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Volevo capire perché il programma ministeriale ha optato per i 120 arpeggi di Giuliani, perferendoli a tante altre alternativa, quali ad esempio i preludi di Carulli.

 

Mi chiedo se la scelta sia stata dettata dal dato empirico della efficacia didattica dei 120 arpeggi e/o da altro. E se questa scelta è generalmente condivisa dai maestri.

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Trattandosi di brevi formule di arpeggi (invece che di studi-pezzi brevi come nel caso di Carulli) un vantaggio degli arpeggi di Giuliani è quello di permettere di velocemente passare da una formula all'altra e di concentrarsi di più sull'aspetto squisitamente meccanico della esecuzione degli arpeggi;i piccoli pezzi di Carulli sono d'altra parte armonicamente ben più varii ed hanno quindi una utilità formativa diversa.

 

Per quanto riguarda i programmi di conservatorio, mi pare che in generale si sia cercato di imitare in quello di chitarra quelli di altri strumenti, con esiti peraltro non sempre felicissimi (come le scale doppie al quinto anno). In questo senso, probabilmente un'opera di arpeggi "puri", del resto ampiamente conosciuta e stimata, probabilmente sarà parsa preferibile e più facilmente assimilabile alla didattica di altri strumenti; "anche noi abbiamo scale ed arpeggi!"


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il mi dubbio è se la tecnica slegata dall'espressione musicale abbia senso.


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E' una questione annosa; se vuole il mio parere è che sarebbe fin troppo ovvio rispondere di no.

 

Troppo spesso però, di fatto, questo no viene usato come scusa per giustificare approssimazioni.

 

Io credo che se certamente il senso anche di un gesto tecnico si capisce solo quando si ha una idea di come usarlo, e che questa idea può nascere anche da una semplice lettura della partitura (esempio: uno si entusiasma ad immaginare che tipo di suono renderebbe giustizia ad una intensa frase di Villa-Lobos affidata alle corde basse), ci sia un aspetto di educazione alla consapevolezza del gesto (educazione che mi rende concretamente capace di fare quel gesto che vorrei fare) che trae vantaggio dall'esercizio tecnico "puro".

 

L'esercizio provvisoriamente, e solo provvisoriamente, astrae il gesto dal suo impiego nel contesto dell'opera musicale, e lo fa per focalizzare l'attenzione su una questione. Personalmente credo che questa cosa sia un po' insostituibile, e sono lieto di trovarmi d'accordo su questo con una grande schiera, da Segovia a Gieseking; pur rispettando ovviamente altri approcci.


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Non c'è dubbio che la tecnica, ovunque, sia fondamentale.

Però, nel momento in cui si pone la possibilità di studiarla ora in un esercizio come l'arpeggio ora in brano come un preludio, io sono istintivamente portato a preferire il preludio., anche se mi rendo conto che l'astrazione dell'arpeggio possa consentire per qualcuno una maggiore concentrazione nello studio del momento tecnico.

 

Per quanto il mio principale interesse sia volto a sentire la vosta opinione di maestri, vorrei svolgere alcune considerazioni.

 

Temo, infatti, che la necessità di inventare formule tecniche nasca soprattutto dalla incapacità di studiare tecnicamente la musica.

Un arpeggio, del resto, se non trovasse corrispondenza in un brano musicale realmente esistente, sarebbe inutile esercizio di tecnica. Se la premessa è corretta, vuol dire che da ogni brano possono ricavarsi formule tecniche. Sicché un corretto studio di un brano musicale comprende necessariamente anche lo studio della tecnica migliore per realzzarlo.

 

Il che vuol dire che una adeguata selezione di brani può raggiungere il medesimo risultato di consentire lo studio della tecnica senza rinunciare al momento musicale.


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Come dicevo, ho il massimo rispetto per approcci diversi.

 

Per l'esperienza che ho io il momento dell'esercizio "puro" di base è insostituibile e, se fatto bene, mette le mani in condizioni migliori (per potenza, flessibilità, scatto, nitore sonoro) rispetto a problematiche esecutive diverse che affiorano nei pezzi e che, con esercizi di base adeguati, vengono, come dire, in gran parte risolte in partenza.

Pur studiando regolarmente molte ore al giorno, constato la differenza tra quando faccio bene le scale e quando non le faccio.

 

E' vero che ci sono tanti esercizi che probabilmente sono cervellotici ed inutili, ma il concetto di esercizio è applicatissimo nella didattica anche chitarristica, da Carulli ad Aguado a Tarrega a tanti altri fino ad oggi. Un motivo ci sarà.

 

Alla fine comunque è il risultato che conta e non gli assiomi a priori; e personalmente parlo di quello che ho visto funzionare per esperienza.


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Inviato
Come dicevo, ho il massimo rispetto per approcci diversi.

 

Per l'esperienza che ho io il momento dell'esercizio "puro" di base è insostituibile e, se fatto bene, mette le mani in condizioni migliori (per potenza, flessibilità, scatto, nitore sonoro) rispetto a problematiche esecutive diverse che affiorano nei pezzi e che, con esercizi di base adeguati, vengono, come dire, in gran parte risolte in partenza.

Pur studiando regolarmente molte ore al giorno, constato la differenza tra quando faccio bene le scale e quando non le faccio.

 

E' vero che ci sono tanti esercizi che probabilmente sono cervellotici ed inutili, ma il concetto di esercizio è applicatissimo nella didattica anche chitarristica, da Carulli ad Aguado a Tarrega a tanti altri fino ad oggi. Un motivo ci sarà.

 

Alla fine comunque è il risultato che conta e non gli assiomi a priori; e personalmente parlo di quello che ho visto funzionare per esperienza.

 

Le posizioni sostenute dal maestro Bonaguri sono giuste ed equilibrate. Esistono - devono esistere - sia gli esercizi puramente meccanici che gli esercizi di tecnica applicata (o studi). Lo scopo dell'esercizio di tecnica meccanica è quello di concentrare lo studio sul movimento in sé, osservandone con la massima attenzione gli aspetti fisiologici e dinamici. Questo esercizio è particolarmente utile nella fase di impianto della tecnica meccanica e può risultare utile anche più avanti, per la messa a punto di aspetti molto specifici o per la correzione di errori compiuti in precedenza. Ogni insegnante ne deve avere contezza, e deve disporre non soltanto di un ricco repertorio di esercizi di tecnica meccanica, ma anche della capacità di inventare ad hoc esercizi specifici per problemi specifici del singolo allievo.

 

Gli esercizi di tecnica applicata e gli studi appartengono a un livello successivo dell'apprendimento. Quando l'allievo ha assimilato perfettamente un tipo di tecnica (ad esempio l'arpeggio) in vitro, cioè senza alcuna applicazione musicale, gli studi lo obbligano a impiegare tale tecnica a fini musicali, cioè tenendo conto dell'espressione, della dinamica e del fraseggio. In questo senso gli arpeggi di Giuliani (che derivano direttamente da quelli del Metodo di Federico Moretti) sono fin troppo "applicati": ritengo sia più utile, ai fini della concentrazione sulla tecnica meccanica, far studiare gli arpeggi fondamentali sulle corde a vuoto (alcuni trattati lo fanno), e riservare alla fase degli studi l'impiego della mano sinistra.

 

Successivamente, cioè quando la tecnica di base è stata assimilata sia in senso puramente meccanico che nella fase applicativa degli studi, ogni singolo esecutore decide per sé, e solo per sé, se sia meglio continuare a fare esercizi di tecnica o se sia invece più redditizio esercitarsi direttamente sul repertorio: a questo punto, non esistono più regole valide per tutti, ciascuno ha il suo motore, e per quello deve trovare il carburante giusto. Così come esiste il talento musicale (orecchio, memoria, etc.), esiste anche il talento "tecnico", cioè una particolare destrezza della mente che permette ad alcuni, e non ad altri, di sviluppare abilità manuale: a chi possiede questo talento, non occorre fare tecnica, la si fa direttamente sui pezzi, ed è ovviamente una tecnica applicata; chi non dispone di questo talento, ha invece bisogno di esercitarsi anche in senso puramente meccanico, solo che, dopo aver assimilato i fondamentali, non gli servirà più esercitarsi genericamente, ma dovrà forgiare un breviario di tecniche adatto alle sue, personali necessità. In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig


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Le posizioni sostenute dal maestro Bonaguri sono giuste ed equilibrate. Esistono - devono esistere - sia gli esercizi puramente meccanici che gli esercizi di tecnica applicata (o studi). Lo scopo dell'esercizio di tecnica meccanica è quello di concentrare lo studio sul movimento in sé, osservandone con la massima attenzione gli aspetti fisiologici e dinamici. Questo esercizio è particolarmente utile nella fase di impianto della tecnica meccanica e può risultare utile anche più avanti, per la messa a punto di aspetti molto specifici o per la correzione di errori compiuti in precedenza. Ogni insegnante ne deve avere contezza, e deve disporre non soltanto di un ricco repertorio di esercizi di tecnica meccanica, ma anche della capacità di inventare ad hoc esercizi specifici per problemi specifici del singolo allievo.

 

Gli esercizi di tecnica applicata e gli studi appartengono a un livello successivo dell'apprendimento. Quando l'allievo ha assimilato perfettamente un tipo di tecnica (ad esempio l'arpeggio) in vitro, cioè senza alcuna applicazione musicale, gli studi lo obbligano a impiegare tale tecnica a fini musicali, cioè tenendo conto dell'espressione, della dinamica e del fraseggio. In questo senso gli arpeggi di Giuliani (che derivano direttamente da quelli del Metodo di Federico Moretti) sono fin troppo "applicati": ritengo sia più utile, ai fini della concentrazione sulla tecnica meccanica, far studiare gli arpeggi fondamentali sulle corde a vuoto (alcuni trattati lo fanno), e riservare alla fase degli studi l'impiego della mano sinistra.

 

Successivamente, cioè quando la tecnica di base è stata assimilata sia in senso puramente meccanico che nella fase applicativa degli studi, ogni singolo esecutore decide per sé, e solo per sé, se sia meglio continuare a fare esercizi di tecnica o se sia invece più redditizio esercitarsi direttamente sul repertorio: a questo punto, non esistono più regole valide per tutti, ciascuno ha il suo motore, e per quello deve trovare il carburante giusto. Così come esiste il talento musicale (orecchio, memoria, etc.), esiste anche il talento "tecnico", cioè una particolare destrezza della mente che permette ad alcuni, e non ad altri, di sviluppare abilità manuale: a chi possiede questo talento, non occorre fare tecnica, la si fa direttamente sui pezzi, ed è ovviamente una tecnica applicata; chi non dispone di questo talento, ha invece bisogno di esercitarsi anche in senso puramente meccanico, solo che, dopo aver assimilato i fondamentali, non gli servirà più esercitarsi genericamente, ma dovrà forgiare un breviario di tecniche adatto alle sue, personali necessità. In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig

 

Prezioso come sempre. Grazie.


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...

L'esercizio provvisoriamente, e solo provvisoriamente, astrae il gesto dal suo impiego nel contesto dell'opera musicale, e lo fa per focalizzare l'attenzione su una questione. Personalmente credo che questa cosa sia un po' insostituibile, e sono lieto di trovarmi d'accordo su questo con una grande schiera, da Segovia a Gieseking; pur rispettando ovviamente altri approcci.

 

Mi può, gentilmente, chiarire il riferimento a Segovia.

A quali esercizi di tecnica si riferisce?


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....

In generale, chi inizia a studiare nell'infanzia, e ha talento, non ha bisogno di fare tecnica; chi invece inizia a diciott'anni, dovrà probabilmente mantenere in esercizio per tutta la vita anche una serie di applicazioni, in mancanza delle quali avvertirà qualche problema.

 

dralig

 

Caro Maestro,questa differenza, in riferimento all'età, mi incuriosisce.

E' un dato scientificamente dimostrato o si basa sulla esperienza personale?

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