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Gentile maestro Porqueddu,io ho i suoi cd di Studi di Virtuosità e di Trascendenza allegati a Seicorde,però mi aspetto anche delle incisioni più frequenti del repertorio dell'ottocento.


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Gentile maestro,io ho i suoi cd di Studi di Virtuosità e di Trascendenza allegati a Seicorde,però mi aspetto anche delle incisioni più freguenti del repertorio dell'ottocento.

 

Nel ringraziarla per il suo interesse nei confronti del mio lavoro, non posso che domandarle (con le innumerevoli ed eccellenti registrazioni di musica dell'Ottocento nel mercato discografico): perché si aspetta una nuova registrazione dello stesso repertorio?


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Nel ringraziarla per il suo interesse nei confronti del mio lavoro, non posso che domandarle (con le innumerevoli ed eccellenti registrazioni di musica dell'Ottocento nel mercato discografico): perché si aspetta una nuova registrazione dello stesso repertorio?

salve rispondo alla sua domanda.credo che l'800 sia stato l'età d'oro per la chitarra,e quindi consiglierei a tutti i migliori chitarristi di lasciare un'interpretazione personale.Il paragone sembrerà esagerato,ma è come se un pianista

non incidesse Mozart,Beethoven,Schubert ecc.


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salve rispondo alla sua domanda.credo che l'800 sia stato l'età d'oro per la chitarra,e quindi consiglierei a tutti i migliori chitarristi di lasciare un'interpretazione personale.Il paragone sembrerà esagerato,ma è come se un pianista

non incidesse Mozart,Beethoven,Schubert ecc.

 

Rispetto il suo, ma il mio punto di vista è un altro: credo sia meglio concentrarsi sul Novecento e sul repertorio contemporaneo, periodi nel quale la chitarra trova una sua voce e dimensione.


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credo che l'800 sia stato l'età d'oro per la chitarra,e quindi consiglierei a tutti i migliori chitarristi di lasciare un'interpretazione personale.Il paragone sembrerà esagerato,ma è come se un pianista

non incidesse Mozart,Beethoven,Schubert ecc.

 

L'Ottocento è stato "una" delle età fiorenti per la chitarra. Le ragioni sono molteplici e non risiedono solo nella quantità di opere ad essa dedicate, ma anche in ragioni meno "auliche", quali la facilità di collocare lo strumento in quasi ogni casa del ceto medio - cosa che il pianoforte non consentiva per ovvie ragioni.

A dire il vero, il secolo più fiorente per quantità di repertorio e interesse dei compositori - non sempre chitarristi, anzi... - è stato finora proprio il ventesimo: l'ammontare di concerti per chitarra e orchestra, i brani cameristici e l'ineguagliata vastità del repertorio solista vedono nel ventesimo secolo un periodo ben più florido del secolo precedente, per la chitarra. A questa quantità, ovviamente, deve essere affiancata la qualità dei lavori, ma anche qui la presenza di nomi come Donatoni, Tansman, Britten, Martin, Farkas (giusto per citare alcuni non chitarristi) fanno risaltare non poco il rilievo di questo secolo.

Si può anche aggiungere che quello che noi consideriamo ottocento equivale sì e no a un trentennio (il primo) del diciannovesimo secolo, dopo di che la chitarra quasi sparisce, vista la sua inadeguatezza nel repertorio romantico di ampia diffusione. Si pensi a un Brahms, o a un Bruckner, ma anche a Mendelssohn e Tchaikovskij: esprimere quella complessa drammaticità sulle sei corde è semplicemente impossibile. I giochi cambiano quando la necessità di corpose masse sonore lascia il posto a atmosfere più rarefatte: lì il gioco non si snoda più su piani massicci e imponenti, ma su piccole variazioni cromatiche; cambiano i mezzi espressivi e la descrizione lascia il posto all'allusione. In questo ambito, la chitarra ha molto da dire, e lo sa bene già Manuel de Falla, che affida alla chitarra il suo necrologio in omaggio a Debussy (il quale, Debussy, alla chitarra pensa spesso, ma per la chitarra non scrive mai neppure una nota).

 

Ora, viviamo in un epoca in cui la specializzazione è il parametro principale per ogni ambito. E' irreale credere che un interprete possa raggiungere la stessa profondità e la stessa credibilità in linguaggi tanto differenti. Io non mi rammaricherei (non più di tanto, almeno) per la settorialità delle scelte di un artista: evidentemente, lui è consapevole dei limiti - da un lato - e dei punti di forza - dall'altro - della propria personalità. Ho personalmente ascoltato chitarristi che, pur forti di una notevole padronanza del repertorio contemporaneo, lasciano assai a desiderare in quello classico. E viceversa. Ci sono interpreti eccellenti per il repertorio classico, altri altrettanto eccellenti in quello moderno, altri ancora su uno stesso livello di eccellenza nelle espressioni della contemporaneità. Colga ilmeglio da ognuno: non avrà motivo di rimpiangere alcunché.

 

In ultima analisi. il suo paragone col mondo pianistico è un po' stiracchiato. La maggior parte dei pianisti non si avventura oltre alcune pagine di Debussy e Scriabin, spesso fermandosi a Brahms. Ingorano del tutto i lavori di Tansman, Ravel, Farkas e Bartók, per non parlare di Berio, Busoni (escluse le trascrizioni di Bach) e Dallapiccola. Questa mi sembra una mancanza assai più grave.

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L'Ottocento è stato "una" delle età fiorenti per la chitarra. Le ragioni sono molteplici e non risiedono solo nella quantità di opere ad essa dedicate, ma anche in ragioni meno "auliche", quali la facilità di collocare lo strumento in quasi ogni casa del ceto medio - cosa che il pianoforte non consentiva per ovvie ragioni.

A dire il vero, il secolo più fiorente per quantità di repertorio e interesse dei compositori - non sempre chitarristi, anzi... - è stato finora proprio il ventesimo: l'ammontare di concerti per chitarra e orchestra, i brani cameristici e l'ineguagliata vastità del repertorio solista vedono nel ventesimo secolo un periodo ben più florido del secolo precedente, per la chitarra. A questa quantità, ovviamente, deve essere affiancata la qualità dei lavori, ma anche qui la presenza di nomi come Donatoni, Tansman, Britten, Martin, Farkas (giusto per citare alcuni non chitarristi) fanno risaltare non poco il rilievo di questo secolo.

Si può anche aggiungere che quello che noi consideriamo ottocento equivale sì e no a un trentennio (il primo) del diciannovesimo secolo, dopo di che la chitarra quasi sparisce, vista la sua inadeguatezza nel repertorio romantico di ampia diffusione. Si pensi a un Brahms, o a un Bruckner, ma anche a Mendelssohn e Tchaikovskij: esprimere quella complessa drammaticità sulle sei corde è semplicemente impossibile. I giochi cambiano quando la necessità di corpose masse sonore lascia il posto a atmosfere più rarefatte: lì il gioco non si snoda più su piani massicci e imponenti, ma su piccole variazioni cromatiche; cambiano i mezzi espressivi e la descrizione lascia il posto all'allusione. In questo ambito, la chitarra ha molto da dire, e lo sa bene già Manuel de Falla, che affida alla chitarra il suo necrologio in omaggio a Debussy (il quale, Debussy, alla chitarra pensa spesso, ma per la chitarra non scrive mai neppure una nota).

 

Ora, viviamo in un epoca in cui la specializzazione è il parametro principale per ogni ambito. E' irreale credere che un interprete possa raggiungere la stessa profondità e la stessa credibilità in linguaggi tanto differenti. Io non mi rammaricherei (non più di tanto, almeno) per la settorialità delle scelte di un artista: evidentemente, lui è consapevole dei limiti - da un lato - e dei punti di forza - dall'altro - della propria personalità. Ho personalmente ascoltato chitarristi che, pur forti di una notevole padronanza del repertorio contemporaneo, lasciano assai a desiderare in quello classico. E viceversa. Ci sono interpreti eccellenti per il repertorio classico, altri altrettanto eccellenti in quello moderno, altri ancora su uno stesso livello di eccellenza nelle espressioni della contemporaneità. Colga ilmeglio da ognuno: non avrà motivo di rimpiangere alcunché.

 

In ultima analisi. il suo paragone col mondo pianistico è un po' stiracchiato. La maggior parte dei pianisti non si avventura oltre alcune pagine di Debussy e Scriabin, spesso fermandosi a Brahms. Ingorano del tutto i lavori di Tansman, Ravel, Farkas e Bartók, per non parlare di Berio, Busoni (escluse le trascrizioni di Bach) e Dallapiccola. Questa mi sembra una mancanza assai più grave.

Salve,il paragone con il mondo pianistico non è sbagliato:mi nomini un pianista famoso che non abbia registrato con freguenza Mozart,Beethoven,Schubert,Chopin.Quando si inizia a studiare la chitarra classica, credo, che si sappia i compositori che hanno scritto per lo strumento;stranamente Beethoven,che conosceva Giuliani,ha scritto dei pezzi per mandolino,proprio una disdetta per noi chitarristi.


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Salve,il paragone con il mondo pianistico non è sbagliato:mi nomini un pianista famoso che non abbia registrato con freguenza Mozart,Beethoven,Schubert,Chopin.Quando si inizia a studiare la chitarra classica, credo, che si sappia i compositori che hanno scritto per lo strumento;stranamente Beethoven,che conosceva Giuliani,ha scritto dei pezzi per mandolino,proprio una disdetta per noi chitarristi.

Se la letteratura chitarristica dell'Ottocento avesse la stessa portata e lo stesso spessore - mutatis mutandis, ma anche no... - di quella pianistica, le darei ragione senza pensarci due volte.

Tuttavia così non è: per alto che sia il profilo dei brani, il paragone non regge neppure da lontano, pertanto le motivazioni che portano un pianista ad affrontare le sonate di Beethoven hanno fondamenti assai differenti rispetto a quelle che portano un chitarrista a interpretare le sonate di Sor.

Il repertorio ottocentesco vede nel pianoforte un campione di capolavori: lei ne cita quattro, ma non si conosce grande compositore che nell'Ottocento non abbia affidato al pianoforte pagine magistrali, spesso innovando - quando non rivoluzionando - sia la prassi interpretativa sia la struttura formale dei brani. Lo stesso Beethoven ammise senza timore di smentita che la sua ultima sonata non apparteneva al suo secolo: sarebbe stata compresa solo molto più avanti.

Questo nella chitarra non avvenne nel XIX secolo: avvenne più tardi. Il XIX secolo delle sei corde è costituito da due tronconi: il primo si compone di pezzi formalmente canonici in cui i compositori, pur senza lesinare una propria originalità, si attengono quasi scrupolosamente a forme precostituite, adoperando chi più chi meno formule stigmatizzate o cliché; il secondo è una lunga sequenza di tentativi più o meno falliti di adeguarsi ai mezzi espressivi del pianoforte stesso. Pur non mancando spunti assai interessanti nelle produzioni di Regondi, Matiegka, Bobrowicz, Coste e Diabelli, quella letteratura non riesce ad imporsi come vorrebbe, a mio parere proprio perché l'obiettivo iniziale era irraggiungibile... e proprio perché era irraggiungibile, ancora oggi si assiste a non sporadici tentativi di raggiungerlo ancora.

La svolta arriva con il declino del romanticismo e l'avvento di linguaggi nuovi: il pianoforte non perde il suo ruolo di grande protagonista della musica, ma non è più il solo. E' nel nuovo secolo che fioriscono le condizioni ideali per lo sviluppo della chitarra e del suo mondo, e la produzione (di alto livello, s'intende) del Novecento è la chiara dimostrazione di quanto il XX secolo sia per la chitarra ciò che il XIX è stato per il pianoforte.

 

Ora, una precisazione: non è mia intenzione sminuire e gettare nel cestino i lavori di Giuliani, Sor, Molino, Carulli e compagnia, ci mancherebbe! E' però evidente che la loro portata per la chitarra non sia paragonabile al ruolo dei "grandi" per il pianoforte. Semplicemente, loro - i chitarristi - non ne hanno avuta la forza. D'altra parte quella forza sarebbe arrivata come un terremoto all'alba del nuovo secolo anche e soprattutto grazie alle figure prima di Segovia, poi di Bream e Gilardino e in seguito di tanti altri interpreti.

 

Ecco perché trovo il paragone col pianoforte un po' stiracchiato. Omettere di dedicarsi approfonditamente a Beethoven, Schumann e Brahms sarebbe, per un pianista, una mancanza imperdonabile. Omettere di dedicarsi a Molino e Zani de Ferranti è, per un chitarrista, una mancanza tutto sommato trascurabile. Questo, sia chiaro, dando per scontato che escluderli dalle proprie interpretazioni non significhi per nulla e in alcun modo ignorarne l'opera, la personalità, l'apporto e i legami con il loro tempo. La selezione accurata di un programma si accoglie con entusiasmo; l'ignoranza no!

 

EB


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L'Ottocento è stato "una" delle età fiorenti per la chitarra. Le ragioni sono molteplici e non risiedono solo nella quantità di opere ad essa dedicate, ma anche in ragioni meno "auliche", quali la facilità di collocare lo strumento in quasi ogni casa del ceto medio - cosa che il pianoforte non consentiva per ovvie ragioni.

A dire il vero, il secolo più fiorente per quantità di repertorio e interesse dei compositori - non sempre chitarristi, anzi... - è stato finora proprio il ventesimo: l'ammontare di concerti per chitarra e orchestra, i brani cameristici e l'ineguagliata vastità del repertorio solista vedono nel ventesimo secolo un periodo ben più florido del secolo precedente, per la chitarra. A questa quantità, ovviamente, deve essere affiancata la qualità dei lavori, ma anche qui la presenza di nomi come Donatoni, Tansman, Britten, Martin, Farkas (giusto per citare alcuni non chitarristi) fanno risaltare non poco il rilievo di questo secolo.

Si può anche aggiungere che quello che noi consideriamo ottocento equivale sì e no a un trentennio (il primo) del diciannovesimo secolo, dopo di che la chitarra quasi sparisce, vista la sua inadeguatezza nel repertorio romantico di ampia diffusione. Si pensi a un Brahms, o a un Bruckner, ma anche a Mendelssohn e Tchaikovskij: esprimere quella complessa drammaticità sulle sei corde è semplicemente impossibile. I giochi cambiano quando la necessità di corpose masse sonore lascia il posto a atmosfere più rarefatte: lì il gioco non si snoda più su piani massicci e imponenti, ma su piccole variazioni cromatiche; cambiano i mezzi espressivi e la descrizione lascia il posto all'allusione. In questo ambito, la chitarra ha molto da dire, e lo sa bene già Manuel de Falla, che affida alla chitarra il suo necrologio in omaggio a Debussy (il quale, Debussy, alla chitarra pensa spesso, ma per la chitarra non scrive mai neppure una nota).

 

Ora, viviamo in un epoca in cui la specializzazione è il parametro principale per ogni ambito. E' irreale credere che un interprete possa raggiungere la stessa profondità e la stessa credibilità in linguaggi tanto differenti. Io non mi rammaricherei (non più di tanto, almeno) per la settorialità delle scelte di un artista: evidentemente, lui è consapevole dei limiti - da un lato - e dei punti di forza - dall'altro - della propria personalità. Ho personalmente ascoltato chitarristi che, pur forti di una notevole padronanza del repertorio contemporaneo, lasciano assai a desiderare in quello classico. E viceversa. Ci sono interpreti eccellenti per il repertorio classico, altri altrettanto eccellenti in quello moderno, altri ancora su uno stesso livello di eccellenza nelle espressioni della contemporaneità. Colga ilmeglio da ognuno: non avrà motivo di rimpiangere alcunché.

 

In ultima analisi. il suo paragone col mondo pianistico è un po' stiracchiato. La maggior parte dei pianisti non si avventura oltre alcune pagine di Debussy e Scriabin, spesso fermandosi a Brahms. Ingorano del tutto i lavori di Tansman, Ravel, Farkas e Bartók, per non parlare di Berio, Busoni (escluse le trascrizioni di Bach) e Dallapiccola. Questa mi sembra una mancanza assai più grave.

Io,come tanti,considero i primi 20 anni dell'800 un periodo irripetibile per la chitarra e spero che su questo non mi possa dare che ragione dopo aver fatto questo semplice ragionamento.Nel libro su Giuliani di Marco Riboni a pag.85 l'autore documenta un concerto in cui viene eseguita per la prima volta, la Sinfonia n.4,un concerto per pf. e Orch. e l'Overture Coriolano di Beethoven,nello stesso concerto,certamente sarà stato presente anche Beethoven;Mauro Giuliani suonò l'op.30;mi dica se si è più ripetuto un concerto così.oggi questo sarebbe una cosa miracolosa.Le stagioni concertistiche dei Teatri italiani, la chit. è totalmente assente;credo,che in Italia,nell'87 solo  Segovia fece un concerto al Conservatorio Verdi di Milano.Julian Bream nei primi anni 70 ha suonato vicino a dove abito io,a Figline Valdardo,invece che,come sarebbe stato più logico, al Comunale o alla Pergola di Firenze.Per me un'interpretete deve spaziare su tutto il repertorio della chit. ma chi ha detto che un chitarrista deve essere settario; infine, smettere di lamentarsi che non ha opere di Mozart, Beethoven,Chopin ecc.Il punto debole della chitarra classica sono state le troppe trascrizioni;bisogna suonare la letteratura originale,altrimenti è meglio cambiare strumento.


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Io,come tanti,considero i primi 20 anni dell'800 un periodo irripetibile per la chitarra e spero che su questo non mi possa dare che ragione dopo aver fatto questo semplice ragionamento.Nel libro su Giuliani di Marco Riboni a pag.85 l'autore documenta un concerto in cui viene eseguita per la prima volta, la Sinfonia n.4,un concerto per pf. e Orch. e l'Overture Coriolano di Beethoven,nello stesso concerto,certamente sarà stato presente anche Beethoven;Mauro Giuliani suonò l'op.30;mi dica se si è più ripetuto un concerto così.oggi questo sarebbe una cosa miracolosa.Le stagioni concertistiche dei Teatri italiani, la chit. è totalmente assente;credo,che in Italia,nell'87 solo Segovia fece un concerto al Conservatorio Verdi di Milano.Julian Bream nei primi anni 70 ha suonato vicino a dove abito io,a Figline Valdardo,invece che,come sarebbe stato più logico, al Comunale o alla Pergola di Firenze.Per me un'interpretete deve spaziare su tutto il repertorio della chit. ma chi ha detto che un chitarrista deve essere settario; infine, smettere di lamentarsi che non ha opere di Mozart, Beethoven,Chopin ecc.Il punto debole della chitarra classica sono state le troppe trascrizioni;bisogna suonare la letteratura originale,altrimenti è meglio cambiare strumento.

Il suo intervento mi risulta un po' confuso, ma il senso è chiaro e lo condivido per la maggior parte.

Non ho voglia - mi scusi - di tornare sulle questioni dell'Ottocento come età dell'oro: non mi va di addentrarmi in paragoni tra ciò che era e ciò che è. Io continuo ad essere convinto che dopo il 1830 la chitarra sia pressoché scomparsa e che la sua rinascita e la sua reale apoteosi sia giunta solo nel XX secolo. Ben inteso, nello stesso secolo, la chitarra - meglio: i suoi esecutori - è tornata ad essere relegata a strumento di basso rango, soprattutto quando, morto Segovia, molti impresari si sono categoricamente rifiutati di avere che fare con altri chitarristi.

Personalmente, io non do molto peso all'ampiezza cronologica di un programma da concerto: piuttosto, mi colpisce la struttura formale che forma il programma stesso. Rifuggo come la peste i programmi d'esame da diploma che partono con le Diferencias sobre Guardame las vacas, passano per il Grand Solo di Sor, la Sonatina di Torroba, due studi di HVL e finiscono con Piazzolla e/o Dyens. Ben vengano i programmi à travers les siècles, ma siano concepiti con un criterio solido. Criterio che, tuttavia, può anche restringere il campo senza per questo perdere di validità (mi verrebbe da aggiungere un anzi, ma lo tengo solo tra parentesi...)

Quanto al repertorio dei grandi, quella che dice è una cosa che io non ho mai scritto. Io non mi lamento in alcun modo per l'assenza di brani a sei corde scritti da Beethoven o altri. La constato, prendo atto, e cerco altrove pagine importanti del nostro repertorio. E quando le trovo, le leggo, le studio, le registro e le porto in concerto, consapevole che il mio modo di suonare sia più consono a pagine quali il Nocturnal di Britten o la Sonatina di MCT anziché le Fantasie di Sor o le Sonatine di Giuliani. Se questo mi rende, agli occhi di chicchessia, un interprete scadente, ne diverrò consapevole, me ne farò un ragione e continuerò, comunque, per la strada che credo mi sia più congeniale e coerente.

 

EB


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Il suo intervento mi risulta un po' confuso, ma il senso è chiaro e lo condivido per la maggior parte.

Non ho voglia - mi scusi - di tornare sulle questioni dell'Ottocento come età dell'oro: non mi va di addentrarmi in paragoni tra ciò che era e ciò che è. Io continuo ad essere convinto che dopo il 1830 la chitarra sia pressoché scomparsa e che la sua rinascita e la sua reale apoteosi sia giunta solo nel XX secolo. Ben inteso, nello stesso secolo, la chitarra - meglio: i suoi esecutori - è tornata ad essere relegata a strumento di basso rango, soprattutto quando, morto Segovia, molti impresari si sono categoricamente rifiutati di avere che fare con altri chitarristi.

Personalmente, io non do molto peso all'ampiezza cronologica di un programma da concerto: piuttosto, mi colpisce la struttura formale che forma il programma stesso. Rifuggo come la peste i programmi d'esame da diploma che partono con le Diferencias sobre Guardame las vacas, passano per il Grand Solo di Sor, la Sonatina di Torroba, due studi di HVL e finiscono con Piazzolla e/o Dyens. Ben vengano i programmi à travers les siècles, ma siano concepiti con un criterio solido. Criterio che, tuttavia, può anche restringere il campo senza per questo perdere di validità (mi verrebbe da aggiungere un anzi, ma lo tengo solo tra parentesi...)

Quanto al repertorio dei grandi, quella che dice è una cosa che io non ho mai scritto. Io non mi lamento in alcun modo per l'assenza di brani a sei corde scritti da Beethoven o altri. La constato, prendo atto, e cerco altrove pagine importanti del nostro repertorio. E quando le trovo, le leggo, le studio, le registro e le porto in concerto, consapevole che il mio modo di suonare sia più consono a pagine quali il Nocturnal di Britten o la Sonatina di MCT anziché le Fantasie di Sor o le Sonatine di Giuliani. Se questo mi rende, agli occhi di chicchessia, un interprete scadente, ne diverrò consapevole, me ne farò un ragione e continuerò, comunque, per la strada che credo mi sia più congeniale e coerente.

 

EB

Maestro,mi dispiace non trovarsi d'accordo su cose che non c'è discussione da fare,da quanto sono ovvie.Tanto di cappello,quindi,a un chitarrista come David Starobin che suona la musica dell'800,come pezzi della più estrema avanguardia.

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