ora vi chiedo: possibilw che gli insegnanti  ( e qui si trattava di quelli opranti nei Conservatori), pur avendo dimostrato di ben curare gli aspetti tecnici dei propri pupilli, non abbiano pensato di andare oltre, e, perché no, di dare o far dare un'occhiatina alììodierna pletorica produzione  per chitarra? D'acciordo, sono quasi tutte povere cose non adatte ad un programma di concorso, ma qualcosa di buono ci sarà pyre, o no? Se  tutti i contemporanei sono così dappoco, specie gli italiani, non è un'ostinazione continuare ad occuparsi di chitarra?

Io però credo di no.

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Se non cambiano le giurie non cambiano i musicisti.... :(

Sono rarissimi i concorsi dove le giurie sono composte da persone competenti.

Ma guardate anche i pezzi obbligatori... sono sempre gli stessi!!


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Se non cambiano le giurie non cambiano i musicisti.... :(

Sono rarissimi i concorsi dove le giurie sono composte da persone competenti.

Ma guardate anche i pezzi obbligatori... sono sempre gli stessi!!

Credo che sia anche necessario chiedersi che cosa si vuole dai concorsi. Da parte mia credo che possano essere delle utili occasioni di confronto, e anche dei modi di testare la propria preparazione: è sempre utile darsi delle scadenze ed avere un punto verso il quale organizzare il proprio studio.

Tuttavia il problema di cui si sta dibattendo (l'omologazione del repertorio, e forse anche dell'interpretazione) credo derivi da quel modo di pensare per il quale i concorsi sono percepiti come l'unico viatico ad una carriera "che conti". Questa percezione crea uno standard - di repertorio, di scelte interpretative e a volte perfino di "suono" - cui ci si deve riferire, contribuendo così ad un appiattimento generale della pratica chitarristica.

Vorrei concludere segnalando un bellissimo articolo di Emanuele Arciuli, affermato pianista, apparso sul "Giornale della musica" qualche settimana fa: in esso la questione di cui si sta scrivendo in questo thread viene accennata forse marginalmente, ma mi sembra che si vada ad individuare l'origine di tanti problemi che affliggono il mondo dell'interpretazione musicale.

 

http://www.giornaledellamusica.it/blog/?b=439


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Tuttavia il problema di cui si sta dibattendo (l'omologazione del repertorio, e forse anche dell'interpretazione) credo derivi da quel modo di pensare per il quale i concorsi sono percepiti come l'unico viatico ad una carriera "che conti".

 

 

Ecco, mi piacerebbe sapere quali sono, oggi, i concorsi che contano, dato il loro esorbitante numero. C'è ancora sulla piazza un concorso che garantisca qualcosa, in termini di concerti, registrazioni, visibilità mediatica, all'interpete che lo vince?

 

L'articolo proposto ha degli spunti interessanti: mi fa piacere che si rifletta sulla componente dell'errore umano come dato intrinseco alla performance, che dovrebbe appunto essere qualcosa di profondamente diverso dalla registrazione...per far si che ciò avvenga bisogna rischiare, passare, come insegna la semiologia, dalla rappresentazione all'azione, A differenza dell'autore sono però certo che il pubblico, il famigerato pubblico non aspetti altro, e che ardentemente desideri partecipare a qualcosa di vero, di emozionante e di non ripetibile. Diciamolo senza peli sulla lingua, molti chitarristi ( così come gli interpreti di altri strumenti) inducono al sonno profondo.

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