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è un dato certo che l'intonazione del Liuto fosse sempre alquanto empirica, proprio in relazione alla natura stessa dell'intavolatura (che poteva essere realizzata sopra qualsiasi liuto -cioè, su in liuto basso, in Re o in Mi, e su un liuto tenore, in Sol o in La-).

 

Nonostante ciò mi è stato detto che per riprodurre più fedelmente possibile non solo la sonorità ma anche l'altezza dell'accordatura del liuto rinascimentale italiano Basso in Mi, sarebbe conveniente applicare il capotasto, e non al terzo tasto (consigliabile per il repertorio rinascimentale inglese ad es. Dowland, in quanto eseguito con liuto Tenore in Sol), ma al primo tasto!

 

La spiegazione di questo accorgimento sarebbe che (detto in parole povere) il "Mi" rinascimentale dei liutisti corrisponde al "Fa" chitarristico moderno (sia come altezza assoluta, sia come sonorità globale).

 

è sostenibile ed argomentabile una tesi del genere? e come?

 

Grazie!


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Che dire...nel momento in cui suoni pagine per liuto con la chitarra...il discorso è finito, cioè stai suonando la chitarra e quindi devi suonarla con la sua sonorità, cercando la sua natura, applicare accorgimenti veri come capotasti mobili e simili ne cambia già il "sound"originale.

Un conto è la teoria che citi, in cui non entro perchè non la conosco, un altro è la sua realizzazione pratica

Ciao!


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Più che le accordature,che per la loro varietà e opinabilità è meglio lasciar stare,credo che l'attenzione si da porre sulle diteggiature.


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Più che le accordature,che per la loro varietà e opinabilità è meglio lasciar stare,credo che l'attenzione si da porre sulle diteggiature.
Certo, infatti si tratta di una scelta in un certo senso "interpretativa", che va al di là delle diteggiature (che ho già fissato in modo definitivo).

 

Io credo che il nostro strumento abbia possibilità enormi e penso che la musica antica possa essere affrontata (ed eseguita) con un approccio extra-chitarristico; ad esempio dare un carattere "vocale" (o, al contrario, toccatistico e tipicamente "strumentale") a un preludio delle suite di Bach, oppure avvicinarsi alla sonorità del Liuto in alcune composizioni rinascimentali.

 

Mi interessava trovare una giustificazione "teorica" all'applicazione del capotasto sul 1° tasto (da poter giustificare in sede d'esame).


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Anche tu alle porte del diploma?


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Anche tu alle porte del diploma?

:mrgreen:


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posso chiederti cosa suonerai?


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posso chiederti cosa suonerai?

 

 

top secret (messaggio privato...)


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In ogni caso provo a dare un taglio diverso alla questione (naturalmente se qualcuno è in grado di rispondermi al problema teorico sollevato, sono tutt'orecchie!):

 

Esiste un modo più corretto di interpretare la musica antica? secondo voi è preferibile avvicinarsi e tendere ad un ideale modello storico-filologico oppure pensare di essere nel 2007 con una chitarra moderna tra le mani?

 

Secondo me in questo caso la via giusta è nel mezzo...la chitarra è uno strumento che ha la possibilità di caratterizzare uno stesso brano in modi molto diversi, intervenendo sulla legatura dei suoni, articolazione, timbri, fraseggio...si può dare un carattere corale, cembalistico...o strettamente chitarristico! basta scegliere il carattere giusto storicamente, consono alla forma e alla natura del brano...ma anche funzionale all'esecuzione!

 

Cosa ne pensate?


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Riguardo la caomplessa questione della altezza, quello che ho capito è che nel rinascimento parlare di pezzi scritti per liuto in sol o vihuela in la era un'accorgimento o necessità collegato al sistema modale in uso allora ed al fatto che ogni pezzo era concepito in uno (o più) dei modi o toni eccelsiastici allora in vigore (es. "Fantasia del Quarto tono").

 

Era, quindi, una preoccupazione dettata da una esigenza di coerenza di natura teorica che nulla aveva a che vedere con l'altezza "assoluta" a cui siamo abituati a pensare noi. Quando noi diciamo "Re" intendiamo una frequenza determinata, (certo il diapason nel tempo si è anche alzato, e questo è un ulteriore problema), mentre nel rinascimento "Re" era la prima nota del primo modo, non coincideva necessariamente con un'altezza determinata (da qui il consiglio empirico di Milàn su come accordare una vihuela, consiglio che altrimenti non si capirebbe: tirare la corda né troppo, perché non si rompa, né troppo poco, perché se no non suona!).

 

In una trascrizione di tipo musicologico è giusto rispettare la "altezza teorica" per evitare incongruenze - ad esempio, che in un pezzo si trovino delle alterazioni che nel rinascimento non si usavano o erano addirittura inconcepibili (per questo motivo, credo, il grande musicologo Willi Apel difendeva la prassi di trascrivere ogni pezzo nella sua altezza teorica) . Ma, siccome in realtà in questa musica il problema della altezza "assoluta" non si pone - nel senso che non se lo ponevano allora - quando si tratta di eseguirla oggi mi pare che non sia il caso di cercare una autenticità che in realtà è più che altro un fraintendimento.

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