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Fonte: Il Corriere Musicale

di: Luca Pavanel

 

Quello dei direttori artistici (che per comodità chiameremo D&A come una non meglio precisata società occulta) è un mondo nel mondo, con le sue altezze e i suoi punti deboli. Dire se le prime siano più numerose delle seconde è una bella sfida. Va da caso a caso of course, ma i pettegolezzi su quel pianeta discrezionale abbondano. Ovvio, chiacchiere a vuoto, ma come non far caso quando dicono che alcuni direttori artistici sono degli “scambisti”. Cosa? Ma no – al di là dei gustibus –, non si pensi a quel tipo di scambio, moglie-marito-moglie per dire, ma gli scambi avverrebbero con gli artisti, della serie: «Io faccio suonare i tuoi da me, tu fai suonare i miei da te…». Roba innocente, anzi comoda, così il cartellone è fatto o si fa da sé. Qualcuno allora dirà, dunque dov’è tutto questo scandalo? Diciamone una: se certi palinsesti concertistici vengono in parte compilati nel succitato modo, tanto vale neanche farsi avanti, cercare di presentarsi è una missione impossibile, ottimi strumentisti o meno è lo stesso; tanto se non si fa parte della compagnia di giro la giostra non si prende. Altro che meritocrazia e libera circolazione. Ah, a proposito: non si sa perché ad alcuni di loro, gli immarcescibili D&A, piacciono tanto i nomi stranieri/esotici più di quelli locali; appena si presentano americani, svedesi, cinesi è un colpo di fulmine. Vuoi mettere (gli appellativi saranno di getto e fantasia) il flautista Zachermann con il timpanista Cavicchi, il pianista Xia Chen con un Ruscitano al clavicembalo, per non dire un John al violino in gara col collega Puddu. Sicuro, fa più effetto. E c’è qualcuno che si chiede pure se l’esterofilia è una vera e propria malattia. Mah, forse sì e forse no. Certo fa soffrire molti.

 

Poi c’è la questione del sentirsi derubati. Già, perché certi direttori hanno sempre l’aria un po’ così, da vittime prese di mira che si difendono: non va bene se chiedi loro qualcosa, non va bene se proponi loro qualcosa, non va bene (quasi) mai. Un mantra al negativo. La motivazione è probabilmente psichica: solo ad ascoltare si sentono defraudati. Allora che fanno davanti alla minaccia targata questua – solo certuni naturalmente –: come dei bonzi si chiudono in loro stessi. Provare a mandare una mail è inutile, al telefono gli incaricati rispondono che sua eccellenza «è in riunione», la posta è cosa d’altri tempi. Eppure la comunicazione dovrebbe essere il loro forte; ascoltare candidati, udire nuovi talenti, aprire le porte alle fresche idee potrebbe/dovrebbe essere – tra gli altri – un modo efficace per “servire” la loro causa. Ovvero, lavorare per la comunità del pubblico, cercare di offrirle il meglio, contribuire ad allargare con sincerità gli orizzonti della cultura. Nelle istituzioni ben pagati, si spera per loro, o comunque remunerati. Poi ci sono anche gli altri… Sono i volontari o pseudo volontari del campo. Sono quei – non pochi – D&A che lo fanno perché la passione li mangia. Loro magari mangiano poco o per mettere insieme il pranzo con la cena più che i D&A e altre professioni musicali, fanno i salti mortali con doppio avvitamento, come al circo Togni. Eppure, imperterriti continuano, senza esitazioni per loro stessi. Quel che conta non sono i soldi – arriveranno si dicono sempre – è la passione per la musica, quel che conta è il pubblico da raggiungere, quel che conta è andare avanti. No, nessuna santificazione. Lo psichiatra svizzero Carl Gustav Jung se ancora in vita su questi soggetti avrebbe molto da dire, anche il vivente neurologo inglese Oliver Sacks autore del tomo Musicofilia. Che, se non è disturbo, può essere anche un virus di forza, idealismo e febbrile passione: alcuni D&A ne sono stati contagiati felicemente, altri ne sono praticamente immuni. Tutto qui.

 

Link | http://www.ilcorrieremusicale.it/se-il-direttore-artistico-e-un-po-scambista/

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