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Musica antica: filologia inutile?


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Premetto che scrivo da pochi giorni e non so se esiste già una discussione sull'argomento.

 

Credo che "La prassi esecutiva del repertorio antico" potrebbe essere anche un ottimo spunto di discussione.

Mi piace molto la musica antica, soprattutto quella spagnola ed inglese: ho scoperto entrambe tramite le interpretazioni di Julian Bream, che mi sembra le suonasse, con qualche libertà, su strumenti dell'epoca (chiedo conferma ai maestri).

 

Molti "chitarristi" ricercano un'interpretazione filologica, io, invece, non credo alle interpretazioni filologiche, se non su strumenti dell'epoca. La chitarra è uno strumento nuovo rispetto a quei brani, paradossalmente è un altro strumento, in più, di mezzo, ci sono secoli di evoluzione e cambiamenti nell'uomo: è per questo che, con la chitarra, cerco interpretazioni più libere senza stravolgere il brano, insomma un'esecuzione "liminare" e (ma forse straparlo) emozionale.

 

Chiedo a voi cosa ne pensate dell'argomento e se esistono tacite convenzioni in ambienti accademici o in sede di concorsi.

 

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L'iunica convenzione che personalmente considero è di essere coerente con lo spartito e con l'autore. La "personalizzazione" della musica, soprattutto nel repertorio antico, è cosa rischiosa. Non a caso sono pochi quelli in grado di dire qualcosa suonandola, senza girare nella solita minestra. Certo, la chitarra è uno strumento di compromesso per quanto riguarda un certo repertorio, ma prefersco ascoltare una suite per liuto sulla chitarra, ben suonata e, appunto, senza troppi sbrodolamenti, che su un liuto approssimativo, tipo quello di Bream, che di liuto aveva solo la forma ma per il resto era assolutamente una chitarra...(senza nulla togliere al grande Bream, ma quelle esecuzioni non mi piacciono). In sede di esami e concorsi bisogna innanzitutto convincere chi ti ascolta di essere cosciente delle proprie scelte esecutive, al di là ancora della loro valenza filologica.

Ciao!

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L'iunica convenzione che personalmente considero è di essere coerente con lo spartito e con l'autore. La "personalizzazione" della musica, soprattutto nel repertorio antico, è cosa rischiosa. Non a caso sono pochi quelli in grado di dire qualcosa suonandola, senza girare nella solita minestra. Certo, la chitarra è uno strumento di compromesso per quanto riguarda un certo repertorio, ma prefersco ascoltare una suite per liuto sulla chitarra, ben suonata e, appunto, senza troppi sbrodolamenti, che su un liuto approssimativo, tipo quello di Bream, che di liuto aveva solo la forma ma per il resto era assolutamente una chitarra...(senza nulla togliere al grande Bream, ma quelle esecuzioni non mi piacciono). In sede di esami e concorsi bisogna innanzitutto convincere chi ti ascolta di essere cosciente delle proprie scelte esecutive, al di là ancora della loro valenza filologica.

Ciao!

 

Lo studio delle prassi esecutive non è un punto d'arrivo, ma un sussidio che si integra alla preparazione dell'esecutore aggiungendosi alle sue conoscenze (solfeggio, armonia, contrappunto) e alla sua tecnica: come il saper decrifrare le note, scandire il ritmo, comprendere la concatenazione delle armonie, il saper trattare l'ornamentazione, le inegalités, etc., secondo lo stile dell'epoca, giova per rendere la musica in modo appropriato, senza costituire né una garanzia (se un esecutore è mediocre o scadente rimarrà tale anche dopo aver appreso le prassi, posto che ci riesca) né una gabbia vincolante (al contrario, nella musica antica il margine di libertà lasciato all'esecutore è maggiore di quello di cui egli dispone nello stile classico). Menar vanto della propria conoscenza delle prassi non ha maggior senso di quanto ne avrebbe dichiarare nel proprio curriculum di saper leggere la musica e di saper classificare le successioni di accordi. Prepararsi a dovere è indispensabile, ma far musica con arte è qualcosa che, presupponendo la preparazione, è di dominio del singolo artista.

 

dralig

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