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Più attenzione dei critici al repertorio della chitarra


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Gilardino_SuonareNews_Aprile2010.png

 

In questo articolo, pubblicato dalla rivista musicale "Suonare" nel numero di maggio, il compositore Angelo Gilardino rivolge una forte e sentita esortazione ai critici musicali e agli storici della musica affinché aggiornino e puntualizzino le loro conoscenze della musica per chitarra e la loro visione della storia della musica anche in relazione all'apporto dato alla medesima dal repertorio per chitarra. E' uno scritto che probabilmente desterà molta attenzione nel mondo della musica, ben al di là del mondo della chitarra, che pure ne fa parte.

 

La scansione della pagina è disponibile nell'area Download del Forum raggiungibile da questo link:

http://www.cristianoporqueddu.com/public/dload.php?action=category&cat_id=27

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Testo completo dell'articolo:

 

Non mi permetterei mai di scrivere questa pagina per fatto personale: il suo contenuto mi riguarda solo incidentalmente, ed è l’abbrivio per qualche considerazione che ha - almeno nelle mie intenzioni - valore paradigmatico, e può interessare tutti i lettori, musicisti e non.

Mi riferisco a quanto scrive Angelo Foletto - critico musicale la cui sensibilità e il cui acume non hanno bisogno delle mie sottolineature - concludendo la sua recensione dei cinque CD del chitarrista Cristiano Porqueddu (“Suonare News”, aprile 2010, pag. 50): “Che cosa aspetta il Gilardino compositore a dedicarsi (anche) al repertorio non-chitarristico?”. All’illustre critico non occorrono risposte, ma io vorrei servirmi della sua domanda per spendere qualche riflessione.

 

La chitarra è quasi sempre stata perdonata dalla storia della musica e dalla critica musicale come una forzatura alla quale avevano dovuto piegarsi compositori a ciò indotti dai loro mecenati (Boccherini), come una debolezza bizzarra di geni che non amavano il pianoforte (Berlioz, Paganini), o che non potevano comperarsene uno (Schubert). Ai non molti musicisti autentici e completi che dedicarono la loro arte alla chitarra, sia come virtuosi che come compositori - in tempi in cui era normale disimpegnare entrambi i ruoli - i critici dispensarono tiepide lodi, molto spesso accompagnate da espressioni di rammarico per il fatto che tanto talento fosse stato speso a favore di uno strumento così povero e ingrato: se lo sentì dire persino Segovia, agli inizi della sua carriera.

 

Allora, che cosa spinge il musicista che suppone di avere qualcosa da dire, oggi, a servirsi della chitarra, piuttosto che di altri strumenti? Io mi azzardo a credere che la storia della musica e la critica musicale - che ne rappresenta la sonda esplorativa - debbano rivolgere maggior attenzione al fenomeno chitarra, guardandolo non solo con curiosità, ma anche valutandone il peso e il valore - sia realizzato che potenziale - nel quadro del Novecento e della contemporaneità. La chiave di lettura da sostituire è - io credo - quella che ha sempre fatto considerare la chitarra come un’evenienza marginale che, presentandosi ai compositori in seguito alle pressioni di qualche demiurgo delle sei corde (a cominciare da Segovia), si è lentamente e provvisoriamente accreditata presso il mondo della musica colta. Raramente - quasi mai - la critica musicale si è domandata che cosa ci sia di peculiare e di esclusivo nel linguaggio chitarristico, tanto da rendere uniche - e dunque indispensabili - le composizioni che sono state scritte da quegli i autori che sono andati al di là del dovere di rispondere dignitosamente a una commissione, o da chitarristi che il mestiere di comporre l’hanno imparato sul serio. Il punto è proprio questo: se è vero che la chitarra deve al Novecento la propria rinascita, è pur vero che il Novecento, grazie alla chitarra, si è arricchito di musica senza precedenti, senza uguali, senza possibili sostituzioni. E’ vero, ma non è evidente: tocca ai critici e agli storici della musica individuare, comprendere e valutare l’essenza di un fenomeno musicale che non è possibile ignorare o liquidare con qualche considerazione generica. E’ ora di andare a fondo, partendo dalle percezioni delle avanguardie che, agli inizi del Novecento, sia a Parigi che a Vienna, colsero intuitivamente il potere del suono chitarristico - anche se poi ne fecero un uso parziale e limitato. Da allora, di acqua sotto i ponti, nel campo della musica per chitarra, ne è scesa molta, il ruscello chitarristico è confluito nel grande fiume della musica del secolo ventesimo, e continua a far scorrere chiare, fresche e dolci acque anche nel presente: di questo apporto, io temo che, in ambito critico, non si abbia una cognizione esatta e che, di conseguenza, la storia della musica lo misconosca.

 

La figura del musicista che accede alla creazione provenendo da una formazione chitarristica e che seguita a scrivere per e con chitarra può continuare ad apparire come anomala e marginale solo se osservata da una prospettiva tutto sommato ottocentesca: nella seconda metà del Novecento, essa si incarna in musicisti che vivono l’esperienza compositiva in modo non meno autentico e originale di quelli rappresentati da compositori provenienti da una formazione tradizionale. Io sono tra coloro che considerano la critica musicale come un faro che orienta le scelte degli organizzatori: signori critici, aiutate, non i chitarristi a dare un maggior numero di concerti - ne danno fin troppi, di scarsissimo valore - ma il pubblico delle sale da concerto a capire e ad apprezzare la musica per chitarra, specialmente quella del Novecento e del presente: è una risorsa molto ricca, e la vita musicale ne può trarre un grande beneficio, anche se non sembra esserne consapevole e desiderosa.

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