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XXVIII Convegno Chitarristico – Roma


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“XXVIII Convegno Chitarristico”

Sala del Chiostro Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” – Roma

10 ottobre 2015

di Edoardo Farina

IlConvegno Chitarristico”, organizzato dal progetto “Chitarra in Italia” tenutosi a Roma sabato 10 ottobre 2015, ha raggiunto la ventottesima edizione: un evento che costituisce motivo di prestigio per la chitarra classica e il suo splendido repertorio, il cui interesse è cresciuto enormemente negli ultimi decenni con insospettata rapidità. Dopo la presenza a Modena per alcuni anni, (presso le sale del palazzo Coccapani-D’Aragona di Corso Vittorio Emanuele II, nella stesse che aveva accolto nel 1933 la prima edizione assoluta), a partire dal 2013 l’iniziativa ha avuto di nuovo un carattere itinerante in linea con la tradizione avviata dal M° Romolo Ferrari (1894-1959) fautore della rinascita chitarristica italiana, ripresa ufficiale avvenuta nel 2009 dall’ultimo appuntamento risalente addirittura al 1962.

Facendo seguito alle precedenti di Sanremo e Brescia, l’edizione 2015 è approdata a Roma nella prestigiosa Università La Sapienza, presso le sale della propria storica sede adiacente alla chiesa di S. Pietro in Vincoli, a pochi passi dal Colosseo, grazie alla collaborazione con il Prof. Antonio D’Andrea responsabile del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile ed Ambientale, nella città che accolse nel 1954 l’istituzione della prima cattedra di chitarra in un Conservatorio italiano, nata come Corso Straordinario di Chitarra da Concerto al “S. Cecilia” e assegnata per concorso al M° Benedetto Di Ponio. Questo significativo traguardo fu possibile grazie all’impegno congiunto di alcune persone, in primo luogo ancora Romolo Ferrari che per primo si adoperò presso il Ministero, impegnandosi per anni e contribuendo in modo decisivo all’avvio di un cammino che si rivelò lungo e faticoso verso il riconoscimento ufficiale dell’insegnamento della chitarra negli istituti statali.

L’appuntamento di quest’anno decreta l’indiscutibile successo raggiunto nel promuovere cultura musicale di elevata rinomanza, premiata dalla felice risposta del pubblico nei passati svolgimenti e dal rinnovato interessamento verso un preciso intento di diffondere una particolare forma di espressione artistica ponendosi come incontro di studio e approfondimento di consolidato valore, volto alla conoscenza del repertorio e della storia della “sei corde”. Pregio fondamentale del Convegno fin dal primo incontro, così come l’intelligente impostazione che lo ha sempre contraddistinto, è stato da un lato l’alta professionalità dei solisti invitati, chitarristi di comprovata fama mondiale con proposte di programmi altamente appetibili per una presenza eterogenea, dall’altro e nello stesso tempo, lo spazio alle interessanti conferenze storico didattiche, rivolte non necessariamente solo agli “addetti ai lavori”.

Sotto la direzione di Simona Boni, dopo il saluto del Presidente del Centro Culturale “Fernando Sor” M° Giuliano Balestra, dalla collaborazione fondamentale a cui spetta il merito del patrocinio offerto, l’incontro si è rivelato ancora una volta un’occasione per approfondire temi di ricerca intorno alla chitarra, incontrare concertisti, liutai e studiosi, riconfermando la tradizione riportata in auge come qualificato evento capace di coinvolgere numerosi collaboratori e una platea sempre più partecipe e propositiva, attraverso il supporto del comitato scientifico, costituito dagli stessi Balestra, Boni, Giovanni Indulti, Vincenzo Pocci ed Enrico Tagliavini, progettando la giornata affiancando interventi musicali a relazioni su diversi temi di ricerca, in seguito riportati, e contribuendo così, anche grazie al grande pregio artistico e culturale del contesto, a rendere davvero speciale questa nuova versione.

“Al di là di questo evento, che sancisce un nuovo capitolo della storia della chitarra in Italia, – spiega Simona Boni – le ragioni che rendono davvero forte il nesso tra il nostro strumento e la città di Roma sono molteplici e si combinano in modo inscindibile con l’impegno di concertisti, compositori e didatti attivi nel contesto romano che nel tempo passato e presente hanno dato il loro contributo all’arte chitarristica. Per questo motivo nel programma del Convegno, in linea con lo spirito che muove questo progetto, abbiamo voluto dare spazio ad alcune fra le tante personalità legate biograficamente alla Capitale, affiancandole ad altre testimonianze artistiche provenienti da tutta l’Italia, in modo da raggiungere sempre una dimensione articolata e ricca”.

A partire dalla mattinata, con il tema Dalle radici del repertorio chitarristico a J.S.Bach”, i numerosi partecipanti hanno potuto ascoltare la chitarra antica attraverso l’intervento di Rosario Cicero, sicuramente il migliore esecutore italiano per questa tipologia; interprete del repertorio rinascimentale e barocco, Cicero ha delineato, nel corso della sua attività concertistica, un originale stile esecutivo, sintesi di una costante ricerca delle tecniche e dell’estetica dell’epoca. Le sue esecuzioni, su copie fedeli di strumenti del Cinquecento e del Seicento, hanno portato alla luce rare pagine di manoscritti e codici spesso dimenticati atte a restituire l’originario spirito delle antiche ‘intavolature’ per chitarra, svelando sempre vive e attuali analogie con il passato e la tradizione.

“Nel presente intervento ho proposto l’esecuzione di musiche di Angelo Michele Bartolotti, tiorbista vissuto nel XVII° secolo, e di frammenti musicali tratti dalla recente incisione di un cd su musiche di Bach eseguite su chitarra barocca, a quanto mi risulta la prima del genere. L’intento è stato evidenziare le specificità e le ampie possibilità tecniche dello strumento a cinque cori, ancora spesso non considerato nella completezza delle sue potenzialità espressive. L’accordatura dello stesso rende infatti possibile una gestione particolare dei frammenti tematici tra corde differenti, rendendo percepibili le implicite implicazioni armoniche e polifoniche delle linee melodiche bachiane, realizzando una particolare fluidità esecutiva ed una naturale integrazione tra ritmo armonico e condotte monodiche”.

Nella “Transizione dalla chitarra ‘francese’ alla chitarra ottocentesca”, Mario Torta, musicologo e didatta, (nel 1996 ha ricevuto il premio per la migliore pubblicazione musicologica con il Catalogo tematico delle opere di Ferdinando Carulli al Primo Congresso Italiano della Chitarra Classica di Pesaro), ha esposto la biografia di Ferdinando Carulli il più importante compositore di musica per chitarra del Secolo Romantico negli anni di Parigi, senza tralasciare aneddoti e curiosità.

“Uno dei momenti chiave nella storia della moderna chitarra da concerto è senza dubbio il passaggio dallo strumento barocco armato a cori (la ‘chitarra spagnola’) allo strumento con sei corde semplici. La transizione si situa intorno alla seconda metà del XVIII° secolo e prosegue fino agli inizi del XIX, coprendo geograficamente soprattutto l’area francese e italiana, per poi coinvolgere Spagna e resto d’Europa.

La ‘nouvelle vague’ chitarristica ha rappresentato un momento straordinario per ricchezza di pratica strumentale, quantità e qualità di autori, esecutori, composizioni, trattati e pubblicazioni, contribuendo a imporre la chitarra nel novero degli strumenti di maggiore diffusione e successo. È proprio nel nostro paese che numerosi manoscritti e rare edizioni del tempo recano la sibillina dicitura ‘chitarra francese’, in un ampio repertorio per chitarra sola, chitarra e canto oppure in formazioni cameristiche di vario genere.

Oltre a questo dilemma terminologico, di importante rilievo è il parallelo affermarsi della notazione ordinaria su un solo pentagramma in trasposizione all’ottava, con l’abbandono dell’intavolatura. La relazione intende sciogliere i dubbi sul vero significato del termine ‘francese’ e mostrare alcuni ‘vagiti’ della prima notazione mensurale per chitarra grazie alla diretta documentazione di fonti musicali e testimonianze di autori del tempo, dai fratelli Merchi a Ferdinando Carulli”.

Continuando sullo stesso tema, Piero Viti e Lucio Matarazzo in “Ferdinando Carulli e Domenico Cimarosa: due musicisti della Scuola Napoletana a confronto”.

Ferdinando Carulli nacque a Napoli nel 1770, in uno dei periodi di maggiore fulgore della così detta Scuola Musicale Napoletana. Durante gli anni giovanili ivi trascorsi , la sua formazione musicale si forgiò certamente secondo i dettami stilistici di questa celebre istituzione, nel solco della lezione espressa dai tantissimi maestri partenopei, noti e apprezzati all’epoca in tutt’Europa. In particolare, una delle figure che sembra avere maggiormente influenzato la formazione di Carulli è quella di Domenico Cimarosa, sommo maestro del genere buffo, la cui opera teatrale più fortunata, “Il Matrimonio Segreto”, fu ritenuta sin dal suo uscire un vero e proprio manifesto di questo genere, il cui favore espresso è testimoniato in primo luogo dalle tante trascrizioni di lavori del celebre operista presenti nel catalogo carulliano e più in generale dall’influsso esercitato in vari casi dallo stile cimarosiano sulla scrittura chitarristica dell’autore napoletano. Più in generale si è, infine, analizzato e individuato un modus operandi comune allo stesso Cimarosa, utilizzato da Carulli negli stilemi di opere ispirate al così detto stile italiano (ouvertures, sinfonie, sonate, serenate, studi, etc.). Il complesso di dati identificati ha permesso, quindi, di riconoscere nella figura del primo uno degli autori di riferimento dello stile compositivo del secondo, influenzato (come avvenuto nello stesso Cimarosa) anche dai coevi modelli classicisti di Haydn e Mozart.

A completamento della conferenza, Piero Viti (che ne ha raccolto i dati inediti che testimoniano questo rapporto tra i due musicisti) e Lucio Matarazzo (impegnato da anni nel medesimo progetto di ricerca su Carulli) hanno eseguito in duo una sua opera inedita ispirata a pagine di Domenico Cimarosa, il pot-pourri tratto dal “Matrimonio Segreto” op.112 per due chitarre, atta a testimoniare la piena ed efficace aderenza stilistica tra le scritture in comune appartenenti ai due compositori partenopei.
Con Filomena Moretti, in “Guitar’: viaggio dal Novecento a oggi: Elogio della chitarra. Il mio incontro con la musica di Joaquin Rodrigo” abbiamo assistito ad un autentico virtuosismo strumentale: concertista a livello internazionale, ha compiuto i suoi studi musicali con i Maestri Roberto Masala e Ruggero Chiesa, conseguendo, all’età di diciotto anni, il diploma di chitarra con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Musica “Luigi Canepa” di Sassari.

“Joaquin Rodrigo (1901-1999), il ‘gentilhombre’ di Sagunto, uno dei più grandi compositori del XX° secolo, ha dedicato gran parte della sua vita e della sua energia creativa alla chitarra. La sua è una musica di appassionata delicatezza, intrisa di profumi, luci e ombre tipici della Spagna, filtrati dall’eleganza squisita della sua persona e dall’ampio orizzonte di una cultura europea che da sempre ha caratterizzato la sua formazione, compiuta a Parigi, nella classe di P. Dukas, negli anni di Strawinsky, Debussy, Ravel.

Rodrigo è riuscito a fondere la forza dell’anima flamenca, dove tutto diventa estremo: la gioia tripudio, la paura terrore, il dolore dramma assoluto, con la nobiltà dei canti sefarditi, l’immensità e il mistero del cante jondo col rigore, il fascino e i colori dell’Europa impressionistica, in un’arte di straordinaria ricchezza, capace di spaziare oltre i nostri orizzonti, poiché nasce dagli occhi dell’anima.

Ha detto di sé: «mi sono sempre prefissato di scrivere una musica chiara, molto latina, e, soprattutto, sincera. Non cerco il facile consenso del pubblico, ma mi piace piacere. Sono nato al mondo della composizione nell’epoca dell’impressionismo. La mia musica riflette queste tendenze; ho cercato di trovare un’armonia tra ispirazione e forma, fondendole in una ‘riscoperta’ della musica antica. Dunque ho definito il mio stile: ‘neocastizismo’». E ancora: «forse il mio calice è stato piccolo, ma l’ho bevuto tutto, fino alla fine».

Non dimenticherò mai il saluto con cui mi ha congedato, nella sua elegante casa di Madrid. Seduto al pianoforte, dopo un intenso pomeriggio di musica, ricordi ed emozioni, al mio «arrivederci, Maestro!», non ha voluto rispondere. Nemmeno una parola. Ma nel silenzio, calato improvviso, quando ormai lasciavo la stanza, ha cominciato a suonare il tema dell’Adagio del Concierto d’Aranjuez. Quello è stato il suo commiato. Ancora oggi mi accompagna”.

Ad apertura della seconda parte, dopo il benvenuto del Preside del Dipartimento, Prof. Fabrizio Vestroni, Stefania Porrino, ha voluto dedicare l’intervento alla figura del padre Ennio, tra i più importanti compositori del secolo scorso.

Il Concerto dell’Argentarola per chitarra e orchestra di Ennio Porrino: memorie e suggestioni nel ricordo della figlia.

“Il Concerto dell’Argentarola è uno delle pagine musicali di mio padre che più amo e con il quale ho un rapporto tutto particolare a partire dalla fonte stessa che ne ispirò la composizione. L’Argentarola infatti è un isolotto che si erge nel mare del Monte Argentario, in Toscana, proprio davanti all’omonima casa da lui costruita sul promontorio, a 150 metri di altezza dal mare, dove ho passato e passo molto del tempo libero, a cominciare dalla prima estate della mia vita. E sin da bambina ho chiara nella memoria l’immagine di quella grande partitura tenuta esposta da mia madre su un leggio all’ingresso della nostra casa, in ricordo del profondo legame creato in quel luogo tra paesaggio e ispirazione musicale. In realtà la composizione fu realizzata prima della costruzione della casa, nell’agosto-settembre del 1953, in occasione di un suo soggiorno perlustrativo a Porto Santo Stefano, che lo avrebbe poi convinto a scegliere l’Argentario come luogo ideale per il riposo e la concentrazione creativa.

Nonostante questa doverosa notazione biografica, nel Concerto dell’Argentarola, secondo il musicologo Mario Rinaldi (1903-1985) in ‘Ennio Porrino’, (Editrice Sarda Fossataro, Cagliari, 1965), non c’è «nessuna intenzione descrittiva, ma un desiderio vivo d’ispirarsi a determinati elementi e a un preciso stato di animo. Innamoratosi della chitarra dopo aver ascoltato più volte il famoso Segovia, e dopo aver usato lo strumento in alcuni commenti per cortometraggi, egli volle scrivere per il troppo dimenticato strumento a pizzico un concerto originale», avvalendosi tra l’altro, nella fase di stesura, della collaborazione dell’amico chitarrista Mario Gangi, che io stessa ho avuto modo di conoscere da bambina, quando, dopo la sua morte, Gangi continuò a frequentare per anni la casa di mia nonna.

Sempre secondo Rinaldi: «tralasciando ogni uso tradizionale, il compositore ha voluto tentare un impiego, diremo così, ‘attuale’ della chitarra – sfruttando una diteggiatura ricercata, la ‘tambora’, il ‘glissato’, lo ‘stoppato’, il ‘vibrato’, il ‘metallico’, l’‘armonico’, il ‘rasgueado’, nonché i suoni sul ponticello e sulla buca – andando dalla cadenza tipica alla melodia dodecafonica».

Nella più recente pubblicazione, ‘Ennio Porrino’ (Carlo Delfino Editore, Sassari, 2010) il critico musicale Myriam Quaquero analizza a fondo la struttura dell’opera iniziando col notare che: «se è vero che, in apparenza, il Concerto dell’Argentarola ripropone la tripartizione classica di questo modello musicale, che lo stesso Porrino ha mostrato di preferire in molte occasioni, in realtà la composizione presenta molteplici articolazioni nel suo interno così suggerendo quanto l’autore abbia oltrepassato le strettoie di un legame opprimente con la tradizione nazionale e si proietti verso una concezione musicale più aperta e decisamente attuale».

Riferendosi poi all’uso di una serie dodecafonica nel secondo tempo (Canzone), osserva ancora la Quaquero: «con la serie della Canzone, Porrino compie una scelta certamente lirica ed espressiva, ma tutta giocata su un’esatta coscienza degli intervalli, impiegati con ricercata varietà nell’obiettivo di valorizzare il senso e la densità di ogni singola nota, abbandonando ogni residuo descrittivo».

Tornando al mio rapporto personale con questa musica, quando nel ’90, la Sede Regionale Rai per la Sardegna mi diede la possibilità di girare un film su mio padre (dal titolo “Tu madre, tu Sardegna”), abbinando le sue composizioni a un itinerario paesaggistico e archeologico dell’Isola, scelsi il medesimo Concerto, per la sua forza evocativa e simbolica, come commento musicale ad uno dei principali episodi del film: un viaggio esoterico dall’ombra alla luce realizzato tra le rocce e le acque sotterranee delle stupefacenti grotte di Ulassai e l’anfiteatro romano di Nora.

Alirio Diaz, il chitarrista dei due mondi attraverso il racconto del figlio Senio Diaz: nato a Siena nel 1955, si è dedicato allo studio della chitarra con il proprio padre e successivamente con i maestri U. Incutti, A. Amato e C. Carfagna, conseguendo il diploma presso il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma. Ha seguito i corsi di Composizione dei maestri C. Cammarota e Renzi presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma ed il corso di Direzione d’orchestra del maestro
S. Celibidache a Trier, in Germania.

“Focalizzando il mio intervento sul libro di Alejandro Bruzual, «Alirio Diaz il chitarrista dei due mondi», ho illustrato le tappe più significative del percorso artistico svolto da mio padre partendo dalle sue esperienze musicali con il M° Raúl Borges (docente di chitarra al Conservatorio di Caracas) per approdare, con una solida base tecnico-virtuosistica, al Conservatorio di Madrid con il M° Sainz de la Maza e nell’agosto del 1951 alla prestigiosa Accademia Musicale Chigiana di Siena, prima come allievo del M° Andrés Segovia e poi come suo assistente. È durante questo fortunato soggiorno senese che io venni alla luce e il mio nome Senio è indissolubilmente legato a questa splendida città che mi regalò Segovia come padrino di battesimo.

Sono questi gli anni in cui la fama di concertista di mio padre varca i confini dell’Italia e si espande in tutto il mondo senza tuttavia mai perdere i contatti con il suo paese di origine. A testimonianza di questo legame con la terra natale, è la simbiosi artistica venutasi a creare con il compositore venezuelano Antonio Lauro, una delle figure più belle e produttive della cultura venezuelana animata dall’aspirazione di costruire un vero repertorio nazionalista di anelito internazionale.

         A partire dagli anni Sessanta, questa collaborazione diede i suoi frutti anche in campo editoriale attraverso la casa Broekmann & van Poppel di Amsterdam, mentre in Italia intrattenne uno stretto e fecondo rapporto con la casa editrice Zanibon. Alirio Diaz può essere considerato un araldo in Europa della musica latino-americana, nei suoi programmi infatti figurano spesso i nomi di Augustin Barrios Mangoré, Raul Borges, Vincente Emilio Sojo oltre naturalmente ad Antonio Lauro. Come concertista raggiunse l’apice tra la fine del decennio Settanta e gli inizi dell’Ottanta, totalizzando oltre duemila concerti e numerose incisioni discografiche.

         La sua popolarità è documentata da innumerevoli recensioni critiche e apprezzamenti da parte di note personalità del mondo musicale fra cui voglio citare l’affermazione del direttore d’orchestra Sergiu Celibidache che considerava Diaz «il miglior concertista di chitarra del mondo». Concludo questo mio intervento con l’esecuzione di una scelta di musiche tratte dal repertorio italiano e venezuelano nella revisione di Alirio Diaz”.
“Mario Gangi: un chitarrista, una storia” nell’esposizione di Massimo Delle Cese, figura di riferimento per la chitarra, con una costante attività concertistica in oltre 20 paesi come solista, con orchestra e, fino al 2001, membro del St.Cecilia Guitar Trio, fa parte del gruppo di chitarristi della nuova generazione abitualmente invitati nei festivals internazionali di tutto il mondo.

“La figura di Mario Gangi (1923-2010) si colloca indiscutibilmente tra i protagonisti dello scenario chitarristico italiano e internazionale. Il suo carisma, la creazione di opere originali, la capacità di spaziare in differenti generi musicali, la sua ‘scuola’ chitarristica, gli anni di permanenza nelle orchestre della Rai, ne fanno un musicista dal percorso artistico pressoché unico ed irripetibile.

La sua poetica, le sue intuizioni compositive, basate sulla naturale fusione di diversi linguaggi musicali che spaziano dal classico al jazz, a sonorità influenzate da idiomi di diverse provenienze culturali, hanno precorso sicuramente i tempi: questo ultimo aspetto, la ‘contaminazione’ del suo linguaggio musicale, non si è incontrato con il favore di quello che costituiva l’establishment musicale dell’epoca, in netto anticipo su un percorso che poi è stato una naturale evoluzione tra le proposte musicali di numerosi autori del repertorio più recente per il nostro strumento.

Nel pieno fervore della ricerca e della sperimentazione musicale, nei primi anni Settanta, Mario Gangi pubblicava, tra le altre cose, il terzo volume del suo metodo: 22 studi che presentavano una modalità compositiva fuori dagli schemi correnti di quel periodo, ritenuta forse convenzionale, conservatrice e poco sperimentale, che prendeva le distanze da quella che era ritenuta pura ricerca, confermando tuttavia una forte personalità, fantasiosa ed estroversa, in grado di utilizzare lo strumento con modalità tecniche e di linguaggio del tutto singolari, originali e a tributo di autori come Villa-Lobos o Castelnuovo Tedesco.

Pochi sapevano che il suo terzo volume del Metodo per Chitarra fosse costituito da ‘studi’ di tale livello, pochissimi li conoscevano o li avevano mai ascoltati, chiedendosene ragione, anche nelle recensioni sulle riviste specializzate del settore. Il motivo era quanto mai banale: l’editore (Ricordi) mandò alle stampe il terzo volume (così come me lo raccontò Gangi stesso) mentre Gangi era in tournée in Sud America, semplicemente titolandolo Terzo Volume e, con caratteri piccolissimi, il sottotitolo Studi. Per questo la maggior parte dei possibili fruitori ha forse ritenuto, a suo tempo, che il terzo volume fosse una continuazione dei primi due, contenenti per lo più elementi di tecnica o esercizi.

Gangi era ovviamente in contatto professionale con molti dei compositori di quegli anni e ne eseguiva impeccabilmente le opere (è stato il primo esecutore del Nunc e di Suoni Notturni di Petrassi), ciò nonostante la sua vena compositiva tracciava già allora una strada che negli anni a venire non solo è stata poi percorsa, ma addirittura favorita, stimolata con entusiasmo dagli interpreti e sempre più gradita al pubblico delle sale da concerto: una proposta di contaminazione e di idee e sonorità nuove che generano ripetutamente una insospettata eccitazione all’ascolto, elemento da me personalmente verificato quando ho iniziato a includere alcuni dei suoi studi nei miei concerti in Italia e all’estero e in seguito alla pubblicazione del cd con tutti i 22 studi.

Con immancabili commenti sempre positivi e stupita sorpresa a fine concerto, la diffusione di queste musiche è costante esempio di quanto sia sempre viva la curiosità circa la figura e l’opera di Mario Gangi, del quale sono onorato di eseguire una selezione dei suoi studi”.

La nuova edizione critica degli Estudios Sencillos di Leo Brouwer curata da Frédéric Zigante, appartenente alle figure di concertisti che hanno saputo imporsi nell’ultimo trentennio all’attenzione internazionale per via di una attività poliedrica che coniuga ricerca, concertismo, impegno discografico e didattico, lontano dai luoghi comuni attribuiti alla chitarra. Nel presente intervento sono stati illustrati gli aspetti principali di ricerca che hanno portato a questa nuova edizione e al termine della relazione è stata proposta da Andrea De Vitis l’esecuzione di una significativa scelta di alcuni Estudios. Chitarrista tra i più interessanti della sua generazione, diplomatosi con il massimo dei voti presso il Conservatorio F. Morlacchi” di Perugia nella classe di Leonardo De Angelis, si è perfezionato presso la Segovia Guitar Academy di Pordenone sotto la guida di Paolo Pegoraro e Adriano Del Sal, frequentando in seguito masterclasses tenute da Oscar Ghiglia, Carlo Marchione, Arturo Tallini, Pavel Steidl, Carles Trepat, Frédéric Zigante, Piero Bonaguri.
Il volume presenta inoltre una scheda di lavoro per ciascuno studio in modo da inquadrare il brano sul piano musicale e tecnico strumentale, con suggerimenti ed esercizi, arricchito da una interpretazione su cd dello stesso Zigante.

“Gli «Estudios sencillos» di Leo Brouwer occupano un posto di primo piano fra le opere di carattere didattico del XX secolo e si collocano negli affetti dei chitarristi accanto alle Douze études di Heitor Villa-Lobos. Le loro qualità pedagogiche non hanno impedito di godere dagli anni Settanta in poi di una straordinaria fortuna sia concertistica che discografica che trova la sua spiegazione nel loro valore musicale e nella loro felice ispirazione.

Le prime edizioni evidenziavano alcune criticità testuali sulle quali vi erano stati diversi interventi in occasione delle ristampe che però non avevano mai portato ad un riconsiderazione complessiva e scientifica del testo sulla base di manoscritti autografi e di altre fonti risalenti allo stesso autore. La nuova edizione è basata invece per la prima volta su tutte le fonti disponibili, manoscritti e varie edizioni, e presenta un testo interamente rivisto e corretto”.
Con ‘Guitar’: viaggio dal Novecento a oggi intervento di Cinzia Milani, diplomatasi all’età di 18 anni, al Conservatorio “A. Boito” di Parma, dopo aver studiato con diversi insegnanti approfondisce la tecnica chitarristica con il M° Mauro Storti. In seguito studia analisi interpretativa con il compositore argentino Oscar Roberto Casares.

“Guitar: una parola semplice che racconta un mondo infinito di possibilità sonore, lasciando spazio all’ascoltatore di conoscere e immergersi in paesaggi musicali, accomunati dall’origine, l’Italia, ma ognuno con percorsi e influenze completamente diverse, formando un quadro sonoro estremamente interessante. Un viaggio dal Novecento ad oggi, passando attraverso le sonorità dell’incontro tra occidente ed oriente, assaporando influssi romantici e crepuscolari, per arrivare alla contemporaneità mediterranea ed all’incontro tra elettronica e chitarra.

Il progetto inerente al cd, parte da territori sonori ben solidi per poi condurre l’ascoltatore a scoprire nuove sonorità e tematiche, frutto della collaborazione con importanti compositori del panorama italiano. Guitar è un invito ai giovani chitarristi a mantenere le radici nel passato ma guardando al futuro!”

 Oltre a Carlo Domeniconi, con l’originale «Koyunbaba», brano eseguibile solo con l’accordatura “aperta”, nell’intervento, dotata di tecnica precisa e assai raffinata, Milani ha presentato tre compositori italiani, Adelmo Prandi, Marco Betta e Raffaele Cacciola, attraverso tre inedite composizioni scritte e a lei dedicate: «Pavana, Preludio e Note di ghiaccio». L’esecuzione dei brani riesce a far comprendere come da spunti impressionisti e postromantici si possa poi giungere all’incontro tra elettronica e chitarra dove la struttura a sezioni ben delimitate e la distribuzione calcolata degli eventi sonori entro una trama ben tessuta procede con grande linearità e in perfetta distinzione delle funzioni espressive del discorso musicale.

Con “Incontri, testimonianze, concerti di una vita con la chitarra”, Massimo Gasbarroni concertista e didatta, ha concluso il convegno. Inizia lo studio della chitarra alla fine degli anni Quaranta e primi anni Cinquanta con Gian Battista Noceti (1874 – 1956). Agli inizi del ’55 entra nel Conservatorio “S. Cecilia”, nel primo corso di chitarra istituito in un conservatorio italiano. Successivamente frequenta i corsi dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena con i Maestri Alirio Diaz e Andrés Segovia, insegnando in seguito per 40 anni nei conservatori Italiani di Napoli, Cagliari e Latina.

“È difficile sintetizzare in poche righe il percorso musicale di una vita e vorrei pertanto focalizzare il mio intervento sulle tournée effettuate in Russia nel secolo appena trascorso. Nel rivedere i programmi sono riemerse emozioni e piacevoli sorprese che forse la memoria aveva rimosso e ringrazio l’amico Giuliano Balestra per avermi offerto questa preziosa opportunità. Alla fine degli anni Quaranta dopo le tremende vicissitudini della guerra, che molti, e tra questi il sottoscritto, hanno vissuto con particolare crudezza, si cercava di ridare un senso alla propria vita. Era un un’esigenza vitale potersi riappropriare della ‘normalità’. E così, oggi comprendo come il mio desiderio di avvicinarmi alla musica fosse allora un bisogno del tutto naturale. Dopo un periodo iniziale di circa cinque anni rivolti allo studio della chitarra con il maestro Gian Battista Noceti, che fu anche l’inventore della chitarra arpa, cominciai a frequentare dal 1955 il Conservatorio “S. Cecilia” di Roma con il M° Benedetto Di Ponio (si trattava della prima cattedra di chitarra nei Conservatori Italiani, un evento lungamente atteso e più volte sollecitato). Ma certamente determinante ai fini della mia formazione artistica è stata l’Accademia Musicale Chigiana di Siena che frequentai negli anni Sessanta con i Maestri Alirio Diaz e Andrés Segovia. Inoltre potevo seguire, anche se sporadicamente, le interessantissime lezioni di Emilio Pujol, Sergiu Celebidache, Gaspar Cassadò, Alfred Cortot e Guido Agosti. In quegli anni l’Accademia del Conte Chigi Saracini godeva di un particolare prestigio internazionale e rappresentava il Sancta Sanctorum della musica nel mondo, punto di riferimento per tutti i musicisti di talento. La mia carriera concertistica si snoda in quegli anni tra Italia, Algeria e Polonia e nel 1968 approda in Unione Sovietica. Certamente decisivo è stato il mio incontro del 1963 con i chitarristi russi presso la Società Chitarristica di Mosca, che ne ha sollevato l’entusiasmo aprendomi le porte dell’agenzia di stato sovietica Gosconcert. Malgrado già nel lontano 1926, e successivamente nel 1927, 1930 e 1936, Segovia avesse fatto la sua comparsa in varie città della Russia, il livello culturale della chitarra non era molto elevato, come peraltro confermato dal noto compositore Nikita Koshkin, che in una lettera inviatami nel 2009 così si esprime: «lei è stato l’eroe per due generazioni di chitarristi russi. Lei ha suonato in Russia in un periodo in cui la chitarra viveva uno stato di profonda depressione ed era quasi dimenticata. Per meglio dire, non ancora uscita dall’oblio, un periodo molto difficile! e i suoi concerti sono stati molto importanti». In effetti durante le tournée alternate dal 1968 al 2001, ho sempre incontrato un interesse particolarmente vivo da parte dei chitarristi locali, letteralmente avidi di notizie provenienti dal mondo occidentale. A seguito di molte altre conferme ricevute negli ultimi tempi, mi piace pensare di aver contribuito alla crescita della chitarra nell’ex Unione Sovietica, raggiungendo oggi lo stesso livello del resto d’Europa. Poi in Sardegna ho assunto la prima cattedra di chitarra dell’isola, mentre sul piano artistico è comunque Napoli che mi ha regalato le maggiori soddisfazioni per le straordinarie doti musicali di molti allievi, confermando, anche se oramai in forma ridotta, il mio impegno come concertista e soprattutto come didatta sia in Italia che all’estero, rispondendo ad una forma quanto mai favorevole”.

Infine, un’interessante ricerca storiografica di Frédéric Zigante, ha consentito l’allestimento presso la Sala degli Affreschi dell’esposizione “Rarità d’archivio, documenti musicali e percorsi biografici per ricordare illustri maestri del passato”, mostra di preziosi documenti acquisiti in anni di ricerche sulla vita di un’artista di indimenticabile valore, oggi riconosciuta come la più grande concertista di chitarra del XX° secolo.

Ida Presti (1924-1967) – Un talento senza confini”

Nata a Parigi da padre francese e madre siciliana, debuttò come “enfant prodige” e il suo talento eccezionale fu immediatamente riconosciuto dalla critica e dal mondo musicale del suo tempo. Iniziò così, in giovanissima età, una straordinaria carriera, aprendosi ben presto la strada per il concertismo internazionale, ovunque accolta con attestazioni di elogio e di ammirazione per le sue qualità musicali uniche e per il suo stupefacente virtuosismo. Dotata di una particolare facilità nella tecnica e nell’apprendimento del repertorio, affrontò nel corso della sua purtroppo breve esistenza una immensa quantità di opere sia solistiche sia di musica da camera, genere che, contrariamente ai grandi chitarristi suoi contemporanei, coltivava con assiduità. Una parte cospicua della sua carriera fu dedicata al duo di chitarre che aveva costituito insieme al marito, il chitarrista egiziano Alexandre Lagoya. Per questa formazione scrissero alcuni fra i più importanti compositori dell’epoca.

“Fortunatamente vi è chi giunge in tempo a far rivivere la pura opera d’arte, riconoscendone i pregi e dando ad essa il giusto valore che merita”.

( Romolo Ferrari)

                                                                                            

                      

 

                                                                                            



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