Non so se il post a cui fa riferimento sia quello inviato da me a proposito di ciò che ho definito (con formula dubitativa) "vezzi esecutivi", comunque la questione è per me di grande interesse.
Fino a che punto è lecito (esteticamente) da parte di un esecutore forzare il testo scritto (ho fatto riferimento agli aspetti agogici ma considerazioni analoghe possono essere fatte su tutti i parametri musicali: timbro, dinamica, ecc...) in nome della libertà interpretativa?
Forse non esiste una risposta, ma tra "violentatori" e filologi fondamentalisti dovrà pur esserci una terza via...
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Sono d'accordo che una risposta univoca, universale, data una volta per tutte non possa esistere.
Spero che, in realtà, esista più di una "terza" via, ma esistano tante vie quanti interpreti (nel suo senso profondo): cosa in cui credo fermamente è che l'unica strada che non porta a Roma sia quello di mezzo e che "il giusto mezzo" la cui ricerca Andrea propone, a mio gudizio, sia più il "giusto mezzo" aristotelico che un punto di equidistanza tra i due atteggiamenti.
Credo che da un punto di vista estetico qualunque scelta sia giustificabile, anche se non equivalente: ce ne saranno delle migliori e delle peggiori, più soddisfacenti o meno, ecc...
Un punto che mi preme sottolineare è che credo che mettere degli sbarramenti, schiacciare il testo sull'interpretazione, fissarlo a discapito di un'interpretazione "responsabile", sia qualcosa da evitare: è una tendenza sicuramente molto diffusa e che sta prendendo piede sempre più, ma ho buoni motivi per credere che sia la strada senza ritorno per la morte dell'interpretazione musicale.
La scoperta di nuove e inaspettate versioni di un'opera del passato (o del presente), con l'impiego di soluzioni fino a quel momento inconcepibili (per ragioni tecniche, di percezione armonica, di capacità timbrica, ecc...) credo che non sia qualcosa da guardare con sospetto, ma qualcosa da applaudire quando esteticamente soddisfacente.
Glenn Gould era solito dire: "L'interprete deve essere sicuro di fare istintivamente la cosa giusta, di poter scoprire possibilità di lettura di cui neanche il compositore era pienamente consapevole"