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Glenn Gould e le quattro Ballate di Brahms


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Glenn Gould Toronto, 25 settembre 1932 – Toronto, 4 ottobre 1982

La registrazione più recente che ho realizzato è quella delle quattro 'Ballate' di Brahms. Le ho registrate a New York tre settimane fa. Ora, prima di prendere la decisione di registrarle non le avevo mai suonate e neanche lette a prima vista - e nemmeno ascoltate (ad eccezione della prima, nella quale si cimentavano molti miei compagni del conservatorio). (A Lei giudicare cosa questo rivela sul repertorio pianistico). 
Presi questa decisione circa due mesi prima di effettuare la registrazione, e durante le sei settimane che seguirono studiai la partitura di tanto in tanto, elaborando una concezione molto chiara del modo in cui avrei affrontato le 'Ballate'. L'ultima mi parve particolarmente difficile. A suo modo è mirabilmente bella, quasi un inno, e ciò che me la fa amare è che si tratta di una di quelle opere relativamente rare di Brahms nelle quali egli lascia la propria immaginazione - una sorta di flusso di coscienza - predominare sul suo senso del disegno - dell'architettura. Ma è difficile da rendere anche per questa ragione. Malgrado tutto sono riuscito a trovare un tempo accettabile e che dia un'unità a tutti gli episodi. 
Ma quanto a suonarle, solo nelle due ultime settimane mi sono messo al pianoforte e, al contrario di quanto mi succedeva quando ero bambino (e di cui ho solo più un ricordo molto sfumato), sono in grado di dirle abbastanza esattamente quanto tempo ci ho passato, dato che da qualche anno ho preso l'abitudine di cronometrarmi quando sono alla tastiera per evitare di esagerare. Rimasi dunque al pianoforte, come mia abitudine prima delle sedute di registrazione, una media di un'ora al giorno. In un paio di occasioni ho raddoppiato questo tempo per una ragione o per un'altra, per esempio perché un certo giorno avevo dovuto assentarmi per fare un lavoro di montaggio. Ouell'ora mi permetteva comunque di suonare due volte da cima a fondo le Ballate (durano quasi esattamente una mezz'ora in tutto), e di riflettere sulle modifiche concettuali che volevo apportare. Ciò premesso, quelle modifiche concettuali si erano consolidate - inutile precisarlo - per il fatto stesso che avevo lasciato svolgersi tutte le 'Ballate' dozzine di volte nella mia testa, guidando la macchina o dirigendole con l'immaginazione nel mio studio. Ed è là, in effetti, che ho passato più tempo a "elaborarle". 
In ogni caso sono passate tre settimane dalla fine delle sedute di registrazione, e da allora non ho più toccato il pianoforte. Attualmente mi dedico al montaggio, al missaggio, ad attività extra-pianistiche, se non extra-musicali, e non penso di fare nuove registrazioni prima di due mesi circa, ancora Brahms, le due 'Rapsodie'. A quel punto il processo si rimetterà in moto e di nuovo, nelle due settimane precedenti la registrazione, rifarò le mie piccole incursioni quotidiane di un'ora alla tastiera. 
D. D. - Si rende conto che questo sembra veramente incredibile? 
G. G. - Sembra che questo contravvenga all'esperienza comune, ma è così.
D. D. - E quando, dopo sei o otto settimane, Lei ritorna allo strumento, non ha l'impressione che le dita rifiutino di collaborare e che e ci vogliano un certo numero di giorni per ristabilire la coordinazione voluta? 
G. G. - Al contrario. Quando ritorno al piano dopo un lungo periodo di tempo suono senza dubbio meglio che in qualsiasi altro momento, nel senso puramente fisico del termine, perché l'immagine mentale che governa quello che si fa è allora al suo punto più intenso e più preciso, perché non è stata confrontata alla tastiera, e dunque non è stata distratta nella purezza della sua concezione, nella sua relazione ideale in rapporto alla tastiera.

Tratto da 'No, non sono un eccentrico', pp. 196 ss.

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