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Nuovi CD di musica del XX e del XXI secolo

Musica brutta o interpreti scadenti?


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Andando al link postato da Guitar Hero si vede che la famosa citazione sugli interpreti e la musica bella e brutta è di Segovia.

 

Se questo è vero (confesso che non conoscevo questa frase di Segovia) credo che il suo senso originario non sia quello ipotizzato da paolor, quanto piuttosto quello, usando un linguaggio paradossale che a Segovia piaceva, di mettere in luce il fatto che suonando male si può rovinare musica bella e suonando bene si può valorizzare quella meno bella.

 

Sappiamo da altre cose che ha scritto Segovia (ad esempio la prefazione ai Venti Studi di Sor) che lui aveva un giudizio sul repertorio originale per chitarra non particolarmente entusiasta (e secondo me realistico).

...

 

Mi pare allora evidente che Segovia sia riuscito a condensare in una frase anche il "lato oscuro" della propria forza :)

La visione realistica di cui parli non fu mai di tale profondità estetica da indirizzare (proprio in quanto "buon esecutore" tra gli esecutori) verso la chitarra alcuni dei grandi compositori che in quel periodo stavano rivoluzionando il pensiero musicale ed egli preferì affidare la propria arte (il pregio di Segovia esecutore) al servizio di musica, come dire, inconsistente dal punto di vista storico.

Sapeva di condurre una battaglia, più che estetica, ideologica e questa mi pare sia una constatazione che con il passare degli anni si fa sempre più evidente.

 

Non ho sotto lo spartito ma mi sembra che Segovia, nella prefazione, elogiasse gli studi di Sor sostenendo che, oltre che utili, sono anche belli (ed io non posso che dargli ragione, almeno per alcuni).

In quanto al rendere bello ciò che è brutto (ed io non userei con tanta leggerezza la parola brutto) citerei un episodio di qualche anno fa. Assieme ad alcuni amici fra cui due violinisti, andiamo a sentire Accardo (che suonava Paganini). I due violinisti: occhi spalancati, bocca aperta, estatici (mancavano solamente la lingua a spenzoloni ed un filo di bava per completare il quadro). I non violinisti (chi pianista, chi chitarrista), mediamente, annoiati. (E non venitemi a dire che per chi non ammira il gesto tecnico paganini non è una palla mortale, indipendentemente da chi lo suona).

Un paio d'anni fa, a Bologna, concerto di musica da camera con una formazione francese + Mario Brunello al violoncello. Brunello riesce a farmi piacere persino Mozart (che io in generale non amo ma che, devo ammettere, non è brutto). Poi il Bis, in onore della formazione da camera. Brunello attacca un pezzo di non so quale compositore napoletano di una difficoltà tecnica (evidente anche per chi, come me, non suona il violoncello) estrema. Il violoncellista della formazione, al suo fianco, lo guarda letteralmente a bocca aperta. Il brano, però, malgrado la difficoltà tecnica, era bellissimo e Brunello era in grado di fare musica trascendendo dalla difficoltà. Sicuramente, però, un altro interprete (non dimentichiamoci che Mario Brunello è considerato forse il miglior violoncellista vivente) non sarebbe riuscito a trascendere dalla difficoltà tecnica, ed allora la musica non sarebbe uscita. Tutto sarebbe rimasto solo una sequenza di difficilissimi bicordi e tricordi, ed il pubblico sarebbe uscito da lì convinto di aver sentito "musica brutta".

Concludendo, mi sembra che non basti un buon interprete per far diventare bella della musica che non lo è, mentre mi sembra che basti un cattivo interprete (o un interprete non in grado tecnicamente di suonare quel brano con facilità) per far sembrare brutta della musica che, in realtà, brutta non è.

Se i chitarristi scegliessero brani che, oltre ad essere belli e comprensibili ad un pubblico normale, evitassero tutti quei brani che, salvo essere dei mostri di tecnica, non possono essere suonati lasciando che la musica esca, forse, nessuno parlerebbe più di musica brutta. Se, nella ricerca del nuovo e del diverso, ci si lancia verso brani che sono rimasti non suonati, ci si dovrebbe domandare perchè siano rimasti non suonati. Forse sono troppo difficili per il pubblico (che di norma non è composto da musicisti e, spesso, è composto da ignoranti, ovviamente nel senso buono del termina), o magari più semplicemente non sono belli.

Ciao, Paolo.

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Ospite Nicola Mazzon

Si, vero. Infatti molti al giorno d'oggi non suonano quei pezzi in cui non riescono a rendere al meglio, si scrivono loro dei pezzi per le proprie mani. Forse è ancora peggio. :twisted:

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la semplice idea di suonare sulla chitarra quello che sulla chitarra viene meglio si sta rivelando non poi così da trogloditi;

 

Scusa Piero ma, questa lapalissiana e condivisibile constatazione mi pare cozzi la realtà della (micro)storia chitarristica. I Douze etudes di HVL sembrarono a Segovia qualcosa di chitarristicamente insuonabile...alcuni, addirittura, penso ad esempio al n. 10 dovettero apparirgli, nell'alveo della sua rassicurante e confortevole estetica, qualcosa di mostruoso...alla luce di questa constatazione cosa dovrebbero fare oggi i chitarristi? Non suonarli? Ovviamente no...

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la semplice idea di suonare sulla chitarra quello che sulla chitarra viene meglio si sta rivelando non poi così da trogloditi;

 

Scusa Piero ma, questa lapalissiana e condivisibile constatazione mi pare cozzi la realtà della (micro)storia chitarristica. I Douze etudes di HVL sembrarono a Segovia qualcosa di chitarristicamente insuonabile...alcuni, addirittura, penso ad esempio al n. 10 dovettero apparirgli, nell'alveo della sua rassicurante e confortevole estetica, qualcosa di mostruoso...alla luce di questa constatazione cosa dovrebbero fare oggi i chitarristi? Non suonarli? Ovviamente no...

 

Non esiste alcuna prova di questa opinione di Segovia sulle Douze Etudes e anzi la prefazione dell'edizione Eschig del 1953 smentisce ampiamente questo fatto.

D'altra parte nella prefazione della nuova edizione ho potuto documentare come Segovia li studio' tutti con assiduita' per diversi anni e ne presento' in concerto almeno quattro ( 1, 7, 8, e 11).

 

Sono alcuni "storici" della chitarra che hanno fatto certe affermazioni sugli studi di Villa-Lobos definendoli perfino "antichitarristici".Tutto si puo' dire di questi brani salvo che sono "antichitarristici".

D'altra parte anche in assenza di documenti come si puo' pensare che Segovia di fronte ad un'opera come le Douze Etudes potesse averli trovati "insuonabili"? Era il piu' grande chittarista della sua epoca, aveva una tecnica strumentale tale da consentigli in pochi mesi di suonare brani come la Sonata op.77 di Castelnuovo-Tedesco o la Fantasia -Sonata di Manen e secondo Lei si sarebbe fatto intimorire dalle Douze Etudes? Non verosimile.

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la semplice idea di suonare sulla chitarra quello che sulla chitarra viene meglio si sta rivelando non poi così da trogloditi;

 

Scusa Piero ma, questa lapalissiana e condivisibile constatazione mi pare cozzi la realtà della (micro)storia chitarristica. I Douze etudes di HVL sembrarono a Segovia qualcosa di chitarristicamente insuonabile...alcuni, addirittura, penso ad esempio al n. 10 dovettero apparirgli, nell'alveo della sua rassicurante e confortevole estetica, qualcosa di mostruoso...alla luce di questa constatazione cosa dovrebbero fare oggi i chitarristi? Non suonarli? Ovviamente no...

 

Non esiste alcuna prova di questa opinione di Segovia sulle Douze Etudes e anzi la prefazione dell'edizione Eschig del 1953 smentisce ampiamente questo fatto.

D'altra parte nella prefazione della nuova edizione ho potuto documentare come Segovia li studio' tutti con assiduita' per diversi anni e ne presento' in concerto almeno quattro ( 1, 7, 8, e 11).

 

Sono alcuni "storici" della chitarra che hanno fatto certe affermazioni sugli studi di Villa-Lobos definendoli perfino "antichitarristici".Tutto si puo' dire di questi brani salvo che sono "antichitarristici".

D'altra parte anche in assenza di documenti come si puo' pensare che Segovia di fronte ad un'opera come le Douze Etudes potesse averli trovati "insuonabili"? Era il piu' grande chittarista della sua epoca, aveva una tecnica strumentale tale da consentigli in pochi mesi di suonare brani come la Sonata op.77 di Castelnuovo-Tedesco o la Fantasia -Sonata di Manen e secondo Lei si sarebbe fatto intimorire dalle Douze Etudes? Non verosimile.

 

Grazie della puntualizzazione. Nella storia della chitarra effettivamente circola un po' di tutto.

 

Le mie perplessità, tuttavia, non possono essere fugate in maniera esaustiva se, tralasciando gli aspetti di ricerca storiografica, mi "limito" a guardare ai Douze Etudes dal punto di vista strettamente musicale/strimentale.

 

Che non si tratti di un lavoro riconducibile all'estetica segoviana mi pare lo si possa dire senza fraintendimenti. Non mi riferisco alle capacità tecniche di Segovia, sulle quali non ho dubbi nè alcun tipo di interesse, quanto al fatto che una certa idea di scrittura per chitarra, innovativa, costruita sulla "scoperta" della posizione fissa che corre lungo la tastiera entrando in combinazione con le corde a vuoto abbia dato un risultato molto lontano, e secondo me inconciliabile, con la scrittura sostanzialmente tradizionale degli altri compositori che per Segovia scrissero pagine di alto valore.

 

Questo mi fa pensare che, di conseguenza, l'attestazione di stima scritta da Segovia nella prefazione dei Douze Etudes abbia un po' il valore di un riconoscimento al compositore Villa Lobos, piu' che al risultato chitarristico da lui conseguito in quest'opera.

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Questo mi fa pensare che, di conseguenza, l'attestazione di stima scritta da Segovia nella prefazione dei Douze Etudes abbia un po' il valore di un riconoscimento al compositore Villa Lobos, piu' che al risultato chitarristico da lui conseguito in quest'opera.

 

Non mi pare proprio, anzi Segovia sottolinea il valore musicale unito a quello strumentale , dicendo che ramente si trovano uniti e fa gli esempi di Chopin e Scarlatti. La frase sulla diteggiatura poi esplicita molto chiaramente il parere di Segovia sulla scrittura per chitarra di Villa-Lobos.

 

«Voici douze "Études" écrites avec amour pour la guitare par le génial compositeur brésilien Heitor Villa-Lobos. Elles comportent, en même temps, des formules d'une efficacité surprenante pour le developpement de la technique des deux mains et des beautés musicales "désintéressées", sans but pédagogique, valeurs esthétiques permanentes des morceaux de concert.

Peu nombreux sont, dans l'histoire des instruments, les Maîtres ayant réuni dans leurs "Études", ces deux qualités. Les noms de Scarlatti et de Chopin viennent immédiatement à l'esprit. Tous deux atteignent leurs buts didactiques sans qu'il y ai un soupçon d'aridité, ni de monotonie et si le pianiste attentif observe, avec reconnaissance, la flexibilité, la vigueur et l'indèpendance que ces morceaux impriment à ses doigts, l'artiste qui les déchifre ou les écoute, admire la noblesse, le génie, la grâce et l'émotion poétique qui s'exhalent généreusemment d'eux. Villa-Lobos a fait cadeau à l'histoire de la guitare des fruits de son talent, aussi vigoureux et savoureux que ceux de Scarlatti et de Chopin.

Je n’ai voulu modifier aucun des doigtés que Villa-Lobos a indiqués pour l’exécution de ses morceaux. Il connaît parfaitement la guitare et, s’il a choisi telle corde ou tel doigté pour faire resortir des phrases déterminées, nous devons obéir strictement à ses désirs, même au prix de nous soumettre à de plus grands efforts d’ordre technique.

Je ne veut pas terminer cette brève note sans remercier publiquement l’illustre Maître de l’honneur qu’il m’a fait en me dédiant ces Études »

 

Eccola in Italiano per chi non pratica il francese:

«Ecco dodici Études scritte con amore per la chitarra dal geniale compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos. Esse presentano, allo stesso tempo, delle formule di un’efficacia sorprendente per lo sviluppo della tecnica delle due mani, e delle bellezze musicali disinteressate, senza finalità pedagogiche, valori estetici permanenti dei brani da concerto.

Pochi sono stati, nella storia degli strumenti, i Maestri che hanno riunito nei loro studi queste due qualità. I nomi di Scarlatti e Chopin vengono immediatamente in mente. Entrambi conseguono le loro finalità didattiche senza che vi sia il minimo sospetto di aridità né di monotonia, e se il pianista attento osserva, con riconoscenza, la flessibilità, il vigore e l’indipendenza che questi brani imprimono alle dita, l’artista che li legge o li ascolta ammira la nobiltà, il genio, la grazia e l’emozione poetica che generosamente sprigionano. Villa-Lobos ha fatto dono alla storia della chitarra dei frutti del suo talento, altrettanto vigorosi e saporiti di quelli di Scarlatti e Chopin. Non ho voluto modificare nessuna diteggiatura indicata da Villa-Lobos per l’esecuzione dei suoi brani. Egli conosce perfettamente la chitarra, e se ha scelto una data corda o una determinata diteggiatura per far risaltare una certa frase, noi dobbiamo obbedire rigorosamente ai suoi desideri, anche a costo di sottometterci a maggiori sforzi di ordine tecnico. Non voglio terminare questa breve nota senza ringraziare pubblicamente l’illustre Maestro per l’onore che mi ha fatto dedicandomi queste Études.»

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Questo mi fa pensare che, di conseguenza, l'attestazione di stima scritta da Segovia nella prefazione dei Douze Etudes abbia un po' il valore di un riconoscimento al compositore Villa Lobos, piu' che al risultato chitarristico da lui conseguito in quest'opera.

 

Non mi pare proprio, anzi Segovia sottolinea il valore musicale unito a quello strumentale , dicendo che ramente si trovano uniti e fa gli esempi di Chopin e Scarlatti. La frase sulla diteggiatura poi esplicita molto chiaramente il parere di Segovia sulla scrittura per chitarra di Villa-Lobos.

 

«Voici douze "Études" écrites avec amour pour la guitare par le génial compositeur brésilien Heitor Villa-Lobos. Elles comportent, en même temps, des formules d'une efficacité surprenante pour le developpement de la technique des deux mains et des beautés musicales "désintéressées", sans but pédagogique, valeurs esthétiques permanentes des morceaux de concert.

Peu nombreux sont, dans l'histoire des instruments, les Maîtres ayant réuni dans leurs "Études", ces deux qualités. Les noms de Scarlatti et de Chopin viennent immédiatement à l'esprit. Tous deux atteignent leurs buts didactiques sans qu'il y ai un soupçon d'aridité, ni de monotonie et si le pianiste attentif observe, avec reconnaissance, la flexibilité, la vigueur et l'indèpendance que ces morceaux impriment à ses doigts, l'artiste qui les déchifre ou les écoute, admire la noblesse, le génie, la grâce et l'émotion poétique qui s'exhalent généreusemment d'eux. Villa-Lobos a fait cadeau à l'histoire de la guitare des fruits de son talent, aussi vigoureux et savoureux que ceux de Scarlatti et de Chopin.

Je n’ai voulu modifier aucun des doigtés que Villa-Lobos a indiqués pour l’exécution de ses morceaux. Il connaît parfaitement la guitare et, s’il a choisi telle corde ou tel doigté pour faire resortir des phrases déterminées, nous devons obéir strictement à ses désirs, même au prix de nous soumettre à de plus grands efforts d’ordre technique.

Je ne veut pas terminer cette brève note sans remercier publiquement l’illustre Maître de l’honneur qu’il m’a fait en me dédiant ces Études »

 

Eccola in Italiano per chi non pratica il francese:

«Ecco dodici Études scritte con amore per la chitarra dal geniale compositore brasiliano Heitor Villa-Lobos. Esse presentano, allo stesso tempo, delle formule di un’efficacia sorprendente per lo sviluppo della tecnica delle due mani, e delle bellezze musicali disinteressate, senza finalità pedagogiche, valori estetici permanenti dei brani da concerto.

Pochi sono stati, nella storia degli strumenti, i Maestri che hanno riunito nei loro studi queste due qualità. I nomi di Scarlatti e Chopin vengono immediatamente in mente. Entrambi conseguono le loro finalità didattiche senza che vi sia il minimo sospetto di aridità né di monotonia, e se il pianista attento osserva, con riconoscenza, la flessibilità, il vigore e l’indipendenza che questi brani imprimono alle dita, l’artista che li legge o li ascolta ammira la nobiltà, il genio, la grazia e l’emozione poetica che generosamente sprigionano. Villa-Lobos ha fatto dono alla storia della chitarra dei frutti del suo talento, altrettanto vigorosi e saporiti di quelli di Scarlatti e Chopin. Non ho voluto modificare nessuna diteggiatura indicata da Villa-Lobos per l’esecuzione dei suoi brani. Egli conosce perfettamente la chitarra, e se ha scelto una data corda o una determinata diteggiatura per far risaltare una certa frase, noi dobbiamo obbedire rigorosamente ai suoi desideri, anche a costo di sottometterci a maggiori sforzi di ordine tecnico. Non voglio terminare questa breve nota senza ringraziare pubblicamente l’illustre Maestro per l’onore che mi ha fatto dedicandomi queste Études.»

 

Bene. Abbiamo appurato che la pensiamo in maniera diversa, perchè proprio quell'ultima frase mi fa pensare che il rapporto tra Segovia e questi studi fosse poco confacente alla sua estetica...qui, Segovia, in qualità di revisore della composizione non potè metterci nulla di suo, nemmeno a livello di diteggiatura, come invece fece, almeno, con la scelta dei famosi 20 studi di Sor.

 

Il che, poi, riflettendoci ulteriormente, mi fa pensare a quanto possa aver influito questo particolare momento del rapporto compositore-composizione-revisore-interprete nella definizione del repertorio...suo, ma non solo.

 

Ho la sensazione che verso una composizione che non necessitava la sua opera di revisore, provasse poco interesse a priori.

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Se non vado farneticando mi pare che anche i "Quatre pièces brèves" di Martin suscitarono poco interesse da parte di Segovia. Si trattava anche in questo caso di un lavoro strumentalmente "a posto" nella stesura del compositore? (tralasciando il discorso sull'estetica di Martin). Tra l'altro, peccato...le poche volte che Segovia ha osato spingersi un po' oltre, penso ad esempio alla Suite compostelana o alla Fantasia-Sonata di Manen, non ha certo sfigurato...

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Ho la sensazione che verso una composizione che non necessitava la sua opera di revisore, provasse poco interesse a priori.

Non so cosa significa per Lei "poco interesse" ma faccio fatica a vedere poco interesse in un interprete che ha suonato Villa-Lobos (alcuni preludi e alcuni studi) dal 1937 alla sua scomparsa (1987). Quando Segovia provava poco interesse si tirava indietro senza tanti complimenti, come nel caso dei pezzi di Frank Martin.

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... la chitarra non è uno strumento del tutto libero perchè non permette a chi lo frequenta di partecipare alla molteplicità delle esperienze musicali novecentesche, al pari degli altri strumenti. Nelle migliori delle esperienze postume (Bream o Gilardino ad esempio, intesi non come interpreti ma come promotori di un'altra cultura chitarrisitica) la chitarra ha avuto una spinta ulteriore verso nuovi linguaggi ma credo ci sia ancora parecchio lavoro da fare per completare il panorama dell' "esserci musicalmente nel mondo".

 

e se si continua così..fra qualche anno, si farà fatica a distinguere una chitarra classica, intesa come identificazione di un suo repertorio (di qualità) da un..ukulele...

 

che amarezza (citazione da i "Cesaroni")..

 

m

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