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Stimolare e invogliare: certamente! Un insegnante deve farlo sempre.

Ma dando anche ad intendere che non sono tutte rose e fiori e che lo studio è fatica, ricerca e sacrificio, che il carico è diviso tra insegnante e allievo e che non esiste la bacchetta magica per risolvere le questioni tecniche e musicali (cosa che molti allievi si aspettano. Spesso.)

Trovo quest'approccio didattico un pò troppo violento.

La pratica musicale è ben diversa da quella di una qualsiasi attività agonistica sportiva o di altro genere. La musica non è solo fatica, sacrificio, dolore...

c'è anche qualcos'altro di più importante, credo, e cioè il piacere e la gioia di sentire anche dei semplici suoni che vibrano nell'aria.

 

Io da ragazzino non studiavo affatto, ero un bambino che suonava e basta. Non mi piaceva studiare tecnica e studiare tanto. Ma nessun maestro, per mia fortuna, me l'ha mai fatto pesare... anzi!!

Questo non mi ha impedito di riuscire a conquistare qualche soddisfazione in campo artistico.

 

Quando parlo di incoraggiamento lo faccio perchè sò, ormai per esperienza, che vi sono allievi con tempi e modi più "tranquilli" di altri.

Un atteggiamento aggressivo nei confronti di costoro li rovinerà per sempre.

 

Il punto è semmai un altro.

L'allievo, già dai primi anni deve imparare a suonare di fronte ad un pubblico. Deve assaporare le emozioni che si provano in quelle circostanze.

Ricordo i miei primissimi saggi scolastici meglio dell'ultimo concerto della scorsa settimana. Emozioni fortissime, gli applausi, i complimenti, le strette di mano, i regali.

Queste sono le cose di cui un ragazzo ha bisogno. Vedrai poi come studia! :D

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Finchè non si riusciranno a creare due canali distinti tra indirizzo didattico e indirizzo concertistico, il percorso di studio ufficiale dei conservatori rischierà di essere una coperta troppo corta da una parte o dall'altra.

 

D'accordo con Francesco per la scuola aperta a tutti, d'accordo con Cristiano per la selezione, ma credo si tratti di due settori separati, difficilemente conciliabili.


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D'accordo con Francesco per la scuola aperta a tutti, d'accordo con Cristiano per la selezione...

Sei di centro, insomma! :lol:


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è vero che ognuno ha i suoi tempi,ma credo che bisogna alzare un po' la mira con la nuova generazione di allievi.Oggi ci sono in giro ottimi insegnanti e concertisti molto più preparati di 20 anni fa.Come è possibile che un pianista studia 24 preludi e fughe(per non contare i piccoli pezzi,le invenzioni a due e tre voci,le suites inglesi e francesi),mentre un chitarrista può comodamente portare una sola suite al diploma?Io credo che sia una questione di metodo.E sono fiducioso nella nascita di schiere di professionisti che non debbano pensare a fraseggiare "come farebbe un pianista".


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Stimolare e invogliare: certamente! Un insegnante deve farlo sempre.

Ma dando anche ad intendere che non sono tutte rose e fiori e che lo studio è fatica, ricerca e sacrificio.

 

Il termine fatica a mio parere puo' essere diviso in due branche:fatica fisica e fatica psichica.Credo che se la prima è un segno naturale attribuibile ai limiti umani la seconda è segno di disagio psicologico e ''costrizione'' mentale.

Pertanto reputo che il superamento di ostacoli avvenga facilmente nel momento in cui ci sia una grande passione per cio' che si fa ;viceversa nel momento in cui si avverte pesantezza nell'effettuare una determinata cosa bisognerebbe domandarsi se ci si sente chiamati a farla.


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D'accordo con Francesco per la scuola aperta a tutti, d'accordo con Cristiano per la selezione...

Sei di centro, insomma! :lol:

 

Esatto, giusto per arrivare al centro del problema.


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E sono fiducioso nella nascita di schiere di professionisti che non debbano pensare a fraseggiare "come farebbe un pianista".

 

Ho la sensazione che i maggiori pianisti contemporanei avrebbero comunque qualcosa da insegnare ad alcuni grandi nomi della chitarra.

 

Spero anch'io che la situazione si pareggi quanto prima. Non è un fatto di fraseggio, ma di consapevolezza.

 

Ben vengano le giovani schiere, gli eserciti del futuro della chitarra. Sono fiducioso.


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E sono fiducioso nella nascita di schiere di professionisti che non debbano pensare a fraseggiare "come farebbe un pianista".

 

Ho la sensazione che i maggiori pianisti contemporanei avrebbero comunque qualcosa da insegnare ad alcuni grandi nomi della chitarra.

 

Spero anch'io che la situazione si pareggi quanto prima. Non è un fatto di fraseggio, ma di consapevolezza.

 

Ben vengano le giovani schiere, gli eserciti del futuro della chitarra. Sono fiducioso.

 

Sembrerebbe che tu ti consideri fuori dalle "giovani schiere". A 35 anni, un interprete è nei suoi anni verdi, o Giulio, la giovinezza anagrafica starà anche per svanire, ma quella artistica è assai più lunga, e la maturità arriva quando i capelli incominciano a stingere.

 

Io ho visto all'opera diverse generazioni di interpreti, e devo dire che la svolta decisa l'ho vista solo con l'avvento degli esecutori che oggi hanno 35 anni (più o meno). In precedenza, c'era stato un progresso nella continuità, non un salto culturale. La capacità di prendere di petto il repertorio, di affrontarne la complessità con una mente priva di timori e di pregiudizi, il coraggio di misurarsi con pagine mai eseguite, la disponibilità di tecniche flessibili, prive di filtri inibitori, l'ho vista solo con il sopraggiungere dei chitarristi nati dal 1970 in poi. Prima, c'erano solo delle eccezioni.

 

Quindi non è all'arrivo di una nouvelle vague di giovani che bisogna guardare con speranza oggi, ma alla presenza attiva di concertisti che sono già in piena attività e che, sia pure sul versante di una minoranza numerica - rispetto alla pleiade di chitarristi che pensano e suonano in continuità con il passato - hanno già determinano un cambiamento epocale.

 

dralig


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E sono fiducioso nella nascita di schiere di professionisti che non debbano pensare a fraseggiare "come farebbe un pianista".

 

Ho la sensazione che i maggiori pianisti contemporanei avrebbero comunque qualcosa da insegnare ad alcuni grandi nomi della chitarra.

 

Spero anch'io che la situazione si pareggi quanto prima. Non è un fatto di fraseggio, ma di consapevolezza.

 

Ben vengano le giovani schiere, gli eserciti del futuro della chitarra. Sono fiducioso.

 

Sembrerebbe che tu ti consideri fuori dalle "giovani schiere". A 35 anni, un interprete è nei suoi anni verdi, o Giulio, la giovinezza anagrafica starà anche per svanire, ma quella artistica è assai più lunga, e la maturità arriva quando i capelli incominciano a stingere.

 

Io ho visto all'opera diverse generazioni di interpreti, e devo dire che la svolta decisa l'ho vista solo con l'avvento degli esecutori che oggi hanno 35 anni (più o meno). In precedenza, c'era stato un progresso nella continuità, non un salto culturale. La capacità di prendere di petto il repertorio, di affrontarne la complessità con una mente priva di timori e di pregiudizi, il coraggio di misurarsi con pagine mai eseguite, la disponibilità di tecniche flessibili, prive di filtri inibitori, l'ho vista solo con il sopraggiungere dei chitarristi nati dal 1970 in poi. Prima, c'erano solo delle eccezioni.

 

Quindi non è all'arrivo di una nouvelle vague di giovani che bisogna guardare con speranza oggi, ma alla presenza attiva di concertisti che sono già in piena attività e che, sia pure sul versante di una minoranza numerica - rispetto alla pleiade di chitarristi che pensano e suonano in continuità con il passato - hanno già determinano un cambiamento epocale.

 

dralig

 

Sicuramente Angelo, nel menzionare le giovani generazioni, mi mettevo anch'io tra questi!

 

A parte il fatto che nel 2007 il concetto di giovinezza si è spostato ulteriormente a livello sociale (basta vedere i "ragazzi" quarantenni di Piazza Arnaldo a Brescia o della casa del Grande Fratello) e ci vuol poco per intuire che in questo senso credo ci sarà un'ulteriore evoluzione.

 

Quello che ritengo essere il vero spirito giovanile sta innanzitutto nella curiosità unita alla fiducia e a un certo senso dell'incertezza. Incertezza non intesa in senso lavorativo ma come senso del dubbio. Guardando ad un Bernstein o ad un Horowitz in età avanzata la prima cosa che ho sempre pensato era alla giovinezza che si portavano dentro.

 

Perdere curiosità e dubbi penso sia la peggior cosa che possa capitare ad un artista.


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Quando parlo delle responsabilità degli insegnanti mi rifaccio ad alcuni ricordi relativi al Concorso riservato di Roma del 2000, per ottenere l'abilitazione all'insegnamento di strumento musicale.

Non so chi di voi abbia partecipato ma alcune, tante, di quelle "dimostrazioni di lezioni pratico-teoriche"a cui ho assistito mi hanno convinto che un sano aggiornamento obbligato per la categoria sarebbe il benvenuto. Mi ci metto anch'io ovviamente, nessuno è escluso dal poter rimettere in gioco la propria attività...

Ciao

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