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kokis80

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  1. In realtà la riflessione sulla musica nasce come riflessione sulla matematica, ad opera di Pitagora e dei pitagorici nella nostra vecchia Grecia. Risponderò tra poco a Fabio perchè non sono d'accordo con le sue idee, scusate ma ho un attimo da fare.
  2. Antonio, non vorrei scoraggiare la tua ricerca, ma ti devo dire che, per quanto ne posso sapere, sei in netta controtendenza. In realtà l'obiettivo che si sono posti molti filosofi, critici, scienziati, ecc... è stato quello di cogliere le relative assonanze fra il pensiero cosidetto "scientifico" e quello "artistico". Il trivio e il quadrivio (sebbene ne riconosca l'importanza storica) sono cose medievali. Potrei farti l'esempio del famoso libro di Hofstadter, Godel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante, dove l'autore mette in relazione il pensiero del grande logico Godel con i procedimenti compositivi di Bach e quelli pittorici di Escher. Se devo essere sincero, ritengo difficile, se non impossibile, tracciare una differenza netta tra il pensiero "scientifico" e quello "artistico". Fossi in te rinuncerei ad un compito che non è neppure da tesi di laurea, è veramente troppo complesso: rischi di dire solo un sacco di banalità. Mi concentrerei su un aspetto specifico della questione del rapporto dell'arte (credo tu voglia parlare di musica, da quel che ho capito) con il resto dell'impresa umana. Ho visto ragazzi anche molo bravi fare pessime figure all'esame di maturità per aver sparato troppo in alto (sai l'esame nuovo si è inaugurato con il mio anno!)
  3. Che dire se non che sono perfettamente d'accordo: la differenza fra un interprete di razza e un accarezzatore di mobili (rubando l'espressione al M° Gilardino) credo stia proprio nel fatto di essere "usciti dalla stanzina". Perchè dovrebbe essere un rammarico? Non credo che suonasse "male" in quel per periodo. Io ho una vero apprezzamento per il M° Grondona (come sa anche lui), ma non mi vergogno a dire che sono proprio quelle esecuzioni e quelle di Bach che mi conquistano di più, senza togliere nulla a quando suona Tarrega o Llobet (li ho quasi tutti i suoi dischi): dal mio punto di vista (ma forse mi sbaglio) sono questi autori poco conosciuti tra i giovani, non Llobet o Tarrega.
  4. Si, mi rendo conto di non aver usato un'espressione felicissima... Quello che intendevo non era la ricerca di una forzata equidistanza tra i due atteggiamenti, anche perché, talvolta, le interpretazioni "estreme" possono gettare nuova luce su un brano di repertorio. Il punto è che in alcune occasioni ho l'impressione che certe scelte esecutive "alternative" cerchino semplicemente di colmare un vuoto di idee (o una lacuna tecnica...), ma è solo una mia personalissima opinione. am Sicuramente molto spesso è così, non per niente i grandi esecutori mica si trovano sul banco frigo al supermercato: non è raro sentire rubati messi ad hoc per dare il tempo alla mano di preparare il tale passaggio, rompendo magari l'unitarietà di un fraseggio, di una figurazione ritmica o che so io in favore di una più facile e sicura "presa". Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
  5. Non so se il post a cui fa riferimento sia quello inviato da me a proposito di ciò che ho definito (con formula dubitativa) "vezzi esecutivi", comunque la questione è per me di grande interesse. Fino a che punto è lecito (esteticamente) da parte di un esecutore forzare il testo scritto (ho fatto riferimento agli aspetti agogici ma considerazioni analoghe possono essere fatte su tutti i parametri musicali: timbro, dinamica, ecc...) in nome della libertà interpretativa? Forse non esiste una risposta, ma tra "violentatori" e filologi fondamentalisti dovrà pur esserci una terza via... am Sono d'accordo che una risposta univoca, universale, data una volta per tutte non possa esistere. Spero che, in realtà, esista più di una "terza" via, ma esistano tante vie quanti interpreti (nel suo senso profondo): cosa in cui credo fermamente è che l'unica strada che non porta a Roma sia quello di mezzo e che "il giusto mezzo" la cui ricerca Andrea propone, a mio gudizio, sia più il "giusto mezzo" aristotelico che un punto di equidistanza tra i due atteggiamenti. Credo che da un punto di vista estetico qualunque scelta sia giustificabile, anche se non equivalente: ce ne saranno delle migliori e delle peggiori, più soddisfacenti o meno, ecc... Un punto che mi preme sottolineare è che credo che mettere degli sbarramenti, schiacciare il testo sull'interpretazione, fissarlo a discapito di un'interpretazione "responsabile", sia qualcosa da evitare: è una tendenza sicuramente molto diffusa e che sta prendendo piede sempre più, ma ho buoni motivi per credere che sia la strada senza ritorno per la morte dell'interpretazione musicale. La scoperta di nuove e inaspettate versioni di un'opera del passato (o del presente), con l'impiego di soluzioni fino a quel momento inconcepibili (per ragioni tecniche, di percezione armonica, di capacità timbrica, ecc...) credo che non sia qualcosa da guardare con sospetto, ma qualcosa da applaudire quando esteticamente soddisfacente. Glenn Gould era solito dire: "L'interprete deve essere sicuro di fare istintivamente la cosa giusta, di poter scoprire possibilità di lettura di cui neanche il compositore era pienamente consapevole"
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