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Microfono per chitarra


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Naturlmente concordo con Ermanno Brignolo sulla importanza di un accurato settaggio del mixer da parte di un tecnico; sarebbe anche utile avere in quella fase una persona di fiducia in sala - oppure, fare suonare la chitarra a qualcun altro e andare a sentire in sala cosa viene fuori.

 

Invece ho una domanda; capisco che anche in questo caso ci siano diverse scuole di pensiero, ma ho notato che in diversi testi o siti di produttori di microfoni vengono consigliati microfoni a diaframma piccolo per registrare la chitarra, mentre qualcun altro, come Brignolo, raccomanda per questo uso microfoni a diaframma largo. Da cosa può venire un contrasto di opinioni così forte?

Anche qualche tecnico come Bettin di Phoenix o Lincetto di Velut Luna mi sembra preferire - almeno quando ci ho lavorato io - microfoni a diaframma piccolo, certo di altissima qualità (Schoepps, Akg).

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Maestro Bonaguri,

 

innanzitutto, grazie delle informazioni: approfondirò quanto prima quello che Lei riporta, in quanto è un'idea che mi interessa molto.

Lungi dal volermi ergere a livelli tanto alti, io trovo, nella mia esperienza, che - limitatamente allo studio - i microfoni a diaframma stretto siano più adatti ad una ripresa di strumenti che producano una pressione sonora più consistente di quella della chitarra classica (ad esmepio, trombe, violini...). Banalmente, questa mia sensazione discende dalle considerazioni sulla natura della commutazione del segnale meccanico in elettrico: quello che esce dallo strumento è un segnale meccanico (suono) ad una certa pressione ( [Pa]=[N]/[m^2] ). Il condensatore riceve quindi una pressione e la trasforma in una forza che produce lo spostamento della placca mobile del condensatore ( F=p*A ). Le cariche accumulate sulle armature del condensatore, poi, fanno si che, per le leggi di Faraday-Neumann-Lenz sui campi elettrici (campo elettrico costante con cariche statiche in movimento), lo spostamento geometrico della placca del condensatore produca il segnale elettrico che rende trasportabile via cavo il nostro suono. Data la linearità diretta della forza F con l'area A del diaframma (la placca mobile del condensatore), si nota che, a parità di pressione, la forza F è maggiore se è maggiore la superficie d'influenza su cui la pressione insiste. Questo, secondo quanto ho scritto, fa sì che i microfoni a diaframma stretto possano sopportare pressioni maggiori, mentre i microfoni a diaframma largo possano riprendere anche pressioni sonore di bassa entità.

Ho, poi, avuto l'impressione che i microfoni a diaframma largo riescano a riprendere meglio di quelli a diaframma stretto le infinite variazioni di timbro che, secondo me, sono la reale forza espressiva dello strumento. Forse è pregiudizio (mi sincererò di verificarlo accuratamente e mi ricrederò prontamente se dovessi trovare smentita), ma mi sembra che i microfoni a diaframma largo rendano più giustizia ai colori reali dell'immagine sonora. Di questo, tuttavia, non ho alcuna prova teorica, ma solo la mia esperienza che, come tale, è opinabile e discutibile.

 

EB

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La totale mancanza di una cultura elettroacustica da parte degli interpreti di musica classica a differenza di quelli pop

 

Confermo. Non ne capisco un'acca.

Ma d'altro canto ad ognuno il suo mestiere. Meglio così, no?

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Ma dai, Fabio come può un insieme di circuiti aiutare a migliorare l'interpretazione? Sono d'accordo se mi dici che occorre conoscere e sapere ciò che si vuole specialmente in fase di registrazione, ma sapere cosa è un microfono a condensatori non altererà mai il lavoro che sto facendo su Mario Castelnuovo Tedesco o Bogdanovic.

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No però in tutti gli altri generi dal pop al jazz, le conoscenze in fatto di amplificazione e gestione del suono nello spazio sono considerate parte del know how.

 

E' colpa dei batteristi, certo :D

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grazie per le considerazioni interessanti Ermanno

Nella mia esperienza rilevo solo una cosa. La totale mancanza di una cultura elettroacustica da parte degli interpreti di musica classica a differenza di quelli pop. E' strano. Infinite discussioni su qualità del legno e se è stato fatto stagionare sotto le piramidi o no e poi riprendere lo stesso con un uso della tecnologia infimo per un risultato che deprime tanto chi lo strumento l'ha costruito e chi, elogiandolo, l'ha comprato e chi lo ascolta.

Una cultura del suono dovrebbe essere parte integrante della formazione di un buon musicista oggi. Senza di questa non avrebbe senso la "produzione" di un cd. Allora tanto varrebbe la semplice documentazione/registrazione di un concerto.

 

Fabio, Lei sa che non sono tenero nei confronti delle ignoranze degli interpreti di musica classica, a cominciare dalle mie, ma mi sembra che, nel sottolineare le differenze tra ciò che i musicisti pop, rock, etc, sanno a proposito di elettroacustica e quello che ne sanno i musicisti classici, Lei dimentichi un fatto: senza tali nozioni, lo strumentario dei rockettari sarebbe muto, mentre i musicisti classici potrebbero tranquillamente continuare a suonare come hanno sempre fatto. Io non credo che un chitarrista classico possa migliorare il suo suono con delle nozioni riguardanti la registrazione: gli serviranno per registrare, si, specie se si registra da solo, e gli farà comunque bene imparare qualcosa che non sa - in questo senso, magari anche studiare un po' meglio la propria lingua non gli farebbe male - ma, agli effetti della sua tavolozza sonora, proprio non vedo che cosa possa imparare dalla sua eventuale capacità di manovrare microfoni e apparati di registrazione.

 

Sarò lieto, naturalmente, di modificare le mie convinzioni di fronte ad argomenti che ignoro.

 

dralig

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Non sono d'accordo con la necessità di studiare l'elettroacustica.

 

Se quello che per il chitarrista classico è il "bel suono" si ottiene con l'unghia, la posizione della mano, etc... per un chitarrista elettrico il "bel suono" deriva quasi esclusivamente dal settaggio dell'amplificatore.

 

Considerando poi la moltitudine di effetti e modelli di amplificatori in giro per il mondo, sapersi destreggiare per ottenere quel preciso suono che vogliamo non è un'operazione che può prescindere da una completa conoscenza dell' "armamentario" a disposizione.

 

Il chitarrista classico, ogni volta che dovrà registrare un CD, potrà avere a disposizione un tecnico audio che gli dirà il metodo migliore e posizionerà il microfono nella posizione migliore (quantomento secondo lui :D). Da quel momento in poi, non sarà molto diverso il suonare in sala di registrazione o in sala da concerto.

Non ho mai visto, invece, un chitarrista elettrico chiedere al tecnico del suono come regolare l'amplificatore per ottenere quel suono "un po" wah wah, tremulante, con molti armonici".

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C'è un aspetto acustico interessante, tra i tanti, che mi fece notare un amico certo più esperto di me in materia:

quando noi ci ascoltiamo suonare il suono che sentiamo è diverso da quello che sentono gli altri anche perché, tenendo a contatto la chitarra col nostro corpo, il nostro orecchio percepisce "dall'interno" le vibrazioni trasmesse dallo strumento al nostro corpo, in un modo diverso da quello di un ascoltatore esterno. Ad esempio - diceva il mio amico - il nostro suono può apparire a noi più corposo di quello che sente un ascoltatore posto di fronte a noi.

 

In questo senso ascoltarci attraverso una registrazione fedele (e qui entrano in gioco le conoscenze che permettono di settare le apparecchiature in modo da ottenere un risultato il più possibile simile a quello che sente un ascoltatore di fronte a noi) può aiutarci ad avere una idea più precisa di quello che è il nostro suono percepito dagli ascoltatori.

 

Certamente, al di là di questo aspetto, potermi registrare con regolarità trovo sia molto utile per me; può darsi che altri abbiano meno bisogno di questo essendo più capaci, in partenza, di un ascolto "oggettivo" di sé, del proprio suono e fraseggio; a me ha aiutato moltissimo regsitrarmi, e se ne è accorto anche qualche mio ascoltatore abituale...

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Secondo me molti dischi di chitarra sono registrati male.

Trovare un cd che riesca a restituire le peculiarità dello strumento, e in dettaglio di QUELLO strumento è impresa piuttosto rara.

Da cosa derivi ciò non sono certo di saperlo, ma il punto sollevato da Fabio potrebbe esserne uno dei motivi.

Non sarebbe male se un chitarrista classico avesse delle idee da esporre al tecnico del suono anche in questo particolare ambito del proprio essere musicista, mi sembra che i tempi che viviamo, in una certa misura, addirittura lo pretendano.

 

Ci sarebbe poi da fare un discorso anche a proposito della figura del produttore, inteso come colui che ha le competenze tecnico-estetiche per dare una fisionomia sonora al disco che si sta registrando.

Questa figura, essenziale nel mondo della musica rock (e di altri generi), è praticamente assente all'interno del panorama della musica classica...i risultati si vedono, anzi, si sentono.

 

Non credo sia un caso che un certo numero di compositori contemporanei abbiano spesso qualcosa da ridire sui risultati che la mancanza di una tale figura produca all'interno del processo registrazione-riproduzione.

 

Un chitarrista che si è particolarmente distinto, nel dare attenzione a questa problematica è secondo me Grondona, i cui recenti cd dimostrano che nella ripresa acustica di una scatoletta di legno si possono celare soluzioni estetiche di altà qualità.

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C'è un aspetto acustico interessante, tra i tanti, che mi fece notare un amico certo più esperto di me in materia:

quando noi ci ascoltiamo suonare il suono che sentiamo è diverso da quello che sentono gli altri anche perché, tenendo a contatto la chitarra col nostro corpo, il nostro orecchio percepisce "dall'interno" le vibrazioni trasmesse dallo strumento al nostro corpo, in un modo diverso da quello di un ascoltatore esterno. Ad esempio - diceva il mio amico - il nostro suono può apparire a noi più corposo di quello che sente un ascoltatore posto di fronte a noi.

 

In questo senso ascoltarci attraverso una registrazione fedele (e qui entrano in gioco le conoscenze che permettono di settare le apparecchiature in modo da ottenere un risultato il più possibile simile a quello che sente un ascoltatore di fronte a noi) può aiutarci ad avere una idea più precisa di quello che è il nostro suono percepito dagli ascoltatori.

 

Certamente, al di là di questo aspetto, potermi registrare con regolarità trovo sia molto utile per me; può darsi che altri abbiano meno bisogno di questo essendo più capaci, in partenza, di un ascolto "oggettivo" di sé, del proprio suono e fraseggio; a me ha aiutato moltissimo regsitrarmi, e se ne è accorto anche qualche mio ascoltatore abituale...

 

Questa è una cosa sicuramente interessantissima, anche perchè pure io avevo notato una notevole discrepanza fra ciò che sentivo mentre suonavo e ciò che sentivo mentre mi riascoltavo (discrepanza poi frettolosamente affibbiata alla penosità del microfono da 3 euro).

 

Ma dunque, un chitarrista che suona con l'ergoplay ed uno che suona col poggiapiede, dovrebbero sentirsi in modo diverso?

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