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Ermanno Brignolo

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Risposte pubblicato da Ermanno Brignolo

  1. Salve,il paragone con il mondo pianistico non è sbagliato:mi nomini un pianista famoso che non abbia registrato con freguenza Mozart,Beethoven,Schubert,Chopin.Quando si inizia a studiare la chitarra classica, credo, che si sappia i compositori che hanno scritto per lo strumento;stranamente Beethoven,che conosceva Giuliani,ha scritto dei pezzi per mandolino,proprio una disdetta per noi chitarristi.

    Se la letteratura chitarristica dell'Ottocento avesse la stessa portata e lo stesso spessore - mutatis mutandis, ma anche no... - di quella pianistica, le darei ragione senza pensarci due volte.

    Tuttavia così non è: per alto che sia il profilo dei brani, il paragone non regge neppure da lontano, pertanto le motivazioni che portano un pianista ad affrontare le sonate di Beethoven hanno fondamenti assai differenti rispetto a quelle che portano un chitarrista a interpretare le sonate di Sor.

    Il repertorio ottocentesco vede nel pianoforte un campione di capolavori: lei ne cita quattro, ma non si conosce grande compositore che nell'Ottocento non abbia affidato al pianoforte pagine magistrali, spesso innovando - quando non rivoluzionando - sia la prassi interpretativa sia la struttura formale dei brani. Lo stesso Beethoven ammise senza timore di smentita che la sua ultima sonata non apparteneva al suo secolo: sarebbe stata compresa solo molto più avanti.

    Questo nella chitarra non avvenne nel XIX secolo: avvenne più tardi. Il XIX secolo delle sei corde è costituito da due tronconi: il primo si compone di pezzi formalmente canonici in cui i compositori, pur senza lesinare una propria originalità, si attengono quasi scrupolosamente a forme precostituite, adoperando chi più chi meno formule stigmatizzate o cliché; il secondo è una lunga sequenza di tentativi più o meno falliti di adeguarsi ai mezzi espressivi del pianoforte stesso. Pur non mancando spunti assai interessanti nelle produzioni di Regondi, Matiegka, Bobrowicz, Coste e Diabelli, quella letteratura non riesce ad imporsi come vorrebbe, a mio parere proprio perché l'obiettivo iniziale era irraggiungibile... e proprio perché era irraggiungibile, ancora oggi si assiste a non sporadici tentativi di raggiungerlo ancora.

    La svolta arriva con il declino del romanticismo e l'avvento di linguaggi nuovi: il pianoforte non perde il suo ruolo di grande protagonista della musica, ma non è più il solo. E' nel nuovo secolo che fioriscono le condizioni ideali per lo sviluppo della chitarra e del suo mondo, e la produzione (di alto livello, s'intende) del Novecento è la chiara dimostrazione di quanto il XX secolo sia per la chitarra ciò che il XIX è stato per il pianoforte.

     

    Ora, una precisazione: non è mia intenzione sminuire e gettare nel cestino i lavori di Giuliani, Sor, Molino, Carulli e compagnia, ci mancherebbe! E' però evidente che la loro portata per la chitarra non sia paragonabile al ruolo dei "grandi" per il pianoforte. Semplicemente, loro - i chitarristi - non ne hanno avuta la forza. D'altra parte quella forza sarebbe arrivata come un terremoto all'alba del nuovo secolo anche e soprattutto grazie alle figure prima di Segovia, poi di Bream e Gilardino e in seguito di tanti altri interpreti.

     

    Ecco perché trovo il paragone col pianoforte un po' stiracchiato. Omettere di dedicarsi approfonditamente a Beethoven, Schumann e Brahms sarebbe, per un pianista, una mancanza imperdonabile. Omettere di dedicarsi a Molino e Zani de Ferranti è, per un chitarrista, una mancanza tutto sommato trascurabile. Questo, sia chiaro, dando per scontato che escluderli dalle proprie interpretazioni non significhi per nulla e in alcun modo ignorarne l'opera, la personalità, l'apporto e i legami con il loro tempo. La selezione accurata di un programma si accoglie con entusiasmo; l'ignoranza no!

     

    EB

  2. credo che l'800 sia stato l'età d'oro per la chitarra,e quindi consiglierei a tutti i migliori chitarristi di lasciare un'interpretazione personale.Il paragone sembrerà esagerato,ma è come se un pianista

    non incidesse Mozart,Beethoven,Schubert ecc.

     

    L'Ottocento è stato "una" delle età fiorenti per la chitarra. Le ragioni sono molteplici e non risiedono solo nella quantità di opere ad essa dedicate, ma anche in ragioni meno "auliche", quali la facilità di collocare lo strumento in quasi ogni casa del ceto medio - cosa che il pianoforte non consentiva per ovvie ragioni.

    A dire il vero, il secolo più fiorente per quantità di repertorio e interesse dei compositori - non sempre chitarristi, anzi... - è stato finora proprio il ventesimo: l'ammontare di concerti per chitarra e orchestra, i brani cameristici e l'ineguagliata vastità del repertorio solista vedono nel ventesimo secolo un periodo ben più florido del secolo precedente, per la chitarra. A questa quantità, ovviamente, deve essere affiancata la qualità dei lavori, ma anche qui la presenza di nomi come Donatoni, Tansman, Britten, Martin, Farkas (giusto per citare alcuni non chitarristi) fanno risaltare non poco il rilievo di questo secolo.

    Si può anche aggiungere che quello che noi consideriamo ottocento equivale sì e no a un trentennio (il primo) del diciannovesimo secolo, dopo di che la chitarra quasi sparisce, vista la sua inadeguatezza nel repertorio romantico di ampia diffusione. Si pensi a un Brahms, o a un Bruckner, ma anche a Mendelssohn e Tchaikovskij: esprimere quella complessa drammaticità sulle sei corde è semplicemente impossibile. I giochi cambiano quando la necessità di corpose masse sonore lascia il posto a atmosfere più rarefatte: lì il gioco non si snoda più su piani massicci e imponenti, ma su piccole variazioni cromatiche; cambiano i mezzi espressivi e la descrizione lascia il posto all'allusione. In questo ambito, la chitarra ha molto da dire, e lo sa bene già Manuel de Falla, che affida alla chitarra il suo necrologio in omaggio a Debussy (il quale, Debussy, alla chitarra pensa spesso, ma per la chitarra non scrive mai neppure una nota).

     

    Ora, viviamo in un epoca in cui la specializzazione è il parametro principale per ogni ambito. E' irreale credere che un interprete possa raggiungere la stessa profondità e la stessa credibilità in linguaggi tanto differenti. Io non mi rammaricherei (non più di tanto, almeno) per la settorialità delle scelte di un artista: evidentemente, lui è consapevole dei limiti - da un lato - e dei punti di forza - dall'altro - della propria personalità. Ho personalmente ascoltato chitarristi che, pur forti di una notevole padronanza del repertorio contemporaneo, lasciano assai a desiderare in quello classico. E viceversa. Ci sono interpreti eccellenti per il repertorio classico, altri altrettanto eccellenti in quello moderno, altri ancora su uno stesso livello di eccellenza nelle espressioni della contemporaneità. Colga ilmeglio da ognuno: non avrà motivo di rimpiangere alcunché.

     

    In ultima analisi. il suo paragone col mondo pianistico è un po' stiracchiato. La maggior parte dei pianisti non si avventura oltre alcune pagine di Debussy e Scriabin, spesso fermandosi a Brahms. Ingorano del tutto i lavori di Tansman, Ravel, Farkas e Bartók, per non parlare di Berio, Busoni (escluse le trascrizioni di Bach) e Dallapiccola. Questa mi sembra una mancanza assai più grave.

    • Like 1
  3. Ermanno, ho citato Cristiano solo e semplicemente perchè sono in possesso del CD e ho ascoltato unicamente la sua esecuzione e l'ho presa come riferimento. Tutto qui, senza nessuna contorta motivazione.

    Grazie di tutto. Simosva.

    Certo, Simosva. Non volevo risultare piccato o arrogante - tanto meno nei confronti di un caro amico e uno stimato collega.

    Ho solo chiarito la ragione della divergenza. Tutto qui.

     

    No hard feelings, come dicono dalle mie parti!

     

     

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  4. Un tocco inizia con il polpastrello e l'altro con l'unghia, quindi nessuna omegeneità.

     

    Per quanto mi riguarda, nessuno dei due suoni inizia col polpastrello. Ho studiato a fondo questa tecnica durante la preparazione delle registrazioni della musica di Tansman inclusa in "The Andrés Segovia Archive" - in particolare per Berceuse, terzo dei cinque pezzi brevi. Il risultato può essere assai omogeneo, a patto di porre l'omogeneità come punto di arrivo e, quindi, adattare opportunamente la posizione delle dita e della mano destra. Inoltre, l'articolazione binaria della realizzazione del pedale suggerisce - a mio modo d'intendere - un'accentazione poliritmica: le quintine di semicrome nella parte superiore sono disaccoppiate dai gruppi di dieci crome nelle voci inferiori, quindi credo che un'articolazione che tenga in considerazione questa differenza - senza porre accenti grotteschi, ovviamente - non sia fuori luogo.

     

     

    Ho ascoltato l'interpretazione di Cristiano e mi mi sembra di sentire i "re" tutti uguali.

     

    Io ti ho dato il mio punto di vista, non quello di Cristiano: in primis, perché io non sono un suo esegeta, quindi non posso argomentare le sue soluzioni o le sue scelte, e in seconda battuta perché esiste la possibilità che si giunga a opinioni differenti su uno stesso brano. Un esempio lampante della differenza di punti di vista è nella Fantasia-Sonata op. A=22 di Joan Manén. Le interpretazioni di entrambi sono disponibili gratuitamente on line su SoundCloud - se non disponi dei dischi in cui sono contenute - ed è facile confrontarle. E' evidente che siano assai diverse, ma questo non le contrappone in alcun modo. Semplicemente: coesistono.

     

    Ciao

  5. Non ho capito bene come eseguire il pedale alla misura 43 con il pollice. Sicuramente i "re" sono alternativamente uno tastato sulla 5 corda e l'altro a vuoto sulla 4 corda. Quando dici (5° corda verso il basso, 4° corda verso l'alto) significa che il pollice suona la 4 corda dal basso verso l'alto, diversamente dal suo naturale movimento?

    Esattamente. E' un movimento che richiede un po' di studio ad hoc perché utilizzato rarissime volte nella letteratura, ma a mio avviso è estremamente efficace.

     

    EB

  6. Ciao SImosva,

     

    mi permetto di risponderti in modo un po' generico, perché credo sia il modo migliore per aiutarti.

     

    A mio avviso, occorre innanzitutto valutare la finalità degli Studi di virtuosità e trascendenza: essi tracciano una strada che porta il chitarrista a sviluppare una tecnica meccanica assai robusta, in grado di esprimere un pensiero musicale complesso e impervio con un'esecuzione che renda impalpabile l'ardimento tecnico meccanico. A questo proposito, lo svilupo di una diteggiatura appropriata è parte integrante del processo di elaborazione dello studio, pertanto fornirti una diteggiatura preconfezionata sarebbe quanto di meno utile tu possa ottenere.

     

    Più efficace sarebbe aiutarti a trovare delle soluzioni che possano essere efficaci tecnicamente e appropriate musicalmente.

     

    In un altro post, chiedevi informazioni circa l'indipendenza delle dita della mano destra. Più che dell'indipendenza, io ti consiglio di puntare all'individualità delle dita, cercando di sviluppare la tecnica della tua mano destra in modo da poter elaborare, con ognuna delle dita, un suono specifico (timbri differenti per ogni dito, ma anche timbri omogenei e intercambiabili per ogni dito) o un'articolazione specifica (accentazione, fraseggio, pronuncia). Questo studio ti consentirà di lavorare molto bene su questi due aspetti contemporaneamente.

     

    Parti dal carattere della formula arpeggiale: i suoni si articolano su più corde, alcune tastate altre a vuoto. Sarà tuo compito quello di realizzare questa figurazione cercando di minimizzare le variazioni timbriche e rendere il tutto il più omogeneo possibile. Ti puoi preparare agendo su quattro corde (formula digitale fissa) a vuoto e poi inserire, gradualmente, una, poi due, poi tre corde tastate a diverse altezze, senza cambiare formula. L'obiettivo sarà quello di mantenere omogeneo il timbro, anche tra corde tastate e corde a vuoto. Fai attenzione a non porre nessun tipo di accento (soprattutto nel pollice); deve essere un fluire continuo e monotono.

     

    Ora, per quanto riguarda la diteggiatura specifica dello studio, abbandoniamo l'idea che la minima a inizio battuta debba sempre essere suonata col pollice (ecco perché insistevo sull'omogeneità...). Essa può essere eseguita anche con altre dita: l'aspetto fondamentale, secondo me, è evitare la ripetizione dello stesso dito consecutivamente. A misura 7, ad esempio, puoi iniziare con pollice o anulare, e sviluppare il resto della battuta di conseguenza. Devi solo porre attenzione sulla pronuncia: la similitudine geometrica deve essere rispettata e realizzata con una scelta timbrica e agogica appropriata.

     

    A misura 43 il discorso cambia: il pedale assume una connotazione ritmica assai più maracata. Io personalmente lascerei al solo pollice (5° corda verso il basso, 4° corda verso l'alto) la realizzazione di questo pedale e la parte superiore alle altre dita.

     

    Spero di esserti stato utile.

     

    Ciao

     

    ermanno

  7. Marco Riboni nel suo libro su Giuliani,definisce bellissimo il duo per fortepiano e chit.op.86 di Carulli. Credo che sia un parere autorevole.

     

    in.fiore, non riesco a capire il succo di questo intervento. Troverà sempre qualcuno, più o meno autorevole, che abbia detto o scritto che qualcosa è buono, o bello, o meritevole. Non sarebbe una cattiva idea quella di trovare argomentazioni un po' più solide, altrimenti ci si ritrova a credere che Agustín Barrios sia il miglior compositore per chitarra del ventesimo secolo.

    Ben inteso, Marco Riboni resta un musicologo e storico di altissima caratura: i frutti del suo lavoro di ricerca parlano da soli e non è certo mia intenzione screditarne l'opinione - mi sembra superfluo, ma è prudente ribadirlo prima che alcuni pensieri sgaloppino in libertà... - tuttavia ritengo che si possa serenamente affermare che, su trecento e rotti numeri d'opera, il parere positivo espresso su un brano (parere che non è nuovo tra i commenti di questa discussione, per altro...) non è certo in grado di invertire la tendenza. Nessuno ha scritto "tutto Carulli è da cestinare": è ovvio e noto a tutti che alcuni punti della sua produzione volano alto... altri, invece, stentano a sollevarsi da terra.

     

     

    Le arpiste,che sono in orchestra ma è come se non ci fossero dato il loro esiguo impiego, penso,che farebbero salti di gioia se avessero le opere di Carulli scritte con la mano destra.

    Gliel'ha detto un'arpista?

  8. p.s. io riscoprirei un po' di più Diabelli, le sue Sonate, studi e "Fughe".. meritano molto di più di quel che (non) si sente in giro, che ne dite?

     

    m

     

    Mi sembra un suggerimento interessante! Ho letto recentemente proprio le sonate e gli studi, curioso di approfondire la mia - assai limitata, devo ammetterlo - conoscenza dell'Ottocento, e ne sono rimasto piacevolmente sorpreso. Dire che è un compositore trascurato è quasi esagerare: è sicuramente un mondo da scoprire e valorizzare, seppure anch'esso non esente da formule retoriche "non nuove" e, a mio parere, decisamente più ancorato a un certo manierismo rispetto ai già citati Sor e Giuliani.

    EB

  9. Io non lo conosco,questo utente,ma forse voi sapete che l'utente di Arezzo, è un musicista professionista? Un dilettante,un amatore della chitarra? Uno studente?  

    Non conosco l'utente in.fiore, Raffaele, ma mi pare ovvio che un'argomentazione come questa:

     

    Io penso che Carlos Perèz sia  un grande chitarrista,e se decide di incidere un 'intero cd con musiche di Ferdinando Carulli,ritiene buona parte della sua opera valida.Sor ha il numero d'opera 60 e non ha scritto nessun lavoro cameristico in cui è inserita la chit.Qualche anno fa è uscito un bel cd di Giulio Tampalini,con i concerti per chit. e orch. di Carulli,allegato alla rivista AMADEUS,quindi,finalmente, fuori  dal ristretto mondo chitarristico.

    sia un po' troppo lacunosa per provenire da un musicista professionista (inteso in senso assai più ampio della mera retribuzione della prestazione professionale).

     

    Ora, questo è un forum: ci intervengono indiscriminatamente dilettanti e professionisti, docenti e studenti, appassionati e fanatici; questo è un bene, ovviamente, ma ci sono aspetti che potrebbero e dovrebbero essere affrontati con un po' più di serietà.

    Tu ti e ci chiedi quale sia la preparazione di questo utente; io rispondo: "poco importa". Se è uno studente, da questa discussione potrebbe avere qualcosa da imparare: ad esempio, che non si giudica l'operato di un compositore dalle scelte discografiche di altri artisti (senza nulla togliere a chi lo registra, ben inteso: il mirino è puntato altrove), che non si valuta la qualità di un compositore dallo spessore del suo catalogo, che per giudicare delle pagine di musica occorre averle lette, possibilmente comprese e analizzate in un contesto un po' più ampio di un leggio e una chitarra... e via discorrendo.

     

    Per concludere, un amatore ha tutto il diritto di appassionarsi a un compositore ed esprimere il suo pensiero, ci mancherebbe! Però - ed è un "però per nulla trascurabile - il gusto personale non gli impedisce di vedersi criticare su affermazioni che non hanno senso musicale. Lasciar correre questo tipo di affermazioni sulla scusante del dilettantismo è semplicistico e superficiale; le persone fanno domande per avere risposte, opinioni e - se arrivano - conferme: questo si chiama dialogo; se si devono accantonare queste opinioni per non ledere la sensibilità di un amateur (neanche fosse una specie protetta a rischio depressione per uno scambio di idee discordanti... andiamo, siamo tra adulti!) allora si perde lo scopo di un forum, ma anche di una discussione. A questo punto, lasciamo che dilaghi il pensiero che un preludio di Carulli e una sinfonia di Mahler hanno lo stesso peso musicale e mettiamoci a fare qualcos'altro.

     

    EB

  10. Sor ha il numero d'opera 60 e non ha scritto nessun lavoro cameristico in cui è inserita la chit.

     

    La lista dei lavori di Sor conta quasi più brani senza numero d'opera che opere numerate. Anzi, sembra quasi strano che i lavori numerati siano solo quelli per chitarra (e neppure tutti).

    http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_compositions_by_Fernando_Sor

    A questi, si aggiunge - tanto per citarlo - un assai vociferato concerto per chitarra e orchestra, concerto che pare sia stato composto nel periodo londinese e che a tutt'oggi risulta perduto.

     

    Sor e Carulli hanno semplicemente trattato la chitarra in modo assai differente, giungendo a risultati a dir poco differenti, dall'uso della polifonia all'elaborazione armonica. Queste differenze si mostrano in modo evidente fin dall'analisi delle opere didattiche, come studi e brani semplici.

     

    Ora, se gli interpreti trovano spunti interessanti nell'opera di Carulli, fanno benissimo a metterli in risalto come meritano, da Pérez a Tampalini a Jappelli a chiunque altro ne avverta il bisogno: non c'è motivo di instaurare dibattiti su questo se non per applaudire qualche uscita nuova e interessante. Credo, invece, che possa avere senso cercare di comprendere dove stanno e da dove derivano le differenze tra la chitarra di Carulli e quella di Sor, calandole in un contesto più ampio e elaborandole con qualche strumento musicale più solido di un numero d'opera o di un paio di scelte discografiche.

     

    EB

    • Like 1
  11. Esistono delle belle trascrizioni dalla musica per pianoforte di Chopin?

     

    La musica di Chopin è forse quella che meno si presta a una trascrizione sulla chitarra. Il suo uso del pedale, la sua profonda conoscenza dello sturmento, la pregnanza delle risonanze e di tutto ciò che, non scritto, il pianoforte riesce a dare per propria idiomaticità sono aspetti del tutto estranei alla chitarra. Trascrivere solamente le note sarebbe uno sterile esercizio accademico. Avrebbe lo stesso impatto artistico del fischiettare il beethoveniano Inno alla gioia: il tema è riconoscibile per sommi capi, ma quanto al risultato estetico...

    In aggiunta, la ricerca di un'estetica pianistica nella chitarra ha sempre portato a risultati pressoché fallimentari. La scarsità di riconoscimento di autori come Mertz, Coste e, in buona parte, Regondi ne sono un chiaro esempio. Lasciamo al pianoforte le sue meravigliose pagine e concentriamoci su quanto di altrettanto meraviglioso la chitarra può dare, iniziando con l'imparare ad apprezzare e valorizzare le caratteristiche proprie di questo strumento senza cercare competizioni o rivalse verso ipotetici, inarrivabili avversari.

     

    EB

  12. 16€ è il costo di una pizza e una birra. Li spendiamo senza pensarci più che tanto tutti i fine settimana, e ci compriamo qualcosa che dura mezz'oretta sapendo che poi finirà - letteralmente - nel cesso. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi per questo.

    Per contro, uno spartito è virtualmente imperituro, è il frutto di mesi di lavoro - oltre che anni di maturazione personale - e potenzialmente ci consente di guadagnare anche qualcosa nei concerti, concorsi, dischi e via dicendo... Senza parlare dell'arricchimento culturale, ma qui la faccenda diventa complicata.
    Come conseguenza, tutti a lamentarsi del costo "stratosferico". "Cose da pazzi", addirittura!!

    Allora, Marco, inizi col soppesare il valore di quelle pagine: opere come Homenaje di MdF (3 pagine) o la Sarabande di Poulenc (1 pagina) forse meritano criteri di giudizio diversi dal peso del libro.
    Poi valuti anche il ruolo che vuole dare alla musica e a chi la scrive: lei non ha problemi a riconoscere la dignità professionale di un pizzaiolo, mentre quelle di un compositore e di un editore le sono aliene. Mi permetta di dire che il problema è suo. Sfortunatamente, lei è in abbondante compagnia, ma non significa che siate nella ragione, a mio modo d'intendere.

    EB


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  13. Nessuno dice che Carulli è Beethoven o Mozart,ma se gli autori del ottocento chitarristico erano quelli che sappiamo tutti,non mi sorprende che molte musiche,non siano da concerto o di forma tale da farci pensare a  forme-compositive  come le Sonate degli autori che ho menzionato.

     

    Mi è poco chiaro quello che intendi con questa frase. E' tristemente ovvio che un paragone tra Carulli e Beethoven non sta né in cielo né in terra, ma le opere importanti non mancano di certo nel repertorio chitarristico ottocentesco. Certo, sono su piani diversi.

     

     

    Certo io condivido tutto quello che dici e anche quello che dice Alfredo,ma quella era un epoca diversa padroneggiata dal Piano,e la chitarra stava appena mettendo le sue radici nel classicismo

     

    Raffaele, nel 1808 Mauro Giuliani componeva il Concerto in La maggiore, op. 30. Un anno dopo, lo stesso Carulli componeva il suo primo concerto per chitarra e orchestra, op. 8. La chitarra non stava appena mettendo le radici nel classicismo; era, semmai, in uno dei suoi momenti più floridi: quarant'anni dopo, invece, sarebbe stata "relegata" ai salotti della media borghesia e in poche altre sale da concerto.

     

     

     

    per fortuna ci sono stati autori come Carulli,che hanno scavato nelle seicorde facendo uscire fuori il classicismo-chitarristico  riuscendoci a dare delle belle forme e non riuscendoci del tutto come nelle forme classiche come la Sonata Classica.

     

    Fammi capire... stai dicendo che dovremmo sentirci fortunati a non avere, nel nostro repertorio ottocentesco, brani solistici importanti e di ampio respiro??

     

    E poi, e poi, se vuoi scavare nelle sei corde con il repertorio ottocentesco, a mio modo di vedere non troverai nulla di più innovativo di Sor e Coste (e mi verrebbe da aggiungere: "altro che Carulli!"). Sor, in particolare, ha raggiunto livelli altissimi, a partire dai suoi studi e dai cicli di variazioni - i suoi punti più alti - cadendo un po', invece, nelle grandi sonate op. 22 e 25; personalmente, tornando a quanto scritto sopra, non credo che questa caduta di stile possa essere definita una fortuna...

    • Like 2
  14. Quindi se ho capito bene quelle formule indicate da Niedt non sono efficaci.

     

    In linea generale, Simosva, possiamo serenamente dubitare - leggasi trascurare - ogni suggerimento che prometta risultati eccezionali in poco tempo.

    Se un maestro del calibro di Carlevaro ha ritenuto di dedicare alla tecnica meccanica non meno di tre cuadernos - e lo stesso dicasi per Luigi Biscaldi e i suoi esercizi speciali di virtuosismo - credo si possa asserire senza timore di smentita che chiunque prometta soluzioni facili e rapide ci stia sonoramente prendendo in giro.

    • Like 1
  15. Buon giorno.Io sono un chitarrista dilettante,non capisco,riguardo a Carulli,quando dice che la sua musica ha un carattere didascalico e formulaico.Proprio perchè ha scritto tanta musica

    ci sono ancora tante composizioni da valorizzare.

     

    Credo che nessuno metta in dubbio il fatto che, con oltre 360 numeri d'opera, il lavoro di Carulli possa ancora riservare sorprese di un certo spessore, tuttavia credo che il punto sollevato da Alfredo - punto che io condivido - sia un altro: in tutta quella musica, ci sono pagine che hanno sì un carattere puramente didattico o propedeutico ma che non si elevano al di sopra dei cliché del tempo. Per fare un paragone, sono su un piano decisamente inferiore rispetto ai lavori didattici e propedeutici di Sor. Stesso periodo, stesso entourage, anche se provenienti da culture differenti.

     

    Un lavoro di riscoperta e rivalutazione dell'opera carulliana è in corso, e dal punto di vista discografico se ne uò apprezzare un primo risultato con la recente uscita discografica firmata da Nicola Jappelli per Brilliant Classics. Sono lavori apprezzabili, anche se a tratti un po' manieristici. A mio avviso, Carulli rimane un buon compositore, ma per come la vedo io non è lui che abbia lasciato le impronte più profonde nella storia ottocentesca della chitarra.

  16. Grazie a tutti per le indicazioni, sono utilissime.

    Non sapevo della doppia pubblicazione e anche io come harry mi chiedo con quale diritto un chitarrista (anche grande come Segovia) tagli pagine e note...

    boh?

     

    Attenzione a non fare di tutta l'erba un fascio. Tra un generico chitarrista a "uno grande come Segovia" a mio avviso ce ne passa.

     

    Mi spiego: Segovia, come si è già ampiamente detto, ha operato con coerenza sulla base di un'estetica personale forte e matura, solidamente fondata su canoni ben precisi. Ha anche agito in un'epoca e in un contesto piuttosto singolari sui quali lui ha impresso un'impronta propria, quasi un sigillo. In quel contesto, "scivoloni" come la citazione della campanella in coda al Capriccio diabolico diventano quasi marginali, soprattutto se rapportati alla portata del suo lavoro.

     

    D'altro canto, quelle scelte erano sue, e sue soltanto. In alcuni casi, i compositori le hanno adottate con entusiasmo, in altri le hanno tollerate, in altri ancora le hanno subite. La critica all'estetica segoviana non può prescindere dalla casistica in cui si collocano questi interventi. Se è un errore grossolano quello di dare per "verità unica" l'interpretazione di Segovia (il quale non di rado si discostava dalle sue stesse edizioni pubblicate), è altrettanto fallace prenderne le distanze tout-court.

     

    Quella che conta è la consapevolezza di ciò che si fa. È in grado, il generico chitarrista, di elaborare una propria edizione dell'opera secondo canoni estetici e formali validi e coerenti? È in grado di apporre modifiche che le consentano di aderire a questi canoni senza diminuirne il valore? È in grado di ripetere questa operazione con risultati confrontabili indistintamente su ogni opera interpretata?

     

    PS: soprattutto, è in grado, il generico chitarrista, di valutare se l'opera in oggetto abbisogni realmente di modifiche o se, invece, dette modifiche non siano solo riferibili ad altri - solitamente meno nobili - scopi?

     

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  17. Che cosa vuol dire? E la filologia?

     

    A mio avviso, la filologia del suonare Bach su una chitarra moderna va un po' a farsi benedire per definizione: filologica è un'esecuzione che parta dal liuto o dal Lautenwerke e su questi si realizzi. Se si accetta che la chitarra abbia un idioma differente, si accettano anche le conseguenze: qualcosa andrà adattato, e non solo nella diteggiatura. E' un ragionamento che guidò interpreti come Ferruccio Busoni e Glenn Gould i quali sicuramente non erano a digiuno di nozioni sull'arte interpretativa del periodo barocco, ma hanno intrapreso strade differenti giungendo a risultati straordinari.

    Ci sono esempi mirabilissimi di esecuzioni non filologiche: per restare nella chitarra, mi pare il caso di citare Attademo che ha cercato (e trovato) un approccio decisamente personale nelle sue interpretazioni, personale e - dico io - piuttosto convincente.

     

    EB

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  18. Grazie per la condivisione, Cristiano.

    L'amarezza nell'apprendere questa notizia è resa più grave dalla natura del festival stesso: era un festival dedicato esplicitamente al repertorio trascurato per chitarra orchestra. Se da un lato questa caratteristica, abbinata alle leggi di mercato, potrebbe far passare la notizia come la cronaca di una morte annunciata, dall'altro ci fa capire quanto becere siano proprio quelle leggi di mercato e - ancor più - quanto siano importanti le scelte che onguno di noi, con la propria attività, opera: decidere di optare per una pagina meno conosciuta, di esplorare anfratti inediti del repertorio - invece di ricalcare le orme di altre centinaia di interpreti, spesso anche dal punto di vista agogico - è sicuramente un rischio, ma diventa necessario per la sopravvivenza della musica stessa.

     

    Spero che il sasso non cada fuori dallo stagno.

  19. E' un brano che amo così tanto!

     

    Sono d'accordo con Cristiano: è difficile non apprezzare la Sonat(in)a Omaggio a Boccherini, ma di fronte a un brano di simle portata, non posso fare a meno di farmi nascere un dubbio. Spero di non recarle offesa, con questo, ma è sicuro che il suo amore per questo pezzo sia ricambiato? Mi spiego meglio: come ha giustamente sottolineato Cristiano, c'è un gran bel divario - non solo tecnico - tra Recuerdos de la Alhambra e la Sonata di MCT, e spesso si tende a trascurare la portata di un brano in favore del nostro desiderio di eseguirlo. Se lei l'ha scelto per una prova di ammissione, sicuramente sarà sicuro delle sue carte e consapevole delle sue capacità, tuttavia l'Omaggio a Boccherini è un capolavoro del repertorio, banco di prova per centinaia di interpreti a partire dal suo dedicatario. Non voglio con questo sconsigliarla dall'eseguirla, ma le suggerisco di prestare molta attenzione e prudenza: è una scelta assai insidiosa.

  20. Condivido ogni singola parola, Marcello e per quel poco che può valere, per quanto riguarda le scale è stata la mia filosofia da 14enne, quando studiavo per preparare il V anno (scale diatoniche maggiori e minori - melodiche e armoniche - massima estensione incluse le scale per terze seste ottave e decime che adesso sono scomparse)

    E, naturalmente, chi studia con me passa da questa strada.

     

    Sulla tonalità colgo il tuo sarcasmo ma c'è ben poco da scherzare. Per molti neo-diplomati leggere pagine con più di tre alterazioni in chiave (mi maggiore a parte) è un lavoro tutt'altro che banale.

     

    Io studiai tutte le scale semplici e doppie (a memoria) nonostante il parere dell'allora mio insegnante, il quale non me lo impedì - ci mancherebbe! - ma non mancò ugualmente dal distogliermi dal farlo sottolineando che il mio sforzo non era richiesto.

     

    Condivido l'osservazione di Marcello: c'è chi studia per il punteggio, chi per qualcosa di più pregnante.

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