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Colloquio con Andrés Segovia, Angelo Gilardino


Marcello Rivelli

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Gli è che non ho nulla da aggiungere alla discussione. Posso solo raccontare la storia della genesi del pezzo. Nel 2001, si celebrarono a Linares le esequie di Andrés Segovia. Mancato il 3 giugno 1987 a Madrid, fu sepolto nel cimitero maggiore della capitale, ma solo temporaneamente. Aveva infatti disposto che le sue spoglie fossero tumulate nella cittadina andalusa che gli aveva dato i natali. La comunità linarense impiegò anni a istituire la fondazione Segovia e a ristrutturare l'edificio che avrebbe ospitato, in una cripta (per la verità alquanto lugubre), la tomba del maestro.. Infine, nel 2001 tutto fu pronto, e il 3 giugno 2001 ebbe luogo la traslazione. Linares celebrò i funerali come se Segovia  fosse morto lì il giorno prima. Per l'occasione, fui incaricato di comporre un brano celebrativo. Era, per dirla in metafora rural-piemontese, una bella gatta da pelare. Chiunque abbia che fare con il "mondo della chitarra" può ben mettersi nei miei panni...Decisi dunque di compiere, nella città in cui era morto Manolete, una bella "veronica" e, invece di comporre un pezzo per chitarra - azzardo non meno temibile che quello corso da Manolete nell'affrontare il toro Islero, che gli risultò fatale - realizzai una delicata (almeno nelle mie intenzioni) versione per orchestra d'archi di quattro pezzi per chitarra sola scritti da tre diversi compositori (Ponce, Haug, Castelnuovo-Tedesco) per Segovia. Furono eseguiti in un memorabile concerto dell'Orchestra da Camera di Madrid, e io ne venni fuori illeso e persino festeggiato. Ma lì - tra i molti chitarristi che non me l'avrebbero fatta passare liscia se avessi scritto un pezzo per chitarra "approfittando" del funerale di Segovia - c'era anche Frédéric Zigante, il quale, a cena, mi disse che non me l'avrebbe fatta passar liscia lui, la veronica, e che il pezzo per chitarra in omaggio a Segovia lo dovevo sputar fuori comunque - tanto il momento del pericolo era finito, e nessuno avrebbe più trovato nulla da ridire. Tentai un'altra veronica, ma il prof di Torino mi marcava stretto, e d'altra parte aveva ragione, ben sapendo che il pezzo per chitarra sola io l'avrei anche avuto in mente, e che non mi sarebbe dispiaciuto scriverlo, se non fosse stato che, così facendo, avrei suscitato un altro putiferio, dopo quello del 1997, e mentre un putiferio può risultare divertente, due potrebbero causare noiosa assuefazione. Fu così che, nell'estate nel 2002, in quel di Muzzano biellese, e precisamente nella vasta casa dei Salesiani, dove si svolgevano i corsi di chitarra ex-Trivero, rifugiandomi per quattro giorni in portineria - dove peraltro espletavo impeccabilmente le funzioni del padre portinaio che mi aveva lasciato in usufrutto il suo gabbiotto - e sebbene sprovvisto di chitarra - ma abbondantemente munito di carta da musica e di pennarello - scrissi il "Colloquio con Andrés Segovia", dedicandolo doverosamente all'amico Frédéric, che ne fu anche il primo esecutore. Il brano ha ottenuto quasi unanime consenso, e inoltre è stato vigorosamente ingiuriato da un gagliardo campione del chitarrume italiota, il che è valso a rassicurarmi definitivamente dei suoi meriti. Forse ne farò anche una versione per archi, ma non per un funerale. Magari per un divorzio.

 

Vostro aff.mo, dralig. 

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Come sentivo la pulsione a leggere  Angelo (cosa soddsdisfatta, sia pure impersonalmente) così sento la spinta a comunicare al buon Iervolino che quella musica è tutt'altro che "esilarante" e tanto meno lo è l'esecuzione di Marcello.

Loro non se ne adombrerànno, ma tireranno un piccolo sospiro.

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Il protossido d'azoto  veniva usato un tempo come anestetico soprattutto dai dentisti, Non vorrei che in futuro venisse sostituito da esecuzioni di chitarra, specie se omaggianti il fu Segovia.

Si chiama anche "gas esilarante" perché,  volgendo al termine il suo effettio, induce un senso di incontrollabile euforia, termine che sta a significare un buonumore o un riso talvolta patologici; e non mi sembra questo caso.

Io non ho mai respirato questo "benedetto gas" e non so dire quali effetti musicali induca, ma certamente li iummagino diversi da quelli dell'ascoltare la chitarra.

Quando me scrive (Beltramelli) , contrariamente al mio interlocutore, io cerco di non pensare a "molte cose" ma, potendo, controllo le mie idee, e cerco non parlare della "mia" musica ( che per gigioneria mi viene ora da definire  scarna e narginale ).

 

Non ho scritto quanto sopra per fustigare la spontaneità di Iervolino, tutt'altro.... ma vorrei invitarlo a riflettere di più, magari dopo essersi "esilarato" con il "Contrappunto bestiale alla mente" o il " Carnevale degli animali".

 

 

Nota personalissima =  Può darsi che qualcuno si chieda perché ultimamente il sottoscritto sia così presente sul forum. 

Ciò dipende dal fatto che poco riesco a scrivere e soprattutto a leggere, a causa di un intervento ad un occhio. La scrittura essendo qui ben contrastata, non mi crea problemi , mentre rimango in attesa dell'oculista che mi prescriva un bel paio di lenti. I miei anici lo sanno. 

Ciò non vuiol dire che in futuro sarò assente.                     

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ma figurati se "vieni tolto" dal forum Raffaele, stai sereno, vivi bene la musica e via. E dove sarebbero quegli avvertimenti?

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Carissimo Carlo, nel dar seguito a un tuo messaggio, ho iniziato la mia risposta a modo di continuazione causata ("...Gli è che...") del tuo scritto, sicché del mio è difficile pensare che eluda un riferimento personale. Anche se - scrivendo su un forum - è bene non personalizzare gli scambi: ci osserva la meglio gioventù, e tu ed io, vecchi, non dobbiamo parlare tra di noi.

 

L'idea del gas non mi dispiace. Non tutti i gas sono venefici, e pare che ne esistano anche di stimolanti, con effetti palpabili - sebbene, e purtroppo, temporanei - sull'IQ. Una buona spruzzata nelle sale, prima dell'inizio dei concerti di chitarra, mi sembrerebbe - se priva di effetti collaterali - provvidenziale.

 

dralig

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ad ogni utente compare la sua situazione avvertimenti, quindi vedrai solo la scritta sotto il tuo avatar, ma non sotto a quello di altri utenti. 

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Dimenticavo, un "dettaglio" importante, per i più attenti che hanno studiato il brano (e potrebbero pensare ad un errore o svista). 

Di solito sbaglio accidentalmente le note o più precisamente le sporco, ma non la forma o il suono. 

(Mi stanno più a cuore)

La mia esecuzione del "Colloquio" prevede un.. "ghiribizzo"personale  che potrebbe far arrabbiare l'autore. 

 

Mi spiego, nella seconda sezione,  quando avviene la ripresa della prima sezione (A-B-A semplificata ma il brano realmente si presenta con la forma A-A-B-A-B-A) questa termina con l'armonia di Mi minore. Io invece "amo" terminare nuovamente con la dominante Si (come accade nella prima esposizione di A) per effettuare la ripresa di B che invece si presenta sul V grado Si ma nel modo minore. 

 

Mi piace molto di più questa soluzione, la trovo personalmente più..intrigante, perché la conclusione sul tono principale di MI mi dà un senso di vera conclusione e non mi viene spontaneo poi fare il ritornello.

Spero di essermi spiegato. La soluzione che adotto mi ricorda, ad esempio, la Sarabande di Bach della Suite Bwv 996 dove, se ricordate il Kantor conclude la prima parte al tono della dominante (Mi minore-Si Maggiore) ma..riprende la seconda sezione B al quinto grado, Si, dominante, ma nel tono parallelo minore eludendo la.. prassi abituale.

 

Insomma se il Magister riterrà che questa "cosa" sia tale da meritare una scomunica vorrà dire che per espiare la mia colpa onde aver osato modificare una battuta (già inserita e prevista dall'autore però) rifarò il "cammino di Santiago" fino a Compostela in memoria di A.S. ma questa volta al posto di farlo in auto, come feci anni fa ;) ..effettuerò il percorso a piedi (come dovuto dalla tradizione) in più suonando il colloquio per tutto il tragitto.. 

 

con simpatia

marcello

 

Sarebbe bello ripartire da questo punto, colloquiando con il compositore!!! E' sempre intrigante conoscere i "perchè" della musica. 

 

PS Per Santiago, se vuoi Marcello, sono disposto a farti compagnia.

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Sarebbe bello ripartire da questo punto, colloquiando con il compositore!!! E' sempre intrigante conoscere i "perchè" della musica. 

 

PS Per Santiago, se vuoi Marcello, sono disposto a farti compagnia.

 

E' irreale credere che il compositore possa avere un'idea definitiva della sua musica, anche solo di una sua composizione. Un solo aspetto della musica è parametrato con precisione assoluta: l'altezza delle note. Dalle durate in poi, non c'è nulla di assoluto, e a nessun compositore al mondo è dato di ripercorrere nella sua mente un proprio pezzo per due volte in modo identico. Poiché la musica giunge agli interpreti attraverso una rappresentazione simbolica, è chiaro che non ha senso raccomandare ai medesimi di "suonare quel che è scritto", semplicemente perché ciò è impossibile. In realtà, l'interprete legge in apparenza da un leggio, ma non può dare dei comandi alle proprie dita se non passando attraverso una sua, previa rappresentazione mentale della musica, cioè attingendo a un leggio virtuale che egli forma osservando quello fisico. Aspettarsi che tale leggio virtuale coincida con quello del compositore - il quale, tra l'altro, non è in grado di formarsene uno definitivo, e lo varia di continuo - è pura illusione. Si tratta di una perdita, di uno scacco? No, io credo proprio di no. Dopo un'esecuzione del "Bolero", Ravel visitò Toscanini in camerino e si dolse con lui del tempo troppo svelto, al che il direttore gli rispose: "Lei della sua musica non capisce proprio niente". E' una battuta, ma si iscrive perfettamente nella realtà. 

 

Quello che Marcello sceglie nell'esecuzione del "Colloquio" - come in tutte le sue interpretazioni -  corrisponde al suo modo ossessivo e maniacale di considerare ogni nota come un mattone di una costruzione in cui quello che conta, alla fine, più che la levigata perfezione del singolo mattone, è l'architettura, il profilo-volume dell'intero edficio nei suoi rapporti interni e nella sua spazialità. Io gli ho insegnato il valore formale dell'interpretazione, lui ha in un primo tempo accolto questa visione, salvo poi trasformarla in un suo progetto,  in cui tenta di annullare la dimensione temporale per comprimere tutta la fenomenologia della percezione in un'unità che lui vorrebbe rendere sincrona, mentre neppure la percezione di un'architettura riesce a rendersi sinottica. Tanto gentile e tanto onesto "pare", ma in realtà è un folle. 

 

dralig

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E il pubblico lo muore. 

 

Il pubblico non è una componente ancillare del fenomeno musicale, caro Alfredo. Ne fa invece parte strutturalmente. L'ascolto è attivo, e - sebbene siano ancora, a quanto ne so, da studiare scientificamente - le sue "attività" interagiscono con quelle degli interpreti in misura tale da concorrere al "totale" musicale. Il compositore immagina un'opera e ne "significa" ciò che è rappresentabile in una scrittura simbolica, inevitabilmente approssimativa; l'interprete, a partire da quei simboli, costruisce a sua volta un progetto sonoro - sia esso scorrevole, a flusso, alla  Segovia, o a utopia architettonica, alla Marcello Rivelli - e l'ascoltatore, oltre ad "ascoltare", restituisce all'interprete, in una sorte di feed back quasi simultaneo all'audizione, una componente partecipativa, che influenza l'esecuzione ancora in corso. Per questo motivo gli interpreti-architetti preferiscono la registrazione al concerto: li molesta l'idea che altri possa mettere mano a quello che loro vanno edificando.

 

dralig

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