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Ospite Attademo
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Cari Colleghi,

ho affrontato in queste settimane lo studio di una celebre opera di Girolamo Frescobaldi da tempo presente nella letteratura chitarristica: l'Aria detta La Frescobalda, che tutti conoscono almeno nella registrazione di Segovia. Premetto che per me lo studio di Frescobaldi è stato un passaggio necessario nel lavoro di approfondimento che ho svolto negli ultimi anni registrando l'opera di J.S. Bach (che ne è stato molto influenzato, pensate all'Aria variata alla maniera italiana BWV 989).

Quindi ho pensato di affrontare questo "classico" della letteratura chitarristica, ovviamente tenendo conto delle cose che ho studiato in questi ultimi anni, e mettendomi alle spalle la storica versione di Segovia - sia quella discografica che la revisione, entrambi connotate da un approccio molto più legato all'estetica della prima metà del secolo e quindi antistorico per eccellenza. Per farla breve, ho constatato in tutte le versioni che ho consultato e ascoltato: 1) l'ignoranza (nel senso letterale) di che cosa significhi suonare Frescobaldi; 2) la non corrispondenza della trascrizione a quanto scritto da Frescobaldi.
Ora, a differenza dei tempi in cui operavano Pujol e Segovia, abbiamo a disposizione grazie alla rete e quindi a distanza di pochi "click", materiali bibliografici molto attendibili (nel caso di Frescobaldi per esempio l'intavolatura per tastiera originale:
http://imslp.org/wiki/Organ_and_Keyboard_Works_%28Frescobaldi,_Girolamo%29); mi domando quindi perché si trovino in giro edizioni e registrazioni basate su errori di trascrizione o addirittura di volontarie manomissioni frutto della mancanza di rispetto della scrittura orginale (condotta delle parti, alterazioni, suddivisione in misure, indicazione di tempo ecc.). La versione di Segovia, come anche in altre opere, corrisponde a un'idea della musica che non può essere la nostra: impossessarsi dei testi e renderli omogenei alla propria estetica - costi quel che costi. Ma nel 2011 perché perpetuare questa logica? - all'epoca frutto di una coerente visione estetica propria di quel tempo, oggi solo anacronistico malcostume fatto di sgrammaticature e sciatteria.
Saluti
Luigi Attademo


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Salve Maestro, ospito l'intervento di un amico che ha letto il suo articolo:

 

Alcuni amici chitarristici mi hanno segnalato il suo testo e, leggendolo, sono

nate queste righe di commento. Innanzitutto mi presento: sono un filologo e,

dunque, mi occupo di questioni inerenti la trasmissione e l’interpretazione dei

testi (nel mio caso di testi musicali). Premetto questo non per nascondermi

dietro una patina accademica, ma perché le cose di cui lei parla nel suo

intervento mi stanno veramente a cuore; costituiscono cioè la modalità

particolare con cui mi avvicino e cerco di conoscere un’opera d’arte. Detto

questo, le confesso che ho trovato i suoi commenti molto interessanti. E’

evidente che lei parte da uno spunto buono e ultimamente condivisibile: l’

urgenza di conoscere l’oggetto della propria ricerca risalendo alle fonti, di

capire il contesto che le ha generate, di elaborare dei criteri per indirizzare

il proprio lavoro di interprete e per giudicare più consapevolmente quello

altrui.

Per quanto mi riguarda, preferisco non entrare nel merito specifico delle

questioni tecniche che lei solleva; mi preme piuttosto esprimere un giudizio di

metodo. Ciononostante sono fermamente persuaso che nelle trascrizioni di

Segovia esista una verità artistica in grado di portare alla luce la immanente

vitalità dell’opera d’arte, cui nulla aggiunge e nulla toglie la maggiore o

minore fedeltà storica. Mi rendo conto che al giorno d’oggi, in cui tutto corre

il rischio di essere relativizzato, può essere difficile o per certuni persino

fastidioso parlare di ‘verità artistica’. Tuttavia, è proprio l’amore a questa

verità che dovrebbe guidare il nostro lavoro, tanto di interpreti quanto di

filologi. E, a ben vedere, si tratta della medesima verità artistica che pure

avvalora le trascrizioni di Bach – un autore che lei certamente ama e che ebbe

molti meno scrupoli di Segovia nel mediare attraverso le proprie concezioni

estetiche le opere dei suoi contemporanei.

Alessandro Borin

Ospite Attademo
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Sono perfettamente d'accordo. Anzi dirò di più. Trovo nelle interpretazioni romantiche (di estetica derivata dal romaticismo, insomma la generazione di Segovia e di altri grandi interpreti) una capacità di cogliere quella richezza espressiva che nella seconda metà del Novecento si è persa a causa ( o in ragione, dipende dai punti di vista) di un eccesso di formalismo. Faccio un esempio. Granados ha pubblicato una selezione di Sonate di Domenico Scarlatti che in parte riscrive (aggiungendo note e modificando il testo scarlattiano che comunque lui non conosceva se non attraverso la tradizione ottocentesca): il fatto è che tale riscrittura se da un lato si allontana dalla lettera dell'autore che oggi conosciamo dall'altra coglie aspetti espressivi e la varietà della scrittura scarlattiana molto più che le asettiche letture clavicembalistiche in cui prevale l'approccio filologico (almeno quello della seconda metà del '900). Quanto a Segovia, anch'io ammiro nelle sue interpretazioni la sua verità artistica, la considero però frutto di un'estetica molto coerente che ha a che fare più con la sua visione poetica che con l'interpretazione degli autori ( non è un caso che Segovia renda tutti gli autori del suo repertorio molto simili, sia che si tratti di Bach che di Ponce - e in qualche modo questa è la sua grande forza: la coerenza del suo gesto intepretativo) - grazie delle osservazioni

Saluti

LA


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Cari Colleghi,

 

ho affrontato in queste settimane lo studio di una celebre opera di Girolamo Frescobaldi da tempo presente nella letteratura chitarristica: l'Aria detta La Frescobalda, che tutti conoscono almeno nella registrazione di Segovia. Premetto che per me lo studio di Frescobaldi è stato un passaggio necessario nel lavoro di approfondimento che ho svolto negli ultimi anni registrando l'opera di J.S. Bach (che ne è stato molto influenzato, pensate all'Aria variata alla maniera italiana BWV 989).

 

Quindi ho pensato di affrontare questo "classico" della letteratura chitarristica, ovviamente tenendo conto delle cose che ho studiato in questi ultimi anni, e mettendomi alle spalle la storica versione di Segovia - sia quella discografica che la revisione, entrambi connotate da un approccio molto più legato all'estetica della prima metà del secolo e quindi antistorico per eccellenza. Per farla breve, ho constatato in tutte le versioni che ho consultato e ascoltato: 1) l'ignoranza (nel senso letterale) di che cosa significhi suonare Frescobaldi; 2) la non corrispondenza della trascrizione a quanto scritto da Frescobaldi.

Ora, a differenza dei tempi in cui operavano Pujol e Segovia, abbiamo a disposizione grazie alla rete e quindi a distanza di pochi "click", materiali bibliografici molto attendibili (nel caso di Frescobaldi per esempio l'intavolatura per tastiera originale:

http://imslp.org/wiki/Organ_and_Keyboard_Works_%28Frescobaldi,_Girolamo%29); mi domando quindi perché si trovino in giro edizioni e registrazioni basate su errori di trascrizione o addirittura di volontarie manomissioni frutto della mancanza di rispetto della scrittura orginale (condotta delle parti, alterazioni, suddivisione in misure, indicazione di tempo ecc.). La versione di Segovia, come anche in altre opere, corrisponde a un'idea della musica che non può essere la nostra: impossessarsi dei testi e renderli omogenei alla propria estetica - costi quel che costi. Ma nel 2011 perché perpetuare questa logica? - all'epoca frutto di una coerente visione estetica propria di quel tempo, oggi solo anacronistico malcostume fatto di sgrammaticature e sciatteria.

Saluti

Luigi Attademo

 

Ciao Luigi, non entro nel merito della questione da te sollevata perché non ho nulla da aggiungere a quello che hai detto - salvo il fatto che la necessità di leggere le opere, non soltanto testualmente, ma anche contestualmente (la storia!) si pone in modo urgente anche per il Novecento, non solo per la musica antica.

 

Riguardo a Segovia, sono giunto alla conclusione che, in uno studio biografico che mi sembra ancor più necessario dopo la pubblicazione dei corposi volumi di Alberto López Poveda, un capitolo debba essere dedicato all'influenza che esercitò sul maestro la seconda moglie, la pianista Paquita Madriguera. Parecchie trascrizioni che Segovia realizzò di prima mano, cioè senza rifarsi a trascrizioni precedenti di Tárrega e di Llobet, furono concepite grazie alla conoscenza che egli accumulò di un repertorio pianistico "minore": la fonte di tale conoscenza era la biblioteca musicale della Madriguera, che possedeva le antologie pianistiche tipiche dell'epoca (comprendenti anche i clavicembalisti). Da questa conoscenze ebbero origine le trascrizioni che vanno dal barocco francese (Louis Couperin, Rameau) al romanticismo (Franck, Brahms), escluse quelle da Chopin, che Segovia ereditava da Tárrega. Frescobaldi; in particolare, l'Aria detta La Frescobalda, era sicuramente uno dei pezzi inclusi nelle antologie prossedute dalla Madriguera - e la cronologia delle trascrizioni segoviane riflette puntualmente i frutti del periodo di Montevideo - quello in cui Segovia fu maggiormente esposto all'influenza del pianoforte. In un certo senso, il divorzio dalla Madriguera fu una disdetta per Segovia, perché la moglie era una musicista di formazione accademica molto severa, e il contatto quotidiano con lei era un fattore di equilibrio nell'arte segoviana - sia nel repertorio che nell'interpretazione.

 

Credo che faresti bene a pubblicare un volume di trascrizioni, riprendendo alcuni lavori resi celebri da Segovia: la Frescobalda occuperebbe meritatamente il primo posto.

 

ag


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Cari Colleghi,

 

ho affrontato in queste settimane lo studio di una celebre opera di Girolamo Frescobaldi da tempo presente nella letteratura chitarristica: l'Aria detta La Frescobalda, che tutti conoscono almeno nella registrazione di Segovia. Premetto che per me lo studio di Frescobaldi è stato un passaggio necessario nel lavoro di approfondimento che ho svolto negli ultimi anni registrando l'opera di J.S. Bach (che ne è stato molto influenzato, pensate all'Aria variata alla maniera italiana BWV 989).

 

Quindi ho pensato di affrontare questo "classico" della letteratura chitarristica, ovviamente tenendo conto delle cose che ho studiato in questi ultimi anni, e mettendomi alle spalle la storica versione di Segovia - sia quella discografica che la revisione, entrambi connotate da un approccio molto più legato all'estetica della prima metà del secolo e quindi antistorico per eccellenza. Per farla breve, ho constatato in tutte le versioni che ho consultato e ascoltato: 1) l'ignoranza (nel senso letterale) di che cosa significhi suonare Frescobaldi; 2) la non corrispondenza della trascrizione a quanto scritto da Frescobaldi.

Ora, a differenza dei tempi in cui operavano Pujol e Segovia, abbiamo a disposizione grazie alla rete e quindi a distanza di pochi "click", materiali bibliografici molto attendibili (nel caso di Frescobaldi per esempio l'intavolatura per tastiera originale:

http://imslp.org/wiki/Organ_and_Keyboard_Works_%28Frescobaldi,_Girolamo%29); mi domando quindi perché si trovino in giro edizioni e registrazioni basate su errori di trascrizione o addirittura di volontarie manomissioni frutto della mancanza di rispetto della scrittura orginale (condotta delle parti, alterazioni, suddivisione in misure, indicazione di tempo ecc.). La versione di Segovia, come anche in altre opere, corrisponde a un'idea della musica che non può essere la nostra: impossessarsi dei testi e renderli omogenei alla propria estetica - costi quel che costi. Ma nel 2011 perché perpetuare questa logica? - all'epoca frutto di una coerente visione estetica propria di quel tempo, oggi solo anacronistico malcostume fatto di sgrammaticature e sciatteria.

Saluti

Luigi Attademo

 

Sono convinto che questo approccio sia l'unico possibile ai nostri giorni, specie se ci si considera degli interpreti coscienziosi. Probabilmente il gusto odierno è diverso da quello ai tempi di Segovia, tuttavia non si possono ignorare le scoperte in ambito filologico. Quando si ha presente tutto l'insieme: il manoscritto, i trattati, le possibilità tecniche della chitarra, etc.. sono convinto che la necessità di cambiare anche una sola nota non sia il solo risultato di una personalissima necessità espressiva.

Ma aggiungerei che lo stesso lavoro andrebbe fatto, senza scomodare necessariamente gli antichi maestri, per tutta la musica.

Ospite Attademo
Inviato

 

Credo che faresti bene a pubblicare un volume di trascrizioni, riprendendo alcuni lavori resi celebri da Segovia: la Frescobalda occuperebbe meritatamente il primo posto.

 

ag

 

 

Caro Angelo rispondo a questa tua ultima osservazione anche uscendo dall'argomento (sarebbe necessario forse inaugurare un nuovo argomento di discussione intitolato "editoria per chitarra"). Sulle trascrizioni devo dire questo: tu mi esorti a fare un lavoro su Frescobaldi e su altri autori. Io ho l'impressione che tu non abbia bene chiaro quale sia la situazione dell'editoria musicale in Italia - lo dico in modo retorico, provocatoriamente, perché tu sai lo sai bene perché svogi in realtà un grande lavoro editoriale per diverse case editrici in Italia. Il tipo di lavoro che tu mi esorti a fare non interessa nessuno. Ho contatato a mie spese che basta essere fermo nelle proprie idee e non mercanteggiare sulla qualità del proprio lavoro per entrare nella lista di proscrizione: cosicché alcuni progetti editoriali che ho pensato e proposto a una casa italiana abbastanza attiva nel contesto chitarristico con i criteri che tu auspichi, sono stati giudicati fuori dagli obiettivi editoriali attuali. A fronte di questo, qualche anno fa ho visto pubblicare un volume dedicato a Domenico Scarlatti che come sai è un autore che ben conosco, senza alcun riferimento a fonti originali, né con un minimo di apparato critico e con una serie di indicazioni fuorvianti che mi hanno fatto pensare che non sono molti i passi avanti fatti dai tempi di Segovia. Il problema è qui che chiunque faccia una diteggiatura pensa di poter pubblicare un'edizione, e siccome ci troviamo di fronte a editori ignoranti oppure interessati solamente a vendere un prodotto sull'onda della moda, allora di queste pubblicazione il mondo della chitarra è pieno.

Quello che dico è che non si dovrebbe dare credibilità a questo tipo di operazioni, altrimenti è inutile poi invocare operazioni meglio condotte: inq uesto momento storico non è vero che c'è spazio per tutti. Chi lavora male restringe gli spazi anche a chi lavora bene e fa un'operazione dannosa perché consegna al pubblico un'idea dilettantistica dello strumento. Io la vedo così.

A presto

Luigi


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Ora non trovo il 3d in questione ma qualche tempo fa si era aperta un'interessante discussione sul problema editoria.


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Credo che faresti bene a pubblicare un volume di trascrizioni, riprendendo alcuni lavori resi celebri da Segovia: la Frescobalda occuperebbe meritatamente il primo posto.

 

ag

 

 

Caro Angelo rispondo a questa tua ultima osservazione anche uscendo dall'argomento (sarebbe necessario forse inaugurare un nuovo argomento di discussione intitolato "editoria per chitarra"). Sulle trascrizioni devo dire questo: tu mi esorti a fare un lavoro su Frescobaldi e su altri autori. Io ho l'impressione che tu non abbia bene chiaro quale sia la situazione dell'editoria musicale in Italia - lo dico in modo retorico, provocatoriamente, perché tu sai lo sai bene perché svogi in realtà un grande lavoro editoriale per diverse case editrici in Italia. Il tipo di lavoro che tu mi esorti a fare non interessa nessuno. Ho contatato a mie spese che basta essere fermo nelle proprie idee e non mercanteggiare sulla qualità del proprio lavoro per entrare nella lista di proscrizione: cosicché alcuni progetti editoriali che ho pensato e proposto a una casa italiana abbastanza attiva nel contesto chitarristico con i criteri che tu auspichi, sono stati giudicati fuori dagli obiettivi editoriali attuali. A fronte di questo, qualche anno fa ho visto pubblicare un volume dedicato a Domenico Scarlatti che come sai è un autore che ben conosco, senza alcun riferimento a fonti originali, né con un minimo di apparato critico e con una serie di indicazioni fuorvianti che mi hanno fatto pensare che non sono molti i passi avanti fatti dai tempi di Segovia. Il problema è qui che chiunque faccia una diteggiatura pensa di poter pubblicare un'edizione, e siccome ci troviamo di fronte a editori ignoranti oppure interessati solamente a vendere un prodotto sull'onda della moda, allora di queste pubblicazione il mondo della chitarra è pieno.

Quello che dico è che non si dovrebbe dare credibilità a questo tipo di operazioni, altrimenti è inutile poi invocare operazioni meglio condotte: inq uesto momento storico non è vero che c'è spazio per tutti. Chi lavora male restringe gli spazi anche a chi lavora bene e fa un'operazione dannosa perché consegna al pubblico un'idea dilettantistica dello strumento. Io la vedo così.

A presto

Luigi

 

Caro Luigi, il fatto che una casa editrice abbia preferito un altro chitarrista a te per pubblicare trascrizioni da Scarlatti mi sembra un motivo molto debole per indurti a rinunciare ad altri progetti editoriali. Chiunque abbia intrapreso e realizzato qualcosa di significativo in campo editoriale (e lo stesso si può dire in altri campi: la composizione, l'attività concertistica e discografica, l'insegnamento, etc.) lo ha fatto lottando e rimuovendo ostacoli, resistenze, diffidenze e invidie. Quando io incominciai la mia attività editoriale - 45 anni fa, mio Dio! - dovetti vedermela con mille problemi e rischiai seriamente di precipitare nel vuoto: essere messi da parte dopo aver avuto una chance è molto più grave che giacere nell'anonimato! Quando io decisi di introdurre nell'editoria chitarristica il principio di pubblicare i testi originali e di abolire il costume delle revisioni incontrollabili, l'establishment segoviano (non il maestro) mandò a dire all'editore per il quale lavoravo che quelle pubblicazioni erano destituite di ogni credibilità, e che sarebbero affondate nel giro di pochi mesi. Ricordo benissimo una lettera inviata all'editore da un distinto chitarrista nordamericano - mancato recentemente - che mi accusava di aver sfigurato "Platero y yo" con la mia decisione di mettere da parte la revisione di Segovia e di pubblicare invece il testo originale. L'editore, che aveva investito in quella pubblicazione - e in altre fondate sugli stessi criteri - cifre rilevanti, non avrebbe certo potuto continuare a finanziare la realizzazione delle mie idee se si fosse dovuto scontrare con un fallimento delle vendite, e io, che avevo appena alzato la testa, sarei stato ghigliottinato e avrei dovuto ricadere nella routine di un'attività provinciale, senza nessuna speranza, perché l'aver mosso (secondo i pretoriani che mi avevano circondato) guerra a Segovia era stato un imperdonabile atto di superbia. E tralascio ogni commento su quello che l'editore riceveva dall'Urbe non segoviana - almeno, gli zeloti del maestro si firmavano! Ed eccomi qui, 45 anni dopo: i cani seguitano ad abbaiare e i lupi a digrignare i denti, ma l'orchestra l'ho diretta, e seguito a dirigerla, io. Se, alla fine degli anni Sessanta e nei primi anni Settanta, mi fossi ritratto su me stesso nello sdegno e nella sfiducia - e ne avrei avuto ben donde - oggi il repertorio della chitarra sarebbe molto meno ricco, e io di certo non avrei avuto la mia vita - con tutte le sue enormi difficoltà - motivata come invece è stata e continuerà a essere fino al mio ultimo giorno. Se mi fossi guardato intorno regolando le mie decisioni sul comportamento di tizio e di caio, sul loro livello intellettuale e culturale, sulla natura delle scelte che li avevano spinti a fare i chitarristi, e sulla loro lealtà nei miei confronti, non avrei fatto nulla. Invece, capii che, se non valeva la pena di lavorare per la gente, valeva sì la pena di lavorare per l'umanità, quella nella quale credevo, e se non ne vedevo attorno a me dei campioni intemerati, ebbene, toccava a me cercare di incarnarne un modello. Oggi, vedi, non posso cantare vittoria - l'abominio dell'empietà che ci circonda esclude che, tra queste macerie, ci possano essere dei vincitori - ma una cosa sì, posso e devo dirla: la più grande vittoria che si può concedere all'ignoranza è il silenzio di coloro che sanno.

 

Il tuo vecchio maestro, ag.


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Ora non trovo il 3d in questione ma qualche tempo fa si era aperta un'interessante discussione sul problema editoria.

 

http://www.cristianoporqueddu.it/forumchitarraclassica/viewtopic.php?t=8028


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la più grande vittoria che si può concedere all'ignoranza è il silenzio di coloro che sanno.

 

 

Maestro, sono cambiate molte cose dagli anni 70-80. Lei lottava contro gli epigoni di Segovia. La mia generazione (che è più o meno quella di Attademo) contro una cultura di massa uniformata e soggetta ad un raffinatissimo e diabolico lavaggio del cervello. Probabilmente Lei non ha la reale misura dell'abisso e dell'incomunicabilità che ci circonda (sia chiaro, non gleine faccio una colpa, ma credo sia solo una questione generazionale). Non si ha più il senso della Storia della Musica, della composizione musicale e di un pensiero umanistico che riflette e specula sulle esperienze musicali del mondo. E non parlo di mancanze nella società. Quella ormai è a puttane da un pezzo. Parlo delle scuole di musica, delle università, dell'editoria dei "musicisti"... Lei un'opportunità in un conservatorio l'ha avuta. Così come la fiducia di un editore. Ancora un distinguo. Non parlo di opportunità di parola, parlo di lavoro. Per studiosi come Attademo e moltissimi altri non si tratta di silenzio. Tutti sappiamo qui (e lo so io che poco mi interesso di questioni storiche-chitarristiche) del lavoro di Attademo su Scarlatti. La conoscenza c'è. E la stessa cosa vale per una miriade di altri argomenti che da soli completerebbero una nuova enciclopedia della chitarra per il nuovo millennio. Senza piangersi troppo addosso ma il sistema è clientelare. Vige il nepotismo. Nell'underground vi sono argomenti che rimarranno nascosti, nei cassetti, non sviluppati e sistematizzati perchè il problema non è il silenzio di coloro che sanno ma l'incapacità di una cultura a porre le specifiche domande alle persone giuste. Io l'intervento di Attademo l'ho interpretato così. Detto questo nulla vieta di continuare a produrre nell'indifferenza altrui. Di sicuro non ci si svende al primo mercante. Ma a quanto pare ci sono solo quelli.

 

Caro Fabio, io invece purtroppo ho una misura abbastanza realistica della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto perché ritengo di essere capace di interpretarne i segni, ma anche perché - negli anni Sessanta e Settanta - l'avevo prevista. Io non ero Pasolini, non scrivevo sul Corriere della Sera, ma ero tra i pochi italiani che, leggendo i suoi elzeviri e roano in grado di comprenderne il senso e la chiaroveggenza. La situazione in cui ci si ritrova ora non è nata all'improvviso, segue una linea di continuità con il passato, a partire dagli anni in cui io frequentavo le scuole elementari: gli italiani di allora hanno preparato la strada a quelli di oggi, e chi allora era in grado di capire (fin dai primi anni Sessanta io lo ero) vedeva benissimo dove si sarebbe andati a parare. E' alla luce di questa consapevolezza che io ho sempre parlato e parlo ai miei allievi. E' precisamente oggi che io, a un diplomato di chitarra iscritto alla facoltà di lettere, ho letto il prologo del Decameron, spiegandogliene il significato e il valore, altrimenti a lui inaccessibile (ad onta della sua maturità classica).

 

Io appartengo a un'altra generazione, è vero, ma la realtà nella quale mi muovevo allora non era altra da quella di oggi: era la stessa realtà a un altro stadio. E taccio, ora, riguardo a quello che vedo nel futuro.

 

dralig

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