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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Sperimentazione e produzione di qualità


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"Svincolato dalla tradizione, quindi lontano dall'ambiente linguistico in qualche modo legato alla tonalità". La musica svincolata dalla tonalità ha, grosso modo, una novantina d'anni: non sono stati sufficienti a creare una tradizione? Chi scrive musica atonale è fuori dalla tradizione? Linguaggi inusuali? Dopo le migliaia di pezzi atonali, seriali, aleatori, tellurici, scritti per chitarra nel Novecento, che cosa significa "linguaggi inusuali"? Un pezzetto ben scritto in do maggiore (rara avis) non sarebbe molto più "inusuale" dell'ennesimo brano "di ricerca"?

 

Argomento molto interessante.

Due domande:

1) La sperimentazione sonora e quindi anche compositiva anche solo riferita al repertorio chitarristico degli anni 60 e 70 può essere legata ad una difficoltà (o, perchè no, incapacità) di espressione attraverso la costruzione e il conseguente rispetto di una struttura o forma, che dir si voglia?

2) Spesso con colleghi concertisti (italiani e non, coetanei e non) mi sono ritrovato a scambiare opinioni sull'estremizzazione di concetti come 'astrazione del suono', 'rarefazione', e via discorrendo; estremizzazione che, lasciatemelo dire, a volte si trasforma in provocazione nella quale la musica non c'entra più un fico secco e che quindi rende inutile anche un eventuale lavoro di ricerca, quando questa c'è davvero. Sono tutti d'accordo nel sostenere che la buona musica necessita di sostanza e quindi di costruzione e che la lettura di pagine accartocciate con pentagrammi concentrici (non mi riferisco a nessuna composizione in particolare) o di tamburelli sul ponticello prima con unghie e poi con il polpastrello (basta, per favore!) sia tutto sommato qualcosa da fare al solo scopo di conoscere - benvenga sempre - ma non certo per espandere il proprio repertorio. Alla luce di questo, oggi, possiamo definire alcune piste di "ricerca" (si fa per dire) come dei flop?

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[...] Sono tutti d'accordo nel sostenere che la buona musica necessita di sostanza e quindi di costruzione e che la lettura di pagine accartocciate con pentagrammi concentrici (non mi riferisco a nessuna composizione in particolare) o di tamburelli sul ponticello prima con unghie e poi con il polpastrello (basta, per favore!) sia tutto sommato qualcosa da fare al solo scopo di conoscere - benvenga sempre - ma non certo per espandere il proprio repertorio.

 

Sono dell'idea che ricerca, innovazione e sperimentazione non possano essere il fine ultimo della composizione, ma come ogni altro, mezzi d'espressione che debbano solamente supportare l'idea compositiva ed aiutare il compositore a renderla nel migliore dei modi. In buona sostanza, quello che conta è il contenuto, in senso stretto: se mancano le idee e la capiacità di svilupparle, ricorrere ad effetti "inusuali" o avanguardie di varia natura non sopperisce certo a queste mancanze.

 

EB

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"Svincolato dalla tradizione, quindi lontano dall'ambiente linguistico in qualche modo legato alla tonalità". La musica svincolata dalla tonalità ha, grosso modo, una novantina d'anni: non sono stati sufficienti a creare una tradizione? Chi scrive musica atonale è fuori dalla tradizione? Linguaggi inusuali? Dopo le migliaia di pezzi atonali, seriali, aleatori, tellurici, scritti per chitarra nel Novecento, che cosa significa "linguaggi inusuali"? Un pezzetto ben scritto in do maggiore (rara avis) non sarebbe molto più "inusuale" dell'ennesimo brano "di ricerca"?

 

Argomento molto interessante.

Due domande:

1) La sperimentazione sonora e quindi anche compositiva anche solo riferita al repertorio chitarristico degli anni 60 e 70 può essere legata ad una difficoltà (o, perchè no, incapacità) di espressione attraverso la costruzione e il conseguente rispetto di una struttura o forma, che dir si voglia?

 

 

No. Negli anni Sessanta e Settanta fu scritta buona musica per chitarra che, pur non facendo diretto riferimento a forme adoperate in passato, non denunciava alcuna difficoltà nella costruzione e nella strutturazione dei brani, anzi ne esaltava, insieme ad altri aspetti, i valori formali. Menziono solo tre titoli di autori italiani, ma la lista potrebbe essere ben più lunga: "Nunc" di Goffredo Petrassi, "Las seis cuerdas" di Alvaro Company, "Algo" di Franco Donatoni. I tre autori in questione avevano un'idea ben definita del "mondo sonoro" al quale intendevano dar vita con la chitarra, e si servirono di forme create ad hoc, adoperando anche la timbrica in funzione strutturale, non per scopi estetizzanti. Più avanti, Luciano Berio, nella Sequenza XI, fece la stessa cosa - naturalmente a modo proprio. Questi erano compositori che non pativano di difficoltà e che avevano carte da giocare. Allo stesso modo, nei primi anni Sessanta, Castelnuovo-Tedesco e Rodrigo componevano i loro bravi pezzi tonali, del tutto legati alle rispettive tradizioni. A deriderli e a escluderli dai dizionari erano soltanto i soldatini della sedicente nuova musica, quelli in eskimo e barba. Io ho letto la lettera che Petrassi scrisse al suo ex-allievo Wolfango Dalla Vecchia in accoglimento della musica di "Variati amorosi momenti", appena pubblicata da Zanibon - composizione del tutto tradizionale. Ebbene, il grande maestro romano non spendeva una parola riguardo al tipo di linguaggio musicale adottato dal compositore padovano, e lo elogiava caldamente per la bellezza e la perfezione formale del suo lavoro per chitarra.

 

2) Spesso con colleghi concertisti (italiani e non, coetanei e non) mi sono ritrovato a scambiare opinioni sull'estremizzazione di concetti come 'astrazione del suono', 'rarefazione', e via discorrendo; estremizzazione che, lasciatemelo dire, a volte si trasforma in provocazione nella quale la musica non c'entra più un fico secco e che quindi rende inutile anche un eventuale lavoro di ricerca, quando questa c'è davvero. Sono tutti d'accordo nel sostenere che la buona musica necessita di sostanza e quindi di costruzione e che la lettura di pagine accartocciate con pentagrammi concentrici (non mi riferisco a nessuna composizione in particolare) o di tamburelli sul ponticello prima con unghie e poi con il polpastrello (basta, per favore!) sia tutto sommato qualcosa da fare al solo scopo di conoscere - benvenga sempre - ma non certo per espandere il proprio repertorio. Alla luce di questo, oggi, possiamo definire alcune piste di "ricerca" (si fa per dire) come dei flop?

 

Guarda, un bando di concorso come quello qui pubblicato, negli Stati Uniti farebbe ridere. Nessun musicista, che non sia un rudere culturale o un idiota, accetta oggi di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare: se è onesto, fa quello che sa fare come ritiene giusto farlo, e se è disonesto tenta di ingannare il prossimo menando il can per l'aia. Caro Cristiano, se un brano - quale che sia il suo orientamento di linguaggio - è stato scritto da un compositore, lo si vede - prima ancora di sentirlo - guardando per dieci secondi la prima pagina del suo testo; se l'ha scritto un dulcamara, dieci secondi sono anche troppi. Non c'è modo di darla a bere. Poi, che il brano sia atonale o "di ricerca", o che sia in mi minore, non conta un accidente, esattamente come non conta un accidente il fatto che il compositore sia credente o ateo, di destra o di sinistra, eterosessuale o gay. E ogni pregiudizio al riguardo sa di polizia politica, di chiesa con braccio armato, di valle di Giosafat anticipata in questo mondo.

 

dralig

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Guarda, un bando di concorso come quello qui pubblicato, negli Stati Uniti farebbe ridere. Nessun musicista, che non sia un rudere culturale o un idiota, accetta oggi di sentirsi dire che cosa può fare e che cosa non può fare: se è onesto, fa quello che sa fare come ritiene giusto farlo, e se è disonesto tenta di ingannare il prossimo menando il can per l'aia. Caro Cristiano, se un brano - quale che sia il suo orientamento di linguaggio - è stato scritto da un compositore, lo si vede - prima ancora di sentirlo - guardando per dieci secondi la prima pagina del suo testo; se l'ha scritto un dulcamara, dieci secondi sono anche troppi. Non c'è modo di darla a bere. Poi, che il brano sia atonale o "di ricerca", o che sia in mi minore, non conta un accidente, esattamente come non conta un accidente il fatto che il compositore sia credente o ateo, di destra o di sinistra, eterosessuale o gay. E ogni pregiudizio al riguardo sa di polizia politica, di chiesa con braccio armato, di valle di Giosafat anticipata in questo mondo.

 

dralig

 

Forse solleverò una polemica con queste affermazioni, ma se è vero che una composizione deve "funzionare", è pur vero che il risultato estetico non è sicuramente l'ultimo fattore. In questo secolo si è assistito a sperimentazioni ai limiti dell'assurdo (vedi "Helicopter Quartet", oppure "4,33", per citarne due eclatanti). In nome della libertà si è scritta musica (oppure pause...), che come ha detto Lei in un altro post, ha fatto accademia e ancora oggi, in parte, continua a farla, e molto spesso continua a fare l'accademia di se stessa, mentre il pubblico andava da un'altra parte. Lungi da me mettere un dictat, ognuno si esprime come vuole e meglio crede, soprattutto se lo fa con grande tecnica, ma il mondo non ci segue, il compositore molto spesso è isolato, di nicchia. Non so, ma io vedo nei giovani allievi di composizione (almeno parlo della mia esperienza con gli amici di classe, prima a Matera e ora a Bari), una rinnovata volontà di comunicare quello che si sente, non solo la voglia di una completezza tecnica, quello che insomma molto spesso manca in molta musica del novecento, ovvero la comunicazione.

 

Francesco

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Se avete tutta sta voglia di comunicare potreste darvi al giornalismo televisivo. Oppure osservare quanto comunichino gli insetti fra di loro.

 

;)

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ho modificato il mio messaggio perchè era scritto in maniera equivocabile, ora è più chiaro. Alfredo, scusami, non comprendo. Schubert nella sua sonata per Arpeggione, una delle composizioni a me più care, non pensi abbia voluto comunicare quello che era lui, nella sua opera? Io credo di si, e credo che sia un valore che molta musica nel novecento ha dimenticato.

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dralig

 

Forse solleverò una polemica con queste affermazioni, ma se è vero che una composizione deve "funzionare", è pur vero che il risultato estetico non è sicuramente l'ultimo fattore. In questo secolo si è assistito a sperimentazioni ai limiti dell'assurdo (vedi "Helicopter Quartet", oppure "4,33", per citarne due eclatanti). In nome della libertà si è scritta musica (oppure pause...), che come ha detto Lei in un altro post, ha fatto accademia e ancora oggi, in parte, continua a farla, e molto spesso continua a fare l'accademia di se stessa, mentre il pubblico andava da un'altra parte. Lungi da me mettere un dictat, ognuno si esprime come vuole e meglio crede, soprattutto se lo fa con grande tecnica, ma il mondo non ci segue, il compositore molto spesso è isolato, di nicchia. Non so, ma io vedo nei giovani allievi di composizione (almeno parlo della mia esperienza con gli amici di classe, prima a Matera e ora a Bari), una rinnovata volontà di comunicare quello che si sente, non solo la voglia di una completezza tecnica, quello che insomma molto spesso manca in molta musica del novecento, ovvero la comunicazione.

 

Francesco

 

Caro Francesco, la volontà di comunicare i proprii pensieri e i proprii sentimenti è stata rivendicata da un'intera categoria di compositori - allora giovani - a metà degli anni Settanta: si trattava degli allievi dei più famosi compositori della generazione precedente. Furono pubblicati "manifesti" e si assistette a una sorta di processo intentato dai giovani ai loro mentori. Uno degli scritti più forti fu redatto da Marco Tutino, allievo - vado a memoria - di Giacomo Manzoni, e credo che sia ancora leggibile nelle riviste musicali dell'epoca.

 

E' chiaro che non ci sarebbe stato bisogno di una siffatta presa di posizione se non ci si fosse trovati in vigenza di leggi non scritte, ma applicate con ferreo rigore, che avevano praticamente vietato quello che veniva reso oggetto di rivendicazione. "Brutta" fu l'aggettivo che Tutino adoperò nel descrivere la musica dei compositori della generazione alla quale apparteneva anche il suo maestro.

 

E' chiaro che, da allora in poi, di acqua sotto i ponti ne è scorsa molta, e oggi nessuno questiona più - almeno in sede pregiudiziale - il diritto del singolo compositore di fare quel che vuole. Personalmente, ritengo che la musica scritta da autori come Solbiati, Cappelli, Francesconi, Vacchi e altri sia di ottima qualità, e che sia ascoltabilissima da parte di chiunque abbia assimilato le opere del primo Novecento, sia quelle viennesi che quelle francesi e italiane.

 

Non dobbiamo però credere che tutta la musica scritta negli anni Cinquanta e Sessanta sia inascoltabile: ci sono pagine notevolissime, che si lasciano accostare con immediatezza, nonostante i veti e i precetti sotto i quali furono scritte. Certo, occorrerà una messa a punto delle prospettive storiche, per aggiustare giudizi di valore molto distorti: per fare un esempio, la musica di Niccolò Castiglioni è molto superiore a quella di Nono, Berio e Maderna, e questa, che per me è un'evidenza, è lungi dall'essere stata riconosciuta, e non è un caso che, nell'ascoltarla, non si incontrino maggiori difficoltà di quante ne incontri il neofita che ascolta per la prima volta la musica di Debussy.

 

Insomma, alla fine, i compositori che avevano qualcosa da dire, lo hanno detto, e sarebbe un peccato non coglierne il valore solo perché sono appartenuti a un'epoca dominata dall'ideologia invece che dalla bellezza.

 

dralig

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Si...e no.

Nel senso che...credo, fondamentalmente, all'autonomia della musica...ovvero alla capacità della musica di essere qualcosa di più, di oltre, di altro...rispetto al compositore che la scrive.

Il compositore è un mezzo...un medium...che attraverso l'appropriazione tecnica di un linguaggio ed il raggiungimento di uno stile riesce a dare forma a qualcosa di altrimenti indefinito...ed indefinibile.

Lo fa con linguaggi...e all'interno di questi con lo stile, che gli sono propri...questo è quello che c'è di suo...

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L'intervista linkata è veramente interessante.

Non ho potuto fare a meno di notare come queste parole di Petrassi

 

"Non siamo noi che scegliamo la musica che scriviamo ma in un certo senso è la musica a sceglier noi.

Direi che un compositore, almeno secondo la mia esperienza, lavora in uno stato di necessità, è in qualche modo costretto a scrivere ciò che scrive."

 

siano molto vicine a ciò che ho scritto qui

 

"...credo, fondamentalmente, all'autonomia della musica...ovvero alla capacità della musica di essere qualcosa di più, di oltre, di altro...rispetto al compositore che la scrive."

 

Non che voglia fare lo sborone...ma è quantomeno piacevole avvertire la presenza di una linea di pensiero comune con un compositore di tale grandezza...

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Perchè basta?

Perchè è uno strumento cordofono.

Perchè nel 99% dei casi si tratta di effetti speciali che non hanno niente a che vedere con il materiale proposto.

Perchè sono effetti usati alla stregua di "trucchetti".

E perchè sono stufo di leggere una fila di Si sulla corda a vuoto "Dalla buca al ponticello, ad libitum" che immancabilmente sfocia su un accordo di 11a sui sovracuti seguito dalla tambora sul ponticello.

Opinabile, ovviamente.

 

P.S.

Il fatto di essere nel 2010 cambia qualcosa? Da ciò che leggo per molti autori l'Ottocento è avanguardia.

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