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Pollice sinistro fuori dal manico


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Bene,

vengo dalla chitarra acustica e quindi ho vecchie posture da rimuovere, vi prego di avere pazienza se alcune mie domande vi sembreranno ingenue...

Un' abitudine che mi riesce particolarmente ostica da eliminare è quella che vede il pollice sinistro fuoriuscire dietro al manico; so che dovrebbe restare appoggiato nella parte inferiore dello stesso, ma con tutta la buona volontà è già un buon risultato se in molte posizioni (specialmente nei primi tasti) riesco a tenerlo "dentro" senza che faccia capolino, altro che parte inferiore! Tenerlo dentro mi costringe a flettere il polso in modo innaturale che inoltre limita la mobilità delle dita.

Dove sbaglio?

Grazie

Pelago

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Fai un la sulla terza corda col secondo dito. Metti il pollice dietro a quel dito. Quella è la posizione corretta.

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Ciao Pelago, ti consiglio la lettura del Trattato di tecnica chitarristica di Angelo Gilardino. Dal mio modesto punto di vista è la tecnica più utile e comoda che si possa chiedere quella descritta in quel trattato, per entrambe le mani. Una visione un pò più violinistica/violoncellistica della mano sinistra e meno chitarristica. Se ti interessa lo edita la Berbèn altrimenti cerca qui: http://www.angelogilardino.com/Italiano/eShop.htm

Se vuoi, appena ho un attimo di tempo provo a spiegarti due cose su come tengo la mano io (poi è la stessa posizione consigliata in quel trattato) che è la stessa tecnica ormai consolidata da anni da parecchi chitarristi.

 

Saluti.

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Ciao,

conosco il trattato del maestro Gilardino e colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente del suo lavoro sia didattico che come compositore.

Non posso dire, in tutta onestà, di apprezzare totalmente alcune delle sue Opere, ma non me ne voglia il Maestro ché la colpa è totalmente della mia scarsa preparazione musicale per ciò che concerne i lavori contemporanei (in questo sono un retrogrado passatista).

Prenderò spunto da questo forum per ascoltare con la dovuta attenzione le sue composizioni meno "accessibili" e non potrà essere che un arricchimento della mia (modestissima) competenza in materia di letteratura chitarristica.

 

Detto ciò, ho trovato il trattato del Maestro illuminante in molti aspetti e se non ricordo male parlava proprio del fatto di non dare troppo peso alla posizione del pollice in talune occasioni, ma riferendosi a chitarristi dalle mani particolarmente ampie. Non è il mio caso.

Seguendo le indicazioni del trattato, ho trovato una posizione che ritengo assai vantaggiosa per la mano destra, meno per la sinistra.

Ma qui di certo per aver suonato per 30 anni chitarre acustiche ed elettriche, che necessitano di tutt'altre posizioni, la "colpa" è mia totalmente.

Ti ringrazio per la risposta

Ciao

Andrea

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Ciao,

conosco il trattato del maestro Gilardino e colgo l'occasione per ringraziarlo pubblicamente del suo lavoro sia didattico che come compositore.

Non posso dire, in tutta onestà, di apprezzare totalmente alcune delle sue Opere, ma non me ne voglia il Maestro ché la colpa è totalmente della mia scarsa preparazione musicale per ciò che concerne i lavori contemporanei (in questo sono un retrogrado passatista).

Prenderò spunto da questo forum per ascoltare con la dovuta attenzione le sue composizioni meno "accessibili" e non potrà essere che un arricchimento della mia (modestissima) competenza in materia di letteratura chitarristica.

 

 

Il fatto che Lei non apprezzi alcune delle mie opere non mi induce - per nessuna ragione - a volerGliene, al contrario Le sono grato per averle lette o ascoltate, e sono io ad apprezzare, invece, la Sua onestà del dichiarare il Suo pensiero.

 

Se pensiamo che il giudizio sull'opera di compositori già santamente defunti, e quindi nati ben prima di me, e di me assai più famosi, è tuttora assai dibattuto, dobbiamo constatare come sia del tutto normale che le produzioni ancora in corso d'opera siano oggetto di valutazioni discordi. Anzi, è proprio questo un segno della vitalità del lavoro di un autore: il fatto che accenda un dibattito.

 

Cordialità.

 

dralig

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Caro Maestro,

premetto subito che dialogare con Lei è per me un piacere reale, e il fatto che Lei sia disponibile a discutere con emeriti sconosciuti, appassionati senza dubbio, ma estranei al mondo del professionismo (e il discorso vale anche per tutti gli altri iniziando dallo stesso Porqueddu che ringrazio per aver reso possibile tutto ciò) Le rende non solo onore ma dimostra che la stima che nutro per Lei è pienamente meritata. Non tutti fanno lo stesso. Ci tenevo a dirlo.

Sto risentendo in questi giorni alcune sue composizioni eseguite proprio dal Maestro Porqueddu e devo ammettere che anche grazie alle sue interpretazioni i miei giudizi si sono in parte ricalibrati.

Non so se questa "dipendenza" da un interprete sia un cruccio o meno per Lei come compositore, mi piacerebbe sapere il suo pensiero in proposito.

Mi scusi se ne approfitto, ma data la ghiotta occasione sarei uno stupido se non lo facessi.

Grazie

Andrea

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Sto risentendo in questi giorni alcune sue composizioni eseguite proprio dal Maestro Porqueddu e devo ammettere che anche grazie alle sue interpretazioni i miei giudizi si sono in parte ricalibrati.

Non so se questa "dipendenza" da un interprete sia un cruccio o meno per Lei come compositore, mi piacerebbe sapere il suo pensiero in proposito.

Mi scusi se ne approfitto, ma data la ghiotta occasione sarei uno stupido se non lo facessi.

Grazie

Andrea

 

Un compositore dipende necessariamente dai suoi interpreti per comunicare - cioè per far ascoltare e per far comprendere - al pubblico la sua musica. Tale tipo di dipendenza non è patologica: nel mio caso, gli interpreti del calibro degli Estarellas, dei de Santi, dei Biscaldi (per citare alcuni chitarristi della precedente generazione, purtroppo non tutti in atti vità tuttora), o dei Tampalini, dei Mesirca, dei Porqueddu (e tanti, tanti altri) oggi, sono una benedizione, intanto perché sono molto più bravi, come strumentisti, di quanto io fui nei miei momenti migliori (oggi, a paragone con loro, farei ridere), e poi perché sentono, leggono, eseguono la mia musica in modo molto diverso da come io l'ho immaginata, pur rispettandone il testo, e ne rivelano aspetti dei quali io stesso non sono ben conscio. Questo accade a tutti i compositori che hanno la fortuna di trovare interpreti validi: ciascuno di loro getta sulle pagine eseguite una luce diversa, e il primo a giovarsi di queste rivelazioni è proprio il compositore.

 

La musica è un fenomeno complesso, che giunge al suo stato di piena realizzazione con il concorso di tre figure essenziali: il compositore, l'interprete, l'ascoltatore. In mancanza di uno di essi, il cerchio non si chiude, e la musica non si manifesta. Ciascuno dei tre "attori" vive in una sorta di "dipendenza" dagli altri due, ed è una dipendenza necessaria, che giova a tutti e non fa danno a nessuno. Sempre che il compositore sia forte, l'interprete bravo e l'ascoltatore sensibile.

 

dralig

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Anche io non apprezzo alcune pagine di Gilardino.

 

Infatti suono e studio quelle che mi piacciono, senza farmi problemi nel dire che una composizione è meno riuscita di un' altra.

 

Il mio giudizio globale non cambia.

 

 

E meno male che c'è ancora qualcuno che non pretende che gli esecutori della propria sappiano trasfigurare, frase buffissima che ho visto su un documentario su uno dei più importanti (ma è meglio "famosi") compositori contemporanei.

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Anche io non apprezzo alcune pagine di Gilardino.

 

Infatti suono e studio quelle che mi piacciono, senza farmi problemi nel dire che una composizione è meno riuscita di un' altra.

 

Il mio giudizio globale non cambia.

 

 

E meno male che c'è ancora qualcuno che non pretende che gli esecutori della propria sappiano trasfigurare, frase buffissima che ho visto su un documentario su uno dei più importanti (ma è meglio "famosi") compositori contemporanei.

 

Osservo che i miei pezzi più apprezzati sono quelli scritti adoperando le scale diatonico-modali (o polimodali), e che sono invece considerati con minor favore quelli scritti adoperando la scala cromatica, cioè - nel mio caso - quelli atonali. Io sono certo che non esiste, tra le due "categorie" della mia musica, la minima differenza stilistica, e quindi non credo che il diverso grado di apprezzamento dipenda da una valutazione dello stile e della forma dei pezzi - il che condurrebbe alla formazione di giudizi fondati sulla "riuscita" dei diversi lavori -, ma piuttosto dal diverso impegno che è richiesto agli ascoltatori e anche agli interpreti in quanto ascoltatori. Il che, ovviamente, è un motivo tutt'altro che disprezzabile, che io accetto e rispetto. Purtroppo, non sono sempre disposto a usare la scala diatonica, a volte ho proprio bisogno dell'altra, anche se so che mi rende un po' antipatico (musicalmente).

 

dralig

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Osservo che i miei pezzi più apprezzati sono quelli scritti adoperando le scale diatonico-modali (o polimodali), e che sono invece considerati con minor favore quelli scritti adoperando la scala cromatica, cioè - nel mio caso - quelli atonali. Io sono certo che non esiste, tra le due "categorie" della mia musica, la minima differenza stilistica, e quindi non credo che il diverso grado di apprezzamento dipenda da una valutazione dello stile e della forma dei pezzi - il che condurrebbe alla formazione di giudizi fondati sulla "riuscita" dei diversi lavori -, ma piuttosto dal diverso impegno che è richiesto agli ascoltatori e anche agli interpreti in quanto ascoltatori. Il che, ovviamente, è un motivo tutt'altro che disprezzabile, che io accetto e rispetto. Purtroppo, non sono sempre disposto a usare la scala diatonica, a volte ho proprio bisogno dell'altra, anche se so che mi rende un po' antipatico (musicalmente).

 

dralig

 

Una certa pigrizia nell'ascoltatore medio (fra cui mi pongo anch'io) è sicuramente presente, ma credo che il mancato apprezzamento di alcune opere dipenda in ragionevole misura anche da l'ignoranza delle tecniche e i modi della composizione contemporanea se non addirittura di quella moderna, e non ho scelto il verbo "apprezzare" a caso, chè differisce molto da "piacere" in quanto implica un'interazione di me che devo essere in grado di poter apprezzare una certa opera e avere quindi delle basi abbastanza solide per poterlo fare.

Io in questo pecco quasi totalmente per causa, diciamo così, di compositori assai rinomati e "famosi" che ho sempre mal digerito e che mi hanno tenuto lontano da uno studio accurato delle ragioni del comporre attuale. Uno su tutti, Berio.

 

Relativamente alla questione musica tonale/modale versus musica atonale è sicuramente più congeniale al mio gusto la prima che è quella che ha bisogno di meno "dizionari" se non nessuno.

Per la chitarra però sono pronto a fare uno sforzo (piacevole indubbiamente) perché ritengo il nostro strumento fra i più adatti per un tipo di composizione non prettamente "classica". Chissà che il cruccio della chitarra di non essere stata mai considerata uno strumento classico "vero" non rappresenti infine la sua salvezza rendendola fertile alle nuove tendenze più dei suoi blasonati colleghi.

Nelle composizioni in cui lei ricorre per "bisogno" alla scala armonica trovo che sia molto presente lo strumento come parte integrante il testo musicale, molto di più che non in composizioni più "melodiche" (mi si passi il termine inappropriato) teoricamente universali, cioè non prettamente chitarristiche anche se scritte per la chitarra.

 

Se io definissi le sue composizioni atonali, come "indissolubilmente chitarristiche" le farei in qualche modo un torto? Spero di no, perché è di certo l'ultima delle mie intenzioni.

 

Grazie ancora

Andrea

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