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Cristiano Porqueddu

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Tutti i contenuti di Cristiano Porqueddu

  1. Google Timelapse è pazzesco! Grazie agli algoritmi dell'Earth Engine è possibile osservare (zoomando e mettendo anche in pausa) cosa è accaduto sulla terra (geologicamente ma anche alle città). Ecco Nuoro dal 1984 al 2013. http://earthengine.google.org/#timelapse/v=40.31882,9.30239,10.812,latLng&t=2.33
  2. Il collega statunitense Gregg Nestor invia al Forum Italiano di Chitarra Classica la registrazione live della Polish Nat Orchestra della sua rielaborazione del celebre brano per chitarra sola "Recuerdos de l'Alhambra" di Francisco Tárrega (1852 – 1909) https://soundcloud.com/chitarra-classica/recuerdos-de-lalhambra
  3. Grazie al suggerimento dell'amico collega statunitense Mark Delpriora, scopro la splendida serie di Studi di Perfezionamento del pianista compositore Gino Tagliapietra (1887-1954) allievo di Busoni. Grazie alla piattaforma Deezer, con qualche intervallo pubblicitario, è possibile ascoltarli tutti integralmente online da questo link: http://www.deezer.com/fr/album/624644
  4. Interpretazione di Ermanno Brignolo, dedicatario, nella sezione Interpretazioni di questo Forum. Link | http://www.cristianoporqueddu.it/forumchitarraclassica/index.php/topic/7555-ermanno-brignolo-plays-diptico-de-la-oscuridad-cristiano-porqueddu/?hl=diptico
  5. L’editore e ricercatore Matanya Ophee ha portato alla luce un manoscritto per chitarra dal titolo “Morceaux Caractéristiques” di Karl F. Mauer, da una pubblicazione privata de “La Société de la Guitar Classique de Chicago” Questo il messaggio pubblicato dallo stesso Matanya: This is the title page of a small anthology of guitar pieces by a man whose name I have never heard before: Karl F. Mauer. I have no idea who he was, except that he must have lived in the US in the 1930s, either in New York or in Chicago. I came into possession of this manuscript anthology (printed in blue line printing (Ozalid), which means that there must be some more copies of it someplace. yes. There is a copy of the same in the IGRA collection), several years ago when I bought the collection of the late Walter Spaulding. What we have here is a collection of some of the best 20th century guitar music I have had the good fortune to come across. I sure would like to make it known to others. The man must have passed away a long time ago, and the music, having been published in 1937, must be still under copyright protection. Del compositore si sa ben poco. E’ nato il il 10 Maggio del 1894 ed è morto il 15 Novembre del 1980. L’ultima residenza conosciuta è Forest Hills, Queens County, NY (New York) 11375.
  6. Operazione memoria. A tratti toccante. Per far conoscere la tragedia umana che è stata la prima guerra mondiale, si è fatto finta che Facebook esistesse già, all'epoca. Ed è stato aperto un profilo per uno dei milioni di soldati in trincea. Con i suoi post. E i commenti dei suoi amici, dell'epoca. E della moglie. E le foto. Raccontando la vita quotidiana in mezzo a fango e proiettili. Organizzato dal Musée de la Grande Guerre, è un viaggio nella durezza di una guerra che ha fatto milioni di morti, ha praticamente azzerato una generazione di francesi e tedeschi, ha avuto un impatto totale sulla storia del mondo. Visibile, per un mese e mezzo, qui: http://facebook.com/leon1914 Fonte: DigitalPlanner
  7. Si chiama Whooming il nuovo servizio che offre di farci avere il numero di chi ci chiama anonimamente, sia su cellulare sia su fisso. Che si tratti di telemarketing o stalker, nessuno potrà più nascondersi, e non costa niente. L’ho appena provato: è davvero sorprendente. Identifica le chiamate dei numeri privati (basta attivare la deviazione di chiamata su un numero specifico) e manda una mail con il numero in chiaro di chi ha cercato di contattarci. E’ completamente gratuito. Link | http://www.whooming.com Leggi l'articolo originale
  8. Procedono in modo più che soddisfacente i lavori di registrazione delle Sonate del Novecento che entreranno a far parte del progetto discografico “Novecento Guitar Sonatas” Oggi ascoltavo i risultati delle ultime sessioni di registrazione e voglio condividere con i lettori di questo blog il primo movimento della Sonata II del compositore inglese Gilbert Biberian. Si tratta di un lavoro che l’autore ha iniziato a scrivere il 9 Marzo del 1975 a Philadelphia e ha concluso il 23 Aprile dello stesso anno a Londra (poco meno di un mese prima che mettessi piede nel pianeta!) Nell’Ottobre del 2012 ha ripreso in mano la pagina per una revisione. Il risultato finale è un brano musicalmente non complesso ma di estrema difficoltà tecnico-meccanica. Nel Primo Movimento (Allegro) – quello che condivido qui – la chitarra è trattata alla maniera di un violino. La scrittura si sviluppa su un’unica linea (niente polifonia salvo rari casi) proprio come accade nel Terzo Movimento “Paseos y Fuga” Salta all’occhio (o all’orecchio, se preferite) una fervida fantasia nell’atto dello scrivere che, immancabilmente, stuzzica fantasia nell’interpretare. Auguro buon ascolto a tutti e fatemi sapere che cosa ne pensate.
  9. Benvenuto e buona permanenza.
  10. [sarcasm Mode On] Lo sapevo che i dieci (diconsi dieci) studi di Villa-Lobos erano l'origine della composizione originale per chitarra classica [sarcasm Mode Off] Disgustorama.
  11. Mi è stato segnalata sul Gruppo Facebook dedicato al Forum Italiano di Chitarra Classica una puntata della trasmissione "Destini Incrociati" andata in onda oggi su Radio24. A quanto pare si è parlato (tenetevi) di come Andrés Segovia sia divenuto famoso grazie alle esecuzioni della musica di Heitor Villa-Lobos. Il PodCast della puntata non è ancora disponibile ma, occhio e croce, è una chicca da non perdere... Link diretto http://www.radio24.ilsole24ore.com/programma/destini-incrociati/2013-03-26/nascita-chitarra-classica-105319.php?idpuntata=gSLAFDIhM&date=2013-03-26
  12. Pagina su Facebook dedicata a tutti coloro che sono interessati a proporre studi e ricerche in ambito Musicologico. Testo di presentazione: Quale argomento migliore se non quello legato alla propria Tesi di Laurea per coinvolgere gli appassionati verso una condivisione delle proprie passioni e far conoscere uno dei compositori italiani più importanti del 900 nonchè precursore, nel nostro paese, nell'uso di tecniche compositive dodecafoniche. L'argomento è un pò ostico e, per molti, lontano dalle proprie frequentazioni, ma , proprio per questo, potrebbe essere un input importante per andare "oltre" ed apprendere una delle tecniche compositive più importanti ed innovative della prima metà del 900. Link | http://www.facebook.com/pages/Pagine-di-Musicologia/341120312654525
  13. Riformulo perché la frase che ho scritto sopra è ambigua. Intendevo dire che il Mi, nella pagina originale, è parte della stella linea del Si (Mi-Si-Si-Si-Si-Si). Sono d'accordo. Anche perché non mi sembra che l'impianto tonale lasci dubbi. Vediamo...
  14. L’archivio fotografico di Google Maps si arricchisce di nuove e spettacolari immagini dedicate, questa volta, a tutti gli utenti che amano la montagna mettendo direttamente a portata di mano, o forse sarebbe meglio dire di click, il Monte Aconcagua in Sud America, il Kilimangiaro in Africa, il Monte Elbrus in Russia, e l’Everest in Nepal. Google, così come sottolineato anche sul suo blog ufficiale, ha infatti portato tutta l’attrezzatura necessaria per realizzare gli scatti panoramici di alcune delle montagne più alte ed insidiose del mondo con l’unico obiettivo di rendere il tutto disponibile e facilmente accessibile ai propri utenti. Fonte: thenextweb.com Fai un salto sull'Everest > http://goo.gl/CDS38
  15. Se Google Keep debutterà presto online ma non è ancora disponibile al pubblico, un altro servizio targato “big G” è diventato finalmente accessibile dal vecchio continente e dall’Italia. Ci riferiamo a Google Flights che, come suggerisce abbastanza facilmente il nome, permette di cercare e prenotare voli in tutto il mondo individuando facilmente i viaggi che costano di meno. Link | https://www.google.com/flights/ Fonte: geekissimo.com
  16. Ecco. Allora non sono impazzito... Sì, vero. Ma avrei rinunciato volentieri al basso per ottenere un risultato con il bicordo la#-si che vibra, come nello spartito originale.
  17. C'è solo una cosa che non ho mai digerito della trascrizione: le acciaccature iniziali sulla cellula ritmica. Piano Chitarra O meglio, viene esattamente riportato che è scritto nella parte originale ma molti grandi interpreti (sullo strumento originale) usano il l.v. sul cromatismo che funziona meravigliosamente. Io, quando interpretavo questa pagina (avevo 15-16 anni) cercavo disperatamente di riproporre quell'effetto eseguendo l'acciaccatura su due corde (negli esempi riportati qui sopra 6a e 5a) ma con gravi difficoltà - verosimilmente per qualche lacuna tecnica - in altre sezioni della composizione. Arthur Rubinstein, adopera entrambe le soluzioni http://www.youtube.com/watch?v=PMVkHQ4NLrs Arturo Benedetti Michelangeli trasforma tutto (magistrale!) http://www.youtube.com/watch?v=0Yj0fbjKA0Y
  18. La traccia integrale dal progetto discografico "Novecento Guitar Sonatas" della bellissima Fantasia-Sonata di Juan Manén (1883 – 1971) nella versione completa e originale (The Andrés Segovia Archive, Edizioni Bèrben, Revisione di Angelo Gilardino). La tracklist del progetto è disponibile qui > http://goo.gl/ABycP Buon ascolto e buon fine settimana. https://soundcloud.com/cristianoporqueddu/juan-man-n-fantasia-sonata
  19. Ecco uno dei tanti negozi: http://www.sheetmusicplus.com/title/Cinq-Preludes/17417131
  20. Ciao Giovanni e benvenuto sul Forum Italiano di Chitarra Classica. Prendi visione del Manifesto del Forum e buona permanenza.
  21. http://www.youtube.com/watch?v=M2Hn0X3a3Bo Angelo Gilardino (1941) - Ventanas (da 20 Studi Facili) - Omaggio a Sergeij Prokof'ev (da 60 Studi di Virtuosità e di Trascendenza) - Soledad, Omaggio a Francisco Goya (da 60 Studi di Virtuosità e di Trascendenza) XXV Convegno Chitarristico, Modena 27 ottobre 2012. Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti. Cristiano Porqueddu - Angelo Gilardino: Studi per chitarra
  22. I 24 Preludios per chitarra furono composti da Manuel María Ponce nel 1929. Originariamente, erano stati concepiti come studi facili, richiesti dal gran committente del compositore messicano, Andrés Segovia, che progettava di scrivere una sorta di Metodo per chitarra e ambiva a includere, nel medesimo, musica di qualità. In precedenza, le richieste di Segovia all'amico si erano appuntate su forme ampie, come Sonate e cicli di Variazioni. La mente musicale ponciana, fertile ed elastica, era tuttavia in grado di esercitarsi brillantemente anche nella sintesi delle forme brevi. Non è mai risultato chiaro se Segovia abbia riservato, ai 24 Preludios, un'accoglienza tiepida – qual è quella che si manifesta nelle sue lettere al compositore – perché solo una parte della raccolta gli risultava gradita, o perché si era dissolto il suo progetto di scrivere il Metodo. Resta il fatto che – lamentando l'eccessiva difficoltà di alcuni dei brani – Segovia ne fece pubblicare, l'anno seguente (1930), presso l'editore Schott, soltanto dodici, con una revisione abbastanza pesante: divisa in due quaderni di sei Preludi ciascuno, la raccolta perdeva il suo impianto originario di esplorazione del sistema tonale e i brani rimasti apparivano in un ordine che non rifletteva altra logica se non quella dettata dal gusto personale del grande chitarrista. Nel 1981, il musicologo messicano Miguel Alcázar pubblicava presso Tecla Editions, Londra, la serie dei 24 Preludios ricostruita sulla base del ritrovato manoscritto originale; mancava soltanto il Preludio in Sol maggiore, che fu sostituito con un piccolo brano appartenente a un'altra raccolta. La successione dei brani ordinata dal compositore procede dalla coppia Do maggiore-La minore fino alla coppia Fa diesis maggiore-Re diesis minore (Preludi n. 13 e n. 14); poi, riparte dalla coppia Re bemolle maggiore-Si bemolle minore per terminare con la coppia Fa maggiore-Re minore. Le forme e i caratteri dei Preludios ponciani sono molto variabili, e vanno dal continuo alla canzone, dalla vision fugitive alla polifonia di una mini-fuga (Preludio n. 21). Aveva comunque ragione Segovia nell'osservare che alcuni pezzi, lungi dal risultare facili, richiedevano grande bravura, ma gli era sfuggita un'evidenza che invece risalta immediatamente: i 24 Preludios non sono miniature separate, indipendenti, bensì una costruzione unitaria, la cui articolazione interna seguita un itinerario logico, tracciato non soltanto dalle affinità tonali, ma anche da una sorta di programma dettato e regolato da esigenze espressive. Leggi la scheda di questo/a articolo sul repertorio
  23. Cari amici, ecco un piccolo assaggio del corposo progetto di registrazione integrale dal 1969 al 2013 della musica per chitarra sola di Angelo Gilardino Si tratta del quarto movimento della suite "Tenebrae Factae Sunt" (che dovrebbe essere anche il titolo finale del cofanetto) Link | https://soundcloud.com/cristianoporqueddu/tenebrae-factae-sunt-toccata Buon ascolto e buon fine settimana.
  24. Nella carriera di Mario Castelnuovo-Tedesco (Firenze, 1895 — Beverly Hills, 1968) la chitarra fu dapprima un incontro piacevole ed una stimolante curiosità; in seguito essa divenne Io strumento prediletto, tanto da sopravanzare, nelle preferenze del compositore — che peraltro non suonava affatto la chitarra — l'amato pianoforte. La carriera di Castelnuovo-Tedesco traccia una parabola che — del tutto logica nella propria coerenza — espone l'autore a due opposte critiche. Negli anni giovanili, e fino al 1939 (quando abbandonerà l'Italia in volontario esilio per sottrarsi alle imminenti persecuzioni antisemite), Castelnuovo-Tedesco è un brillante e fortunato autore che, grazie alla sua raffinatissima cultura, scampa alle ristrettezze mentali del provincialismo italiano e si colloca — anche per quanto si riferisce allo stile di vita ed ai rapporti con il mondo musicale — in un'orbita decisamente europea: ciò gli attira le invidie e gli strali del sottobosco paesano nel quale si arrabattano le carriere di molti musicisti e critici italiani dell'epoca. In realtà, Castelnuovo-Tedesco era già allora un compositore tutt'altro che proiettato nelle avanguardie. Dopo la guerra, stabilitosi in California e divenuto cittadino americano, l'autore subirà invece le conseguenze dell'emarginazione decretata dall'avanguardia nei confronti dei musicisti considerati reazionari e, come molti altri maestri, finirà in una sorta di dimenticatoio dal quale soltanto recentemente la sua musica ha incominciato a riemergere: non è esattamente ciò che Segovia aveva profetato, ma in qualche modo gli assomiglia. Nella prima parte della sua carriera, Castelnuovo-Tedesco scrive musica sotto l'evidente influsso dei maestri francesi e di Falla, oltre che del suo insegnante, Ildebrando Pizzetti, il quale, lodandone l'ingegno, lo mette in guardia da una troppo facile tendenza a comporre melodie di sapore ottocentesco. Ma forse ciò di cui Pizzetti maggiormente diffida — lui autore seriosissimo, animato da una tensione etica del tutto assente nell'allievo, il quale concepisce la musica come atto di spontanea e felice creazione — è l'ironia, è il gusto signorile del divertimento ed è il piacere "dilettantistico" (il termine va inteso nel suo significato più alto e in nessun modo riferito alla preparazione del compositore, che è di primissimo ordine) di comporre attingendo a piene mani alla propria cultura letteraria, pittorica e teatrale: Castelnuovo-Tedesco, poliglotta e frequentatore delle letterature europee fin dall'infanzia, mette in musica liriche dei maggiori poeti europei con schubertiana disinvoltura e compone ouvertures per orchestra ispirandosi senza timori reverenziali nientemeno che al teatro di Shakespeare, oltre a scrivere brani pianistici dai quali risulta chiarissima 1a sua profonda conoscenza del repertorio romantico, di Debussy, Ravel, Albéniz, Granados e Falla. Il musicista è già maturo e stimatissimo quando, nel 1932, incontrandolo al festival di Venezia, Segovia gli chiede di comporre per chitarra. Ha così inizio una collaborazione che, come nei casi di Ponce e di Torroba, durerà fino alla morte del compositore, anche se, negli ultimi anni, Castelnuovo-Tedesco avvertirà qualche segno d'irritazione da parte di Segovia, al quale non piaceva che il compositore scrivesse brani anche per altri chitarristi! Nelle opere composte tra il 1932 e il 1939, Castelnuovo-Tedesco è un autore che versa generosamente la propria "italianità" in un crogiolo stilistico nel quale confluiscono derivazioni francesi e spagnole; egli non fa abituale ricorso alla musica popolare (al contrario, è un compositore aristocratico e finanche un poco "snob"), ma la tradizione musicale italiana, dal settecento a Puccini, si respira nelle sue composizioni segnatamente in quelle chitarristiche degli anni '30 in un complesso di riferimenti che vanno dal profilo cantabilissimo delle melodie all'esplicito intento di rivivere aspetti formali e stilistici cari ai maestri italiani. Così, lo stile boccheriniano della sinfonia viene sapientemente rifuso da Castelnuovo-Tedesco nell'arguto, graziosissimo primo tempo della Sonata per chitarra (Omaggio a Boccherini), le cui aree tematiche, legate da un nesso di continuità, si ampliano fino a rendere superfluo lo sviluppo centrale, e danno luogo ad una particolare forma di bitematismo bipartito; mentre, nel fantasioso ed umoristico quarto tempo, le maniere della musica spagnola di Albéniz e di Granados vengono rifatte in modo burlesco, svuotandone la retorica in una parodia toscanamente irriverente. Con la Sonata del 1934, Castelnuovo-Tedesco regala alla chitarra una composizione importante, di respiro europeo, collocata nell'insieme di tutta la sua produzione come uno dei lavori più significativi. Le Variations à travers les siècles del 1932, il primo pezzo chitarristico del maestro fiorentino, erano invece state concepite in chiave deliberatamente eclettica, come una specie di rapsodia sulle "maniere" musicali dal barocco fino alla musica da ballo americana, in forma di variazioni. Alla Sonata faranno seguito l'istrionico Capriccio diabolico (Omaggio a Paganini) del 1935 (brano non molto felice, che Castelnuovo-Tedesco cercherà di irrobustire dieci anni dopo, in una versione per chitarra e orchestra), la spiritata Tarantella del 1936 (meritatamente divenuta celebre), in cui il compositore scherza con la musica popolare napoletana senza impigliarvisi, e, a coronamento di quel primo periodo, lo splendido Concerto in re maggiore op. 99 per chitarra e orchestra (di cui diremo più avanti), composto nel 1939, alla vigilia della partenza per l'esilio statunitense. Anche se Castelnuovo-Tedesco non avrà modo di rendersi conto della brillante riuscita del suo Concerto che nel 1947, anno in cui lo ascolterà per la prima volta nell'esecuzione di Segovia a Los Angeles, l'idea di «lavorare" i suoni della chitarra in un colorito tessuto orchestrale lo attrae fino ad indurlo a comporre, nel 1943, una mozartiana Serenade in cui, ridimensionate le proprie ambizioni solistiche, la chitarra dialoga con archi e fiati nel tono più disinvoltamente confidenziale. Con questa composizione — l'unica scritta durante il periodo bellico che comprenda la chitarra — Castelnuovo-Tedesco inizia la sua seconda epoca, la cui produzione non sembra registrare in toni cupi o pessimistici lo "choc" culturale patito dal maestro in seguito allo sradica-mento dall'amata Firenze e gli effetti del problematico trapianto in terra americana. In realtà, rimanendo fedele alle proprie matrici culturali, Castelnuovo-Tedesco non trova stimolo alcuno nel nuovo ambiente, il quale si interessa a lui soltanto per la facilità con cui egli compone genericamente musiche da film, e l'isolamento — per lui che era sempre stato attivamente partecipe dei fatti della musica e della cultura — porta quale conseguenza una sorta di cristallizzazione stilistica. Non che, ripetendosi, egli svuoti la sua arte, ma le evoluzioni che stanno trasformando in Europa la musica, non trovano nella sua produzione eco alcuna, e anzi egli sembra deliberatamente arretrare, vincolandosi in modo sempre più stretto e rigoroso ad una tradizione della quale — sia spiritualmente che per il suo magistero tecnico — pare gli piaccia dimostrarsi erede titolato. Con questo atteggiamento, Castelnuovo-Tedesco dichiara la sua fede nell'umanesimo in cui è stato educato e prende ironicamente le distanze dall'ambigua volgarità del mondo del cinema, ma proclama anche la sua estraneità nei confronti delle speculazioni dell'avanguardia europea, rifiutandone il benché minimo riflesso nella sua musica. Noi crediamo che ciò sia dovuto più alla sua condizione di esule non rientrato in patria (se non per trascorrervi le vacanze) che ad una meditata sfiducia nei confronti di un tentativo di rinnovamento dall'interno del suo stile, e siamo convinti che, risiedendo in Italia, il maestro avrebbe operato una scelta meno rigida. l titoli delle sue composizioni chitarristiche post-belliche danno prova di tale autodifensiva "oggettività": Rondò (1946), Suite (1947), Quintetto (per chitarra e archi - 1950), Fantasia (per chitarra e pianoforte - 1950), musiche nelle quali il compositore denota sempre più chiaramente la propria inclinazione ad affidare alla chitarra sola brani minori, ed alla chitarra concertante opere di maggior impegno for-male e di più alta espressività (come il Quintetto). Nascono così il Romancero gitano per quattro voci miste e chitarra, su testi di Federico Garcia Lorca (1951) e il secondo Concerto per chitarra e orchestra in do maggiore (1953), due lavori fondamentali nella produzione chitarristica di Castelnuovo-Tedesco, i quali concludono la seconda fase nella parabola creativa del musicista (significativamente, anche la prima si era conclusa nel 1939 con un Concerto). A questo punto, il compositore ha raggiunto il culmine della sua maturità stilistica. I lavori del periodo seguente, fino al 1960, sembrano composti sullo slancio precedente, e nulla aggiungono all'immagine dell'autore. Di tale periodo inerziale, il brano più significativo è la struggente Ballata dall'esilio — la celebre, angosciata ballatetta di Guido Cavalcanti — per voce e chitarra, in cui Castelnuovo-Tedesco, non per mimesi ma per sentita identificazione spirituale, fa proprie le dolenti confessioni del poeta che nell'esilio ha visto sfiorire la propria esistenza e che Dal 1960, Castelnuovo-Tedesco inizia — affidandosi prevalentemente alla chitarra — una sorta di autobiografia musicale (proprio mentre scrive quella letteraria, intitolata Una vita di musica), inoltrandosi in una ricerca contemplativa ed interiorizzata che non rivela più alcun intento descrittivo o paesaggistico, e che si rivolge soprattutto alla meditazione e alla memoria. I temi di quest'ultimo periodo sono quelli capitali dell'esistenza di un uomo giunto alla più alta e dolente saggezza. Ne troviamo l'espressione più efficace e diretta nel ciclo per voce e chitarra The divan of Moses-lbn-Ezra (1966), dove, servendosi dei poemi di un autore ebraico del tardo medioevo, il compositore canta con rassegnazione la propria amara visione del mondo e affida alla tenue armonia della chitarra il compito di sorreggere con discrezione una linea disadorna, essenziale, in cui scorre dolcemente la testimonianza di uno sconfitto; mentre prima, nel 1960, sulle delicatissime prose liriche di Juan Ramén Jiménez, Castelnuovo-Tedesco aveva dettato, in ventotto idilli per narratore e chitarra, il proprio commosso elogio dell'amicizia, il cui paradigma ideale non è però costituito da due esseri umani, ma da un poeta misantropo e da un somarello: in Platero y yo si espande per vie chitarristiche un melodizzare candido, quasi infantile, ritrovamento estremo di una sapienza pervenuta a visioni francescane. Un umorismo amaro, a tratti mordace, allucinatorio, domina invece i 24 Caprichos de Goya per chitarra sola del 1961, ispirati alle acqueforti in cui il grande pittore spagnolo aveva raffigurato con spietata chiaroveggenza le superstizioni, i vizi e l'abissale ignoranza dell'aristocrazia, del popolo e del mondo accademico del proprio tempo. Castelnuovo-Tedesco, nei suoi Caprichos per chitarra, schizza ritratti meno impietosi e più ironicamente gentili — anzi, talvolta accorati — di alcuni personaggi della "commedia umana" da lui vissuta e, attraverso acute caratterizzazioni, fa trasparire i propri sentimenti nei confronti degli amici di dubbia fede che agiscono camuffati dietro le loro maschere (Nadie se conoce), dei falsi compositori che insegnano ciò che non sanno, maestri asini di allievi inevitabilmente asini, del tipico chitarrista cialtrone che intrattiene un pubblico di deliziati somari, fino all'inquieta, torbida interrogazione de El sueño de la razón produce monstruos, uno dei momenti più misteriosamente veri di tutta la musica di Castelnuovo-Tedesco. In quest'ultimo periodo della sua vita, pur affidando ai cicli di cui abbiamo detto l'espressione del suo pensiero musicale più sentito, il compositore si concede ancora il gusto del divertimento e, per questo aspetto secondario ma mai sopito della sua arte, adopera il duo di chitarre, componendo, nel 1962, il ciclo di ventiquattro preludi e fughe intitolato Les guitares bien temperées, gigantesco "pastiche" in cui, rinserratosi entro schemi formali di tipo scolastico, l'autore se ne burla poi con somma disinvoltura, collocandovi un variopinto bazar con scampoli musicali d'ogni genere. Per il duo chitarristico, Castelnuovo-Tedesco comporrà nello stesso anno anche un brillantissimo concerto con orchestra. Nel vasto e vario catalogo chitarristico accumulato da Castelnuovo-Tedesco in trentasei anni di carriera, dal 1932 fino alla sua scomparsa, spiccano i due concerti per chitarra e orchestra, il Quintetto per chitarra e archi e il Romancero gitano, opere destinate a rimanere nella storia della musica per chitarra. Nel primo Concerto Castelnuovo-Tedesco si presenta in vesti neoclassiche, sia per l'adozione di una limpida forma settecentesca che per l'atmosfera apertamente evocativa che pervade la composizione da un capo all'altro. Sembra quasi che il compositore, ormai pronto al distacco dalla propria terra, si abbandoni ad un flusso di memorie mediterranee, le quali scorrono tra la grazia e l'eleganza del primo tempo, il lirismo gentile ed appassionato del secondo tempo, il piglio epico del terzo tempo, nel quale si evocano giostre e tornei. La chitarra è collocata con naturale proporzione accanto ad un'orchestra i cui timbri trasparenti risultano sempre adatti al dialogo con lo strumento solista. Di tutt'altro carattere è il secondo Concerto del 1953, al quale l'editore ha apposto il titolo Concerto sereno (senza dubbio lo è, ma non più di tanta altra musica dell'autore). In questa partitura, più elaborata e complessa, predomina il vasto secondo movimento, una Sarabanda con variazioni in cui nuovamente l'autore si affida alla memoria, ma non tanto per un atto di evocazione affettiva — come nel primo Concerto — quanto nell'intento di celebrare l'immutabile (a suo modo di sentire) attualità della forma classica; tuttavia, pur nella sua magniloquenza, il neoclassicismo di questo brano non esclude momenti di slancio romantico o di appassionata teatralità, quale la conclusiva ripresa del tema, che si svolge in un clima scopertamente pucciniano. Il primo tempo — che più propriamente degli altri due si può definire "sereno" — è una contemplazione piuttosto rarefatta in cui il compositore svolge una preziosa ricerca di colore, suscitando atmosfere fiabesche alla Ravel. Dopo la gravità del secondo movimento, una lepida Filmi° campestre in do maggiore — con irridenti rintocchi di una campana tubolare in si bemolle — conclude in toni di giubilo la variopinta composizione, formalmente assai meno equilibrata del primo Concerto e, in un certo senso, un po' pericolante a causa del suo eclettismo, ma ricca di spunti felici e di piacevoli trovate timbriche. La chitarra dialoga qui con un'orchestra più nutrita di quella del primo Concerto, e perciò il suo dominio sofistico è meno evidente, in specie nel secondo tempo: questo spiega la rinuncia di Segovia, che pure aveva insistito per ottenere dall'autore un secondo Concerto, ad eseguirlo. Il Romancero gitano, costituito da sette pezzi composti su poesie di Garcia Lorca (contenute nella raccolta Poema dei conte fondo, non nella raccolta che barca intitolò Romancero gitano), consiste essenzialmente in una elaborazione polifonica a quattro voci miste di linee d'inconfondibile gusto ispanico, anzi, più propriamente "jondo", forgiate da Castelnuovo-Tedesco sulla metrica dei poemi lorchiani, con una spontaneità che farebbe pensare alla citazione di melismi del "carne". Il trattamento polifonico che l'autore sviluppa assomiglia a quello degli antichi madrigalisti, ed il tessuto vocale, pur elaborato, mantiene una trasparenza lieve e variata nel colore. La chitarra ha, in questa polifonia, funzioni talvolta individuali (quando introduce il carattere di ogni brano con il suo preludiare), talvolta collaterali (quando agita i suoi ritmi in un fiammeggiante sfondo armonico). La suggestione di quest'opera — unica nel corpus chitarristico di Castelnuovo-Tedesco — sembra affondare le sue radici in un remoto universo, dalla cui oscurità il compositore suscita memorie arcane, con atto che definiremmo di convocazione medianica non meno che di creazione musicale. Il Quintetto del 1950 si colloca al vertice della musica per chitarra di Castelnuovo-Tedesco per la perfezione dei suoi quattro movimenti, nei quali la ricchezza delle idee e la proprietà degli sviluppi trovano realizzazione in un dialogo serrato ed equilibratissimo, che pone a confronto la scrittura armonica della chitarra concertante con lo stile quartettistico alla Schubert. P da sottolineare, in questo Quintetto, l'efficacissimo inizio del terzo tempo, che suscita fragili arcaismi di sapore medioevale, prima di irrompere con una danza del tutto e maliziosamente novecentesca. Nella sua musica per chitarra, Castelnuovo-Tedesco ha sacrificato alla libertà ed alla spontaneità dello scrivere il calcolo riguardante la precisione e l'efficacia dei modelli strumentali impiegati. Convinto che, se si fosse addentrato nello studio minuzioso della tecnica chitarristica, avrebbe riportato una inibizione a carico della sua fluente vena melodica, egli ha preferito adottare una scrittura soltanto teoricamente giusta, la cui verifica è lasciata allo strumentista, al quale spetta il non facile compito di modificare — nella forma ma non nella sostanza — i passaggi ineseguibili o di scarso rendimento chitarristico. Per alcune composizioni — quali le Variations à travers les siècles, la Sonata e la Tarantella — ha provveduto Segovia, con la sua revisione strumentale e con la sua diteggiatura; altre composizioni, come il primo Concerto, sono state pubblicate come il compositore le ha scritte, cioè "grezze"; altre ancora, come i Caprichos, sono state pubblicate integralmente, ma con il sussidio di una versione pratica, aggiunta ove necessaria. Quest'ultima soluzione sembra aver incontrato il favore della maggior parte degli esecutori. Da "Manuale di Storia della Chitarra Vol.2" a cura di Angelo Gilardino View full article on repertoire
  25. Fino al 1920 circa, la musica originale per chitarra è stata creata quasi esclusivamente da chitarristi-compositori. Rari sono i casi di personalità che hanno saputo equilibrare nella loro opera i valori musicali e la ricerca idiomatica, e nemmeno Fernando Sor e di Mauro Giuliani, indubbiamente i maestri di maggior spicco nella prima metà dell’Ottocento, sono immuni da critiche. Dal momento in cui Manuel de Falla compose il suo Homenaje (1920) e in cui Segovia incominciò la sua opera di persuasione presso i compositori, la storia della musica per chitarra registra un fatto nuovo, di importanza fondamentale: nasce un nuovo repertorio basato sì sulla valorizzazione dello strumento e del suo idioma, ma anche, e soprattutto, su una ricerca musicale purificata da ogni progetto dimostrativo. Da allora in poi, il repertorio della chitarra si è innalzato nella qualità e si è espanso prodigiosamente, giovandosi dell’apporto di compositori di tutte le tendenze, da quelle conservatrici a quelle d’avanguardia. A partire dagli anni Sessanta, ha incominciato a prendere forma, nella storia della musica per chitarra, una terza fase: nuovi chitarristi-compositori, ben consci dei valori del repertorio formatosi nei quattro decenni precedenti, hanno dato avvio a una ricerca in cui la forma musicale—lato debole di molta musica per chitarra scritta da virtuosi—si è consolidata e, insieme, si è giovata di nuove, e talvolta geniali, invenzioni idiomatiche. Il nuovo repertorio creato da alcuni chitarristi-compositori si è così disposto parallelamente alle composizioni di illustri musicisti che hanno seriamente investigato il campo della composizione chitarristica: accanto alle musiche di autori come Henze, Britten, Petrassi, Maderna, Ohana, Donatoni, Ferneyhough, Berio e tanti altri (quasi tutti i maggiori musicisti della nostra epoca) esistono le musiche di autori come Leo Brouwer, Gilbert Biberian, Dusan Bogdanovic, etc., che sviluppano ricerche di valori musicali autonomi e autentici, in simbiosi con un inesauribile progresso della “lingua” chitarristica. In questa linea di ricerca avanzata e specifica, che mira a dar vita a una musica per chitarra in cui suono e forma musicale coesistono fin dalla concezione originaria e si sviluppano necessariamente insieme, operano alcuni giovani autori. La loro opera si diversifica nettamente da quella dei molti chitarristi-compositori che scrivono composizioni per l’intrattenimento facile, a fini commerciali, anzi, è evidente in loro il deliberato proposito di proseguire il cammino di una nuova filosofia chitarristica che inevitabilmente seleziona senza remissione i suoi adepti, siano essi interpreti o ascoltatori. Mark Delpriora è una delle figure più rappresentative di questa nuova tendenza. Docente di storia della musica per chitarra alla Manhattan School of Music, ha assimilato fin dagli anni giovanili tutto lo scibile chitarristico alla luce di una cultura in cui non è mai stato tracciato il confine tra il sapere dello storico e del musicologo e il fare del musicista attivo. Come concertista, egli professa—si direbbe naturalmente—le due Sonate del ciclo Royal Winter Music di Hans Werner Henze come una carta di credito che non abbisogna di ulteriori aggiunte. Era altrettanto naturale che la sua ricerca di chitarrista-compositore sfociasse in un’opera di possente drammaturgia chitarristica, qual è la presente “Third Sonata”. Più che sottolinearne l’ampiezza, sembra opportuno mettere in rilievo la complessa stratificazione culturale che la sottende. E’ fuori di dubbio l’eredità della musica tardoromantica per pianoforte, che Delpriora ha meditato, partendo da Brahms, Liszt, Franck, Fauré, fino alle estreme propaggini est-americane, che si spiegano fascinosamente in quella Sonata di Samuel Barber che Horowitz rivelò negli anni Cinquanta. L’eloquio sonatistico di Delpriora è quindi il frutto di una approfondita riflessione sull’eco romantico-pianistica sopravvissuta flebilmente alle categoriche negazioni dell’avanguardia post-weberniana, di cui l’autore non è comunque ignaro. Vi è inoltre, e ancora più specificamente, in quest’opera di Delpriora, una sottile e delicata trama autobiografica o addirittura ancestrale: la coscienza di una remota origine familiare lo induce a creare una musica il cui correlativo immaginifico è un paesaggio italiano, anzi veneto, e a rapportarsi con una temperie culturale e musicale in cui—nella vaghezza fantasmatica del sogno—trascorrono, come in una processione, lacerti musicali italici, da Monteverdi a Ghedini, da Corelli a Petrassi, suggestioni letterarie—da Petrarca a Foscolo (il cui Sonetto Alla sera dev’essere stato all’origine del secondo movimento, una sorta di Abendlied italianeggiante) pittoriche e forse anche teatrali. Un insieme così complesso di elementi originari non avrebbe potuto manifestarsi in una forma coerente se non attraverso una riflessione molto elaborata: lo stesso titolo di “Sonata”, rispetto alla forma—o alle forme—musicali adunate e fuse nei sei movimenti, è frutto di un’elaborazione, e richiede un’interpretazione: se l’elaborazione tematica del primo tempo (“Moderato”) è intelligibile nel senso propriamente classico del titolo “Sonata”, e se nulla si oppone al considerare la conclusiva “Passacaglia” come una di quelle serie di Variazioni di cui talvolta consta la Sonata classica, i quattro movimenti centrali richiedono invece di essere visti in un ambito formale in cui la “Sonata” e la “Suite” non sono ben distinte. Conseguenza diretta dell’elaborazione sviluppata da Delpriora è la raffinata proprietà della notazione chitarristica, che in questo lavoro si articola con esemplare flessibilità, facendo coincidere in ogni momento l’architettura del pensiero musicale e quella del segno. La natura irreale, cioè anti-descrittiva, del sogno italiano di Delpriora, è anche il segreto della particolare, intima vocazione chitarristica della sua “Third Sonata”, un brano che può esistere solo perché esiste la chitarra. Concludo questa nota introduttiva, che convintamente introduce un’opera per chitarra di forte concezione e di straordinario rilievo, ringraziando Mark Delpriora per l’onore che mi ha reso con la dedica. E’ implicito il riconoscimento al dedicatario di essere uno dei musicisti che più appassionatamente hanno creduto e seguitano e credere nella chitarra come a uno strumento capace di esprimere quello che Carlos Castaneda ha impareggiabilmente definito “Il fuoco dal profondo”, unione di energia creativa e di sopravvivente, inesausta spiritualità. Angelo Gilardino Vercelli, Aprile 1998. (C) 1998 Edizioni Musicali Bèrben ENGLISH Until around 1920, original music for guitar was composed almost exclusively by guitarists. Among these, few were able to maintain a balance between musical values and an idiomatic command of the instrument; not even Fernando Sor and Mauro Giuliani—without doubt the most significant guitarist-composers of the first half of the nineteenth century—are immune to such criticism. From the moment, however, when Manuel de Falla composed his Homenaje (1920), and when Segovia first undertook his mission among composers on behalf of the guitar, the history of guitar music witnessed an unprecedented development of fundamental importance: a new repertoire was born which, while securely based on an appreciation of the instrument and its idiom, was just as strongly rooted in musical exploration purified of any demonstrative plan. From then on, the repertoire of the guitar has risen in quality, and has expanded prodigiously, enriched by composers of every stylistic tendency from the most conservative to the avant-garde. Beginning with the 1960s, a third phase of the history of guitar music began to take form: new guitarist-composers, well aware of the values of the repertoire developed over the four preceding decades, have launched an approach to composition in which the musical form—the weakest aspect of much guitar music written by virtuosi—has been consolidated, profiting at the same time from new, and at times brilliant, idiomatic innovations. This new repertoire stands parallel to the compositions of illustrious musicians who have seriously investigated the field of composition for the instrument: alongside pieces by composers such as Henze, Britten, Petrassi, Maderna, Ohana, Donatoni, Ferneyhough, Berio and many others (nearly all of the major composers of our epoch) stand works by composers such as Leo Brouwer, Gilbert Biberian, Dusan Bogdanovic, etc., who are working towards the realization of autonomous and authentic musical values in symbiosis with an inexorable progress of the “language” of the guitar. Several young composers are working in this vein of advanced and specific research, which aims to give life to guitar music in which sound and musical form coexist from the original moment of conception and are necessarily developed together. Their works are absolutely different from those of the many guitarist-composers concerned primarily with facility of execution, often with commercial ends. On the contrary, what is most evident in these young composers is the determination to pursue the path of a new philosophy of the guitar which inevitably, and without apology, chooses its adepts selectively, be they interpreters or listeners. Mark Delpriora is one of the most representative figures of this new tendency. Instructor of guitar music at the Manhattan School of Music, he has assimilated since his earliest years all that can be known about the guitar in the light of a culture in which recognizes no boundary between the knowledge of the historian or musicologist and the practical experience of the active musician. As a concert artist, he presents—one would say naturally—the two Sonatas of the cycleRoyal Winter Music of Hans Werner Henze as a kind of credit card in need of no further guarantors. It is just as natural that his research as a guitarist-composer would lead to the work of such powerful dramaturgy for the guitar that is the present “Third Sonata”. Rather than emphasize the dimensions of the work, it seems more appropriate to place in relief the complex cultural stratification which underlies it. This is beyond doubt the heritage of late Romantic piano music, which Delpriora has studied, beginning with Brahms, Liszt, Franck, Busoni, and Faure, and continuing through the more recent offshoots of the northeastern United States, which unfold with such fascination in the Sonata of Samuel Barber that Horowitz performed in the 1950s. The language employed by Delpriora in the Sonata is therefore the fruit of deep reflection on the echoes of the Romantic piano literature which barely survived the categorical rejections of the post-Webern avant-garde (of which the composer is not unaware). In this work of Delpriora there is also, still more specifically, a subtle and delicate autobiographical, even ancestral, content: the knowledge of distant family origins leads him to create a work whose correlative producer of images is the countryside of Italy, or rather of the Veneto region. Here he enters into a relation with a cultural and musical climate in which, in the phantasmal vagueness of a dream, one sees go by, as in a procession, italic musical fragments from Monteverdi to Ghedini, from Corelli to Petrassi, literary allusions from Petrarch to Foscolo (whose sonnet, Alla sera, must have been the source of the second movement, a sort of Italianized Abendlied), as well as pictorial, and perhaps also theatrical, suggestions. It would not have been possible for so complex a combination of original elements to be made manifest in a coherent musical form if it were not accomplished by means of a very carefully worked-out reflection: the very title of Sonata, with respect to the musical form, or to the forms, is the result of an an elaboration, and requires an interpretation: if the thematic elaboration of the first movement (“Moderato”) is intelligible in the properly classical sense of the term Sonata, and if nothing prevents us from considering the concluding Passacaglia as one of those series of Variations which at times formed part of the classical Sonata, the four central movements demand instead to be understood as occupying a formal region in which the Sonata and Suite are not distinct from one another. A direct consequence of the elaboration developed by Delpriora is the refined propriety of the guitar notation, which is articulated in this composition with exemplary flexibility, uniting at every moment the architecture of the musical thought and that of the sign. The unreal, that is, anti-descriptive, nature of the Italian dream of Delpriora is also the secret of the particular, intimate approach to the guitar seen in the “Third Sonata”, a piece that can exist only because the guitar exists. I would like to conclude this introductory note, in which with full conviction I introduce a guitar composition of strong conception and extraordinary distinction, by thanking Mark Delpriora for the honor of seeing it dedicated to me. Implied in this dedication is that I am among those musicians that have most passionately believed, and that continue to believe, in the guitar as an instrument capable of expressing that which Carlos Castaneda has incomparably defined “The Fire From Within”, the union of creative energy and of surviving, inexhaustible spirituality. § Mark Delpriora suona il primo movimento della sua Sonata No.3: View full article on repertoire
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