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infatti, io non vedo la necessità ad un certo livello di studi di riprendere scale, arpeggi e legature. Basta il repertorio: dagli Studi di Villa-Lobos (che non sono certo una passeggiata) al repertorio da concerto, su quelli si lavora più che bene. Il Maesto Bonaguri magari avrà ragione, ma io ho provato per 3 mesi ad esercitarmi su scale e arpeggi, sui testi di Giuliani, ma non ne ho trovato giovamento. Invece mi bastano 15 minuti degli studi 1,2,3 di Villa-Lobos che le mani sono più che pronte allo studio.

 

Poiché è stato chiamato in causa in questo thread - non ricordo più da chi - Walter Gieseking, sarà bene ricordare una sua affermazione al riguardo: "Chi studia è come chi si lava: segno che ne ha bisogno".

 

dralig

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infatti, io non vedo la necessità ad un certo livello di studi di riprendere scale, arpeggi e legature. Basta il repertorio: dagli Studi di Villa-Lobos (che non sono certo una passeggiata) al repertorio da concerto, su quelli si lavora più che bene. Il Maesto Bonaguri magari avrà ragione, ma io ho provato per 3 mesi ad esercitarmi su scale e arpeggi, sui testi di Giuliani, ma non ne ho trovato giovamento. Invece mi bastano 15 minuti degli studi 1,2,3 di Villa-Lobos che le mani sono più che pronte allo studio.

 

Innanzitutto complimenti: se il secondo studio di HVL ti serve come riscaldamento, chissà che combini a mani "calde"!

 

In altre occasioni, il maestro Giorgio Signorile, che spesso interviene in questo forum, recentemente ha scritto che non è tanto determinante quale metodo o quali esercizi di tecnica si fanno, ma piuttosto il MODO in cui questi si fanno. Mi sembra un'osservazione davvero molto intelligente e calzante alla discussione.

Infatti, se hai studiato scale ed arpeggi senza trarne giovamento, è probabilmente perché non l'hai fatto nel MODO giusto. Meccanicamente, non c'è molta differenza tra una scala tratta da un libro di tecnica ed una scala contenuta in uno studio di Giuliani o Villa Lobos. Se non ti giova la prima, perché la seconda dovrebbe raggiungere lo scopo? Forse è solo una questione di MODO.

Ciao


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bè, innanzi tutto in quegli studi, di scale ce ne sono poche, nel terzo solamente, ma più che altro sono legature, apparte la scala ascendente dal Mi maggiore al punto di climax che non è legata (o meglio, io non lego). Nel primo studio, possiamo dire per sommi capi che può essere paragonato (ovviamente solamente la mano destra) ad un arpeggio di Giuliani, ma il secondo è di ben altro spessore, così come il terzo, non possono essere paragonati al Giuliani degli studi. Io, ad ogni modo, ho detto che mi sono utili in fase di riscaldamento molto più che la tecnica pura, quella del "V anno" per intenderci, non ho detto che li uso come tecnica: infatti io appoggio Edoardo, nel post che ho quotato.


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infatti, io non vedo la necessità ad un certo livello di studi di riprendere scale, arpeggi e legature. Basta il repertorio: dagli Studi di Villa-Lobos (che non sono certo una passeggiata) al repertorio da concerto, su quelli si lavora più che bene. Il Maesto Bonaguri magari avrà ragione, ma io ho provato per 3 mesi ad esercitarmi su scale e arpeggi, sui testi di Giuliani, ma non ne ho trovato giovamento. Invece mi bastano 15 minuti degli studi 1,2,3 di Villa-Lobos che le mani sono più che pronte allo studio.

 

Poiché è stato chiamato in causa in questo thread - non ricordo più da chi - Walter Gieseking, sarà bene ricordare una sua affermazione al riguardo: "Chi studia è come chi si lava: segno che ne ha bisogno".

 

dralig

 

Maestro, credo che sia pacifico dire che lo studio è indispensabile. Io non ho mai detto di non studiare :D


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Io, ad ogni modo, ho detto che mi sono utili in fase di riscaldamento molto più che la tecnica pura, quella del "V anno" per intenderci, non ho detto che li uso come tecnica: infatti io appoggio Edoardo, nel post che ho quotato.

 

Ma la tecnica non serve per riscaldarsi! Anzi, al contrario, va fatta quando ci si è già abbondantemente scaldati!

Ospite Nicola Mazzon
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bè, innanzi tutto in quegli studi, di scale ce ne sono poche, nel terzo solamente, ma più che altro sono legature, apparte la scala ascendente dal Mi maggiore al punto di climax che non è legata (o meglio, io non lego). Nel primo studio, possiamo dire per sommi capi che può essere paragonato (ovviamente solamente la mano destra) ad un arpeggio di Giuliani, ma il secondo è di ben altro spessore, così come il terzo, non possono essere paragonati al Giuliani degli studi. Io, ad ogni modo, ho detto che mi sono utili in fase di riscaldamento molto più che la tecnica pura, quella del "V anno" per intenderci, non ho detto che li uso come tecnica: infatti io appoggio Edoardo, nel post che ho quotato.

Sono anche io dello stesso parere, invece di passare ore su esercizi che alla fine sono fine a se stessi, magari è assai più utile prendere e isolare quel frammento di brano che presentà ostacoli, usare quello come esercizio o formulare una "composizione tecnica" dedicata a quel tipo di difficoltà.

Se si deve studiare un brano formato nel 80% di scale, a che serve farsi prima 2 ore di tecnica sulle scale? Serve di più studiare quel brano per 2 ore e poi le altre ore che si dedicavano ugualmente.

Gli altri strumentisti fanno già questa cosa con i passi d'orchestra, un metodo di tecnica valido secondo me può essere ad esempio un metodo che presenta i passi più importanti del nostro repertorio, quella è la tecnica che un chitarrista deve fare.


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Maestro, credo che sia pacifico dire che lo studio è indispensabile. Io non ho mai detto di non studiare :D

 

Gieseking intendeva dire che la necessità dello studio meccanico-ripetitivo è inversamente proporzionale alla capacità di concentrazione. Con altri termini, Alfredo Casella, nel suo libro sul pianoforte, afferma la "cerebralità della tecnica". E Dio sa se lui di tecnica ne avesse...

 

dralig


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prescinde dall'evoluzione storica della tecnica manuale, che, naturalmente, deve avere il suo corso e modellarsi sulle esigenze del repertorio...

 

Per quanto mi riguarda, credo di essere andato oltre la concezione della tecnica che nasce dal repertorio: in tale visione si erano forgiate le tecniche ottocentesche e anche quelle del primo Novecento, compresa quella segoviana. La conseguenza fu una visione settaria del repertorio: le musiche che permettevano l'accesso a un tipo di tecnica-suono erano valide, le altre no, venivano squalificate. Inutile fare l'elenco delle scomuniche, sono note, così come le loro esiziale conseguenze nell'insegnamento.

 

La tecnica nata "dopo", tra mille diffidenze e alcune maledizioni, si è posta invece - almeno nella mia concezione, quella che ho proposto nelle due edizioni del mio manuale - come il risultato di un'analisi neutrale e obiettiva di tutti i fattori in causa: quelli morfologici, quelli acustici, quelli fisico-meccanici e quelli fisiologici. Prospettata e concepita in questo modo, la tecnica diventa onnicomprensiva - o, come dice Biscaldi, onnivora - e permette di suonare qualsiasi repertorio, inducendo il giudizio sul medesimo sui valori puramente musicali, e sgombrando il campo dalle incompatibilità. Mi pare che non permangano dubbi sulla correttezza di tale operazione, né sui suoi risultati, ma è un fatto che almeno nella metà dei conservatori italiani tale tecnica sia tuttora oggetto di diffidenze e di sospetti, a demolire i quali non basterebbe nemmeno Gesù Cristo fatto chitarrista.

 

dralig


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2) Se Segovia si è limitato a scale, legati e arpeggi di Giuliani, la domanda è questa: che fare di tutto quel tecnicismo estremo che oggi c'è sul mercato? a me pare fuffa commerciale (4° conclusione)!

 

Calma. Bisogna prima leggere, poi capire e poi giudicare. Sono inutili le pubblicazioni che si limitano a riportare, in forma più o meno diversa, cose già note dai tempi del metodo di Aguado. Molte pubblicazioni appartengono a questa categoria, ma ne esistono altre che contengono dei contributi originali allo sviluppo della tecnica, e queste non sono "fuffa commerciale".

 

dralig

 

Maestro, perdonami la generalizzazione, ma la mia affermazione era limitata al "tecnicismo estremo"; ho in mente qualche esempio (ma ovviamente non posso citarli) di lavori che ripetono sempre gli stessi esercizi, che altro non sono che inutili varianti della triade segoviana.

 

Ricordiamoci che ho iniziato questo post con l'alternativa Giuliani Vs. Carulli: nel mio intento non c'è di negare l'importanza di un esercizio, e dello sviluppo della tecnica, ma di consideralo il mezzo che consente di raggiungere un risultato espressivo, come la padronanza della lingua consente di esprimere un pensiero.

 

A dire il vero, come ha giustamente osservato Selvafiorita, siamo andati fuori tema. Ma almeno è stato un fuoritema interessante.

 

Volendo rientrare in topic, si potrebbe dire che gli arpeggi di Giuliani servono ad acquisire la tecnica per megli esprimere i preludi di Carulli?


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Per quanto mi riguarda, credo di essere andato oltre la concezione della tecnica che nasce dal repertorio: in tale visione si erano forgiate le tecniche ottocentesche e anche quelle del primo Novecento, compresa quella segoviana.

 

 

Lo credo anch'io e direi che finalmente si riesce ad avere anche l'idea di questo suono grazie alle registrazioni di Cristiano dei suoi studi...penso però che i risultati di questa concezione siano, a modo loro e di chi ne sappia disporre, retroattivi, in qualche modo, e applicabili al repertorio tradizionale...nei suoi studi c'è la musica che fa la differenza ma certamente, Biscaldi ad esempio, ha saputo fare astrazione del suo pensiero, stilizzandolo in figure importantissime e poco frequentate...

a suo modo anche Bogdanovich, con gli studi poliritmici, ad esempio, può gettare nuova luce didattica sui 3 su 2 ottocenteschi, ancora oggi di grande ostacoloper lo studente...

 

Certamente, la tecnica pensata a partire da un'astrazione e non da una pratica "ruspante" funziona a meraviglia sull'intero repertorio, ed è precisamente lo strumento della volontà di poter disporre del repertorio di ogni epoca, senza preclusioni e impedimenti.

 

Bogdanovic ha sorvolato sul capitolo della tecnica meccanica, dandolo per scontato, e ha preferito lavorare (con la genialità che gli è propria) nell'area dell'applicazione alla chitarra di "tecniche" musicali sofisticate, quali la poliemetria e la poliritmia, mete quasi obbligate per chi ami il contrappunto e lo collochi al centro del far musica.

 

Biscaldi - pur essendo stato mio allievo - ha emancipato una visione della tecnica chitarristica molto più avanzata della mia: diciamo che io ho indicato una direzione, e lui l'ha imboccata fino a che, sebbene io abbia continuato a guardare avanti, voltandosi indietro non ha visto più nessuno. Anche se, purtroppo, lo "sfruttamento" personale della sua tecnica è stato spezzato dalla distonia focale, molti si giovano oggi dei suoi studi proprio per saltare il fosso, cioè per constatare che il confine tra possibile e impossibile non è netto come si pensava. Strano a dirsi (lo noto a pie' di pagina), le maledizioni che si sono levate dal pollaio chitarristico nei riguardi della mia ricerca, non sono state invece gettate contro la sua - molto più audace. Dev'essere una questione di simpatia personale.

 

dralig

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