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Ermanno Brignolo

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  1. Non sono d'accordo. Se in conservatorio si desse spazio anche ad altro oltre che alla classica ed al jazz (che già, per come viene trattato, è un'infarinatura raffazzonata che ha ben poco da dare a chi segue i corsi...), si finirebbe per avere dei colossali pastiche in cui nulla viene fatto in modo neanche decente. Come ti dicevo, esistono eccellenti scuole che si occupano di altri generi (ti ho citato le due che, in Italia, vengono più quotate, ma non sono certo le uniche); questo attacco alla settorialità dei conservatori è un pò come il voler andare in macelleria per comperare un televisore. Magari il macellaio è competente in materia, ma il suo esercizio non prevede la vendita di televisori. Se, poi, si è alla ricerca di questo pezzo di carta (straccia), prenderlo per prenderlo non ha nessun valore, né burocratico, né formativo. Oggettivamente, nessun chitarrista potrà mai trarre giovamento dalla lettura avulsa e decontestualizzata di un paio di studi di Giuliani o Aguado (o Villa-Lobos, o Brouwer...). Io credo che un percorso di studi debba essere motivato da qualcosa di più profondo di un titolo scevro di significati, a maggior ragione se questo titolo costa dieci anni di sacrifici. Personalmente, vorrei sperare che nei conservatori - che pure, per come stanno andando le cose, sono destinati a chiudere i battenti in pochi anni - si continuasse a portare avanti un discorso musicale più complesso di una canzonetta pop (o anche di una bossa-nova sbilenca o di un tango-piazzollismo annacquato). Questo non impedirebbe certo di praticare altri generi (non mi nascondo dietro ad un dito: io ho sempre dichiarato apertamente di non occuparmi solo di classica), ma consentirebbe di mantenere separati ambiti che, per loro natura, devono restare separati. L'alternativa porterebbe a concludere che "tanto le note sono sette" (per alcuni anche meno), e spero che non sia questo il traguardo che ci si pone nella musica. EB
  2. ecco Alfredo una cosa intelligente che i chitarristi dovrebbero cominciare a far e è togliere da youtube le loro smaniose e raccapriccianti esibizioni e cominciare a postare musiche da cd interpretate da bravi musicisti Fabio, ancora più intelligente sarebbe riconoscere che le proprie interpretazioni sono raccapriccianti... questo sì che sarebbe un bel balzo in avanti! EB
  3. Questo è il mestiere più antico del mondo: non confondiamo prostituzione e musica, per favore. @Fabio: quello che ho scritto, in toto, è frutto di esperienza... anni di esperienza e sopportazione paziente (a volte, in realtà, non così paziente: ho litigato furiosamente con un paio di produttori per il loro modo di fare...). Mi fapiacere che tu sia d'accordo, ma al di là delle opinioni personali, quello che ho scritto non è un parere: ho riportato le mie impressioni e le mie memorie su fatti realmente avvenuti... no li corcostanzio maggiormente per ovvi motivi, ma ne sono stato testimone, se non protagonista. EB
  4. Ovviamente: il conservatorio è una scuola, non un istituto d'avviamento professionale... in tutte le libere professioni, è il singolo a dover fare ciò che sa e che riesce a fare per farsi spazio nell'ambito del lavoro, e tra le scelte che è costretto ad affrontare, una delle più rilevanti è proprio legata ai compromessi che vuole accettare in termini di remunerazione, repertorio e ambiti. Mi vengono in mente due domande: 1. se il conservatorio serve così a poco, perché ti vuoi diplomare??? Qual è lo scopo ultimo del tuo intervento? 2. questa storia dei diplomati che non sanno suonare la usica leggera ad orecchio, francamente, è un pò pretestuosa e stancante: siamo nel 2010 e si sentono ancora queste storie trite e ritrite... forse è il caso di realizzare che il conservatorio non infonde la scienza ai suoi iscritti, né è pensato per avere, come ultimo obiettivo, la formazione di strumentisti destinati all'orchestrina di Sanremo, quella che costringe i direttori a chiamare gli arrangiatori due settimane prima del festival per chiedere una versione semplificata della partitura perché i professori non la sanno eseguire! Per suonare in un disco pop, o rock, non serve a nulla conoscere Brahms... anzi, per quanto si sente nelle sale di produzione, è quasi deleterio. E' in questi ambiti, in cui difficilmente si trova qualcuno che sappia decifrare uno spartito, che viene alimentata la convinzione che il conservatorio non serva a nulla: non dum matura est... Frequentare, e financo diplomarsi in conservatorio, ai fini del rock o del pop, è inutile se lo spirito è questo: per avere risultati migliori ci sono scuole ben più qualificate, come la Lizard o la Berkeley, che preparano ottimi strumentisti, spesso privi di una preparazione teorica solida, ma molto abili sui rispettivi strumenti. Il conservatorio, o istituti analoghi, diventa utlie se il mirino è spostato almeno una tacca più in su rispetto alla tecnica del rock... fermo restando che nessuna scuola darà mai ad un allievo la curiosità e la voglia di approfondire le materie che s'accinge ad affrontare. EB
  5. Se tu avessi avuto a che fare con alcuni elementi dell'orchestra che suona a Sanremo sapresti che questo non corrisponde a verità... e per pietà mi fermo qui. Per di più, se il termine di paragone che assumi per la musica contemporanea, alle soglie di un diploma, è il Festival di Sanremo, forse il percorso di studi che ti ha portato al diploma è quanto meno da rivedere. Al di là di questo, se ritieni che questo brano sia confacente alle richieste ed aspettative per un diploma (esame nel quale la tecnica non è certo messa al centro dell'attenzione), e se ritieni che la tua analisi del repertorio sia sufficiente a giustificare la tua scelta, perché chiedi consiglio e pareri ad altri? Per come hai posto la domanda iniziale, s'intende che tu desideri sapere se la tua scelta pare adeguata alle richieste, e a questa domanda ti è stato risposto. Non hai chiesto di infondere coraggio alla tua scelta indipendentemente dal pensiero degli interlocutori, ma hai cheisto un parere personale, e questo è arrivato. Lascia Sanremo dove sta: con la musica dei diplomi non ha praticamente niente a che spartire, se non la grafia delle partiture. EB
  6. Beh, se vuoi dare un esame, credo sarebbe meglio che della commissione qualcosa te ne fregasse... EB
  7. E tutto questo è semplicemente disarmante: una regressione che porterà inevitabilmente a conclusione l'annichilimento culturale che, già oggi, dilaga anche nei conservatori. La mia domanda è: si può (oppure: è opportuno) fare qualcosa per contrastare questo fenomeno, o semplicemente i centri di studio diventeranno altri con buona pace delle istituzioni statali? EB
  8. Secondo me, le accuse di inganno e truffa mosse a Fabio Selvafiorita ed al suo metodo, sono del tutto fuori contesto e, in questo senso, pretestuose. I computer sono macchin e fondamentalmente imbecilli. Capiscono solo due cose: 0 e 1. Con esse, e solo con esse, possono avere a che fare (almeno finché ci si baserà sulla tecnologia binaria... le reti neurali sono ancora molto lontane dall'essere sviluppate...), e solo quello sanno capire. Cosa fare con quei numeri è un'istruzione che deve - necessariamente - arrivare dall'esterno. E' come sperare che l'editing audio possa sanare le pecche di un interprete: se l'interprete registrato non vale niente, le sue registrazioni contunueranno a non valere niente; se il compositore non vale niente, le sue composizioni - assistite o meno - continueranno ad essere carta straccia. L'ottica di Fabio - che io non critico, in ambito musicale, in alcun modo, né positivo né negativo - è un passo avanti rispetto all'utilizzo che tantissimi utenti fanno dei computer: in quasi trent'anni di diffusione dei calcolatori elettronici, la maggior parte degli utilizzatori li usa ancora come dei sofisticati fogli di carta in cui annotare delle cose... (in quanti sanno che MS Excel, ad esempio, sa fare qualcosa (molto!!) di più che gestire delle tabelle di dati immessi a mano???) in questo senso, l'informatica ha clamorosamente fallito il suo scopo. Far sì che un computer "impari" a svolgere un certo tipo di operazioni non significa certo barare: significa aver indirizzato i proprî sforzi verso lo strumento di scrittura, così da renderlo veramente un aiuto in campo lavorativo, e non solo una stilografica con monitor e Hard disk. E' il caso di capire come funzionano gli algoritmi segnalati da Fabio: non credo che uno con la sua preparazione ed il suo intelletto affiderebbe la propria creatività ad un Music maker... e non mi pare che i programmi descritti siano ascrivibili a questa famiglia
  9. Sono dell'idea che ricerca, innovazione e sperimentazione non possano essere il fine ultimo della composizione, ma come ogni altro, mezzi d'espressione che debbano solamente supportare l'idea compositiva ed aiutare il compositore a renderla nel migliore dei modi. In buona sostanza, quello che conta è il contenuto, in senso stretto: se mancano le idee e la capiacità di svilupparle, ricorrere ad effetti "inusuali" o avanguardie di varia natura non sopperisce certo a queste mancanze. EB
  10. Confermo. Non ne capisco un'acca. Ma d'altro canto ad ognuno il suo mestiere. Meglio così, no? Sono più propenso ad assecondare, per buona parte, l'idea di Cristiano. Mi spiego: al concertista interessa che il suono ripreso da qualcuno e trasmesso, tramite qualcosa, a qualcun altro, sia il più possibile vicino alle sue esigenze. Come questo venga fatto può (non necessariamente) non essere affar suo. Dopo tutto, molti sapranno meglio di me che un'infarinatura di un argomento non ne sostituisce certo la conoscenza approfondita, ma in alcuni casi genera il vero pericolo: la prosopopea, dalla quale, inevitabilmente, scaturiscono problemi di ogni ordine, dalle liti con eventuali tecnici del suono (che sappiano fare il loro mestiere) al danneggiamento del risultato sonoro. Riporto un esempio che mi è successo recentemente. Concerto per coro e chitarra. Ho necessariamente amplificato la chitarra: per fare un buon lavoro sono andato in teatro due ore prima del coro ed ho impostato un'equalizzazione che, a mio avviso, potesse essere ideale. In seguito, ho modificato qualcosa (poco) per adattare il suono alla presenza del coro. Il risultato finale, a detta mia e di chi ascoltava dall'esterno, era molto buono. Il direttore del coro (laurato in fisica, ha studiato alcuni microfoni su un testo discutibile in cui Neumann non viene nemmeno menzionato, non capisce un tubo bucato di psicoacustica, né ha la preparazione per usare i filtri d'equalizzazione... né ha mai usato i microfoni che conosce sulla carta...) ha arbitrariamente modificato a mia insaputa la mia equalizzazione perché lui, dal palco del teatro, percepiva un suono che, sempre secondo lui, non era "bello". Il risultato è stato un suono simile ad un dobro perché lui, secondo la sua autostima, sarebbe dovuto riuscire a perfezionare il mio lavoro. Io, personalmente, preferisco un ignorante in materia, piuttosto che un sedicente ingegnere del suono povero di attitudini e ricco di supponenza. EB
  11. Maestro Bonaguri, innanzitutto, grazie delle informazioni: approfondirò quanto prima quello che Lei riporta, in quanto è un'idea che mi interessa molto. Lungi dal volermi ergere a livelli tanto alti, io trovo, nella mia esperienza, che - limitatamente allo studio - i microfoni a diaframma stretto siano più adatti ad una ripresa di strumenti che producano una pressione sonora più consistente di quella della chitarra classica (ad esmepio, trombe, violini...). Banalmente, questa mia sensazione discende dalle considerazioni sulla natura della commutazione del segnale meccanico in elettrico: quello che esce dallo strumento è un segnale meccanico (suono) ad una certa pressione ( [Pa]=[N]/[m^2] ). Il condensatore riceve quindi una pressione e la trasforma in una forza che produce lo spostamento della placca mobile del condensatore ( F=p*A ). Le cariche accumulate sulle armature del condensatore, poi, fanno si che, per le leggi di Faraday-Neumann-Lenz sui campi elettrici (campo elettrico costante con cariche statiche in movimento), lo spostamento geometrico della placca del condensatore produca il segnale elettrico che rende trasportabile via cavo il nostro suono. Data la linearità diretta della forza F con l'area A del diaframma (la placca mobile del condensatore), si nota che, a parità di pressione, la forza F è maggiore se è maggiore la superficie d'influenza su cui la pressione insiste. Questo, secondo quanto ho scritto, fa sì che i microfoni a diaframma stretto possano sopportare pressioni maggiori, mentre i microfoni a diaframma largo possano riprendere anche pressioni sonore di bassa entità. Ho, poi, avuto l'impressione che i microfoni a diaframma largo riescano a riprendere meglio di quelli a diaframma stretto le infinite variazioni di timbro che, secondo me, sono la reale forza espressiva dello strumento. Forse è pregiudizio (mi sincererò di verificarlo accuratamente e mi ricrederò prontamente se dovessi trovare smentita), ma mi sembra che i microfoni a diaframma largo rendano più giustizia ai colori reali dell'immagine sonora. Di questo, tuttavia, non ho alcuna prova teorica, ma solo la mia esperienza che, come tale, è opinabile e discutibile. EB
  12. Impossibile darLe torto: Neumann (più ancora di Braunn) è il miglior produttore di mircofoni al mondo. Non l'avevo consigliato solo per questioni economiche, ma la qualità non lascia spazio a nessuna discussione. Generalizzando leggermetne il discorso al di fuori delle marche, si può dire che in generale, quando possibile, è preferibile usare un microfono a condensatore (meglio se a valvola, ma i prezzi salgono ancora e di parecchio), in quanto molto più pregiati dal punto di vista costruttivo. Tra questi, c'è la discriminante non banale della dimensione del diaframma: un diaframma largo (diametro superiore a 1") offre una miglior distribuzione delle vibrazioni sul condensatore ed è in grado di ricevere meglio pressioni sonore basse (quale quella della chitarra). Questo è un aspetto ideale per lo studio, ma meno per li live, dove non sempre è agevole maneggiare un microfono che riprenda qualsiasi battito d'ali di una farfalla (come capita, ad esempio, con i Neumann U87). In queste situazioni è preferibile - come giustamente notato dal M° Bonaguri - un microfono a diaframma stretto, con un diagramma a cardioide (magari ristretto) la cui sensibilità sia circoscritta nello spazio (la serie K di Neumann, per l'appunto, serve benissimo a questo scopo). Ciò premesso, può essere utile spendere due parole su ciò che sta a valle del microfono (o dei microfoni...). Innanzitutto, è poco utile far suonare un Neumann su due casse FBT con un suono nasale e di plastica... Dato per assunto che l'hardware che compone la catena audio sia di qualità omogenea, è bene affrontare il vero problema di qualsiasi situazione: il tecnico del suono. I microfoni a condensatore (e i Neumann soprattutto!) sono molto, ma molto difficili da trattare. Ammesso, come dicevo, che i filtri d'equalizzazione siano eccellenti (non buoni: eccellenti), bisogna sapere che cosa fare di un suono tanto ben definito, perché basta pochissimo per deturparne l'immagine. D'altro canto, sarebbe ingenuo pensare che un microfono tanto pregiato non richieda equalizzazione o, prima dell'equalizzazione, un'accurata calibratura del guadagno in ingresso... E posso dire per esperienza prolungata che un Neumann nelle mani sbagliate fa molti e più gravi danni di un prodotto meno prestigioso. EB
  13. Se possibile, un buon microfono a condensatore a diaframma largo con configurazione cardioide (un ottimo strumento è il Rode NT1 o, con la stessa capsula ma più versatile, il Rode NT2-A; costano intorno ai 300€). In mancanza di alimentazione Phantom, bisogna andare su un dinamico, ed uno dei più versatili è lo Shure SM57 o, più difficile da trattare, il fratello maggiore Beta 57. Costano intorno ai 100€. Per dettagli ed acquisti, ti consiglio www.audiomusicarecording.it (per i microfoni professionali a condensatore) www.luckymusic.com (per tutto) EB
  14. Greg Smallman, fondatore della casa di liuteria Smallman in Australia, ora in mano dei suoi figli. EB
  15. Giunto al potere? Crediamo davvero che si possa parlare in questi termini? Potere su cosa? Su chi? Di cosa? In tutta franchezza, a me di Guelfi, Ghibellini, Fascisti, Comunisti, Nordisti, Sudisti, Bianchi, Neri e tutto il resto "nun me ne po' frega' dde meno". Constato che una scissione netta ed incontrovertibile tra artisti esista necessariamente. Da una parte, chi approccia un repertorio di stampo più meditato ed intimo, rivolto ad un ristretto numero di persone in ambienti ridotti, teso a valorizzare l'estetica timbrica della chitarra anziché la sua componente spettacolar-popolaresca; da un'altra parte, chi affronta e propone un repertorio che si avvicini di più al gusto del pubblico di grandi dimensioni, prediligendo un repertorio dall'ascolto meno "impegnativo" o privilegiando un suono più aggressivo e prorompente. In mezzo c'è un vasto gruppo di artisti che operano nella trasversalità, o cross-over, cercando di mescolare i due aspetti che, nel mio immaginario, ho individuato, accettando anche influenze dall'esterno (jazz, fusion, pop, rock, new age...). Non fare distinzione significa, a mio avviso, accettare un'accozzaglia di roba la cui unica matrice comune sono le note e lo strumento che le suona, mentre non si fa distinzione di repertorio. Credo che la mia inclinazione sia palese, pertanto spero sia logico attendersi che i miei giudizi e le mie preferenze in ambito "chitarra classica" siano rivolti in una ben precisa direzione. Con questo, non è mia intenzione sminuire il lavoro di altri, almeno finché questi altri non denigrino il mio. EB
  16. [OT] Fascistoidi, cani da guardia, cospiratori... a mio avviso si è oltrepassato - e di molto - il limite della decenza. Francamente non capisco come si possano promulgare e perorare lotte demagogiche in difesa di ciò che, in qualunque mente raziocinante, si potrebbe serenamente definire un errore, facendone discendere l'etichetta di cocciuta perseveranza attribuibile alla strenua difesa dello stesso. Non capisco come illustri studiosi e musicologi possano piegare a proprio piacimento le definizioni di trascrizione, adattamento, riduzione e plagio per giustificare opere che, pur non perdendo nulla del loro valore, richiederebbero un minimo lavoro di revisione. Non capisco come si possano definire "cani da guardia" persone che prendono le parti (e non le difese, si badi bene!!!) di Gilardino e Zigante mentre si definiscono "epigoni" quelli che le contestano, talvolta in modo pacato, talaltra in modo ridicolo. Non capisco come si possa definire fascistoide un musicista che palesa le sue preferenze di repertorio, mentre si lasci correre chi accusa di ottusità queste scelte incitando esplicitamente i giovani a prendere le distanza da questi dinosauri della chitarra perche il futuro del dannato "nostro strumento" del cavolo sta nelle trascrizioni della musica leggera. Non capisco come si possano portare avanti delle discussioni nelle quali l'unico modo per procrastinare una pietosa fine è quello di arrivare alle illazioni personali, o alla correzione, a sua volta sbagliata, di errori di gramamtica, ortografia e sintassi (si noti che si pone attenzione sul concetto di partitura, ma non si evidenziano perle come "...oltre ha non godere di..."). Ho evidenti e conclamati limiti di intelletto e rielaborazione che non mi consentono di capire... più mi sforzo e meno capisco... o forse non lo voglio capire, perché mi spaventerebbe scoprire di essere piombato in un cortile d'asilo in cui si litiga perché un compagno di giochi ha osato screditare il supereroe preferito di un altro... ed allora, forse, sarebbe preferibile defilarsi per evitare di sprecare tempo e risorse a parlare con chi non vuole ascoltare... sarebbe preferibile, forse perché più facile, ma non corretto. Io credo che la chitarra sia un'altra faccenda, credo che la Musica sia un'altra faccenda, e per me negarlo sarebbe un forte segno di disonestà nei confronti dei mei allievi ed insegnanti, nei confronti dei miei amici e parenti, nei confronti di chi ha pagato per anni i miei studi quando ancora ero nello stato di famiglia dei miei genitori, nei confronti di quegli sventurati che dovessero mai incappare in una mia esibizioine o registrazione, e nei confronti di me stesso. EB [/OT]
  17. Che uscita infelice da parte di un artista di questo calibro!!! Bisogna vedere in quale contesto Ponce ha detto questa frase. All'inizio io scelsi la chitarra proprio per il suo suono e non sapevo nulla del suo repertorio. Anzi ero circondato da tutti i pregiudizi del caso. Mio padre, pianista, era convinto non esistesse proprio il repertorio della chitarra e un amico di famiglia (che era direttore di Conservatorio) gli disse pure " Non capisco come un pianista possa permettere a suo figlio di perdere tempo con uno strumento come la chitarra". Il contesto era una semplice valutazione di importanza del repertorio in termini di quantità (molto inferiore) e qualità (rispetto a Bach-Mozart-Beethoven) del pianoforte e di altri strumenti. Non era intesa come costatazione di un repertorio non valido della chitarra, ; comunque, in quella specifica occasione, che naturalmente non può dar luce sulle opinioni e la filosofia intera del maestro, non ha detto niente sul reale valore del repertorio per chitarra. L'infelicità dell'affermazione sta nel fatto, che non è stato presa una posizione a favore del repertorio in quell specifico momento. Per quello ricordo la frase, che so valutare, ma non sono sicuro che tutti li fanno in questa maniera. Neuland Grazie signori: non conoscendone il contesto, avevo interpretato questa frase in modo non corretto. EB
  18. Se ben interpreto il pensiero del caro Marcello (pensiero che, seguendo dalle idee che ho avuto modo di scambiare con lui, condivido in pieno), la scissione del repertorio non è tra guisto e sbagliato... anzi, non c'è proprio una divisione. Semplicemente, nella mente di alcuni chitarristi, il repertorio della chitarra classica è definito, o quanto meno definibile secondo criteri ben precisi nei quali certe contaminazioni non trovano posto. E' opinione di alcuni che la chitarra trovi la sua massima forza espressiva nella vastissima gamma timbrica e nell'espressione intima e raccolta di un suono che, seppur "piccolo", è in grado di comunicare tanto. In questo, le grandi folle deliranti, come le musiche per queste scritte, non c'entrano per niente. Non è un atteggiamento fascistoide: lo sarebbe se questi musicisti tentassero di imporre questo pensiero agli altri, ma questo non avviene. Certo, pur non volendo imporre niente a nessuno, non si può sperare che si taccia con indifferenza di fronte alle scelte di repertorio operate da altri: è nel pieno diritto di critica esprimere un parere riguardo al programma che un interprete presenti in concerto, ed è ancora meglio se questo parere viene supportato da motivazioni che, ad esempio, nel caso di Marcello non sono mai mancate. D'altro canto, più volte in questo stesso forum abbiamo assistito ad invettive contro la vetustà della vecchia scuola decadente che dovrebbe aprire gli occhi e smetterla di obsolescere in queste prigioni senza futuro? Quante volte, da alcuni, sono partite esortazioni a prendere le distanze da queste impostazioni retrograde e anacronistiche, adducendo motivazioni profetiche di una nuova via elitaria ed iniziatica che parrebbe essere, sempre secondo questi araldi, l'unico mezzo per il successo? Perché, quindi, si definisce fascistoide chi sostiene un repertorio nei confronti di un altro, e non si definisce parimenti fascistoide (o, se preferisci, stalinoide...) chi denigra quel repertorio in favore dell'altro? EB
  19. Piace... non piace... per cortesia: andresti allo stadio se non ti piacesse il calcio? Trovo invece la riflessione di Marcello pertinente, se non fondamentale. Solleva una questione sottovalutata. Una buona percentuale di chi si iscrive ad un corso di chitarra "classica" lo fa avendo in mente altri repertori rispetto quelli che invece si ritroverà ad affrontare. Probabilmente tutti quei repertori riconducibili al bagaglio culturale del perfetto tangueros. Fabio, mi sono reso conto di essermi espresso un pò male: scondo me Marcello ha toccato uno dei (se non IL) punti cruciali della faccenda... e ce ne rendiamo conto quotidianamente... EB
  20. Caro Marcello, non posso non condividere il tuo pensiero: il repertorio, unico aspetto che concretamente potrebbe sancire una sorta di nuova renaissance della chitarra è, molto spesso, l'ultima preoccupazione di molti sedicenti chitarristi... ammesso che la sua analisi occupi davvero posto nelle loro scelte artistiche. Ci sono illustri testimoni di situazioni imbarazzanti: professionisti che giudicano la Sonata di José un "brano senza capo né coda", concertisti che commentano la Sonata di Desderi come "un branno inutile, di cui non si sentiva la mancanza", salvo poi far sì che i loro allievi suonino Koyunbaba al concerto di laurea, o qualche trascrizione di Zucchero Fornaciari nei concerti di fine anno del conservatorio... quegli stessi allievi che, in possesso di una laurea di secondo livello, non sono in grado di distinguere una terzina di crome da una quartina di semicrome... quegli stessi allievi che cercano con affanno i biglietti per assistere ai concerti di Dyens e trovano poco interessanti le incisioni del duo Maccari-Pugliese... quegli allievi che suonano un tema monodico lasciando che le note risuonino l'una sull'altra... quegli allievi che pensano sia innovativo e "in" proporre Paganini in veste techno/prog/dance... Nulla importa della chitarra (se non avere una chitarra che suoni da sola... e che immancabilmente non trovano mai... e non la trovano per colpa dei liutai... e mi fermo!)... l'unica cosa che desti vero interesse sono i soldi: né più né meno che un ben più dignitoso impiego in un ufficio postale. Piace... non piace... per cortesia: andresti allo stadio se non ti piacesse il calcio? E, nel caso, inizieresti a sbraitare come un ossesso sostenendo che i gestori dello stadio dovrebbero smetterla di continuare ottusamente a far giocare il calcio nello stadio, perché sarebbe meglio farci i tornei di Pallavolo? Qui è la stessa cosa: la chitarra, secondo me, non è solo quel dannato pezzo di legno: è un mondo, fatto di luci e ombre, colori e chiaroscuri ben precisi, atmosfere e sensazioni squisitamente sue. Il desiderio di imporre alla chitarra attribuzioni non sue è la smania di successo da rock-star: questo insensato desiderio di portare la chitarra al grande pubblico quando non per esso deve necessariamente essere pensata. Che senso ha una chitarra che suoni in uno stadio? E se anche ce la facesse, che cosa ci suona: Britten? Mompou? Henze? Peyrot? Perché la chitarra è questa... o lo si accetta, o ci si veste di ridicolo... e il pubblico non ci mette molto a capirlo... Passare ad un altro strumento? Che futuro potrebbe avere in un altro strumento? Nell'immaginario collettivo esterno alla nicchia (nicchia, certo: non illudiamoci che il piccolo mondo degli schitarratori non sia una nicchia) della chitarra "classica", le sei corde sono quelle di Battisti o, per i raffinati, Satriani. Secondo te è più "facile" suonare le corde di nylon assecondabndo questa credenza popolare o proporre qualcosa di diverso? Dici bene: se sai proporre al pubblico le cose in cui credi, il pubblico - colto o meno - le digerisce, le apprezza, le comprende (Diamine, io ho suonato Britten, Martin e Desderi nello stesso programma ed il pubblico era entusiasta!!!)... ma non deve essere il pubblico a fare il lavoro: deve essere l'interprete... e l'interprete deve aver operato delle scelte per poterle trasmettere... e quelle traspariranno dalle sue interpretazioni, nulla più. La chitarra non ne trarrà alcun beneficio, né alcun danno: resterà lì, placida e indifferente... l'unico ad esserne danneggiato o esaltato sarà l'interprete stesso... EB
  21. E' una questione matematica. La verità, qualunque essa sia, non è sempre importante allo stesso modo: tende a perdere rapidamente valore con l'aumentare della sua scomodità, e la sua scomodità aumenta in ragione quadratica rispetto all'orgoglio personale. Se vuole, si può divertire a studiare la funzione che ne deriva... lontana parente di un'iperbole... o, più precisamente, l'inverso di una parabola...
  22. Io quarant'anni fa non ero al mondo, ma domando a coloro che, invece, erano già in vita: le opere di Bach e Mendelssohn erano ancora sconosciute a quell'epoca? Non dico le loro trascrizioni per chitarra (delle quali mi risulta esistessero già delle registrazioni, ma non posso confermare le fonti in quanto dispongo di CD stampati ben più recentemente e non so se le case discografiche abbiano o meno pubblicato le esatte date di registrazione sui booklet dei cd o se se le siano inventate), delle quali ipotizzo comunque già una discreta diffusione ad opera di alcuni concertisti come Bream e Segovia, ma quanto meno gli originali (mi sembra che la fuga BVW 1000 sia inclusa nella sonata n. 1, dei sei solo per violino senza accompagnamento BWV 1001-1006): era molto difficile reperire queste fonti all'epoca? E, se realmente era arduo definire un'attribuzione corretta, non è prevedibile una revisione dell'opera che indichi la corretta paternità dei brani ivi contenuti? EB
  23. Per quanto mi riguarda, la memorizzazione di un brano è frutto non tanto dell'esasperazione esecutiva, quanto dell'analisi ed interiorizzazione della partitura al di fuori della chitarra. Mi sono spesso ritrovato a studiare a memoria brani senza avere la chitarra tra le mani (in treno, in aereo, in autobus, in albergo... qualsiasi occasione è buona a patto di poter raggiungere un buonlivello di concentrazione). Fidarsi solo della memorizzazione delle combinazioni digitali (delle dita) è, a mio avviso, un pò rischioso: basta poco per non sapersi più raccapezzare. Questo, almeno, vale per me. EB
  24. A me???? Per cosa, di grazia? Non ho fatto nulla, né ho avuto parte nella stesura del libro (tanto meno ce ne sarebbe stato bisogno)... Ho solo espresso il mio parere, tale e quale è nel mio pensiero. Cordialità ermanno
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