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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Dinamiche e tempi moderni


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Riflettevo oggi, durante il lavoro su alcuni brani dell'Ottocento, sul peso della filologia nell'interpretazione.

 

In particolare mi domandavo, e mi piacerebbe domandare, se nella ricerca filologica che un interprete conduce si valutino le differenze di 'volume di suono' in relazione al periodo e all'ambiente circostante.

Il rumore di una città ai primi dell'Ottocento era prevalentemente costituito dal procedere delle ruote delle carrozze nei ciottolati, dagli zoccoli dei cavalli, dal vociare della gente, dal martello del fabbro.

(Con un bel salto indietro, Seneca si lamenta dell'abbaiare dei cani, delle urla degli schiavi frustati e dell'"inflessione della voce" di venditori di bibite, dei salsicciai, dei pasticcieri)

Il rumore moderno è cambiato. L'urbanizzazione ha portato l'uomo civilizzato ad essere circondato da una serie di disturbi acustici che oltre che crescere esponenzialmente dal punto di vista della varietà cresce anche sotto quello della quantità.

 

E i nostri musicali 'pianissimo'? 'mezzo forte'?

Sono secondo voi influenzati dal mondo amusicale che ci circonda?

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Bravo Cristiano! pensa che parlavo di una cosa simile durante un corso quest'estate, riferendomi all'ansia di tanti chitarristi di avere strumenti che sparassero,dimenticando altre peculiarità dello strumento.

Ora, qui non parliamo di costruzione di chitarre ma di suono prodotto dall'esecutore, di quella caratteristica dinamica che rende unico il nostro strumento. Non so se il mondo esterno influenza anche la nostra "dinamica", sicuramente non la favorisce: a volte mi rendo conto che sto suonando forte, quando faccio ascoltare un brano in classe, perchè lo voglio inconsciamente rendere piacevole ed accettabile da chi lo ascolta, quasi pensando che se lo suono come va suonato non possa esserlo...è una malattia? nel mondo d'oggi non brillano le mezze misure, i pastelli, i colori tenui, è tutto esasperato, il rumore di fondo è esagerato, sempre, anche quando non ce ne accorgiamo, è lì, presente.

Durante i corsi estivi in montagna, quando suoniamo fra i boschi, sai che ci sono ragazzi che sono quasi intimoriti del silenzio, perchè ogni suono prodotto è l'unico suono, c'è solo quello, e sembra che se lo sbagli, lo fai troppo forte, si rompe qualcosa, la magia, l'atmosfera.

E allora credo onestamente di dirti, si, siamo influenzati dall'esterno, ma la scommessa di un bravo musicista è far accettare la propria idea non solo di musica ma di suono, e rendere evidente questo discorso nell'insegnamento.

Mi sono allargato?, bò, ciao!

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Durante i corsi estivi in montagna, quando suoniamo fra i boschi, sai che ci sono ragazzi che sono quasi intimoriti del silenzio,

 

E' proprio di questo che parlo.

Il silenzio di un bosco, visto che usi questa locazione, non è il silenzio di una sala da concerto, di un auditorium.

Il vento, gli uccelli, l'assestamento degli alberi. Eppure nessun fastidio.

Sala da concerto: un colpo di tosse e la concentrazione può subire uno scossone, il bisbigliare di due maleducati ci fa perdere il diminuendo.

 

E' possibile pensare che nonostante tutto, il silenzio 'assoluto' - quello che cerchiamo anche nelle registrazioni - intorno alla musica non sia poi così importante?

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Cambierei prospettiva. Non è che non è importante l'idea di silenzio assoluto...è grave non avere alcuna idea riguardo alla propria posizione di interprete in uno spazio...

 

Non ti seguo.

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Cioè la capacità di adeguarci al mondo intorno detto in parole povere?

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Cambierei prospettiva. Non è che non è

 

Questo è troppo. Nota di biasimo ufficiale.

 

 

 

Cambierei prospettiva. Non è che non è importante l'idea di silenzio assoluto...è grave non avere alcuna idea riguardo alla propria posizione di interprete in uno spazio...

 

Questo è un punto importante, e Lei ha il merito di averlo isolato (sia pure dichiarando guerra al congiuntivo). come si pone il chitarrista nello spazio che lo circonda? Incominciamo con il prendere atto che trattasi di spazio perturbato: grande o piccola che sia, la sala in cui il chitarrista suona non è insidiata soltanto dai rumori presenti ma, anche in loro assenza, dalla sedimentazione cronica di un disturbo acustico e psichico che ogni ascoltatore porta con sé. Se il rumore non c'è, ognuno lo personifica con il suo magazzino incorporato di disturbi da rumore, ognuno introduce nella sala la propria, ormai congenita, sordità, collegata al vizio di essere servito dal suono immediato, pronto, esaustivo, ancillare, il suono che non richiede all'ascoltatore alcuna attività, che lo adagia nella propria passività come in un diritto.

 

Ecco, il chitarrista che ha idea della propria posizione di interprete in quello spazio, lancia la sfida: non s'ingegna di rendere il proprio suono più forte di quanto lo richieda la poetica del suo strumento, né si arrabatta a escogitare modi invitanti di porgere la musica; suona nel regime di suono proprio dell'arte specifica che professa, e il suo, rivolto al pubblico, è un invito a lavorare, a impegnarsi, a svegliarsi dal torpore, a reimpossessarsi della propria umanità. Ogni concerto di chitarra dovrebbe essere una denuncia dello spossessamento subito da ciascun ascoltatore per vie acustiche. Non capiscono? E allora, che crepino e, alla fine del concerto, se non hanno capito nulla, almeno sospettino che c'era qualcosa da capire.

 

dralig

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E' possibile pensare che nonostante tutto, il silenzio 'assoluto' - quello che cerchiamo anche nelle registrazioni - intorno alla musica non sia poi così importante?

credo proprio di si. Perchè è un silenzio falso, costruito artificialmente, che in natura non esiste. Sai quei cd tremendi dove c'è ad es. l'aria sulla 4 corda con le cascate e l'acqua e gli uccellini in sottofondo? Ecco, la realtà (forse anche del compositore) è più vicina a quell'idea, cioè ad essere vivo e a lavorare nell'ambiente che non in una camera iperbarica. Poi nell'ascolto non so, non dico di registrare all'aperto...ma c'è gente stressata dal rumorino delle dita sulle corde, dal respiro, dalla manica che frega sulla cassa, cioè dalla vita dello strumentista e dello strumento

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Ecco, il chitarrista che ha idea della propria posizione di interprete in quello spazio, lancia la sfida: non s'ingegna di rendere il proprio suono più forte di quanto lo richieda la poetica del suo strumento, né si arrabatta a escogitare modi invitanti di porgere la musica; suona nel regime di suono proprio dell'arte specifica che professa, e il suo, rivolto al pubblico, è un invito a lavorare, a impegnarsi, a svegliarsi dal torpore, a reimpossessarsi della propria umanità. Ogni concerto di chitarra dovrebbe essere una denuncia dello spossessamento subito da ciascun ascoltatore per vie acustiche.

 

Ma il recupero (se di 'recupero' si può parlare) dovrebbe avvenire in primis dalla parte del pubblico. E' il pubblico che vuole/non vuole il silenzio. E' il pubblico che si infastidisce per la tosse. Eppure, in Austria, concerti all'aperto e silenzi relativi.

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ma c'è gente stressata dal rumorino delle dita sulle corde, dal respiro, dalla manica che frega sulla cassa, cioè dalla vita dello strumentista e dello strumento

 

Hai fatto centro, Giorgio.

Ma è vero o no che in un CD un respiro affannoso, il rumore continuo delle dita sulle corde è tremendo mentre in un concerto neanche lo si ascolta?

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Cambierei prospettiva. Non è che non è

 

Questo è troppo. Nota di biasimo ufficiale.

 

 

maestro lei non capisce

è negazionismo secondo prassi sintattiche postmoderne

non è che non è che non

tipo

a rose is a rose is a rose

minkia

 

[smilie=emoticon_65.gif] (st'emoticon somiglia un cifro a walter benjamin.)

 

Io vorrei non capire, ma purtroppo non ci riesco. E ho capito che Lei - pur provveduto di buona formazione universitaria - ama concedersi ad amplessi (lessicali, s'intende) con le portinaie. Che lo sappia o no, sta peccando contro il sesto comandamento.

 

dralig

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