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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Colloquio con Andrés Segovia, Angelo Gilardino


Marcello Rivelli
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ma figurati se "vieni tolto" dal forum Raffaele, stai sereno, vivi bene la musica e via. E dove sarebbero quegli avvertimenti?

a me appare questo sotto il mio avatar(che penso sia la mia foto-l'avatar- ):

  • Mi trovo aNapoli
  • (non so a voi cosa appare,ma a tutti voi non vedo questa scritta che a dire il vero mi turba e non capisco il perchè .....ma va bene cosi  ..io non ce lo con nessuno....ciao)
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ad ogni utente compare la sua situazione avvertimenti, quindi vedrai solo la scritta sotto il tuo avatar, ma non sotto a quello di altri utenti. 

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Dimenticavo, un "dettaglio" importante, per i più attenti che hanno studiato il brano (e potrebbero pensare ad un errore o svista). 

Di solito sbaglio accidentalmente le note o più precisamente le sporco, ma non la forma o il suono. 

(Mi stanno più a cuore)

La mia esecuzione del "Colloquio" prevede un.. "ghiribizzo"personale  che potrebbe far arrabbiare l'autore. 

 

Mi spiego, nella seconda sezione,  quando avviene la ripresa della prima sezione (A-B-A semplificata ma il brano realmente si presenta con la forma A-A-B-A-B-A) questa termina con l'armonia di Mi minore. Io invece "amo" terminare nuovamente con la dominante Si (come accade nella prima esposizione di A) per effettuare la ripresa di B che invece si presenta sul V grado Si ma nel modo minore. 

 

Mi piace molto di più questa soluzione, la trovo personalmente più..intrigante, perché la conclusione sul tono principale di MI mi dà un senso di vera conclusione e non mi viene spontaneo poi fare il ritornello.

Spero di essermi spiegato. La soluzione che adotto mi ricorda, ad esempio, la Sarabande di Bach della Suite Bwv 996 dove, se ricordate il Kantor conclude la prima parte al tono della dominante (Mi minore-Si Maggiore) ma..riprende la seconda sezione B al quinto grado, Si, dominante, ma nel tono parallelo minore eludendo la.. prassi abituale.

 

Insomma se il Magister riterrà che questa "cosa" sia tale da meritare una scomunica vorrà dire che per espiare la mia colpa onde aver osato modificare una battuta (già inserita e prevista dall'autore però) rifarò il "cammino di Santiago" fino a Compostela in memoria di A.S. ma questa volta al posto di farlo in auto, come feci anni fa ;) ..effettuerò il percorso a piedi (come dovuto dalla tradizione) in più suonando il colloquio per tutto il tragitto.. 

 

con simpatia

marcello

 

Sarebbe bello ripartire da questo punto, colloquiando con il compositore!!! E' sempre intrigante conoscere i "perchè" della musica. 

 

PS Per Santiago, se vuoi Marcello, sono disposto a farti compagnia.

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Sarebbe bello ripartire da questo punto, colloquiando con il compositore!!! E' sempre intrigante conoscere i "perchè" della musica. 

 

PS Per Santiago, se vuoi Marcello, sono disposto a farti compagnia.

 

E' irreale credere che il compositore possa avere un'idea definitiva della sua musica, anche solo di una sua composizione. Un solo aspetto della musica è parametrato con precisione assoluta: l'altezza delle note. Dalle durate in poi, non c'è nulla di assoluto, e a nessun compositore al mondo è dato di ripercorrere nella sua mente un proprio pezzo per due volte in modo identico. Poiché la musica giunge agli interpreti attraverso una rappresentazione simbolica, è chiaro che non ha senso raccomandare ai medesimi di "suonare quel che è scritto", semplicemente perché ciò è impossibile. In realtà, l'interprete legge in apparenza da un leggio, ma non può dare dei comandi alle proprie dita se non passando attraverso una sua, previa rappresentazione mentale della musica, cioè attingendo a un leggio virtuale che egli forma osservando quello fisico. Aspettarsi che tale leggio virtuale coincida con quello del compositore - il quale, tra l'altro, non è in grado di formarsene uno definitivo, e lo varia di continuo - è pura illusione. Si tratta di una perdita, di uno scacco? No, io credo proprio di no. Dopo un'esecuzione del "Bolero", Ravel visitò Toscanini in camerino e si dolse con lui del tempo troppo svelto, al che il direttore gli rispose: "Lei della sua musica non capisce proprio niente". E' una battuta, ma si iscrive perfettamente nella realtà. 

 

Quello che Marcello sceglie nell'esecuzione del "Colloquio" - come in tutte le sue interpretazioni -  corrisponde al suo modo ossessivo e maniacale di considerare ogni nota come un mattone di una costruzione in cui quello che conta, alla fine, più che la levigata perfezione del singolo mattone, è l'architettura, il profilo-volume dell'intero edficio nei suoi rapporti interni e nella sua spazialità. Io gli ho insegnato il valore formale dell'interpretazione, lui ha in un primo tempo accolto questa visione, salvo poi trasformarla in un suo progetto,  in cui tenta di annullare la dimensione temporale per comprimere tutta la fenomenologia della percezione in un'unità che lui vorrebbe rendere sincrona, mentre neppure la percezione di un'architettura riesce a rendersi sinottica. Tanto gentile e tanto onesto "pare", ma in realtà è un folle. 

 

dralig

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E' irreale credere che il compositore possa avere un'idea definitiva della sua musica, anche solo di una sua composizione. Un solo aspetto della musica è parametrato con precisione assoluta: l'altezza delle note. Dalle durate in poi, non c'è nulla di assoluto, e a nessun compositore al mondo è dato di ripercorrere nella sua mente un proprio pezzo per due volte in modo identico. Poiché la musica giunge agli interpreti attraverso una rappresentazione simbolica, è chiaro che non ha senso raccomandare ai medesimi di "suonare quel che è scritto", semplicemente perché ciò è impossibile. In realtà, l'interprete legge in apparenza da un leggio, ma non può dare dei comandi alle proprie dita se non passando attraverso una sua, previa rappresentazione mentale della musica, cioè attingendo a un leggio virtuale che egli forma osservando quello fisico. Aspettarsi che tale leggio virtuale coincida con quello del compositore - il quale, tra l'altro, non è in grado di formarsene uno definitivo, e lo varia di continuo - è pura illusione. Si tratta di una perdita, di uno scacco? No, io credo proprio di no. Dopo un'esecuzione del "Bolero", Ravel visitò Toscanini in camerino e si dolse con lui del tempo troppo svelto, al che il direttore gli rispose: "Lei della sua musica non capisce proprio niente". E' una battuta, ma si iscrive perfettamente nella realtà. 

 

Quello che Marcello sceglie nell'esecuzione del "Colloquio" - come in tutte le sue interpretazioni -  corrisponde al suo modo ossessivo e maniacale di considerare ogni nota come un mattone di una costruzione in cui quello che conta, alla fine, più che la levigata perfezione del singolo mattone, è l'architettura, il profilo-volume dell'intero edficio nei suoi rapporti interni e nella sua spazialità. Io gli ho insegnato il valore formale dell'interpretazione, lui ha in un primo tempo accolto questa visione, salvo poi trasformarla in un suo progetto,  in cui tenta di annullare la dimensione temporale per comprimere tutta la fenomenologia della percezione in un'unità che lui vorrebbe rendere sincrona, mentre neppure la percezione di un'architettura riesce a rendersi sinottica. Tanto gentile e tanto onesto "pare", ma in realtà è un folle. 

 

dralig

come sono d'accordo sul fatto del comporre e sull'interpretare ,l'unione di due musicisti(compositore e esecutore)è quella che da vita al brano,uno lo partorisce,l'altro lo cresce.

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E il pubblico lo muore. 

 

Il pubblico non è una componente ancillare del fenomeno musicale, caro Alfredo. Ne fa invece parte strutturalmente. L'ascolto è attivo, e - sebbene siano ancora, a quanto ne so, da studiare scientificamente - le sue "attività" interagiscono con quelle degli interpreti in misura tale da concorrere al "totale" musicale. Il compositore immagina un'opera e ne "significa" ciò che è rappresentabile in una scrittura simbolica, inevitabilmente approssimativa; l'interprete, a partire da quei simboli, costruisce a sua volta un progetto sonoro - sia esso scorrevole, a flusso, alla  Segovia, o a utopia architettonica, alla Marcello Rivelli - e l'ascoltatore, oltre ad "ascoltare", restituisce all'interprete, in una sorte di feed back quasi simultaneo all'audizione, una componente partecipativa, che influenza l'esecuzione ancora in corso. Per questo motivo gli interpreti-architetti preferiscono la registrazione al concerto: li molesta l'idea che altri possa mettere mano a quello che loro vanno edificando.

 

dralig

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Parafrasando il titolo della famosa o famigerata, a seconda dei punti di vista, trasmissione televisiva di Berio, si potrebbe dire che c'è pubblico e pubblico. 
Se una bella fetta del pubblico che spende soldi in biglietti ed abbonamenti ha della musica una conoscenza che non arriva a Debussy (non riesco a capirlo è la frase di prammatica che da lì in poi si presta a tutte le occasioni) non resta che registrare registrare registrare. 

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Malauguratamente, io sono invece tra quelli che apprezzano maggiormente l'esecuzione dal vivo che la registrazione. Non perché voglio continuare ad abbeverarmi comunque alla (superata?) poetica strawinskiana, ma proprio per personale peculiarità  emotiva. Questo in particolare mi accade per la musica sinfonica, ma anche per quella chitarristica.

Di ciò già si  parlò un tempo su questo forum e chi lo volle espresse le proprie impressioni e ragioni.

 

Osservo però: il colloquiare in merito essendosi  talmente distanziato dall'argomento primiero, non varrebbe la pena di dare inizio ad un'altra stimolante discussione?

 

P:S:= Aveva ragione Berio:c'è pubblico e pubblico.

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