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Non sono d'accordo sulla tesi che "un interpretazione, per quanto blasonata non può essere considerata alla stregua di un testo" perchè ogni opera d'arte, cioè quella che poi renderà al mondo intero la propria cifra, è il frutto di molteplici volontà sia di persone che di casualità.

 

Il mio ragionamento parte dal punto di vista del fruitore che si emoziona per uno specifico e comune modello, e non dalla radice recondita (intenzionale o meno) del protagonista primario (in questo caso il compositore).

Segovia, come varie volte ho scritto, è stato per tutti " il monumento" e quindi con lui il mondo della chitarra novecentesca ha dovuto inevitalbilmente fare i conti; il valore delle opere, i repertori ed anche inconsapevoli rivali (Yepes) sono stati "misurati" su quel metro tecnico e stilistico.

 

E' il mio parere, e non ho di certo la verità in tasca, ma pongo due esempi (volutamente poco chitarristici):

 

1. chiunque ascolti "Michelle" dei Beatles si accorgerà che nelle prime battute dell'incisione il tempo di metronomo cambia, e cambia perchè i "tagli" dei nastri all'epoca si facevano a mano. Il sobbalzo quindi non è volontà di un idea primaria del Beatles, forse ne avrebbero fatto a meno, ma oggi quella melodia è ricononosciuta così, un poco "storta" e nessuno si sogna di "quantizzare" il difetto con un nuovo editing.

 

2. Conosco bene un incisore, e questi mi ha raccontato che alcune opere da lui pressate con quotazioni - oggi - imbarazzanti, sono state oggetto di ampissime discussioni da parte dei critici, ma non perchè gli erano venute male, ma perchè l'artista le "avrebbe" così ideate in antitesi con il lavoro finora svolto ecc. ecc. ecc. Questi poi muore, e giù verità, analisi e controanalisi.

 

Questo è il mio pensiero con successivo pretesto HVL. Nell'arte c'è una inevitabile fotografia, e, più grande è l'opera considerata più chiara è quella fotografia. Ovviamente vi è un limite: esclusi quelli ignobili della malafede o dello scherzo, nel presentare aspetti di revisione inequivocabile il mio pensiero va al giusto, anzi necessario recupero del quarto movimento della Sonata di Giuliani avvenuta negli anni '70 (i-n-s-i-d-a-c-a-b-i-l-e) oppure - quando qualche fortunato ci riuscirà - alla riscoperta del 4° concerto per chitarra e orchestra dello stesso Giuliani, probabilmente nascosto impolverato in qualche baule di Vienna. Il problema è che nessuno finora mi ha risposto sul video che ho pubblicato: se fosse una bufala avrei meno armi per difendermi, se fosse autentico cambierebbe tutto per i miei detrattori

Giorgio Tortora

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Il caso del Capriccio Diabolico di Mario Castelnuovo-Tedesco è completamente diverso rispetto a quello della musica per chitarra di Heitor Villa-Lobos.

 

L'ho citato solo perché, nello stesso modo, ho trovato inconsistenti spiegazioni (una su tutte, ripeto, "perchè è sempre stato fatto così") di resistenza alla lettura della musica originale.

I modi, le persone e tutto ciò che girò intorno alla pubblicazione non era un tema del mio post, ma grazie lo stesso Frédéric per le informazioni sempre puntuali e precise.


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Non sono d'accordo sulla tesi che "un interpretazione, per quanto blasonata non può essere considerata alla stregua di un testo" perchè ogni opera d'arte, cioè quella che poi renderà al mondo intero la propria cifra, è il frutto di molteplici volontà sia di persone che di casualità.

 

Mi sembra che Lei confonda l'arte del comporre musica con quella di interpretarla. In ogni caso dubito molto che un'opera scritta su un pentagramma possa essere" il frutto di molteplici volontà sia di persone che di casualità". Di persone , no di certo, visto che l'autore è uno solo ( sono rari i pezzi scritti a più mani nel campo della musica dotta) e tanto meno di casualità, in quanto soltanto i dilettanti si lasciano guidare dalla loro penna o dal loro strumento.

 

Questo è il mio pensiero con successivo pretesto HVL. Nell'arte c'è una inevitabile fotografia, e, più grande è l'opera considerata più chiara è quella fotografia. Ovviamente vi è un limite: esclusi quelli ignobili della malafede o dello scherzo, nel presentare aspetti di revisione inequivocabile il mio pensiero va al giusto, anzi necessario recupero del quarto movimento della Sonata di Giuliani avvenuta negli anni '70 (i-n-s-i-d-a-c-a-b-i-l-e) oppure - quando qualche fortunato ci riuscirà - alla riscoperta del 4° concerto per chitarra e orchestra dello stesso Giuliani, probabilmente nascosto impolverato in qualche baule di Vienna. Il problema è che nessuno finora mi ha risposto sul video che ho pubblicato: se fosse una bufala avrei meno armi per difendermi, se fosse autentico cambierebbe tutto per i miei detrattori

Giorgio Tortora

 

Per dare una risposta bisogna fare una domanda!

L'audio che Lei ha postato fa parte di un gruppo di registrazioni non professionali realizzate tra la metà degli anni '20 e il 1940. Alla chitarra Villa-Lobos suona il Prélude n.1 e il Choros-n.1. Sapendo che Villa-Lobos mise a punto i Préludes nell'estate del 1940, ne pubblicò due nello stesso anno (i numeri 3 e 4), e pubblicò l'intero ciclo nel 1954 direi che non si può considerare un’esecuzione dell’opera ad uno stadio definitivo.

Inoltre occorre considerare che per Villa-Lobos la chitarra era il terreno favorito dell'improvvisazione.

La registrazione illustra comunque alcuni aspetti della prassi esecutiva di Villa-Lobos alla chitarra che sono interessanti e in quanto tali anche menzionati nella nuova edizione Eschig dei Préludes.

 

L'unica Sonata di Giuliani, l'Op.15, ha tre movimenti e non quattro.


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Come immaginavi il video crea un problema e sua risposta M° Zigante (parlo della registrazione) è - a mio parere ovviamente - alquanto contraddittoria: se quello che suona il Preludio n.1 è Villa Lobos stesso è difficile ritenere che si tratti di una versione non definitiva come lei in qualche modo sostiene (siamo negli anni '30 e quindi incidere un microsolco in maniera "poco definitiva" mi lascia molto perplesso), invece, e/ma, quella registrazione mi convince ancor di più della mia ragione, ovvero che ogni opera d'arte deve venir fotografata rispetto a molti altri fattori (non tutti musicali) anche di contingente casualità. Nella mia casa posseggo anch'io molti manoscritti (in copia ovviamente) di Villa Lobos, alcuni assolutamente discordanti anche dal più - finora - inconsueto, ma ora, proprio alla luce della registrazione che ho postato mi guarderei bene dal diffonderli. Riguardo alla Sonata di Giuliani, op. 15 mi riferivo al fatto che - come lei ben sa - l'ultima parte è stata riscoperta nell'era "Ruggero Chiesa". Io scrivo di getto, e per il fatto che in relazione al tema "La Chitarra e il suo Futuro", i particolari, i numeri di catalogo, ecc (non so se mi ha capito?)t non sono oggetto di discussione, mi permetto anche di sbagliare il tre con il quattro. Altra cosa quando svolgo l'attività di musicologo; in questo caso sono così precisino, pedante, e quant'altro (legga: rompicoglioni) che - pur avendo argomenti per farlo - valuto mille volte che il tre sia tre e che il quattro sa quattro. Provi a consultare la mia revisione (e sono in buona compagnia) de "La Battaglia di Marengo" per flauto e chitarra di Mauro Giuliani (Chanterelle Verlag) e forse capirà il metodo con il quale opero. Al di là di questa schermaglia finale, sottolineo però ancora che quel video/audio di HVL - sempre sia autentico - riscrive tutto, e quindi il mio concetto di "fotografia"........

Giorgio Tortora


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No, esattamente il contrario!


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Provo:

con il beneficio che è la mia idea, ho ritenuto aprire una discussione sul futuro della chitarra perchè convinto che la percezione della musica stia subendo (giusto o sbagiato non lo so) un fenomeno di progressione iperbolica. Il tema non è quindi se Tom Ward ne sia il nuovo archetipo, ma la realizzazione che questa modificazione (per qualcuno ernia e per altri bellezza) sia inevitabilmente in atto. Convinto che fino a solo qualche anno orsono le modificazioni (che sono sempre esistite) procedevano linearmente ed impercettibilmente tanto da chiamersi "evoluzione", ora il punto è l'autentica crisi di un 'intero sistema. Per questo motivo ho voluto fissare che nelle precedenti e naturali "evoluzioni" descritte qui sopra, vi sono stati (ma per tutti gli strumenti) delle vere e proprie stazioni d'arrivo e partenza. Una di queste si chiama Segovia che ha letterelmento scritto un'epoca (quarant'anni?) proponendo un modello di stile che poi - una volta assimilato - è ripartito ed ulterirmente caratterizzato. L'operazione quindi di molti studiosi, ma in particolar modo del M° Zigante, non mi trova d'accordo perchè - una volta ritirata dal mercato la versione segoviana - quelle nuove edizioni dimenticheranno presto la fotografia in cui si sono condensate le pulsioni di chitarristi, di morose, di vinili, di Brigate Rosse (in Italia) e di speranze. Ora, contestandomi la mia ignoranza o superficialità storica e filologica, mi si da una bella mazzata, lo so bene (anche se il significato della discussione era ben diverso) con la palese intenzione di richiamarmi alla corretta ed incontrovertibile esigenza di verità il modello o il particolare inserito il tale o tal'altra composizione non è quindi "nuovo" ma soltanto legittimo perchè farebbe - alla luce di nuove conoscenze - giustizia ecc. ecc. Il video/registrazione però complica le cose perchè ora che abbiamo ascoltato da Villa Lobos stesso (ammesso sempre che sia lui) come intendesse la propria musica bisognerebbe realizzare una ancora versione delle sue opere ritenendo quindi i manoscritti finora ritenuti primari non più tali, e iniziando nuove ricerche ed analisi: assurdo! La fotografia di Segovia per me è invece quella che conta, con tutte le incongruenze figlie di scarsa precisione del linotipista di Eschig, o di libere velleità del chitarrista spagnolo, ecc. come conterà il mondo dopo l'11 settembre, la percezione (e non il perchè) dei tagli di Fontana, o il rimpianto per le fotografie in carta. La ricerca di una verità storica che ricollochi al proprio posto le "cose di chitarra" quindi non mi appartiene, perchè ma intriga osservare in che modo il fiume iperbolico trasformerà (fichè sono vivo) non la mia, ma la chitarra. Mi sto attirando una bella quantità di strali da parte di molti chitarristi "romantici", lo so, ma quel video/registrazione.....

Giorgio Tortora


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Riguardo alla Sonata di Giuliani, op. 15 mi riferivo al fatto che - come lei ben sa - l'ultima parte è stata riscoperta nell'era "Ruggero Chiesa". Io scrivo di getto, e per il fatto che in relazione al tema "La Chitarra e il suo Futuro", i particolari, i numeri di catalogo, ecc (non so se mi ha capito?)t non sono oggetto di discussione, mi permetto anche di sbagliare il tre con il quattro. Altra cosa quando svolgo l'attività di musicologo; in questo caso sono così precisino, pedante, e quant'altro (legga: rompicoglioni) che - pur avendo argomenti per farlo - valuto mille volte che il tre sia tre e che il quattro sa quattro. Provi a consultare la mia revisione (e sono in buona compagnia) de "La Battaglia di Marengo" per flauto e chitarra di Mauro Giuliani (Chanterelle Verlag) e forse capirà il metodo con il quale opero. Al di là di questa schermaglia finale, sottolineo però ancora che quel video/audio di HVL - sempre sia autentico - riscrive tutto, e quindi il mio concetto di "fotografia"........

Giorgio Tortora

 

Non vorrei sembrarLe pedante ma non capisco cosa intende per "riscoperta" dell'ultimo tempo della Sonata op.15 di Giuliani nell'era "Ruggero Chiesa". Ruggero Chiesa firmò le sue prime pubblicazioni nel 1962 e la sua attività terminò nel 1993, anno della sua scomparsa. La Sonata op. 15 fu pubblicata due volte a Vienna quando Giuliani era ancora in vita. Karl Scheit la ripubblicò per intero nel 1943 per l'editore Universal e José de Azpiazu la pubblicò per la Ricordi nel 1958. Inoltre Segovia suonò la sonata completa negli anni '30 e Yepes la suonò spesso negli anni '50. Non mi pare si possa dunque parlare di "riscoperta nell'era di Ruggero Chiesa". Non è questione di numeri di catalogo o di approfondimenti musicollogici ma di semplice cronologia.


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Ho letto e riletto alcuni dei post di Tortora ospitati in questo thread.

 

Non sono sicuro di avere ben capito tutto quello che dice, ma mi sembra che voglia esprimere - se non fraintendo troppo il suo pensiero - il disagio che prova per il contrasto tra una certa immagine di chitarra su cui si è formato (le versioni di Segovia dei pezzi di Villa - Lobos, per esempio) e quello che sta accadendo alla chitarra ultimamente, compresi nuovi modi di suonare e comporre - fatti in cui si trova anche coinvolto personalmente (la "nouvelle vague" di alcune sue composizioni che cita, ad esempio) oltre che come osservatore (concorso di Gorizia), ma che non riconosce in continuità con la tradizione, con quella che lui chiama la "fotografia" della "sua" chitarra. Di qui la domanda sulla "fine " della chitarra.

 

A me pare, se questo è il problema, che ci sia una alternativa tra una tradizione intesa come "fotografia" che fissa e si arrocca su di un passato ormai finito ed il rincorrere un "nuovo" che rispetto a quel passato si pone solo come frattura.

 

L'alternativa, in cui io personalmente mi riconosco, è cogliere e portare avanti il valore che una certa tradizione, anche chitarristica, mi ha portato, vivendolo dentro la sensibilità di oggi ed utilizzando gli strumenti di oggi.

Ad esempio, sono convinto che quello che Segovia diceva della interpretazione (una "sintesi in continua espansione", una "esplosione di libertà"...) contenga un valore perenne, sempre da riscoprire e su cui sintonizzarsi, al di là ed oltre quelle che sono state, ad esempio, le sue

competenze filologiche o, diciamolo pure, la sua fatica nel cogliere anche il positivo delle trasformazioni della musica del Novecento.

 

In questa "sintesi in espansione", che Segovia ha richiamato ed anche testimoniato, si possono benissimo inglobare le nuove acquisizioni della musicologia o dei nuovi linguaggi compositivi...se non si potesse fare ciò non ci sarebbe la "continua espansione", si rimarrebbe ancorati ad un passato fermo, appunto "fotografato" nella sua immobilità. E lo stesso Segovia non faceva così.

 

Ma, d'altra parte, se si tratta di fare una sintesi, allora occorre continuare ad esercitare un giudizio, e di tutti gli elementi, anche nuovi, prendere ed usare quello che, secondo tale giudizio, vale. Altrimenti si rincorre solo quello che è di moda, acriticamente. Questo Segovia non l'avrebbe mai fatto, e continuare ad esercitare un giudizio critico in fondo è quindi un modo di continuare una tradizione. "El sueno della razòn produce monstruos", oggi come ai tempi di Goya.

Per non cadere nel sonno della ragione anche oggi io mi chiedo, nell'operare scelte artistiche, che "ragioni" ci sono, se - ad esempio - un pezzo nuovo mi dà ragioni sufficienti per impararlo, mi trasmette un valore che ritengo importante per me e per gli altri.

 

Ho sempre rispettato (un po' da lontano, confesso) il pezzo per chitarra di Ghedini; lo leggo da quarant'anni... ma fino a pochi mesi fa non mi era scattata la molla per impararlo e suonarlo in pubblico;ad un certo punto si è accesa la lampadina del valore del pezzo per me, fino alla necessità, per me, di suonarlo...mi ricordo una vecchia intervista di Segovia, dove , a proposito di quella Antologia della Ricordi in cui è contenuto il pezzo di Ghedini, disse più o meno: "leggerò il volume e se qualche pezzo non mi piacerà non lo suonerò, gli altri sì"...ad un certo punto, dopo la lampadina di Malipiero, Poulenc, Petrassi, Auric, Rodrigo (contenuti in quel volume), che avevo già studiato e suonato in pubblico, mi si è accesa anche la lampadina di Ghedini...meglio tardi che mai. Adesso però credo di poter dire qualcosa di personale suonando quel pezzo, di poterne offrire la mia sintesi...in continua espansione, man mano che ci capisco qualcosa di più...

 

Questi sono i miei "two cents" che butto nella discussione.


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Ho letto e riletto alcuni dei post di Tortora ospitati in questo thread.

 

Non sono sicuro di avere ben capito tutto quello che dice, ma mi sembra che voglia esprimere - se non fraintendo troppo il suo pensiero - il disagio che prova per il contrasto tra una certa immagine di chitarra su cui si è formato (le versioni di Segovia dei pezzi di Villa - Lobos, per esempio) e quello che sta accadendo alla chitarra ultimamente, compresi nuovi modi di suonare e comporre - fatti in cui si trova anche coinvolto personalmente (la "nouvelle vague" di alcune sue composizioni che cita, ad esempio) oltre che come osservatore (concorso di Gorizia), ma che non riconosce in continuità con la tradizione, con quella che lui chiama la "fotografia" della "sua" chitarra. Di qui la domanda sulla "fine " della chitarra.

 

A me pare, se questo è il problema, che ci sia una alternativa tra una tradizione intesa come "fotografia" che fissa e si arrocca su di un passato ormai finito ed il rincorrere un "nuovo" che rispetto a quel passato si pone solo come frattura.

 

L'alternativa, in cui io personalmente mi riconosco, è cogliere e portare avanti il valore che una certa tradizione, anche chitarristica, mi ha portato, vivendolo dentro la sensibilità di oggi ed utilizzando gli strumenti di oggi.

Ad esempio, sono convinto che quello che Segovia diceva della interpretazione (una "sintesi in continua espansione", una "esplosione di libertà"...) contenga un valore perenne, sempre da riscoprire e su cui sintonizzarsi, al di là ed oltre quelle che sono state, ad esempio, le sue

competenze filologiche o, diciamolo pure, la sua fatica nel cogliere anche il positivo delle trasformazioni della musica del Novecento.

 

In questa "sintesi in espansione", che Segovia ha richiamato ed anche testimoniato, si possono benissimo inglobare le nuove acquisizioni della musicologia o dei nuovi linguaggi compositivi...se non si potesse fare ciò non ci sarebbe la "continua espansione", si rimarrebbe ancorati ad un passato fermo, appunto "fotografato" nella sua immobilità. E lo stesso Segovia non faceva così.

 

Ma, d'altra parte, se si tratta di fare una sintesi, allora occorre continuare ad esercitare un giudizio, e di tutti gli elementi, anche nuovi, prendere ed usare quello che, secondo tale giudizio, vale. Altrimenti si rincorre solo quello che è di moda, acriticamente. Questo Segovia non l'avrebbe mai fatto, e continuare ad esercitare un giudizio critico in fondo è quindi un modo di continuare una tradizione. "El sueno della razòn produce monstruos", oggi come ai tempi di Goya.

Per non cadere nel sonno della ragione anche oggi io mi chiedo, nell'operare scelte artistiche, che "ragioni" ci sono, se - ad esempio - un pezzo nuovo mi dà ragioni sufficienti per impararlo, mi trasmette un valore che ritengo importante per me e per gli altri.

 

Ho sempre rispettato (un po' da lontano, confesso) il pezzo per chitarra di Ghedini; lo leggo da quarant'anni... ma fino a pochi mesi fa non mi era scattata la molla per impararlo e suonarlo in pubblico;ad un certo punto si è accesa la lampadina del valore del pezzo per me, fino alla necessità, per me, di suonarlo...mi ricordo una vecchia intervista di Segovia, dove , a proposito di quella Antologia della Ricordi in cui è contenuto il pezzo di Ghedini, disse più o meno: "leggerò il volume e se qualche pezzo non mi piacerà non lo suonerò, gli altri sì"...ad un certo punto, dopo la lampadina di Malipiero, Poulenc, Petrassi, Auric, Rodrigo (contenuti in quel volume), che avevo già studiato e suonato in pubblico, mi si è accesa anche la lampadina di Ghedini...meglio tardi che mai. Adesso però credo di poter dire qualcosa di personale suonando quel pezzo, di poterne offrire la mia sintesi...in continua espansione, man mano che ci capisco qualcosa di più...

 

Questi sono i miei "two cents" che butto nella discussione.

 

Caro Piero, ti sarai sicuramente domandato come mai i pianisti, i violinisti, i violoncellisti, che ebbero, nella generazione di Segovia, interpreti del calibro di Horowitz e Rubinsein, di Heiftez, di Casals, non crearono, intorno a quelle figure, l'immane mitologia sorta intorno alla figura di Segovia ad opera dei chitarristi. Storicamente, esteticamente, la figura di Segovia è perfettamente inserita nella storia dell'intepretazione musicale, in cui sfliano figure eminenti al pari della sua, senza che per questo si sia alzata una mitografia - inevitabilmente accompagnata da una mitomania denigratoria che, nel caso specifico di Segovia, ha raggiunto punte criminaloidi.

 

Si dirà che ciò è dipeso in gran parte dal fatto che, mentre gli Heifetz e i Casals si aggiungevano a una tradizione già in atto nei rispettivi campi, Segovia l'ha fondata, ma sappiamo che tale affermazione - storicamente - è priva di fondamento, perché i grandi interpreti della chitarra sono esistiti prima di lui e contemporaneamente a lui, e tuttavia non hanno inciso in misura paragonabile alla sua. Prima di Casals, la Suites per violoncello di Bach erano ignorate o considerate degli esercizi noiosi. Il fatto che lui ne abbia rivelato al mondo l'immensa bellezza è stato riconosciuto, ma questo non ha trasformato Casals, agli occhi dei violoncellisti, in una icona ossessionante, da citare a ogni pie' sospinto, da prendere come riferimento, o addirittura come modello, per le proprie, quotidiane scelte di repertorio, di stile interpretativo, addirittura di definizione dei testi.

 

Io non esito a individuare, in questo atteggiamento, una patologia culturale i cui fattori sono molteplici, ma riassumibili in una definizione generalizzata: la pochezza dei chitarristi. Pochezza intellettuale, culturale, artistica, musicale, caratteriale, etc. Segovia è stato un grande interprete, al cui seguito si è formata una enorme piaga manieristica, ora giustiziata dal mondo della musica e risospinta in quelli che il maestro chiamava "suburbi musicali". Basta leggere un qualunque forum di chitarra - non solo in italiano - per rendersi conto della realtà. Il guaio è che, in questa vigorosa spazzata che la vita musicale ha fatto del chitarrume, sono stati implicati anche chitarristi di valore, dotati di personalità autentica, i quali ora faticano enormemente a risalire la corrente avversa e ottengono riconoscimenti molto inferiori ai loro meriti.

 

Lo studio che ho condotto in ambito segoviano mi ha portato a credere che Segovia fosse perfettamente conscio di tutto ciò, e che sapesse benissimo che ci sarebbe stato après lui, le déluge. Credo che sia giunto il tempo di scrivere un saggio sull'argomento: un saggio storico, si, ma anche estetico, con una serie di implicazioni su quello che potrà essere non "il futuro della chitarra" (locuzione ridicola), ma il futuro della cultura della quale la musica per chitarra è espressione peculiare. E' ora di decidersi...

 

dralig


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Bene M° Zigante, ma vedo che a lei non coglie il significato di quanto io sto tentando di esplicitare nei miei interventi. Lo dico senza ironia, mi creda, ma sottolineandole che il mio intendimento era (ed è tutt'ora) provare a ragionare sul futuro della chitarra giunta, secondo il mio parere, alla propria ridefinizione. La domanda è: la nuova via sarà quella di pulire e ripulire ancora la tecnica dei chitarristi, far ulteriore luce sul repertorio, su dati, informazioni ecc. oppure decidere che questi aspetti si collocano su un ramo, pur nobile (anzi nobilissimo) di un inevitabile passato? A scanso di equivoci mi spiego meglio: fino a tre/quattro o cinque anni orsono, ognuno possedeva una macchina fotografica con la quale scattava le proprie immagini e poi - come in un rituale - le portava al negozio del fotografo a sviluppare. Una specie di rito insomma, a vari livelli di tecnica, di grandangolo, di zoom, di formato, ecc. con quella piccola emozione del ritiro e successiva visione. Oggi, quelle macchine, anche le più prestigiose, le Leika, le Rolleiflex, ecc. non hanno più senso anche se meravigliose perchè con l'avvento del digitale manca il proprio rovesci; ii negozi di fotografia non esistono più, la Agfa e la Kodak hanno trasformato la produzione e i soli appassionati del cosiddetto "analogico" si ritrovano a discutere di "cose vintage". Così, come per i vinili, per le comunicazioni telefoniche, per l'invio della posta, e quant'altro, anche la chitarra attuale è - metaforicamente - già morta e defunta, evocata sì ancora, da persone nobili e appassionate come (mi permetto), lei (mi creda ancora, non sono ironico), ma costretta a prendere atto che anche per lei non c'è più l'interfaccia socioculturale. Ha finito un ciclo, ora soppiantato da nuovi fenomeni percettivi come - per esempio - il linguaggio delle suonerie telefoniche, l'arte sonora di alcune installazioni contemporanee, i codici esteti/psicologici delle sloot-machine (da non sottovalutare!!!!!). I suoi studi, M° Zigante, come quelli di tanti altri autorevoli musicologi, forse in parte anche i miei, sono e saranno sempre di più prestigiosi nei confronti di un ramo destinato a finire nelle secche: tra cinque , dieci o al massimo vent'anni, perchè la nuova esigenza percettiva (ripeto: non do il voto se giusta o sbagliata) definisce preistoria ciò che è successo non più di ieri sera. Non dico Giuliani e la sua opera 15, Karl Scheit, Sigfrid Beehrend, non dico Stockhausen padre, ma nemmeno il mio amico Markus (il figlio), ma gli stessi Beatles sono preistoria, i King Krimson, i Gong, Emilio Vedova, Malipiero, gli AC-DC, Teddy Riley, Sciarrino, Tutino, ecc. e se mi verrà contestato che il meccanismo estetico deve neccessariamente far tesoro dei grandi personaggi, o dei movimenti epocali risponderò no, perchè è cambiata la cifra di riferimento.

Giorgio Tortora

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