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Il "caso" del concerto di Giovanni Bonfante detto Panizza


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Come annunciato qualche giorno fa, apro un post per dare il giusto peso ad uno strano concerto per chitarra ed orchestra composto nell'800 da tale Giovanni Bonfante detto Panizza. Si tratta - secondo il mio parere - di una pagina di grande valore che, anzi, potrebbe aprire scenari inediti su molte convinzioni chitarristiche di oggi. Per amor di verità sottolineo che non si tratta di una riscoperta, in quanto - teoricamente - già edita (pur con molte modifiche) ma che in realtà credo pochissimi conoscano. Fu il compianto Bruno Tonazzi che mi diede la "dritta" nei lontani anni '80, ci lavorai moltissimo, e varie volte provai a pubblicare senza successo il concerto. In un recente trasloco ho ritrovato questa pagina ed ora la sottopongo ben volentieri al villaggio globale dei chitarristi che - grazie a questo forum - sapranno fare le giuste valutazioni sul lavoro di Panizza, con l'auspicio che il concerto possa trovare presto numerosi esecutori ed estimatori. Di seguito il lavoro di prefazione da me svolto all'epoca al quale ben volentieri farò seguire la partitura e parti.
Giorgio Tortora

Giovanni Bonfante Panizza

Concerto
per
Chitarra e Orchestra

revisione di Giorgio Tortora


Prefazione

La letteratura chitarristica dell‘800, con particolare riferimento ai concerti per chitarra e orchestra, è legata in maniera imprescindibile ai compositori * di nascita e formazione culturale italiana. Tutti attribuiamo infatti alle opere di Giuliani, Molino e Carulli, una fondamentale valenza storica nei confronti dello strumento chitarra, ma poche volte ci siamo chiesti il perché di questa insolita, e per nostra fortuna, generosa produzione.
Per meglio comprendere il problema, anche in funzione di una successiva interpretazione del concerto qui presentato, sarà utile dividere l’analisi su tre linee principali ovvero:
- l’epoca e relative vicende storiche che la attraversano
- l’area geografica in cui si svolge
- lo strumento musicale che ne è il protagonista
Partendo dalla prima di queste tre linee (che in seguito vedremo inevitabilmente intrecciarsi tra loro), e precisando che la, o le vicende in questione si svolgono in un lasso di tempo che va dalla fine del ‘700 per arrivare allo prima metà del secolo successivo (si potrebbe tuttavia restringere ulteriormente il periodo di almeno dieci anni per ciascun dato), sarà molto importante soffermarsi sulla cronica instabilità socio-politica che l’allora costituenda Italia viveva. Come noto, la situazione, alle prese con problemi più “terreni” che di nobile causa, di certo non favoriva le espressioni culturali intese come valore, e pertanto quegli artisti (soprattutto musicisti) che intendevano vivere del proprio talento, per forza di cose dovevano volgere il loro sguardo altrove, in particolare in direzione di Vienna .
Proprio in questa città, indiscussa capitale culturale europea, erano infatti “gli italiani” gli artisti più ricercati e contesi dalla nobiltà e dalla ricca borghesia, e quindi quel virtuosismo romantico di cui erano maestri, li rendeva discreti protagonisti di quella vita: violinisti, cantanti, ma anche chitarristi, rappresentavano così per la immutabile società asburgica un inimitabile ed ammirato esempio di stile.
A proposito, non a caso la maggior parte della produzione di questi musicisti nasceva proprio a Vienna, perché proprio lì non sarebbero mancate le occasioni per diffonderla; una produzione tanto imponente quanto variegata, in cui la richiesta di “Leichte Stucke”, di Temi Variati o di Concerti, era praticamente continua.
Si inserisce a questo punto il secondo elemento, ovvero la città di Trieste, crocevia di culture, di razze, ma soprattutto grande emporio dell’Impero oltre a suo unico sbocco sul mare.

*leggi: chitarristi-compositori

Ultimo baluardo della cultura italiana, e allo stesso tempo ultima frontiera imperiale, Trieste costituiva un passaggio obbligato anche per i protagonisti di questa singolare migrazione, ma anche per soggiorni prolungati.
Paganini vi dimorò a lungo, ambiguo ospite a Villa Murat residenza di Elisa Baciocchi (sorella di Napoleone Bonaparte), e lo stesso Mauro Giuliani, i cui genitori a Trieste risiedevano stabilmente, vi si soffermò a più riprese; le varie “accademie” sostenute in città presso il “Teatro Nuovo” da altri virtuosi ancora, risultavano inoltre quasi dei pretesti per restare vicini - pur in territorio straniero - alla propria identità (radice) di appartenenza per lingua** e in un certo senso anche per tradizioni.
L’ultimo elemento, il terzo - ovvero la situazione dei chitarristi di allora - è forse il più impietoso, in quanto da più fonti ci giunge notizia di una categoria di musicisti troppe volte (e più di altri “colleghi”) alla disperata ricerca di una stabilità economica, piuttosto che della luce ispiratrice, e così anche uno strano personaggio di nome Antonio Gracco che più avanti conosceremo come cooprotagonista della nostra storia, poteva risultare quanto mai utile a quei “maestri” ospitati nei confronti se non della propria esistenza, almeno di un tranquillo periodo di vita.
La storia del concerto per chitarra e orchestra di Giovanni Panizza, inizia proprio da lui, da Antonio Gracco maestro di pianoforte, chitarra e canto, di cui nonostante molteplici ricerche da parte di vari studiosi di storia locale, ben poco si conosce.
Soltanto da una testimonianza di Eugenio Pavani, assessore nella Dieta di Trieste durante la metà dell’800, si apprende che nacque in quella città nel 1795 o 1796, dove svolse un’intensa attività musicale prevalentemente didattica, ben presto trasferita nella vicina Gorizia in cui divenne acclamato protagonista delle maggiori iniziative musicali.
Gracco, lucido e intelligente impresario di se stesso e soprattutto lungi da esporsi in attività musicali primarie (accademie o concerti), come molti altri suoi “colleghi” rivolgeva principalmente ai rampolli delle famiglie più in vista i propri interessati servigi di maestro.
Doveva inoltre essere particolarmente attento a tutto ciò che accadeva nel mondo della musica o meglio, nel microcosmo della chitarra se, come risulta dal suo “CATALOGO DELLA MUSICA\ APPARTENENTE A ME ANTONIO GRACCO\ANNO 1832\MAESTRO DI MUSICA IN GORIZIA”,

**a Trieste, la lingua principale era l’italiano e non il tedesco.

continuava ad annotare e catalogare minuziosamente tutte le composizioni e riduzioni dei musicisti al momento più in voga, e di cui considerata la tempestività temporale degli inserimenti, in qualche caso doveva conoscere in prima persona.
La sua “arma” professionale del resto era proprio questa: la conoscenza di fatti, di artisti e delle loro nuove opere, per poi vantare in provincia quella credibilità necessaria a sostenere il proprio “nome”.
Tornando per un momento alle vicende dei musicisti italiani a Vienna, vi è un ulteriore parallelismo che lega quell’epopea con l‘Italia, o meglio con alcuni italiani lì effettivamente residenti, come i potenti editori Artaria e Cappi. Proprio a Trieste infatti, risulta traccia dell’introvabile “quarto” concerto di Mauro Giuliani, e precisamente in un foglio in cui il sig. Domenico Vicentini, rappresentante per tutte le venezie dei citati editori italoaustriaci, oltre che della Casa Ricordi , reclamizzava: “4587 pezzi di musica” dei ”venti milla” editi, e fra cui risultano 5 imprecisati concerti per chitarra e orchestra.
Si sa altresì, che nei primi anni dell ‘800, a Trieste, in piazza della Borsa al n. 601 “si copia e vende musica vocale ed instrumentale”, e che proprio lì Antonio Gracco, quando non impegnato a dare lezioni di musica, vi trovava lavoro come copista.
Da una parte pertanto un incredibile “pastiche” di elementi, per la maggior parte importanti per la chitarra, e dall’altra un personaggio – sempre vicino alla chitarra - che con metodo, pazienza e puntigliosità costruiva il proprio destino.
Tornando al Concerto per Chitarra e Orchestra di Giovanni Bonfante Panizza, due ora sono gli elementi certi:
un’annotazione sulla prima pagina della partitura che reca scritto: “ORIGINALE\CONCERTO PERCHITTARRA\SIG.PANIZZA\LI’ 24 SETTEMBRE 1824” , e il secondo la sua registrazione nella seconda pagina del citato “ Catalogo della Musica” di Gracco , a presumerne la proprietà.
Gracco
Si chiederà a questo punto il lettore, chi mai fosse Giovanni Bonfante Panizza, solito presentarsi come “Accademico Filarmonico di Bologna” , protagonista delle attività musicali (soprattutto religiose) della cittadina adriatica, e in particolare perché mai scrisse un concerto per chitarra e orchestra dalle così insolite dimensioni: ben 11 fiati oltre agli archi!
Il compianto Bruno Tonazzi, a cui si deve, congiuntamente al musicologo Pier Paolo Sancin la riscoperta del “Fondo Musicale Antonio Gracco” presso la Biblioteca civica “J.Hortis” di Trieste, (e nel quale è compreso anche il manoscritto del concerto di Panizza) lo indica come compositore, organista e direttore d’orchestra di origine veneziana, giunto a Trieste intorno al 1822.
Scrisse e rappresentò con qualche successo alcune opere: “I Due Figaro” nel 1824, e dieci anni più tardi “Gianni di Calais”, ma oltre a ciò, se si eccettua per una piccola produzione cameristica ed una farsa: “Sono eglino maritati?”; null’altro
(oltre al concerto per chitarra) di lui ci è pervenuto.
Una delle ipotesi per quanto riguarda il concerto per chitarra, potrebbe vedere Panizza comandato a comporlo forse da uno dei tanti chitarristi di passaggio o – come detto - all’epoca residenti in città: Mauro Giuliani e Luigi Rinaldo Legnani (oltre ai minori Matteo Bevilacqua, Pietro Bernardini Stramanon, Antonio Rovetta).
Ma, se si esclude per ovvi motivi e con grande probabilità la commissione da parte di qualcuno dei citati chitarristi, perché mai avrebbe dovuto un “operista” , o meglio un organista come Panizza, cimentarsi nella composizione di un’opera per chitarra e orchestra così corposa, quando per accontentare un potenziale committente locale, sarebbe bastato un semplice ripieno in quartetto?
Nascono pertanto alcuni dubbi:
- Poteva un compositore non-chitarrista, comprendere e scrivere così efficacemente i rapporti dinamici fra lo strumento obbligato e l’orchestra?
- Quale relazione stilistica lega infine i concerti per chitarra e orchestra oggi conosciuti, e quello di Panizza?
- Fu veramente Panizza l’autore del concerto?
Molte potrebbero essere le supposizioni:
che non si tratti dell’introvabile “quarto” concerto di Mauro Giuliani è pressochè certo, in quanto da Giuliani stesso apprendiamo in una lettera del marzo 1828

indirizzata a Domenico Artaria , che il tempo iniziale del “suo” concerto era un Maestoso“…ed aggiungerò a questi il Maestoso del quarto Concerto per franchi 160….”, mentre nel nostro caso è un “Allegro Giusto” il tempo di apertura (fig.4), ma che il concerto si tratti un lavoro, magari parzialmente originale, di Gracco anziché di Panizza potrebbe avere senso.
Antonio Gracco, della cui personalità abbiamo già detto, di certo possedeva le capacità artistiche e tecniche per comporlo (vedi le Variations & Polonais pour la Guitarre - ,

oltre ad alcune giustificazioni “umane” per non comparire in veste di autore. Come detto, la sua attività si svolgeva fra Trieste e Gorizia, città quest’ultima soprannominata la “Nizza austriaca” perché, a differenza della vicina Trieste, la ricca borghesia austriaca che vi soggiornava rappresentava, anche culturalmente, l’aspetto sociale dominante.
Potevano inoltre essere molteplici le ragioni per attribuire l’opera ad altra persona, dalle più pratiche (come il voler ostentare conoscenze artistiche di livello) a quelle più meschine (fra tutte la regola del non rischiare mai nulla di proprio in termini di altrui giudizio).
Siamo consci che il lettore potrà trovare questa tesi quantomai audace, ma se si considera che un altro lavoro per chitarra e orchestra, e precisamente la parte chitarristica del noto Concerto in La magg. di Ferdinando Carulli, viene con le stesse modalità attribuita da Gracco a tale Michele Diana oltre ad aggiunge, sicuramente di propria mano in partitura (quest’ultima correttamente attribuita a Carulli) due insolite e finora sconosciute parti di oboe si evince come, relazionandosi al periodo storico in questione, “pasticci” simili potevano capitare.


Un ulteriore elemento di dubbio lo rivela l’insolita stesura della partituta, che presenta l’ordine degli strumenti in veste inconsueta; se è vero infatti che all’epoca era cosa quasi ordinaria la disposizione dello strumento obbligato in testa di partitura, è certamente inconsueto che un operista come Panizza, forte di un bagaglio culturale presumibilmente notevole, seguisse questa tendenza.
Da una attenta analisi calligrafica, risulta poi che la parte staccata dello strumento obbligato, è stata redatta dal Gracco stesso, mentre per la partitura è chiaro l’intervento di un’altra mano.
Tante e tali circostanze rendono dunque decisamente incerta l’attribuzione del concerto in quanto, e come precedentemente scritto, risulta poco chiaro, non tanto il rapporto di conoscenza tra Gracco e Panizza (comunque del tutto plausibile), ma quello artistico e professionale.
Incomprensibile rimane inoltre il motivo che poteva spingere un musicista preparato, ma tutt’altro che affermato come Giovanni Panizza, a scrivere un concerto per chitarra e orchestra senza una seria prospettiva di esecuzione (e quindi di guadagno), e soprattutto perché affidarlo (o venderlo) ad un chitarrista non esecutore come Gracco, il quale al massimo avrebbe potuto “girarlo” ancora (in ogni caso la sola parte chitarristica) a qualche suo benestante alunno provetto.
Che si tratti allora del “Concerto per Chitarra e Orchestra” di Giovanni Panizza, o meglio di Giovanni Bonfante detto Panizza, di Antonio Gracco o di altro compositore, non è più fondamentale, a meno che un giorno non risulti la prova inconfutabile per la sua attribuzione ad un nome di musicista tanto prestigioso da permettere ancora una volta la rilettura del repertorio storico chitarristico.
Il concerto per chitarra e orchestra di Giovanni Panizza, è in ogni caso (non solo per i chitarristi), un’opera di grande respiro; ingiustamente rimasto sepolto nell’oblio per più di centocinquant’anni, e probabilmente mai eseguito nemmeno nella propria epoca, è senz’altro meritorio di considerazione .
Diviso in tre tempi (Allegro giusto; Andante sostenuto; Tempo di Polacca) già in prima analisi lascia trasparire una sensibilità musicale consona al proprio tempo: della chitarra viene compresa la sua complessa e intrinseca relazione armonica (non a caso il concerto è scritto in La Magg.), rispettando forse ancor più che in altri casi ( vedi:chitarristi-compositori) il rapporto con l’orchestra, soprattutto nei vari richiami in combinazione ed imitazione con gli strumentini.
Siamo infine convinti che questo concerto, più ancora di altri, potrà incontrare il favore dei chitarristi di oggi in quanto, e forse per la prima volta libera la chitarra dal fastidioso microcosmo inevitabilmente legato all’artigiano chitarrista (esecutore, compositore, impresario di se stesso, didatta, ecc.) a cui ancor oggi purtroppo vi si lega un’immagine riduttiva: con umiltà potremo, e ci piacerà pensare, che Giovanni Bonfante Panizza, o chi per lui, scrisse il concerto semplicemente per amore.
L’auspicio ultimo è che tale opera venga messa a disposizione dei chitarristi da parte di qualche editore illuminato affinchè tutti possano suonare e “ragionare” sulla storia del nostro meraviglioso strumento.


Gorizia, dicembre 1986 Giorgio Tortora


Note del revisore


Per il “Concerto per chitarra e orchestra” di Giovanni Bonfante Panizza, il revisore ha voluto mantenere intatto l’impianto originale, in quanto esso è risultato perfettamente consono allo stile compositivo del primo ‘800 , con particolare riferimento alle temporalità sequenziali dello strumento solista in opposizione sia al quartetto d’archi, che al tutti.
Onde rendere più efficace la sua esecuzione in chiave moderna, è stato operato il trasporto di quegli strumenti a fiato (clarinetti in Sol, trombe in Re, corni in Re) cui l’odierno sviluppo tecnico ne ha cambiato l’impostazione strutturale.
In partitura è stato interpretato il ruolo del citato “basso” con una sua separazione grafica tra gli strumenti cello e contrabbasso.
Sono stati infine apportate alcune aggiunte dinamiche e di fraseggio, in quanto il manoscritto presentava in tal senso (oltrechè per ragioni “storiche” espresse in prefazione) svariate lacune, così come è stata variato l’ordine degli strumenti in partitura originariamente previsti nel seguente ordine: chitarra, archi , legni, ottoni, basso.


Bibliografia

La Chitarra a Trieste nella prima metà dell ‘800 – B.Tonazzi – Il Fronimo n. 37.
Nuove acquisizioni sull’opera e sulla vita di Mauro Giuliani: gli anni del soggiorno napoletano (1824 – 1829) – F.E.Araniti.
Manoscritti Piccolominei, Manoscritti Musicali -P.P.Sancin - Trieste, Biblioteca Civica
Ricerche sulla vita musicale a Trieste (1750 1950) – G.Radole-
Paganini a Trieste – B.Tonazzi
Le musiche per chitarra nella raccolta di manoscritti della Biblioteca civica di Trieste – P.P.Sancin – il Fronimo n.78

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PANIZZA CONCERTO 1..pdf

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  • 12 anni dopo...

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Buonasera,

vedo purtroppo solo ora questo interessante post, sul quale però vorrei intervenire in considerazione del fatto che Giovanni Bonfante detto Panizza è un mio diretto antenato (è il padre della mia quadrisavola Filomena Panizza) e in famiglia abbiamo qualche informazione in più su di lui. 

 

Cita

Si chiederà a questo punto il lettore, chi mai fosse Giovanni Bonfante Panizza, [...] e in particolare perché mai scrisse un concerto per chitarra e orchestra dalle così insolite dimensioni: ben 11 fiati oltre agli archi!

Risposta all'organico inconsueto potrebbe essere il fatto che egli era non solo organista (il che viene esplicitato dato il prestigio dello strumento, ma sappiamo che suonava molti strumenti diversi), ma aveva una predilezione per il flauto e l'ottavino: sono attestati suoi ruoli come primo strumentista con tali fiati in rappresentazioni tenutesi a Venezia negli anni della sua giovinezza, ovvero intorno al 1810.

 

 

Cita

Scrisse e rappresentò con qualche successo alcune opere: “I Due Figaro” nel 1824, e dieci anni più tardi “Gianni di Calais”, ma oltre a ciò, se si eccettua per una piccola produzione cameristica ed una farsa: “Sono eglino maritati?”; null’altro
(oltre al concerto per chitarra) di lui ci è pervenuto.

Le due opere citate non sono di Giovanni Bonfante Panizza: certa è la sua ri-messa in musica del "Gianni di Calais" di G. Donizetti nel 1834, ma "I due Figaro" (musica originale di S. Mercadante) fu riprodotto da GIACOMO Panizza, che era di origini piemontesi e nulla ha a che fare coi Bonfante detti Panizza. Dall'archivio Ricordi sono invece certamente attribuibili a Giovanni Panizza altre opere oltre alla farsa che ha giustamente citato, quasi tutte arie liriche [nota: Giovanni fece gran parte della propria carriera come insegnante di canto], ovvero:

 

§  Due Ariette per soprano (1. Il Girasole, 2. Pastorale), 1828;

§  Due Ariette di Metastasio per mezzosoprano (1. Confusa, smarrita, 2. Se ardire e speranza), 1830;

§  Due Ariette per contralto (1. Mio ben ricordati, 2. Vuoi per sempre abbandonarmi), 1831;

§  Quattro Duettini per soprano e contralto (1. Oh che felici pianti, 2. Si soffre una tiranna, 3. Se più felice oggetto, 4. Sol può dir che sia), 1835;

§  Il voto d' una donna italiana, per canto (edizione distrutta), 1847;

§  Canto guerriero per gli Italiani (edizione distrutta), 1847;

§  Preghiera di una Madre Lombarda. Notturnino a vece sole per il popolo (edizione distrutta), 1848;

§  Cavatina per soprano Ah maestro te l'ho fatta, introdotta nell'opera La figlia del fabbro di Vincenzo Fioravanti, 1851.

 

 

Cita

perché mai avrebbe dovuto un “operista” , o meglio un organista come Panizza, cimentarsi nella composizione di un’opera per chitarra e orchestra 

Domanda lecita, ma come espresso poc'anzi, G. Panizza era estremamente poliedrico e versatile, quindi non escluderei a priori un suo ampio coinvolgimento nella scrittura del concerto per chitarra.

 

 

Cita

Incomprensibile rimane inoltre il motivo che poteva spingere un musicista preparato, ma tutt’altro che affermato come Giovanni Panizza, a scrivere un concerto per chitarra e orchestra senza una seria prospettiva di esecuzione (e quindi di guadagno), e soprattutto perché affidarlo (o venderlo) ad un chitarrista non esecutore come Gracco

Anche qui segnalo alcune supposizioni inesatte: Giovanni proveniva da famiglia abbastanza benestante, e prosperava grazie ai proventi della docenza (ciò è attestato anche da un articolo de Il Censore Universale dei Teatri (9 giugno 1830):  «Manifestando […] un felicissimo ingegno musicale, si distinse prima nella magistrale esecuzione di vari strumenti, e dedito poscia nello studio delle composizioni profondamente, cominciò a dare saggi vertiginosi, e ne avrebbe dato dei più clamorosi, se l’attuale suo collocamento in Trieste, offrendogli una continuata, molto ricercata e lucrosa occupazione nelle istruzioni di bel canto e di pianoforte, non lo allontanasse dalle poco generalmente parlando lusinghiere vicende del teatro ). A ciò si unisca il fatto che sua figlia maggiore, Adelaide, contrasse matrimonio con un Trevisan di Venezia, di famiglia aristocratica (nota: ricordo che per il patriziato veneziano il matrimonio morganatico non era problematico).

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