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Ho frequentato la scuola d'arte, dove mi sono diplomato, e mi ricordo un discorso che il mio professore di figura ci fece. La prima fase, quella iniziale per farci prendere confidenza con la matita e con le altre varie tecniche, era la copia. La copia è la partenza per "sgrezzarci", è la cultuta di base, ma tutto ciò era infatti cautamente calcolato. Il programma prevedeva infatti che già dopo il secondo anno, si iniziasse la sperimentazione ed una specie di superamento di ciò che si aveva imparato, stabilire le regole per poi infrangerle alla ricerca del "segno" personale. Poi c'è anche da dire ci sono persone dal carattere forte e persone che invece sono un pò in balia del vento, anche qui è difficile generalizzare. Poi ancora conta tanto l'insegnante e/o il percorso che si segue, insomma tante variabili. Personalmente almeno in questo mi sento fortunato e prendo i riferimenti stilistici come motivo di introspezione musicale e non come copia, come mezzo sviluppare la "critica", ma è una cosa spontanea, cosa quindi di cui non ho merito alcuno.

ll confine come spesso accade è molto labile, bisogna sempre tenere tutte le cose sotto controllo... è un lavoraccio enorme fare musica seriamente, mica cotiche! Tanto di cappello a quegli insegnanti (come il M° Diodovich a quanto pare) che hanno molta attenzione su questo punto evitanto anche di imprimere la propria personalità all'alievo.

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[

Non credo che lo siano, o meglio, non come vuoi far credere tu.

 

 

Non vorrei generalizzare ed in effetti solo tu sei responsabile del tuo lavoro di insegnante, che non conosco e che non mi permetterei mai di giudicare.

Scusami quindi per il plurale usato prima...

Mi sembra però che altri interpreti chitarristi, vedi anche recenti post, abbiano "messo in allarme" l'isolamento musicale del chitarrista (che non è il tuo caso tra l'altro ma ciò che sostieni non fa bene a quelli che non potranno mai raggiungere i tuoi risultati)

E’ una bellissima cosa dire: ascoltare se stessi.

Ed è anche giusto che si indirizzi il giovane interprete in questa direzione.

Ma le orecchie non possono chiudersi, come gli occhi. Noi siamo esseri in ascolto. Perennemente in ascolto a meno di patologie.

 

Si questa "cosa" dell'isolamento musicale... mi piace...

spesso ho difficoltà a proporre esempi al di fuori della musica per chitarra ai giovani chitarristi (nono tutti sia chiaro, è un esempio, poi c'è chi conosce l'integrale di Bartok ma...)

nel senso che mi viene più facile parlando di Giuliani, Sor facendo riferimento alla Musica e non necessariamente al chitarrista.. quindi con esempi tratti dalla letteratura in generale... Mozart e..altri..

 

ma per riprendere una parte della risposta data nell'altro post al maestro

Diodovich, anche io sono pienamente convinto che un allievo debba spremersi totalmente senza imitare possibilmente nessuno (cosa sacrosanta) ma forse per fare questo c'è bisogno appunto di percorrere un "viaggio" di conoscenze interiori ed esteriori che comportano necessariamente "anche" il confronto/scambio/disssendo/assenso delle idee altrui..(e se poi sono elevate, non dovrebero limitare ma forse illuminare..)

 

mi viene in mente il problema del comporre, a volte uno "spunto" può essere utile per... partire e generare cose del tutto nuove, ma sempre da un imput originario...

un esempio banale.. lavorando con Finale ho sempre trovato utile fare dei "copiati", nel senso che perdere tempo a ri-copiare la musica dei Grandi, si imparano tante ma tante cose... senza per questo doverle "copiare" dopo ma magari imparare a..servirsene in modo "personale"..

 

il problema forse sta nel capire se questo imput (musicale, interpretativo ecc) è abbastanza giusto, corretto, in questo mi riferivo a sentire delle "scale" in Bach che starebbero meglio in un brano di Paco de Lucia...!

forse i "giovani" dovrebbero sapere che non sono la stessa... cosa...

 

con simpatia

mr

 

p.s. sono sicuro che diciamo le stesse cose alla fine ma...

quello a cui vorrei pervenire è che Michelangeli temo..non abbia paralleli nel mondo..chitarristico.. (secondo me...) almeno fino ad adesso..

e Segovia non credo che possa passare alla storia per come suonava..Bach con tuttle le scusanti storiche e stilistiche di quel periodo "interpretativo"..

io non riuscivo a 13 (oggi ne ho 46) anni, ad andare oltre la terza battuta...

cosa che non succedeva se ovviamente suonava..Torroba...

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Ho frequentato la scuola d'arte, dove mi sono diplomato, e mi ricordo un discorso che il mio professore di figura ci fece. La prima fase, quella iniziale per farci prendere confidenza con la matita e con le altre varie tecniche, era la copia. La copia è la partenza per "sgrezzarci", è la cultuta di base, ma tutto ciò era infatti cautamente calcolato. Il programma prevedeva infatti che già dopo il secondo anno, si iniziasse la sperimentazione ed una specie di superamento di ciò che si aveva imparato, stabilire le regole per poi infrangerle alla ricerca del "segno" personale. Poi c'è anche da dire ci sono persone dal carattere forte e persone che invece sono un pò in balia del vento, anche qui è difficile generalizzare. Poi ancora conta tanto l'insegnante e/o il percorso che si segue, insomma tante variabili. Personalmente almeno in questo mi sento fortunato e prendo i riferimenti stilistici come motivo di introspezione musicale e non come copia, come mezzo sviluppare la "critica", ma è una cosa spontanea, cosa quindi di cui non ho merito alcuno.

ll confine come spesso accade è molto labile, bisogna sempre tenere tutte le cose sotto controllo... è un lavoraccio enorme fare musica seriamente, mica cotiche! Tanto di cappello a quegli insegnanti (come il M° Diodovich a quanto pare) che hanno molta attenzione su questo punto evitanto anche di imprimere la propria personalità all'alievo.

 

 

perfetto, appena ho inviato il mio post ho trovato..questo..

il copiato... sisi...

come con le sabbie mobili..l'importante è..saperne..uscirne... :D

si.. condivivo...

 

mr

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In realtà non serve a molto ascoltare gli altri, anche se si chiamano Lipatti o Rubistein.

Non serve perché quello che più conta e ascoltare se stessi...

 

...I nostri ascolti ci impediscono di metterci in comunicazione con il nostro io più profondo perchè ci sono sempre loro di mezzo. E' un pò come una telefonata disturbata dai rumori.

L'unico consiglio allora che mi sento di dare a Monch è proprio questo... prima vieni tu e poi tutti gli altri. Anche se questi si chiamano Segovia & co.

 

 

Mi è capitato piuttosto sovente di confrontarmi con allievi (anche in corsi di perfezionamento) particolarmente attenti (per non dire ossessionati) all'esigenza dell'originalità. La domanda che più spesso mi sento fare è: "se ascolto un altro suonare dove finisce la mia originalità?". Devo confessare che trovo questa domanda di una profonda immaturità. Sarei anche tentato di pensare che essa costituisca una comoda scusa per nascondere una generale mancanza di cultura musicale. Come potrebbe l'apertura al mondo esterno renderci più poveri? Quand'anche una persona riuscisse a fare una copia esatta dell'opera di un altro, basta che provi a fare la stessa cosa cambiandone l'oggetto e la copia diventerà "reinterpretazione". Mi spingo oltre, se si riprova a fare una copia senza avere l'originale sotto gli occhi (o orecchi), quand'anche lo conoscessimo perfettamente, essa avrà delle sottilissime differenze, continuando nel tempo a non guardare l'originale ci si potrebbe scoprire, anni dopo, a fare una "copia" del tutto "originale". Basta con questa manfrina del non ascoltare per non essere influenzati. Chi non ascolta può solo affermare, a giusto titolo, di non conoscere. Non può neanche sapere se è o non è "originale". Non c'è interesse nella scoperta "originale" di "verità" già note da secoli ad altri.

 

Ciò detto, per tornare al quesito di Monch, trovo che sia estremamente utile avere una lista. Sia utile avere ben chiaro come si vuole affrontare un pezzo. La disciplina è una delle chiavi del successo, secondo me. Il problema è che alla fine bisogna saper "incarnare" tutte le conoscenze in un suono culturalmente ed affettivamente coerente con l'autore che stiamo interpretando. Per poter fare questo serve una capacità di ascolto ed autoascolto notevoli. Tutte cose che un ottimo insegnante dovrebbe poter insegnare. Ecco quindi che l'affermazione di Francesco non è per nulla peregrina. Spingere un allievo ad ascoltarsi è una pratica fondamentale. Magari poi lo si può incoraggiare a registrare la propria esecuzione e poi compararla a quella di altri (magari anche quelli che critica tanto...). Lo si può incoraggiare poi, dopo qualche settimana, a riascoltarsi, partitura alla mano, per fare lezione a "quello della registrazione" (se crede, può farlo anche con il concertista di turno, tanto per capire che scelte ha fatto e perchè).

 

Ascoltare ed ascoltarsi non si escludono, si completano.

 

Cordialmente

 

Catemario

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...Quand'anche una persona riuscisse a fare una copia esatta dell'opera di un altro, basta che provi a fare la stessa cosa cambiandone l'oggetto e la copia diventerà "reinterpretazione". Mi spingo oltre, se si riprova a fare una copia senza avere l'originale sotto gli occhi (o orecchi), quand'anche lo conoscessimo perfettamente, essa avrà delle sottilissime differenze, continuando nel tempo a non guardare l'originale ci si potrebbe scoprire, anni dopo, a fare una "copia" del tutto "originale".

 

Catemario

 

"Un fatto curioso: i hrönir di secondo e di terzo grado - i hrönir derivati da un altro hrön, i hrönir derivati da un hrön di un hrön - esagerano le aberrazioni di quello iniziale; quelli di quinto grado sono quasi uniformi; quelli di nono grado si confondono con quelli di secondo; in quelli di undicesimo grado c'è una purezza di linee che gli originali non hanno. Il processo è periodico: il hrön di dodicesimo grado comincia ormai a decadere. Più strano e più puro di qualunque hrön è a volte l' ur: la cosa prodotta per suggestione, l'oggetto dedotto dalla speranza."

 

J. L. Borges

Tlon, Uqbar, Orbis Tertius

Ficciones, 1944

Finzioni, Milano, Adelphi 2003.

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La domanda che più spesso mi sento fare è: "se ascolto un altro suonare dove finisce la mia originalità?". Devo confessare che trovo questa domanda di una profonda immaturità. Sarei anche tentato di pensare che essa costituisca una comoda scusa per nascondere una generale mancanza di cultura musicale.

Se si ascolta un altro con intento di conoscenza è fondamentale per la propria crescita culturale (e mi sembra di averlo detto con forza) ma se si ha un approccio imitativo allora il discorso cambia.

 

Come potrebbe l'apertura al mondo esterno renderci più poveri?

Chi ha mai detto questo? Lo sostieni solo tu, perchè non si è mai parlato di ciò, mi pare.

 

Quand'anche una persona riuscisse a fare una copia esatta dell'opera di un altro, basta che provi a fare la stessa cosa cambiandone l'oggetto e la copia diventerà "reinterpretazione".

Questa proprio non l'ho capita. Perché mai uno dovrebbe cambiare un dettaglio ad una copia...per quale motivo poi, non capisco.

 

Basta con questa manfrina del non ascoltare per non essere influenzati. Chi non ascolta può solo affermare, a giusto titolo, di non conoscere.

Grazie per l'offesa gratuita e inutile.

Ricambio dicendo che chi ascolta troppo gli altri è perché probabilmente non ha niente di originale da dire, non trovi?

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Ospite Nicola Mazzon

Con il massimo rispetto secondo me avete torto e ragione entrambi...

Bisogna ascoltare altri musicisti per capire come si può fare musica e che a volte serve anche da esempio l'interpretazione di un altro esecutore...

Se uno non ascolta mai è ovvio che non ha molte idee...questo non vuol dire che si debba fare una copia di quello che abbiamo ascoltato.

I grandi compositori mica sono arrivati a comporre opere così importanti rimanendo chiusi nel loro studio (se ce l'avevano) con a presso solamente la capacità di comporre...di quello che era avvenuto prima e durante ne erano a conoscenza pienamente.

Se uno vuole prendere ilposto di una registrazione di un altro esecutore può farlo e se invece vuol dimostrare di saper suonare con la propria anima oltre a far valere le sue capacità dimostrerà anche di essere un musicista e non un ritratto di altri...

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A questo punto però avrei la curiosità di capire perchè cercare una qualsiasi originalità...

 

stiamo parlando di musica e suppongo che tutti concordiamo che la cosiddetta "interpretazione" sia una vera e propria disciplina che non può esulare dalla conoscenza del segno musicale.

 

Nel senso che (parlando di compositori che sanno scrivere...), nella partitura troviamo tutto.

Se il compositore è vissuto nell'800 di sicuro scriverà solo quello che gli sembra importante e non che tipo di fraseggio o suono bisogna avere perchè in quel periodo tutti gli esecutori (e magari anche lui perchè all'epoca i compsitori ancora suonavano...) avevano le giuste conoscenze.

 

Se poi si toccano lavori oggetto di grande approfondimento, come ad es. l'opera bachiana, certo è utilissimo ascoltarsi il chitarrista di turno o il Gould o Milstein perchè si ha un'idea di come , a prescindere dalla trattatistica sulla prassi esecutiva barocca, la storia dell'interpretazione ha adattato il brano all'estetica del momento.

 

Dunque, assolutamente d'accordo con Catemario, una "copia" d'arte si appropria della mano che la fa.

 

Con la debita conseguenza di recare al nuovo interprete la conoscenza di idee che anche solo per il fatto che si riescono ad ascoltare, avranno qualche motivo di validità.

 

che poi a Vivaldi interessasse più l'acustica della chiesa per cui componeva i concerti , che il fatto che fossero simili tra loro....è un'altra storia

:lol:

 

Giovanni

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Sembra si abbia la tendenza - e comincio a credere che faccia parte della natura umana - a complicarsi la vita con facezie.

 

Con un piccolo esempio spiego come la penso.

Impariamo per imitazione. Se disgraziatamente fossimo allevati da una famigliola di scimpanzé - tipo Tarzan, per intenderci - non cammineremmo certo sulle sole gambe, non saremmo in grado di usare le posate, non saremmo in grado di sviluppare un linguaggio, ed anziché la chitarra suoneremmo i tronchi cavi!!! etc. etc. etc.

 

Dall'imitazione si passa all'evoluzione, grazie alla creatività che ci è propria ed alla sensibilità che si acquisisce attraverso le varie "esperienze".

Quindi, concludendo, si impara a camminare, poi a correre... poi a qualcuno viene in mente di fare il salto in lungo, quello in alto, qualcuno stabilisce un record e qualcun altro lo stesso record lo supera... Insomma, anche se non sempre riesce, ci si migliora.

 

Perché non rivolgere a cose più concrete le proprie energie?

Ancora si discute su cosa si ascolta... se solo chitarra, se sinfonica, se leggera...

E' ovvio che si hanno delle preferenze, degli stili che si adattano meglio di altri alla propria sensibilità... Ma è assurdo ritrovarsi a leggere l'intervento di musicisti - così almeno erroneamente si reputano - che candidamente ammettono di ascoltare solo ed esclusivamente uno stile, schifando tutti gli altri.

O di altri che si chiedono cosa sia il caso di ascoltare. Fino a che non cambiano la tendenza non credo che personaggi così possano arrivare ad ambire onori e lodi. Bah!

LUPO

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Mmmm. Forse sono nati inutili malintesi, parte di ciò che il M° Catemario scrive, altro non era che una constatazione logica più che un giudizio personale. Quando ad es. scrive:

 

Quand'anche una persona riuscisse a fare una copia esatta dell'opera di un altro, basta che provi a fare la stessa cosa cambiandone l'oggetto e la copia diventerà "reinterpretazione"

 

Non da valenza alcuna, non dice che bisogna fare così, che sia bene o male, riporta un dato di fatto.

 

Altro discorso è avere carattere musicale e la propria personalità chitarristica, che non vuol dire suonare bach così a casaccio come ci pare, ci vuole coscienza e conoscienza e ciò si lega sempre alla cultura e alla sensibilità personale. Dobbiamo inoltre ricordarci che siamo interpreti e non inventori, non inventiamo niente.

Detto ciò sono d'accordo anche con il M° Diodovich che ricorda che il percorso di conoscienza è anche introspezione, ricerca interiore e qui mi pare che lo stesso M° Catemario fosse d'accordo, dicendo che per incarnare ciò che si vuole fare serve una profonda capacita di auto-ascolto. Forse questo è il passo finale che nella mia lista mancava da scrivere.

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