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Paga e pubblica


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se uno crede nel suo lavoro, fortemente, non può essere anche disposto ad un piccolo sacrificio per raggiungere un obiettivo?

 

un piccolo sacrificio? quindi io lavoro per quattro, cinque, sei settimane la media di 4 ore al giorno e devo pagare per farmi pubblicare? cioè siamo lì a sempre a ridicolizzare politicanti a la Brunetta poi quando si entra nel merito delle questioni, della meritocrazia, del riconoscimento del proprio lavoro, tutto è esattamente coerente e conforme a questa forma mentis. Chi ha la fortuna (fortuna a secondo dei punti di vista) di vivere di musica insegnando, non dovrebbe gettar discredito sulle altre professioni: e in genere gli obiettivi preferiti sono il compositore e il musicologo.

lungi da me l'idea di gettare discredito sul compositore e il musicologo (per quanto riguarda la categoria insegnanti siamo discreditati da sempre) semplicemente osservo: in tanti lavorano più di 4 ore al giorno per tutto l'anno, non è quella la questione, parlo (perchè così me ne hanno parlato editori "famosi" nell'ambiente) che nessuno investe più di tanto nello sconosciuto, a meno che non sia supportato da qualcuno o davvero abbia una proposta eccezionale. Che non è il "pezzo" ma un progetto organico, articolato, nel quale si possa anche ipotizzare e realizzare una fattiva collaborazione tra compositore e casa editrice: invece cosa capita sovente dopo che un editore ha pubblicato l'opera? qualche esecuzione, se va bene,qualche recensione e via, tutto può finire lì, e in quel caso l'operazione è in perdita, non solo economica, ma culturale. E' per quello che parlo di collaborazione tra le due figure professionali, di sinergia, altrimenti è troppo facile e sterile (ed è lì che si arriva probabilmente alla richiesta di pagare la stampa, quando cioè dietro a chi propone non c'è un'idea, una storia e un contenuto).

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in tanti lavorano più di 4 ore al giorno per tutto l'anno, non è quella la questione,

 

perchè non è la questione?

io trovo scandaloso che uno debba per forza insegnare per guadagnare con la musica in Italia

 

Scandaloso è un eufemismo. Se vuoi lavorare facendo musica sei costretto a dimenticarti di essere un creativo e devi imparare a sottostare ad una serie di dettami che con la musica hanno nulla a che vedere.

 

Ma se tu editore mi chiedi dei soldi vuol dire che già sai che la sinergia non funziona e vuoi solo fare catalogo.

 

L'editore ha interesse a rendere pubblico il proprio fallimento culturale? Per rientrare di misere 2-300 euro di stampa?

 

Fare cassa.

300 euro da me, 300 da te, 300 dall'altro e così via. Niente di più niente di meno.

Nel caso di musicisti - si fa per dire - butti giù una fila di note e poi compri lo spazio dall'editore.

Mi perdonerete ma continuo a domandarmi a che cavolo serva un'operazione del genere.

 

[OT]

Quei soldi sarebbe meglio investirli con un circuito adwords di google (produce migliaia di clic unici al mese) per reindirizzare ad un proprio ehop gestito autonomamente. Apri un account Paypal, stampi un centinaio di copie con la cover a grammatura lievemente superiore rispetto alle pagine interne in una qualsiasi copisteria (anche online, i costi sono bassissimi) e quando arrivi ad avere un avanzo di 10-15 copie ne ordini altre 100.

[/OT]

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Trovo la proposta del M° Porqueddu molto interessante e molto rispettosa del lavoro di ognuno, pur essendo di per sè un compromesso. Credo che oggi l'editoria attraversi comunque un momento non semplice, dovendo fronteggiare la pirateria di rete che è assolutamente spietata. I ragazzi che sanno usare un pochino il computer riescono a trovare qualunque cosa di qualunque editore...(mi sono passate davanti agli occhi stampe da internet di recentissime pubblicazioni o di libri difficili da trovare anche presso gli stessi editori...) ad esempio: ho cercato per mesi il libro dei 12 Studi per chitarra op. 140 di John Duarte, edito dalla Tuscany Publications; mi ero quasi arreso quando alla fine ho chiesto al dedicatario dell'opera (M° Antonio De Innocentis) se mi poteva aiutare...per recuperarlo si è dovuto mettere in contatto direttamente con la famiglia del compositore! Per curiosità, dopo aver ricevuto il libro a cui tenevo molto, ho cercato in internet...l'ho trovato in 2 minuti...

 

Quindi io prima di condannare a prescindere gli editori per un'operazione che è senz'altro deplorevole dal punto di vista culturale proverei anche a mettermi nei loro panni. Non avanziamo fasulle ed illusorie credenze secondo le quali esistono gli appassionati ed i cultori di musica che la partitura la comprano originale...esistono, ma non sono il braccio forte del mercato. I ragazzi, gli studenti, ovvero quelli che dovrebbero comprare, come facevano noi ed i notri predecessori, 1 libro a settimana mettendo da parte i soldi, oggi ne scaricano dalla rete 20 al giorno gratis, e spesso se vanno in un comune negozio di libri o di strumenti musicali neanche li trovano i libri che cercavano. I maestri devono sempre disapprovare questa pratica da parte degli allievi...ma potete dire che a nessuno di voi capita puntualmente di veder arrivare il proprio "pupillo" con una perla della musica contemporanea stampata da internet??? Siamo onesti...

A fronte di una situazione del genere risulta esserci poco spazio e scarsa voglia di promuovere un progetto musicale nuovo o di avviare una collana culturale di nuova tendenza. Gli editori che fanno gli editori e basta devono in qualche modo vivere anche loro...le case editrici più forti possono contare su un certo tipo di pubblicazioni che non so quanto abbiano a che fare con la promozione culturale, ma che forse consentono loro di recuperare guadagni utili per permettersi eventualmente anche di investire in altro. Ma i "piccoli" editori? Vedono il proprio lavoro sfumare in poche settimane...se pubblicano un lavoro atteso e di ampio interesse dopo pochi giorni troveranno lo stesso disponibile e scaricabile gratuitamente da centiania di siti; viceversa dovranno sperare che un lavoro nuovo e coraggioso venda, a stretto giro, abbastanza da coprire le spese di stampa.

 

Credo che per gli editori quello sia semplicemente un compromesso, triste ed ingiusto, ma probabilmente necessario per mantenere ancora in vita un catalogo.

Bisognerebbe piuttosto lamentarsi del fatto che in rete non esiste alcun controllo sui diritti d'autore, oggi che si potrebbe tranquillamente risalire ai responsabili di un atto di pirateria telematica.

 

A presto

Eugenio

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Quindi se gli editori ti rifiutano la pubblicazione o ti chiedono un contributo vuol dire che non sei un buon compositore?

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Quindi se gli editori ti rifiutano la pubblicazione o ti chiedono un contributo vuol dire che non sei un buon compositore?

 

Vuol dire che l''editore non ritiene di investire il proprio denaro e il proprio impegno nelle opere di un compositore, perché non lo ritiene valido oppure perché, pur considerandolo valido, ritiene che non abbia possibilità di destare l'interesse dei potenziali acquirenti della sua musica. Nel 1929, Max Eschig non pubblicò le "Douze Etudes" di Heitor Villa-Lobos, un compositore nel quale, d'altra parte, credeva - visto che aveva pubblicato e avrebbe continuato a pubblicare la sua musica per orchestra, pianoforte, etc. L'editore riteneva che i chitarristi di allora non fossero in grado di comprendere la musica del maestro brasiliano, e la stampò solamente nel 1954, e non senza l'avallo di una presentazione di Segovia.

 

Gli editori non sono dei critici, ma degli imprenditori. Il loro giudizio è uno dei tanti giudizi che possono essere formulati nei riguardi di un autore e delle sue opere. Certo, chiedere denaro a un autore vuol dire sfiduciarlo in partenza. E pagare gli editori vuol dire, da parte degli autori, che la fiducia nella propria opera è pari a zero.

 

dralig

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Forse l'unico modo di vivere la composizione oggi è una sorta di "Art Brut" culturalizzata. Una forma di espressione che l'individuo deve creare e godere per se stesso senza pretese di diffusione o condivisione.

 

Cito:

“Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici - dove le preoccupazioni della concorrenza, l'acclamazione e la promozione sociale non interferiscono - sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti.

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Forse l'unico modo di vivere la composizione oggi è una sorta di "Art Brut" culturalizzata. Una forma di espressione che l'individuo deve creare e godere per se stesso senza pretese di diffusione o condivisione.

 

Cito:

“Quei lavori creati dalla solitudine e da impulsi creativi puri ed autentici - dove le preoccupazioni della concorrenza, l'acclamazione e la promozione sociale non interferiscono - sono, proprio a causa di questo, più preziosi delle produzioni dei professionisti.

 

Il che potrebbe indurre qualche soprovveduto a credere che i "professionisti" della composizione siano invariabilmente impuri e non autentici, dediti alla concorrenza, alla promozione e alla ricerca dell'acclamazione più che alla sostanza della propria opera. E che le viole mammole che tengono le loro composizioni nel cassetto siano invariabilmente pure e autentiche.

 

La realtà è molto più complessa. Ci sono compositori di talento autentico e di impeccabile formazione le cui opere sono meritatamente note e riconosciute. Altri di poco o nessun talento e di formazione alquanto posticcia le cui opere sono sostenute da uffici stampa e da promozioni efficaci. E altri ancora che, appartenendo alla seconda categoria - quella dei poveri di spirito - credono fermamente di essere campioni della prima solo perché non sono famosi , e accusano il mondo del mancato riconoscimento del loro genio. E questa è solo una descrizione schematica della realtà che, ripeto, è intricatissima ed estremamente variegata.

 

Io non conosco compositori di talento che non cerchino riconoscimento, e che non patiscano in qualche misura il fatto che le mezze tacche e le nullità sono talvolta più acclamate di loro. Ma nessuno di loro ha mai scelto di "creare e godere per se stesso" le proprie opere, "senza pretese di diffusione o condivisione": un compositore di questo tipo se l'è sognato soltanto Thomas Mann, il quale, per i suoi romanzi, il riconoscimento lo cercava eccome - e lo ottenne in misura almeno pari ai propri meriti. Chi è consapevole del proprio talento e del valore della propria opera fa quanto è in suo potere per renderla pubblica, anche se non è disposto all'intrigo e al meretricio: lo stile si denota non soltanto nella scrittura, ma anche nel comportamento personale.

 

Conosco invece - e non di rado mi tocca sopportare - tipetti piagnucolosi che, scimmiottando puerilmente qualche maestro del passato, credono fermamente di esserne la reincarnazione, e si accorano per la mancata condivisione, da parte del mondo della musica, di tanto convincimento. Costoro sono anche più molesti degli Zeppelin che offrono i frutti della loro pochezza con il favore delle istituzioni irresponsabili: entrambi i tipi sono fuori dalla realtà, ma i pallone gonfiati sono più allegri e coloriti, insomma più divertenti.

 

dralig

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nessuno - dico nessuno - dei compositori che io conosco ha mai speso un centesimo per far pubblicare la propria musica.

 

So che alcuni. Non solo nella storia, Fernando Sor per esempio, dopo aver rotto con Messonnier, ma anche oggi. Una cosa da ricordare in tutta questa discussione è che né compositori contemporanei, né i loro editori mai fare soldi dalla vendita della carta stampata, soprattutto nell'era della macchina copia e la pirateria. I soldi in questo business è da royalties meccaniche per le prestazioni e la registrazione. Questo è il motivo per cui alcuni editori molto grande, mai realmente stampare qualsiasi cosa, e se lo fanno di stampa, è in piccole tirature delle edizioni mal progettato, preferiscono acquistare i diritti per composizioni di compositori che potrebbero rivelarsi di successo sulla scena dei concerti e lo studio di registrazione. Quindi, se un giovane compositore fa o non investire denaro nella pubblicazione della sua musica, è una questione secondaria alla sua volontà di impegnarsi esecutori e assicurare che la sua musica viene eseguita e registrata. I grandi editori hanno i mezzi per fare questo per un compositore. I piccoli come me non hanno il tempo o il denaro per fare questa promozione.

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nessuno - dico nessuno - dei compositori che io conosco ha mai speso un centesimo per far pubblicare la propria musica.

 

So che alcuni. Non solo nella storia, Fernando Sor per esempio, dopo aver rotto con Messonnier, ma anche oggi. Una cosa da ricordare in tutta questa discussione è che né compositori contemporanei, né i loro editori mai fare soldi dalla vendita della carta stampata, soprattutto nell'era della macchina copia e la pirateria. I soldi in questo business è da royalties meccaniche per le prestazioni e la registrazione. Questo è il motivo per cui alcuni editori molto grande, mai realmente stampare qualsiasi cosa, e se lo fanno di stampa, è in piccole tirature delle edizioni mal progettato, preferiscono acquistare i diritti per composizioni di compositori che potrebbero rivelarsi di successo sulla scena dei concerti e lo studio di registrazione. Quindi, se un giovane compositore fa o non investire denaro nella pubblicazione della sua musica, è una questione secondaria alla sua volontà di impegnarsi esecutori e assicurare che la sua musica viene eseguita e registrata. I grandi editori hanno i mezzi per fare questo per un compositore. I piccoli come me non hanno il tempo o il denaro per fare questa promozione.

 

Ciao Matanya, io credo che alcuni compositori, nel passato come oggi, abbiano investito del denaro nella pubblicazione delle loro opere, ma operando come imprenditori, cioè come editori di sé stessi, non come clienti di un editore. Quando leggiamo nella copertina di un'edizione ottocentesca "in vendita presso l'autore, etc.", constatiamo che il compositore aveva fatto stampare la musica a sue spese, e poi la vendeva direttamente ai suoi clienti. Questo è fare impresa, prendendosene i rischi. E' cosa diversa dal pagare un editore perché si degni di stampare la propria musica. Io immagino che tu debba rifiutare le proposte di molti autori: la musica non ti piace, non sei il tipo che si nasconde dietro scuse, glielo dici chiaro e tondo - com'è nel tuo stile alla John Wayne - e la cosa finisce lì. Non ho mai sentito dire - e nel nostro piccolo mondo si viene sempre a sapere tutto di tutti - che tu abbia chiesto soldi a un autore che non stimavi per pubblicare la sua musica. Se lo sentissi dire, risponderei che è una menzogna.

 

Sono d'accordissimo con te sul fatto che la vendita delle copie stampate della musica non rappresenti più una fonte di entrate per un compositore - e nemmeno per i suoi editori. A me, sembra opportuno mettersi d'accordo con il proprio editore e, rinunciando alle royalties cartacee, convertirne l'importo in copie da inviare in omaggio a coloro che si suppone possano essere interessati all'esecuzione o anche solo alla lettura. Invece di ricevere 100 dollari l'anno per la vendita della copie di un mio pezzo, preferisco far spedire 10 copie del medesimo a chitarristi che ritengo capaci di leggerlo e di capire che cosa vuol dire.

 

Ciao.

 

dralig

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Ciao Matanya, io credo che alcuni compositori, nel passato come oggi, abbiano investito del denaro nella pubblicazione delle loro opere, ma operando come imprenditori, cioè come editori di sé stessi, non come clienti di un editore. Quando leggiamo nella copertina di un'edizione ottocentesca "in vendita presso l'autore, etc.", constatiamo che il compositore aveva fatto stampare la musica a sue spese, e poi la vendeva direttamente ai suoi clienti. Questo è fare impresa, prendendosene i rischi. E' cosa diversa dal pagare un editore perché si degni di stampare la propria musica. Io immagino che tu debba rifiutare le proposte di molti autori: la musica non ti piace, non sei il tipo che si nasconde dietro scuse, glielo dici chiaro e tondo - com'è nel tuo stile alla John Wayne - e la cosa finisce lì. Non ho mai sentito dire - e nel nostro piccolo mondo si viene sempre a sapere tutto di tutti - che tu abbia chiesto soldi a un autore che non stimavi per pubblicare la sua musica. Se lo sentissi dire, risponderei che è una menzogna.

 

Sono d'accordissimo con te sul fatto che la vendita delle copie stampate della musica non rappresenti più una fonte di entrate per un compositore - e nemmeno per i suoi editori. A me, sembra opportuno mettersi d'accordo con il proprio editore e, rinunciando alle royalties cartacee, convertirne l'importo in copie da inviare in omaggio a coloro che si suppone possano essere interessati all'esecuzione o anche solo alla lettura. Invece di ricevere 100 dollari l'anno per la vendita della copie di un mio pezzo, preferisco far spedire 10 copie del medesimo a chitarristi che ritengo capaci di leggerlo e di capire che cosa vuol dire.

 

 

Non ho mai pubblicato niente che io non pensavo che fosse la musica di prima, e non ho alcuna intenzione di farlo in futuro. Ma in alcune occasioni in passato, ho fatto pubblicare musica che è stata completamente finanziata dal compositore. Non vedo nulla di sbagliato in questo, ed è, come fai notare, completamente in conformità con lunghe tradizioni storiche. Il mio problema principale è con compositori ignoranti che sono di talento con un sacco di ispirazione, ma che pensano di avere a disposizione la loro musica a stampa, è il modo più veloce per diventare molto ricco, e se non ricevono soldi da un editore, immediatamente pensano di essere derubati. Ho anche poco rispetto per i compositori che, una volta avuto il loro composizione pubblicate subito non pensarci e aspettiamo che la casa editrice per promuoverlo.

 

Nel nostro piccolo mondo, compositori, se non si prendono cura delle promozioni dirette della loro musica, come si fa, e si aspettano che l'editore di farlo per loro, vivono in un inesistente mondo dei sogni. Ho un magazzino pieno di tonnellate di musica di prima stampa che nessuno conosce e nessuno compra. Ho pubblicato alcuni di questa musica con la promessa dichiarata del compositore che questo o quel famoso esecutore eseguirà e registrare la musica, solo per scoprire che si tratta di una promessa vuota.

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