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Inviato

 

L'interprete deve saper intervenire allo scopo di esaltare (e non ribaltare) le intenzioni del compositore, ma attraverso scelte, mezzi e criteri appartenenti al suo bagaglio espressivo.

 

è necessario distinguere ciò che vorremmo, da ciò che effettivamente è, nella prassi dell'interpretazione

l'interprete fa ciò che è nelle sue possibilità di fare, fossero anche queste possibilità, quelle di stravolgere il testo musicale...

più che tra compositore e interprete io virerei questa discussione sul versante del rapporto, più stretto, tra interprete ed analisi musicale

l'interpretazione è indubbiamente già di per se, nel 900, la testimonianza più alta dell'analisi musicale

viceversa essendo l'interprete libero, anche nel manifestare la propria mediocrità, è labile spesso il confine tra la bellezza della chirurgia analitica musicologica e la noia, risultato dell'ennesima produzione musicale dei soliti classical evergreens

 

Per chi ci legge, è importante innanzitutto comprendere il significato del termine "interpretazione". Normalmente, in campo musicale interpretazione si identifica con esecuzione. L'esecuzione è certo interpretazione, ma esistono altre forme di interpretazione: lo studioso che legge un testo musicale al fine di comprenderlo e di scrivere, su di esso, un saggio o un articolo, senza necessariamente eseguirlo, è sicuramente un interprete. In senso lato, si può interpretare anche componendo: per esempio, Debussy interpreta Rameau, Ravel intepreta Couperin, Britten intepreta Dowland, etc (lungo elenco).

 

L'analisi musicale è una forma di interpretazione in se stessa, ma è anche uno strumento per l'interprete-esecutore. Lo aiuta a fissare più nitidamente e tenacemente gli aspetti di quella che diverrà la sua esecuzione. D'altra parte, anche l'esecuzione che va direttamente al testo attraverso una semplice lettura, e non passa attraverso un'analisi formalizzata, diviene analisi nella misura in cui adotta scelte particolareggiate e non lascia nulla al caso. Mentre, d'altra parte, rimane tuttora problematica la descrizione delle relazioni dimostrabili tra un certo tipo di analisi musicale e l'atto esecutivo.

 

Se, da un lato, chiamare analisi una pedissequa tracciatura del percorso armonico di una composizione, e la scomposizione della sua forma in sezioni, mi sembra un po' anacronistico (ma è quello che tuttora si fa nei conservatori, salvo qualche eccezione), d'altro canto tradurre in qualche indicazione concretamente utile - all'alto dell'esecuzione manuale di un'opera - le conclusioni di certe analisi musicali, mi sembra chimerico.

E se, da un lato, ci fa sorridere l'analista naif che chiama sol minore una triade data sul quarto grado della tonalità di re minore, d'altra parte non saprei quale importanza possa rivestire, ai fini interpretativo-esecutivi, la lettura di un saggio sulla klangfarbenmelodie, alla fine del quale non si riesce a capire in alcun modo che cosa sia la klangfarbenmelodie.

 

dralig


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Inviato

Anche Gould disse ad Oskar Morawetz che non capiva la sua musica, dopo un' esecuzione della Fantasia in re minore...

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