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Si aggiorni, aedo. La storia di Rimbaud è già stata, come Lei dice, "ridimensionata", nel senso che è stata studiata alla luce dei fatti e raccontata con serenità ed equilibrio dai suoi biografi, che non sono né mitomani né pervertiti. Il fatto che abbia smesso di scrivere poesie giovanissimo - e del resto è morto a 37 anni - non toglie che quelle che ha scritto rimangano tra le cose più alte e più belle che, nel secolo XIX, una mente poetica abbia mai pensato.

Si, ci sono poeti come Rimbaud, come Keats o Shelley che hanno completao la loro esperienza poetica e di vita in tempi brevi o brevissimi.

Al liceo è salutare (?) fare i bohemien, ma ci si dimentica appunto del prezzo di tali esperienze.

Che sia morto di cancro in un letto di Marsiglia - non pulcioso, era un letto di ospedale - è cosa tristissima, ma non triste quanto il fatto che qualcuno, oggi, glielo possa ascrivere a colpa, ingiuriosamente, stante il fatto che morire giovani di malattia dovrebbe suscitare nei nostri simili la pietas, non il livore, e stante il fatto che chiunque di noi si può ammalare di cancro, o d'altro, e morirne, nessuno escluso, senza per questo meritare l'astio dei posteri.

Non so se Rimbaud abbia bisogno della mia pietas.

La chiusa della sua esistenza terrena è tanto poetica quanto le sue poesie, ne è parte drammaticamente integrante.

Quanto ai suoi "deliri emozionali" con Verlaine, la lettura di una buona biografia La metterebbe in condizioni di evitare toni vagamente omofobi: Verlaine e Rimbaud vissero una storia d'amore difficile e tormentata, non diversa da quelle delle coppie normali che hanno forti contrasti: nulla di eccezionale, se non il fatto che quei due erano tra i massimi poeti del loro tempo. E che cosa cercasse Rimbaud, quando abbandonò il suo amico, è ben manifesto in una sua affermazione degna di lui: "Basta con le poesie! Bisogna essere la verità in un'anima e in un corpo". Pensi, aedo, se una simile massima venisse fatta propria da tutte le mezze tacche che ci opprimono con le loro musiche!

dralig

Non sono omofobo, amare una persona del proprio sesso o di sesso diverso è una scelta che non ha nulla ha che fare con implicazioni morali o stupidaggini del genere.

Avere amici e amiche omosessuali dovrebbe essere un dato di fatto normale e quotidiano.

Io li ho e spero che tutti, in questo paese per alcuni aspetti medievale, possano poco a poco rendersene conto.

 

Le mezze tacche sono purtroppo in pieno fermento e non solo nell'universo chitarristico!

Viviamo in un tripudio del non saper fare: altro che uomo senza qualità, altro che uomo qualunque; qui si parla di incapacità manifesta nel maneggiare una zappa!

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Gentile Dralig,

conosco bene l'officio delle tenebre, non so se un forum sia il posto ideale per parlarne, né se voglia farlo.

Solo per dirLe che tutta l'opera di Rimbaud ai miei occhi vale molto meno dell'omelia di un anonimo che la Chiesa legge all'Officio del Sabato Santo o degli scritti di Silvano dall' Athos.

Con ammirazione.


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Si, ci sono poeti come Rimbaud, come Keats o Shelley che hanno completao la loro esperienza poetica e di vita in tempi brevi o brevissimi.

Al liceo è salutare (?) fare i bohemien, ma ci si dimentica appunto del prezzo di tali esperienze.

 

La poesia è un dono celestiale, può scendere su una persona o, allo stesso modo misterioso, abbandonarla. Non sappiamo perché. Rimbaud visse l'esperienca poetica come una tappa di avvicinamento a quella che lui sentiva essere - al di là dello scrivere versi - la verità. Il fatto che, abbandonata la poesia (Point de cantiques! Il faut etre la verité dans une ame et dans un corps), egli si sia perduto nella ricerca di tale verità, o che l'abbia (chi lo sa?) raggiunta sul letto del martirio al quale lo inchiodò la malattia, non incide sulla grandezza del suo tentativo. Gli risponde, dopo decenni, un altro grande, sullo stesso tono:

 

"Dicevano gli antichi che la poesia/è scala a Dio. Forse non è così/se mi leggi. Ma il giorno io lo seppi/che ritrovai per te le voce, sciolto/in un gregge di nuvoli e di capre/dirompenti da un greppo a brucar bave/di pruno e di falasco, e i volti scarni/della luna e del sole si fondevano,/il motore era guasto ed una freccia/di sangue su un macigno segnalava/la via di Aleppo" .

 

Lei non ha bisogno di chi Le spieghi che cosa significhi la confusione di sole e luna, il guasto al motore, la freccia stampata sulla pietra...e, soprattutto, il fine ultimo della poesia: scala a Dio, che può miracolosamente manifestarsi in un deserto, nel caos e nell'infuriare delle avversità...

 

Se la rilegga bene, la poesia di quel ragazzetto bretone che, a 18 anni, fu capace di scrivere: "E io ho visto talvolta ciò che l'uomo credette di vedere".

 

 

 

 

 

 

 

Non so se Rimbaud abbia bisogno della mia pietas.

La chiusa della sua esistenza terrena è tanto poetica quanto le sue poesie, ne è parte drammaticamente integrante.

 

Non importa appurare se Rimbaud abbia bisogno della Sua pietas. E' certo invece che tutti abbiamo bisogno di provare pietas per la sofferenza degli altri: se ciò non accade, siamo noi a perderci, non coloro ai quali neghiamo la nostra pietas.

 

 

dralig


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Gentile Dralig,

conosco bene l'officio delle tenebre, non so se un forum sia il posto ideale per parlarne, né se voglia farlo.

 

Bene, allora non ne parli. Io l'ho fatto perché lo ritenevo opportuno nella concatenazione dei pensieri che andavo formulando: per menzionare di passo una liturgia, non occorre trovarsi nel "posto ideale" per farlo, basta farlo a proposito.

 

Solo per dirLe che tutta l'opera di Rimbaud ai miei occhi vale molto meno dell'omelia di un anonimo che la Chiesa legge all'Officio del Sabato Santo o degli scritti di Silvano dall' Athos.

Con ammirazione.

 

Poiché io ho soltanto sottolineato il valore della poesia di un grande come mezzo di avvicinamento alla verità, e non ho istituito un concorso letterario, iscrivendovi di mia iniziativa "Les Illuminations" e la "Lamentatio" del profeta Geremia, non ho motivo, né di sottoscrivere né di contestare la Sua scala di valori. La rispetto come cosa alla quale mi sento alieno.

 

dralig


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Mi spiego:

la richiesta era se Lei volesse farlo, a spiegazione di una Sua opera, come desumo non intenda fare, e non un inopportuno proclama dei miei intenti divulgativi, che peraltro interessano a pochi.

 

Proprio perché il tema era l'avvicinamento alla Verità ho citato Silvano dall'Athos. Qualcuno gli disse "sta nell'inferno e spera" e in questo forse c'era il privilegio di imitare il suo Salvatore nelle ore che precedettero la resurrezione.

Ad ogni buon conto a mio opinabile giudizio c'è andato più vicino di Rimbaud. In ogni caso è evidente un legame con l'officio delle Tenebre. Tutto qua.

 

Saluti.


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Imitazione di Cristo?

 

Mah, Cristo è morto per tutti, una sua imitazione rende vano il suo sacrificio.


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La poesia è un dono celestiale, può scendere su una persona o, allo stesso modo misterioso, abbandonarla. Non sappiamo perché. Rimbaud visse l'esperienca poetica come una tappa di avvicinamento a quella che lui sentiva essere - al di là dello scrivere versi - la verità. Il fatto che, abbandonata la poesia (Point de cantiques! Il faut etre la verité dans une ame et dans un corps), egli si sia perduto nella ricerca di tale verità, o che l'abbia (chi lo sa?) raggiunta sul letto del martirio al quale lo inchiodò la malattia, non incide sulla grandezza del suo tentativo. Gli risponde, dopo decenni, un altro grande, sullo stesso tono:

 

"Dicevano gli antichi che la poesia/è scala a Dio. Forse non è così/se mi leggi. Ma il giorno io lo seppi/che ritrovai per te le voce, sciolto/in un gregge di nuvoli e di capre/dirompenti da un greppo a brucar bave/di pruno e di falasco, e i volti scarni/della luna e del sole si fondevano,/il motore era guasto ed una freccia/di sangue su un macigno segnalava/la via di Aleppo" .

 

Lei non ha bisogno di chi Le spieghi che cosa significhi la confusione di sole e luna, il guasto al motore, la freccia stampata sulla pietra...e, soprattutto, il fine ultimo della poesia: scala a Dio, che può miracolosamente manifestarsi in un deserto, nel caos e nell'infuriare delle avversità...

 

Se la rilegga bene, la poesia di quel ragazzetto bretone che, a 18 anni, fu capace di scrivere: "E io ho visto talvolta ciò che l'uomo credette di vedere".

 

 

dralig

 

Lo farò.


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Per Aedo,

mi è un pò complicato affrontare pubblicamente e con dovizia una questione che in me incide oltre la sfera intellettuale: mi limito a citare l'epistola ai Romani dove "L'amore di Cristo ci spinge al pensiero che se Uno è morto per tutti, tutti sono morti.......ed è morto per tutti perché quelli che vivono non vivano più per sè stessi, ma per Colui che è morto ed è risorto per loro".

Per altro l'imitazione di Cristo è per coincidenza il titolo di un testo anonimo d'estrema influenza per la spiritualità medievale.

Cordialità.


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Mi spiego:

la richiesta era se Lei volesse farlo, a spiegazione di una Sua opera, come desumo non intenda fare, e non un'inopportuno proclama dei miei intenti.

 

 

Ma io l'ho già fatto, nel migliore dei modi a me concesso: componendo il concerto.

 

ag


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Si, proprio a quel testo mi riferivo.

Ne conosco solo il titolo perchè non mi interessa la mistica medievale; preferisco conoscere teologie più recenti e di rottura, cioè, a Barth preferisco Bonhoeffer o la teologia della liberazione o queer.

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