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In atletica esiste l'allenamento della corsa a scatti: da fermi o in movimento si praticano degli scatti brevi ed intensi (misurati nel tempo e mai portati troppo a lungo o continuativi; beninteso questi scatti sono praticati quando si è è perfettamente riscaldati ed allenati a farlo!). Ciò fa sì che l'apparato muscolare e quello scheletrico possano "sperimentare" i propri limiti senza per questo implicare uno sforzo eccessivo all'intero sistema.

In questo senso, fermo restando lo studio lentissimo e misurato in tutte le componenti di movimento bene illustrato da Gilardino, che abitui ad una gestione corretta del rapporto tensione rilassamento, l'ausilio di uno studio a "scatti" della dita della mano (che altro non è che un sistema osteo-muscolare al pari di altri) mantenendo inalterata la modalità di gestione dei movimenti può indurre nel nostro cervello la "sperimentazione" e la successiva acquisizione di un'immagine e di una sensazione di moto altrimenti non sempre così raggiungibili (lo studio lento con il metronomo aumentando gradatamente le tacche porta a qualcosa di simile anche se i limiti restano comunque a lungo abbastanza bassi - questo per la maggioranza delle persone non per i più dotati! -).

Questo tipo studio non è certo la panacea, ma credo che possa rappresentare in fasi già avanzate dell'apprendimento un mezzo per "conoscersi" meglio e per meglio arrivare a gestire, con più consapevolezza, i propri limiti (i quali sono "prestampati" e contro i quali nulla si può fare!).

Saluti

Piero Viti

 

Carissimo Piero, qual è la differenza - dal punto di vista strettamente fisico - tra la performance di un atleta e quella di uno strumentista? La domanda, rivolta a te, è del tutto retorica, ma non sarà male, credo, chiarire il concetto per chi ci legge. Perché un velocista che corre i 100 metri in meno di dieci secondi non prosegue, dopo il traguardo, alla stessa velocità, per altri 9900 metri, polverizzando così il record dei 10mila metri? Lo sappiamo tutti: non può farlo a causa dell'accumulo di acido lattico nei suoi muscoli, con conseguenze respiratorie, cardiache, etc. Se un miracolo lo liberasse dall'acido lattico, nessuno lo fermerebbe, e lui sarebbe ben felice di andare avanti per altri 1000 secondi a quell'andatura. Un chitarrista che fa 7 note consecutive in mezzo secondo accumula acido lattico? Le sue pulsazioni cardiache accelerano? Il suo respiro si fa affannoso? No. Ma allora perché non prosegue alla stessa velocità per dieci minuti? Se il suo apparato osteo-muscolare (che tu giustamente chiami in causa) gli permette di suonare sette note in mezzo secondo - essendo chiaro a tutti che ciò richiede uno sforzo fisico insignificante -, nulla gli impedirebbe di continuare, e smetterebbe solo perché stremato dalla noia, ma non dalla fatica. In altre parole, a impedirgli di continuare non è un fattore fisico. Se lo fa per mezzo secondo, in senso strettamente fisico lo può fare per mezza giornata. Il problema è quindi neurologico. Il cervello del chitarrista in questione non riesce a impartire gli impulsi a qualunque velocità, ma solo fino a un certo limite, oltre il quale i suoi circuiti non funzionano più.

 

Il lavoro che suggeriamo - da diversi punti di vista - non ha influenza su questo quadro. Funziona solo per economizzare e controllare l'esecuzione degli impulsi evitando blocchi e dispersioni: questo si, in senso strettamente fisico, cioè nel movimento. Ma la mente resta quel che è.

 

Ciao.

 

Il tuo vecchio maestro, dralig.

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Quindi M° Gilardino essendo un problema di tipo neurologico Lei ritiene che non c'è rimedio alcuno per chi oltre un limite non va? Potrebbero anche fattori psicologici imperdire il superamento di certe velocità, come ad esempio un paura intrinseca del tipo: "non ci riuscirò mai; non ne sarò mai capace; non è possibile che io riesca a fare quel pezzo a quella velocità". Potrebbero esserci, quindi, dei blocchi in tal senso?

Quello che mi chiedo spesso è: ma un chitarrista, come voi maestri ad esempio, quando si è reso conto che un pezzo poteva farlo velocemente? Qualcuno avrai mai avuto, nella fase di allievo, il problema di non riuscire a portare ad una determinata velocità un particolare brano? Ad esempio lo studio n.5 op. 48 di Giuliani (quello con le sestine) a tutti è riuscito di eseguirlo subito velocemente o qualche problemino l'ha dato anche a voi? E quando e come vi siete resi conto di poterlo fare alla giusta velocità? Dopo settimane o mesi di studio assiduo del pezzo o dopo particolari accorgimenti?

E' vero non bisogna avere quale fissazione la velocità, come giustamente qualcuno potrebbe sottolineare, perchè suonare la chitarra non significa mitragliare note, ma è pur vero che certi brani sono stati scritti per essere suonati a determinate velocità. Saluti.


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Lo studio "assiduo" di un brano rischia di diventare "incaponimento", i cui frutti sono spesso deleteri.

I problemi tecnici, solitamente, si risolvono in modo molto graduale, impostando, sotto la guida del proprio insegnante, un cammino strettamente personalizzato che possa condurre l'allievo al raggiungimento dei risultati previsti.

Talvolta non è detto che questo sia possibile per via delle caratteristiche fiosiologiche e psichiche di ognuno (c'è chi non è portato per le velocità estreme pur restando un grandissimo interprete... a tal proposito, mi sovvengono alcune incisioni di Julian Bream, in cui la velocità non è certo elevata come quelle raggiunte, ad esempio, da Williams, ma la musicalità...!!!!), tuttavia, fermi restando i propri limiti naturali, certi risultati si raggiungono con esercizio graduale.

Se si stenta a raggiungere un risultato soddisfacente in un brano, può anche voler significare che le basi per poter affrontare detto brano sono troppo poco solide, pertanto puà essere utile affrontare brani diversi con finalità propedeutiche per ciò che si desidera raggiungere successivamente.

Indubbiamente, poi, le proprie attitudini e le proprie caratteristiche giocheranno un ruolo fondamentale nella scelta del repertorio.

 

EB


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Quello che mi chiedo spesso è: ma un chitarrista, come voi maestri ad esempio, quando si è reso conto che un pezzo poteva farlo velocemente?

 

Dopo aver messo per la prima volta sul leggìo la parte. La lettura dell'idioma musicale è l'esatto equivalente della lettura lettura di un testo.

 

Qualcuno avrai mai avuto, nella fase di allievo, il problema di non riuscire a portare ad una determinata velocità un particolare brano? Ad esempio lo studio n.5 op. 48 di Giuliani (quello con le sestine) a tutti è riuscito di eseguirlo subito velocemente o qualche problemino l'ha dato anche a voi? E quando e come vi siete resi conto di poterlo fare alla giusta velocità? Dopo settimane o mesi di studio assiduo del pezzo o dopo particolari accorgimenti?

E' vero non bisogna avere quale fissazione la velocità, come giustamente qualcuno potrebbe sottolineare, perchè suonare la chitarra non significa mitragliare note, ma è pur vero che certi brani sono stati scritti per essere suonati a determinate velocità. Saluti.

 

Mi dia retta: abbandoni questa ricerca. Non la condurrà da nessuna parte.

Orienti il lavoro direttamente all'economia di movimento e alla qualità di suono (intesa come forma e volume): tutto il resto verrà da sè o non verrà mai.

Ospite Piero Viti
Inviato

 

In atletica esiste l'allenamento della corsa a scatti: da fermi o in movimento si praticano degli scatti brevi ed intensi (misurati nel tempo e mai portati troppo a lungo o continuativi; beninteso questi scatti sono praticati quando si è è perfettamente riscaldati ed allenati a farlo!). Ciò fa sì che l'apparato muscolare e quello scheletrico possano "sperimentare" i propri limiti senza per questo implicare uno sforzo eccessivo all'intero sistema.

In questo senso, fermo restando lo studio lentissimo e misurato in tutte le componenti di movimento bene illustrato da Gilardino, che abitui ad una gestione corretta del rapporto tensione rilassamento, l'ausilio di uno studio a "scatti" della dita della mano (che altro non è che un sistema osteo-muscolare al pari di altri) mantenendo inalterata la modalità di gestione dei movimenti può indurre nel nostro cervello la "sperimentazione" e la successiva acquisizione di un'immagine e di una sensazione di moto altrimenti non sempre così raggiungibili (lo studio lento con il metronomo aumentando gradatamente le tacche porta a qualcosa di simile anche se i limiti restano comunque a lungo abbastanza bassi - questo per la maggioranza delle persone non per i più dotati! -).

Questo tipo studio non è certo la panacea, ma credo che possa rappresentare in fasi già avanzate dell'apprendimento un mezzo per "conoscersi" meglio e per meglio arrivare a gestire, con più consapevolezza, i propri limiti (i quali sono "prestampati" e contro i quali nulla si può fare!).

Saluti

Piero Viti

 

Carissimo Piero, qual è la differenza - dal punto di vista strettamente fisico - tra la performance di un atleta e quella di uno strumentista? La domanda, rivolta a te, è del tutto retorica, ma non sarà male, credo, chiarire il concetto per chi ci legge. Perché un velocista che corre i 100 metri in meno di dieci secondi non prosegue, dopo il traguardo, alla stessa velocità, per altri 9900 metri, polverizzando così il record dei 10mila metri? Lo sappiamo tutti: non può farlo a causa dell'accumulo di acido lattico nei suoi muscoli, con conseguenze respiratorie, cardiache, etc. Se un miracolo lo liberasse dall'acido lattico, nessuno lo fermerebbe, e lui sarebbe ben felice di andare avanti per altri 1000 secondi a quell'andatura. Un chitarrista che fa 7 note consecutive in mezzo secondo accumula acido lattico? Le sue pulsazioni cardiache accelerano? Il suo respiro si fa affannoso? No. Ma allora perché non prosegue alla stessa velocità per dieci minuti? Se il suo apparato osteo-muscolare (che tu giustamente chiami in causa) gli permette di suonare sette note in mezzo secondo - essendo chiaro a tutti che ciò richiede uno sforzo fisico insignificante -, nulla gli impedirebbe di continuare, e smetterebbe solo perché stremato dalla noia, ma non dalla fatica. In altre parole, a impedirgli di continuare non è un fattore fisico. Se lo fa per mezzo secondo, in senso strettamente fisico lo può fare per mezza giornata. Il problema è quindi neurologico. Il cervello del chitarrista in questione non riesce a impartire gli impulsi a qualunque velocità, ma solo fino a un certo limite, oltre il quale i suoi circuiti non funzionano più.

 

Il lavoro che suggeriamo - da diversi punti di vista - non ha influenza su questo quadro. Funziona solo per economizzare e controllare l'esecuzione degli impulsi evitando blocchi e dispersioni: questo si, in senso strettamente fisico, cioè nel movimento. Ma la mente resta quel che è.

 

Ciao.

 

Il tuo vecchio maestro, dralig.

 

Caro "vecchio maestro" Dralig,

concordo pienamente con quanto dici: se la mettiamo sul piano atletico non andiamo da nessuna parte!

Anch'io credo che l'aspetto neurologico sia predominante. Infatti nel mio intervento precedente mettevo in chiaro che lo "sperimentare" una situazione diversa dall'ordinario (in questo caso un'estremizzazione di una determinata modalità di movimento) può solo essere un "espediente" per il formarsi di un'immagine "mentale" (neurologica) basata su un "vissuto", quindi ancorato ad una serie di sensazioni, anche estreme, cui potersi riferire.

Certamente questo non può mai portare ad uno sconvolgimento in senso migliorativo delle proprie capacità ma può solo permettere, eventualmente, un sondaggio sulle proprie capacità del momento!

 

Saluti

Piero Viti


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Cristiano puoi pure darmi del tu. Grazie per il consiglio e lavorerò all'economia di movimento ed alla qualità di suono, poi quello che verrà bene, altrimenti, vista la mia età chi se ne frega. Giusto? Comunque sarebbe bello ed anche interessante se qualche maestro potesse raccontare un aneddoto su un brano che gli ha creato delle difficoltà. Saluti


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Cristiano puoi pure darmi del tu. Grazie per il consiglio e lavorerò all'economia di movimento ed alla qualità di suono, poi quello che verrà bene, altrimenti, vista la mia età chi se ne frega. Giusto?

 

Neanche per sogno.

Quello che ho detto precedentemente è che ci sono cose che possono essere imparate con lo studio altre che fanno parte del nostro patrimonio genetico.

Qualsiasi sia l'età, con l'entusiasmo, la passione e l'applicazione, non ci sono obiettivi preclusi in musica.

 

In bocca al lupo.


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Questo problema ha un cuore.

Dirlo in due parole è difficile, ma mi sforzerò (tanto ho un dono naturale per la sintesi!)

La velocità, ad esempio del dito della mano destra che pizzica la corda ma non solo, dipende principalmente da due fattori: 1) quanto più la velocità di contrazione muscolare è paragonabile alla velocità di rilascio muscolare (velocissima e naturale) e 2) la precisione del gesto!

Naturalmente questo può benissimo essere imparato. Aggiungo che ogni movimento può essere osservato in due direzioni: 1) andando verso il micro, ad esempio osservando come si relaziona l'unghia alla corda, la prima falange alla seconda, entrambe in relazione alla corda e così via, oppure 2) andando verso il macro, ad esempio, cosa succede alla mia testa mentre pizzico la seconda corda con il medio destro e così via.

Personalmente poi, per il problema su indicato, ho trovato giovamento, ai fini della velocità, lavorando soprattutto sul miglioramento della rapidità e piccolezza della contrazione muscolare. Il ché ha comportato di per sé un miglioramento nella precisione della decontrazione muscolare.

Miracoli del sistema nervoso umano!


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Quindi M° Gilardino essendo un problema di tipo neurologico Lei ritiene che non c'è rimedio alcuno per chi oltre un limite non va?.

 

Attenzione, io non ho detto - e se l'ho lasciato intendere me ne dolgo - che esista per forza "un problema" neurologico. Ci sono cervelli da virtuosi e cervelli non da virtuosi, e questo non è un problema, si tratta di differenti modi di essere. Un violinista che suonava splendidamente la Sonata a Kreutzer non si azzardò mai a eseguire un Capriccio di Paganini, ciò non di meno fu un grande violinista...

 

 

Potrebbero anche fattori psicologici imperdire il superamento di certe velocità, come ad esempio un paura intrinseca del tipo: "non ci riuscirò mai; non ne sarò mai capace; non è possibile che io riesca a fare quel pezzo a quella velocità". Potrebbero esserci, quindi, dei blocchi in tal senso?

 

 

La psiche è un'entità i cui poteri sono immensi.

In senso inibitorio, come ci hanno dimostrato gli psicoanalisti, da Freud fino ai contemporanei, può fare danni terribili.

 

 

 

Quello che mi chiedo spesso è: ma un chitarrista, come voi maestri ad esempio, quando si è reso conto che un pezzo poteva farlo velocemente? Qualcuno avrai mai avuto, nella fase di allievo, il problema di non riuscire a portare ad una determinata velocità un particolare brano? Ad esempio lo studio n.5 op. 48 di Giuliani (quello con le sestine) a tutti è riuscito di eseguirlo subito velocemente o qualche problemino l'ha dato anche a voi? E quando e come vi siete resi conto di poterlo fare alla giusta velocità? Dopo settimane o mesi di studio assiduo del pezzo o dopo particolari accorgimenti?

E' vero non bisogna avere quale fissazione la velocità, come giustamente qualcuno potrebbe sottolineare, perchè suonare la chitarra non significa mitragliare note, ma è pur vero che certi brani sono stati scritti per essere suonati a determinate velocità. Saluti.

 

Le disposizioni di un chitarrista si manifestano fin dai primi mesi di studio. C'è una fase di formazione di base, durante la quale si imparano i fondamenti della tecnica: se guidata bene, non dura più di un paio d'anni, alla fine dei quali si può già valutare il profilo del futuro chitarrista.

 

Se un passo che richiede una determinata tecnica non viene risolto in mezz'ora, è inutile insistere con gli stessi mezzi: si può solo peggiorare la situazione. Bisogna esaminare il problema e capire come risolverlo. Questo non è facile, e sia nella diagnosi che nella terapia il maestro è determinante.

La scuola permette a ciascuno di adoperare al meglio e di sviluppare al massimo i proprii mezzi, ma non può trasformare una persona in un'altra.

 

dralig


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Io non amo le polemiche. Ma queste questioni, trattate così, sono difficili da mandare giù!

Ma quando ci libereremo di questo modo di pensare, di questo vecchiume?

Mi sembrano questioni di 20-30 anni fa per la chitarra, di 200 per gli altri strumenti.

Le nuove generazioni dimostrano con i fatti che i limiti non sono più quelli della velocità, della tecnica.

Cavolo quando sono nato non sapevo camminare, ma poi ho imparato a camminare e a correre. Mica è un miracolo, mica è una cosa che se c'è c'è e punto e basta, come qualcuno a detto.

Oggi ha senso parlare non di chi sa fare le scale a 240. Quanti pianisti professionisti sanno farlo? Tutti!

La differenza non è nelle dita o nel sistema nervoso, siamo più o meno tutti fatti allo stesso modo. La differenza sta nell'intelligenza, la genialità di un'interpretazione, ma questo viene dopo.

E se uno come Schiff Andràs dice che ogni giorno ricomincia tutto da capo, non è un modo di dire.

Quando si inizia a studiare un nuovo pezzo di musica, in un certo senso, si torna tutti al primo anno.

Ci sono bravi insegnanti in giro, cioè quelli che insegnano IL COME FARE UNA COSA. Trovateli!

Diffidate di quelli che si nascondono dietro.. ognuno ha dei limiti in natura. A sentir loro dovremmo tutti andare su una sedia a rotelle perché incapaci di imparare a camminare.

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