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La ventilata trascrizione potrebbe assumere un valore interessante nel momento in cui venisse ricostruita come trascrizione segoviana, seguendone l'estetica e le peculiarità strumentali proprie del fu Maestro.

 

Si tratterebbe, chiaramente, non di un falso storico o di un pedissequo tentativo di imitazione, quanto piuttosto di un pregevole rinvenimento borgesiano.

 

Io mi sentirei - anche se non ho un progetto in tal senso - di scrivere un saggio sull'estetica segoviana per quanto si riferisce allo stile forgiato dal maestro nelle revisioni e nelle trascrizioni. Ho lavorato, nel confronto tra gli originali - sia quelli delle musiche scritte per lui da compositori non esperti nella tecnica della chitarra sia quelli delle musiche scritte per altri strumenti - e le sue elaborazioni, abbastanza da rendermi conto di quello che faceva - ed è constatazione facile - e del come e del perché lo faceva - e si tratta di una serie di constatazioni meno facili. Ad ogni modo,sono in grado di redigere un testo contenente una serie di osservazioni specifiche e dettagliate che, opportunamente osservate e studiate, possono condurre a una descrizione completa del modus operandi segoviano. In questo senso, posso anticipare un'osservazione: uno dei confronti più ricchi di rivelazioni è quello che si può svolgere esaminando le trascrizioni segoviane elaborate non sugli originali, ma sulle trascrizioni preesistenti. Ad esempio, Segovia trascrisse i pezzi di Albéniz adoperando, come testi-base, non gli originali per pianoforte, ma le trascrizioni di Tárrega, di Llobet e, nel caso della leggendaria "Asturias", di un allievo di Tárrega, Severino Garcia Fortea. Ebbene, gli interventi di Segovia su questi, che sono già testi chitarristici e non più pianistici, ci mostrano con chiarezza lampante "come e perché" egli forgiava certi passaggi in quel suo modo, quali erano le sue motivazioni e i suoi scopi, e la coerenza, davvero implacabile, con la quale li perseguiva.

 

E' possibile, disponendo di questo tipo di conoscenza, "inventare" una trascrizione segoviana di un brano qual è la seconda delle Deux Arabesques di Debussy? E' un po' come domandarsi: il conoscere a fondo il contrappunto bachiano può abilitare a scrivere una Fuga degna del Kantor? Non credo che si possa rispondere in linea di principio.

Si può provare. Non è detto che io non ci provi, e non è detto che, provandoci, non ci riesca...Si vedrà...Comunque, ci proverà anche Javier Ribas, che recentemente ha pubblicato audacissime trascrizioni di Albèniz.

 

dralig

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Quello che scrivi è molto interessante; vorrei aggiungere un dettaglio che mi ha fatto impressione recentemente: suonando alcuni dei Preludios y Estudios di Segovia e alcune delle Canciones Populares (Bérben), mi è parso evidente che, come linguaggio strumentale, sono molto simili alle trascrizioni e revisioni di Segovia.

Nel senso che, da una parte, le trascrizioni e revisioni di Segovia diventano dei veri e propri "pezzi per chitarra", di per sé non meno idiomatici di quelli che scriveva lo stesso Segovia per chitarra. E, d'altra parte, Segovia, anche nelle sue composizioni originali, non sacrificava l'idea musicale alla pura facilità esecutiva; con un gioco di parole si potrebbe dire che se le trascrizioni segoviane diventano "facili" come i suoi pezzi per chitarra, i suoi pezzi per chitarra sono "difficili" come le sue trascrizioni!

In ogni caso un pensiero musicale e strumentale sempre chiaro e coerente.


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Mi sembra che il discorso stia prendendo una piega decisamente interessante. D'altronde, mi dico, si potrebbe addirittura ipotizzare la legittimità di una linea di pensiero che muovendo dai celeberrimi "falsi" ponciani arrivi oggi a delle dichiarate ricostruzioni contemporanee.

Gli spunti non mancano...

 

La discriminante, as usual, resta quella della qualità.


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La discriminante, as usual, resta quella della qualità.

 

Nettamente inferiore a quella Segoviana... Ho paura che il chitarrismo moderno diventi una scimmiottatura Segoviana... Date a Cesare quel che è di Cesare, e se Cesare è morto lasciamolo riposare in pace senza copiare le sue idee...


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Io mi sentirei - anche se non ho un progetto in tal senso - di scrivere un saggio sull'estetica segoviana per quanto si riferisce allo stile forgiato dal maestro nelle revisioni e nelle trascrizioni.

 

Mi verrebbe da pensare che la sua ( di Segovia) estetica sia stato il "parametro" nella scelta dei singoli compositori, le musiche dei quali sono state oggetto di trascrizioni del maestro spagnolo. Segovia tuttavia trascrisse Franck, Grieg, Schumann, Debussy, Mozart, Beethoven, Bach, Benda (cito a caso) ecc , compositori la cui estetica musicale in alcuni casi è decisamente differente. La mia domanda è questa: quali sono Maestro, secondo Lei, e sempre che vi siano, i criteri che portarono il maestro spagnolo alla scelta di quel determinato "compositore da trascrivere" (mi si passi l'espressione)? Tutto si risolve nel puro gusto musicale?


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Quello che scrivi è molto interessante; vorrei aggiungere un dettaglio che mi ha fatto impressione recentemente: suonando alcuni dei Preludios y Estudios di Segovia e alcune delle Canciones Populares (Bérben), mi è parso evidente che, come linguaggio strumentale, sono molto simili alle trascrizioni e revisioni di Segovia.

Nel senso che, da una parte, le trascrizioni e revisioni di Segovia diventano dei veri e propri "pezzi per chitarra", di per sé non meno idiomatici di quelli che scriveva lo stesso Segovia per chitarra. E, d'altra parte, Segovia, anche nelle sue composizioni originali, non sacrificava l'idea musicale alla pura facilità esecutiva; con un gioco di parole si potrebbe dire che se le trascrizioni segoviane diventano "facili" come i suoi pezzi per chitarra, i suoi pezzi per chitarra sono "difficili" come le sue trascrizioni!

In ogni caso un pensiero musicale e strumentale sempre chiaro e coerente.

 

Si. Recentemente è saltato fuori a Montevideo il pezzo più ampio e articolato composto da Segovia, un "Fandango de la Madrugada" di impronta ponciana, che si può considerare il suo capolavoro. Contiene persino un accenno a un tema del "Concierto del Sur", tant'è vero che, sulle prime, di fronte a un manoscritto indiscubilmente vergato dalla mano di Segovia, ma anonimo e senza titolo, si era pensato - non solo da parte mia - a un brano sconosciuto di Ponce. Naturalmente, non mi sono azzardato nell'attribuzione e non ho fatto pubblicare il lavoro, in attesa di altre indicazioni, che infatti sono giunte: un manoscritto segoviano, meno rifinito e meno accurato di quello anonimo, però intitolato e firmato, ha sciolto i dubbi sull'identità del pezzo, che verrà pubblicato presto, insieme a un altro lavoro di minor consistenza musicale ma non meno ampio.

 

dralig


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Bellissimo, non vedo l'ora di vederlo anch'io!

 

Quanto alla domanda di Paolo, è rivolta ad Angelo Gilardino e, se vorrà, sono anche io desideroso si leggere la sua risposta; quella che mi sono dato io è che Segovia in queste trascrizioni perseguiva anche uno scopo "didattico" in senso lato oltre a quello puramente artistico o alla funzionalità concertistica (tra l'altro, se non erro, le sue trascrizioni sono quasi tutte della prima epoca della sua attività, anche se continuò ad eseguirle fino alla fine).

 

Lo scopo "didattico" si può evidenziare se si pensa che si tratta di una serie di pezzi, in genere brevi tranne qualche eccezione come la Ciaccona di Bach, che vanno dal rinascimento (Mudarra, Purcell) a Scriabin. E' come se Segovia dicesse, ai suoi primi ipotetici ascoltatori di un secolo fa o quasi: "vedete? La chitarra può essere a suo agio con la grande musica di qualsiasi epoca, magari con quei pezzi celebri che ascoltate nel concerto precedente o successivo al mio nella stessa sala da Cortot o da Ysaye"; queste trascrizioni perciò fungevano anche, a mio parere, come esempi dimostrativi, quasi ambasciatori delle potenzialità espressive dello strumento, oltre che dell'interprete che le proponeva.


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Io mi sentirei - anche se non ho un progetto in tal senso - di scrivere un saggio sull'estetica segoviana per quanto si riferisce allo stile forgiato dal maestro nelle revisioni e nelle trascrizioni.

 

Mi verrebbe da pensare che la sua ( di Segovia) estetica sia stato il "parametro" nella scelta dei singoli compositori, le musiche dei quali sono state oggetto di trascrizioni del maestro spagnolo. Segovia tuttavia trascrisse Franck, Grieg, Schumann, Debussy, Mozart, Beethoven, Bach, Benda (cito a caso) ecc , compositori la cui estetica musicale in alcuni casi è decisamente differente. La mia domanda è questa: quali sono Maestro, secondo Lei, e sempre che vi siano, i criteri che portarono il maestro spagnolo alla scelta di quel determinato "compositore da trascrivere" (mi si passi l'espressione)? Tutto si risolve nel puro gusto musicale?

 

Senza abbandonare la mia idea, secondo cui l'argomento può essere trattato in un saggio ma non in un forum, propongo una piccola modifica alla Sua espressione "puro gusto musicale" : direi invece, "puro gesto musicale". L'estetica di Segovia era più di un criterio, ossia si manifestava attraverso una serie di criteri che, di tale estetica, diventavano, i filtri applicativi. I criteri si manifestavano a loro volta in gesti musicali applicati alla chitarra. Quindi, tre livelli: di fondo, un'estetica, ossia un sentimento-concetto del bello; poi, una serie di criteri applicativo-selettivi, esplicabili in termini anche razionali; infine, il gesto musicale-chitarristico, ossia la forma visibile, concreta, dell'estetica e dei suoi criteri.

 

Segovia era primariamente un artista (le sua prosa e i suoi disegni ci dimostrano che avrebbe potuto diventare uno scrittore o un pittore). Aveva quindi un mondo ideale ed emotivo, una sorta di paesaggio interiore. Da ragazzo, decise di farne un paesaggio sonoro - lo stesso fece, nella stessa epoca, Joaquin Rodrigo (per rimanere nell'ambito della hispanidad) - e scelse di farlo attraverso la chitarra. Da lì in poi, filtrò tutta la musica, di qualunque autore e di qualsivoglia epoca, non al vaglio di un giudizio storico-estetico sui contenuti delle opere da suonare (anche se, ovviamente, non scese mai al disotto di un certo livello qualitativo, compiendo anzi alcune audaci arrampicate come quella che lo portò alla Ciaccona), ma alla luce di un criterio - anzi di una serie di criteri - di compatibilità, di coerenza, o meglio ancora di identificazione (come nel caso della musica di Ponce) - tra le caratteristiche di paesaggio sonoro esistenti in potenza nelle pagine da suonare e il suo mondo, già costituito. Egli non fu un interprete - non hanno capito niente di lui quelli che gli rimproverano di non esserlo stato - ma un creatore che si servì della musica altrui per dar vita alla propria, fu un creatore per procura. I gesti sonori che forgiò per dar vita concreta al suo paesaggio sonoro non sono moltissimi: riducendoli in categorie (qui si apre il tema del possibile saggio da scrivere) non se ne elencano più di una dozzina. Ponce? E' tutto perfettamente coincidente con il paesaggio sonoro segoviano, e lo è al punto che, in certi passaggi, Segovia si appropria non solo del testo del compositore, ma lo modifica per esprimere la sua totale identificazione con il compositore (che vede e tratta come un fratello di sangue). Castelnuovo-Tedesco? E' compatibile fino a un certo punto. Allo stesso modo sono compatibili Tansman, Turina, Moreno-Torroba, Mompou, Manen, etc. Villa-Lobos? E' quasi tutto incompatibile: il suo mondo è primitivista, con la sua musica il paesaggio sonoro segoviano si intorbiderebbe nelle contrapposizioni del dramma, alle quali è alieno, perché è fondamentalmente lirico, non tragico. Non parliamo dei maestri tenebristi, da Frank Martin a Britten...portatori di ansia metafisica. E' già un miracolo che abbia suonato l'"Homenaje", e si vede che non lo amava, come non amava Falla...

 

Da ragazzo, vedevo Segovia come interprete, e avevo molto da ridire sulla sua arte. Poi - non a caso, da quando ho appeso la chitarra al chiodo e ho virato verso la composizione - ho capito che si può "comporre", ossia "creare", anche suonando, al di là della propria funzione di interprete, e ho cominciato a studiare Segovia come artista, non più come interprete. Mi sono immerso nel suo mondo, lontanissimo dal mio, e alla fine - al di là di tutto il lavoro che il destino mi ha riservato nei riguardi delle sue carte - ho cercato di manifestare il mio riconoscimento del suo paesaggio sonoro in due composizioni, tra loro quasi opposte: da un lato, il "Retrato de Andrés Segovia" per orchestra d'archi, dall'altro il "Colloquio con Andrés Segovia" per chitarra sola.

 

Secondo me, Segovia andrebbe studiato - e suo figlio Carlos Andrés, filosofo, ha dato una forte indicazione in tal senso - in un'area interdisciplinare in cui dovrebbero convergere l'estetica (filosofia dell'arte) e la musica, sia in senso storico che in senso analitico. In quest'ultima area, non è detto che io non scriva il saggio che ritengo si dovrebbe scrivere...

 

dralig


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Ponce? E' tutto perfettamente coincidente con il paesaggio sonoro segoviano, e lo è al punto che, in certi passaggi, Segovia si appropria non solo del testo del compositore, ma lo modifica per esprimere la sua totale identificazione con il compositore (che vede e tratta come un fratello di sangue).

 

Parla della citazione di Ponce presente in Oracion di Segovia?


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Ponce? E' tutto perfettamente coincidente con il paesaggio sonoro segoviano, e lo è al punto che, in certi passaggi, Segovia si appropria non solo del testo del compositore, ma lo modifica per esprimere la sua totale identificazione con il compositore (che vede e tratta come un fratello di sangue).

 

Parla della citazione di Ponce presente in Oracion di Segovia?

 

No - anche se il Suo riferimento non mi sembra affatto fuori luogo rispetto al tema: parlo delle "invasioni" creative segoviane nei testi di Ponce, là dove non esiste alcuna necessità di modifiche ai fini dell'eseguibilità o del rendimento sonoro. Sembra che Segovia si sentisse in una sorta di simbiosi creativa con Ponce, e per questo, in certi punti, non si tratteneva dal ridisegnare alcuni profili facendoli corrispondere a quello che aveva in mente lui...

 

dralig

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