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Piero Bonaguri

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  1. Mi sembra che le due cose non siano in contraddizione. Un allievo di conservatorio (finché rimane allievo) non è in grado di assumersi una responsabilità totalmente separabile dalla scuola di provenienza (a quel punto non sarebbe più un allievo ma un exallievo) ed il legame, oggettivo, sussiste anche a prescindere dalle dichiarazioni e dalle stesse intenzioni dell'allievo. Quando mi trovo in commissione d'esame mi pare evidente che quello che ascolto esprime anche la scuola di provenienza, oltre che la personalità ed il lavoro svolto dall'allievo (a meno che non si tratti di candidati privatisti autodidatti). Questo però non significa, di per sé, scoraggiare le esibizioni degli allievi; mi pare che la norma di cui sopra miri solo ad una forma di tutela della scuola a mio parere comprensibile. Nella mia breve carriere di studente di conservatorio di fatto non ho mai avuto problemi ad ottenere la suddetta autorizzazione. Che poi vada incoraggiata l'attività pubblica di uno studente di musica mi sembra quasi ovvio; un conto è chiedere all'allievo di non buttarsi via suonando cose per le quali non è ancora pronto (e la norma di cui sopra serve anche a questo, come pure il fatto che il docente abbia la responsabilità di selezionare gli allievi che presenta a saggi pubblici o esercitazioni) un conto è vietare o sconsigliare a priori il suonare in pubblico, cosa che francamente mi sembra almeno incomprensibile, se non addirittura sospetta.
  2. E' vero che un allievo che suona in pubblico espone oggettivamente non solo se stesso, ma anche l'insegnante, se non la scuola; per questo una vecchia norma in conservatorio impediva agli allievi di svolgere attività pubblica senza essere autorizzati dal direttore. Ciò detto, mi pare che un insegnante dovrebbe porsi lo scopo di mettere l'allievo in grado di suonare in pubblico appena possibile. Ci possono essere motivi per i quali qualcuno ama studiare uno strumento e suonare solo per sé, ma l'esperienza del suonare acquista completezza quando lo si fa per qualcun altro; nella mia esperienza tante idee interpretative nascono proprio dal contatto col pubblico. E può essere non necessariamente il pubblico pagante di una stagione concertistica, ma semplicemente qualche familiare o amico; anzi, suonare per gli amici per me in un certo senso è il massimo. Quando poi si tratti di scuole o allievi indirizzati verso la professione musicale, l'attività pubblica dovrebbe essere parte integrante del percorso di studi; un professionista della musica non si giudica infatti da quello che sa fare in privato, ma da come si esprime in pubblico, e questa cosa va imparata. Anche per questo nel conservatorio dove insegno cerco di programmare una esercitazione di classe ogni mese in orario di lezione. Non suonano sempre tutti, suonano quelli che hanno qualcosa di pronto. Se anche qualcuno perde la lezione di quella settimana perché coincide con l'esercitazione- cercando cdi fare in modo che non capiti sempre alla stessa persona! - in realtà partecipa ad una esperienza che ha anche un valore formativo.
  3. Non sono compositore e non ho fatto studi di composizione a livello professionale, per cui non posso parlare per esperienza personale. Ma, almeno a titolo di testimonianza, confermo il fatto che almeno tre dei compositori con i quali ho collaborato più intensamente credono nel sistema dell’insegnamento tradizionale dell’armonia. Oltre a Cappelli (che studiò con Manzoni) e Ugoletti (che studiò con Donatoni) c’è Molino, anch’egli allievo di Donatoni ed autore addirittura di un “ Manuale di Armonia Tonale” edito da Curci nel 1999. Nella prefazione al manuale Molino da’ le ragioni della sua posizione, che riporto in parte: “Nello studio e nell’insegnamento della composizione si nota oggi uno squilibrio notevole: si sviluppa molto l’analisi delle caratteristiche di un momento particolare del linguaggio tonale, talvolta addirittura di un momento particolare della produzione di un singolo autore e si approfondisce poco il linguaggio tonale nelle sue caratteristiche sintetiche. L’interesse filologico è patrimonio fondamentale del 20° secolo e ci ha insegnato a non ignorare mai l’esempio storico, occorre però non esasperarne l’importanza. Per imparare l’uso di un linguaggio è indispensabile l’apprendimento della grammatica e della sintassi. Così è anche negli studi di composizione riguardo al linguaggio tonale. Si spiega con quanto detto il quadro, spesso preoccupante, di tante scuole di composizione, che, sottolineando soltanto le differenze tra un autore e l’altro, non osano più riconoscere gli aspetti comuni, rinunciando ad un paziente ed indispensabile studio del linguaggio tonale. Ciò porta, in certi casi, a una notevole confusione e alla perdita della preziosa tradizione artigianale della musica tonale. Questa, spogliata dei vecchi assiomi di un certo insegnamento accademico – che saltava l’osservazione degli esempi storici – e ricondotta all’oggettiva struttura di un linguaggio così importante nel corpo della tradizione musicale che ci precede, è invece un passaggio obbligato per il compositore, per lo studioso e per l’interprete di oggi”
  4. Un bell’esempio di “dissonanze, ma non cacofonie!” è la musica - anche per chitarra – di Gilberto Cappelli. Cappelli è un compositore di matrice espressionista e la sua musica è caratterizzata da una enorme carica di tensione espressiva “lacerante” (è questa una parola che egli scrive spesso come indicazione espressiva all’interno delle sue partiture). Quest’anno una mia allieva, Alessandra Lucchi, ha presentato la sua tesi finale di biennio di secondo livello sulla musica per chitarra di Cappelli, in particolare sul lavoro “Cerco un Paese Innocente” su testi di Ungaretti. Alessandra ha inserito all’interno della tesi anche un’intervista al compositore, oltre che un’analisi del pezzo effettuata anche con l’ausilio di un ex allievo di Cappelli, Luigi Buda. E’ stato interessante scoprire che la musica di Cappelli, all’ascolto così vulcanica e dirompente, scritta “col cuore in mano”, si rivela poi all’analisi concepita con grande rigore strutturale; è stato possibile evidenziare una serie dodecafonica e diverse sue permutazioni. Interessantissima poi, anche se espressa con molta semplicità, la poetica di Cappelli che emerge anche dall’intervista. Viene detto che, una volta arrivati alla dodecafonia, il compositore si trova come davanti ad un bivio: il fatto che nessun suono della serie debba prevalere sugli altri undici può condurre al fatto che in definitiva nessun suono è importante – e tanta musica “dissonante” ha di fatto, seppure magari non teorizzandola, seguito questa strada - , oppure alla scelta opposta, di dare cioè importanza espressiva ad ogni suono della serie; questa è la scelta compiuta da Cappelli, a tal punto che quello che risalta immediatamente nella sua musica è la potenza espressiva. Il rigore nell’uso della tecnica compositiva c’è, ma è al servizio di questa espressività (questo si vede anche dal tipo di intervalli usati all’interno della serie). Non a caso il titolo della tesi di Alessandra Lucchi è “Una risposta al nichilismo”. Per quanto riguarda il substrato “artigianale” e di conoscenza dell’armonia tonale, Buda raccontava di un episodio capitatogli quando era studente di Cappelli in conservatorio a Cesena. Veniva proposta agli allievi una modulazione (da Do maggiore a Si maggiore, poniamo) e ciascuno di loro era invitato a sedersi al pianoforte per eseguire la sua modulazione: terminato il giro degli allievi, Cappelli ripartiva dal primo e gli chiedeva di farne un’altra, diversa dalla prima. Al secondo o terzo giro gli allievi cominciavano ad esaurire la tavolozza delle loro possibilità. A quel punto si sedeva al pianoforte Cappelli e ne faceva sentire loro forse un’altra decina…
  5. Con tutti i limiti di una breve risposta scritta, ci provo. Io parto sempre da uno stimolo musicale che il pezzo mi dà; questo può implicare l'averlo sentito, come spesso accade, ma in modo che l'eco di quel che ho sentito diventi una idea musicale che faccio mia. Quando ciò non è possibile, come nel caso dei pezzi di musica contemporanea "commissionati" ai compositori, cerco comunque di farmi subito un'idea sintetica del pezzo, oppure di parti di esso, leggendo ovviamente lo spartito, ma anche dialogando con il compositore finchè mi si accende la lampadina. Comunque parto da questa idea musicale che si forma in me, che poi, chiarendosi e definendosi durante lo studio, mi guida nelle varie scelte (ad esempio la diteggiatura). Riguardo i tempi di apprendimento, dipendono dai ritmi della vita lavorativa. In questo momento devo tenere d'occhio alcune scadenze anche lontane con programmi diversi,e lascio maturare lentamente le cose più lontane nel tempo guardandole ogni tanto, e concentrandomi su quelle che devo suonare a breve. Ero abituato a metterci più tempo ad imparare o ripassare i pezzi, ma adesso non posso più farlo perchè i programmi cambiano spesso, credo che su questo l'esperienza fa capire fino a che punto ci si può spingere. Amo studiare i pezzi suonandoli molto lentamente da capo a fondo, e fermandomi tutte le volte che c'è qualche intoppo, andando poi avanti fino alla fine; mi aiuta a non perdere l'idea globale. Mi piace anche studiare suonando pianissimo. Nessuno mi ha mai detto di farlo, mi sono trovato a farlo spontaneamente; mi pare che serva molto a non irrigidirsi ed a mantenere il controllo fine del suono e delle dinamiche. Ripensandoci, ho letto qualcosa in merito sul metodo Gieseking, che uso anche per la memorizzazione veloce. E' un libretto stampato anni fa che si può applicare, con le differenze del caso, anche ai chitarristi. Studiare lento in realtà implica pensare veloce, ascoltando ogni particolare in rapporto al tutto, ascoltando la propria resa e cambiando "al volo" quel che c'è da cambiare. Mi serve, poi, fare come nelle scale: suonare il pezzo prima lento e forte,e poi più piano e veloce; questo anche quando devo dare una rinfrescata a pezzi vecchi. Dedico tendenzialmente sempre un certo tempo alle scale, come praparazione ad una condizione fisica delle mani che risolve in partenza tanti problemi che si possono presentare nello studio dei pezzi. So che su questo ci sono idee discordanti, ma siccome non mi sono mai pentito di averlo fatto e mi sono sempre pentito di non averlo fatto per me il problema non si pone; mi serve e quindi lo faccio. Se trovassi un sistema migliore non avrei problemi a cambiare subito. Un'altra cosa che mi serve tantissimo è la "prima esecuzione": mi fa capire o verificare tante cose che finché non si esegue il pezzo in pubblico non si capiscono. Considero questa prima esecuzione una parte integrante dello studio di un pezzo; magari la chiamo anteprima e la faccio per amici. La cosa che mi pace meno quando ascolto altri suonare - specie i chitarristi - è la trascuratezza: di suono, di idee musicali..."Andiamo, non si sa dove" si diceva nel sessantotto...La cosa che apprezzo di più è quando si sente che ogni suono è pensato e deciso in funzione di una idea musicale chiara e convincente. Chiaramente questo influenza anche il mio modo di studiare e di insegnare. Cerco di studiare almeno cinque ore al cgiorno, spalmandole su tutta la giornata. Avrò dimenticato un sacco di cose in questo frettoloso raccontino, magari mi vengono in mente in seguito.
  6. Riguardo la caomplessa questione della altezza, quello che ho capito è che nel rinascimento parlare di pezzi scritti per liuto in sol o vihuela in la era un'accorgimento o necessità collegato al sistema modale in uso allora ed al fatto che ogni pezzo era concepito in uno (o più) dei modi o toni eccelsiastici allora in vigore (es. "Fantasia del Quarto tono"). Era, quindi, una preoccupazione dettata da una esigenza di coerenza di natura teorica che nulla aveva a che vedere con l'altezza "assoluta" a cui siamo abituati a pensare noi. Quando noi diciamo "Re" intendiamo una frequenza determinata, (certo il diapason nel tempo si è anche alzato, e questo è un ulteriore problema), mentre nel rinascimento "Re" era la prima nota del primo modo, non coincideva necessariamente con un'altezza determinata (da qui il consiglio empirico di Milàn su come accordare una vihuela, consiglio che altrimenti non si capirebbe: tirare la corda né troppo, perché non si rompa, né troppo poco, perché se no non suona!). In una trascrizione di tipo musicologico è giusto rispettare la "altezza teorica" per evitare incongruenze - ad esempio, che in un pezzo si trovino delle alterazioni che nel rinascimento non si usavano o erano addirittura inconcepibili (per questo motivo, credo, il grande musicologo Willi Apel difendeva la prassi di trascrivere ogni pezzo nella sua altezza teorica) . Ma, siccome in realtà in questa musica il problema della altezza "assoluta" non si pone - nel senso che non se lo ponevano allora - quando si tratta di eseguirla oggi mi pare che non sia il caso di cercare una autenticità che in realtà è più che altro un fraintendimento.
  7. Ho usato poco lo Zoom H4, ma ho notato che la qualità audio, che non mi sembrava particolarmente alta registrando sulla card interna ed ascoltando con la cuffia collegata alla uscita cuffia dell'unità, si è rivelata molto buona quando ho collegato l'unità ad un laptop (usando l'h4 praticamente come scheda audio e registrando direttamente sull'hard disk del portatile; questa funzione non è utilizzabile dal diretto concorrente dello Zoom, che è il portatile Roland di pari dimensioni). In realtà non dovrebbe cambiare praticamente nulla o quasi (almeno così mi pare); ma di fatto, collegando una buona cuffia al portatile e riascoltando da lì, il risultato mi ha impressionato e mi è sembrato paragonabile a quello che ottengo in analoghe condizioni con microfoni esterni e scheda audio (che costano da soli ben più dello Zoom). Quindi io consiglierei di testare il prodotto nelle condizioni migliori (forse le sue uscite cuffia non sono fantastiche e danno l'impressione che la macchina abbia una qualità audio inferiore a quella che ha veramente), usandolo come scheda audio e registrando su pc con un buon software di registrazione, ed ascoltando poi il risultato con una buona cuffia o buone casse monitor. Oppure, se si usa da solo, giudicare il risultato solo dopo aver trasferito i dati su hard disk e ascoltando con un impianto adeguato.
  8. Ho premesso un prudenziale "francamente non vedo..." Per cui non mi pare di essere stato avventato; sarei molto lieto di sbagliarmi, anche se forse, dopo quasi trent'anni di insegnamento in conservatori e corsi vari, nonché di presenza in commissioni d'esami in tanti conservatori, da Verona a Sassari, forse il mio punto di vista è più supportato da esempi di quello di un giovane allievo di conservatorio. Poi non è vero che in un normale corso di solfeggio un chitarrista legge allo strumento musica scritta su due sistemi; quello che si fa normalmente nei corsi di solfeggio è proprio un'altra cosa. Di fatto vedo che normalmente all'ottavo anno il chitarrista fa una gran fatica anche a leggere a prima vista un facile pezzetto di poche righe scritto in chiave di violino. Le eccezioni che ho incontrato nella mia esperienza ormai abbatanza vasta sono purtroppo rarissime.
  9. Riguardo la domanda di Fabio Selvafiorita, per me fu illuminante la lettura di una relazione di Otto Gombosi tenuta decenni fa ad un convegno di musicologia e dedicata appunto alla complessità ritimica della musica di Francesco da Milano. C'erano esempi musicali tratti da qualcuna delle più note fantasie di Da Milano e veniva mostrato come, per rendere giustizia al fraseggio di questa musica, sarebbe necessario ricorrere a continui cambi di indicazioni metriche. Se non vado errato, anche nel volume di Bogdanovic dedicato al contrappunto (Ed. Bérben) si trova qualche esempio di questo tipo. La apparente "monotonia" di tanta musica rinascimentale rivela così una complessità e ricchezza stupefacente.
  10. E' vero, mi sono espresso male. Diciamo che è una edizione poco pratica se uno ha bisogno semplicemente di trovare qualche pezzo utile per l'esame, che è l'argomento di cui stiamo parlando qui (tra l'altro i pezzi sono trascritti nella altezza "teorica" che avrebbero se suonati su uno strumento non in mi, ma, poniamo, in la o in sol; per cui per arrivare ad una versione utilizzabile bisogna anche trasporre: francamente non vedo un allievo "medio" imbarcarsi, specie coi tempi che corrono, in questa fatica magari solo per capire se il pezzo gli interessa ai fini dell'esame). In più sembra che tutt Fuenllana sia in due quarti! La sottigliezza e complessità ritmica di questa musica meriterebbe una trascrizione in cui non si faccia coincidere sempre la nostra stanghetta di battuta con quella della intavolatura, ma , appunto, qui le cose si complicano veramente tanto per il povero studente di ottavo anno. Io comprai il volume ordinandolo per posta tanti anni fa, pagai circa 140.000 vecchie lire e mi lessi tutto alla chitarra, poi alcuni pezzi li ho trascritti e anche incisi in un disco. E sono d'accordo che imparare a leggere sui due sistemi - tra l'altro nella altezza reale e non trasponendo all'ottava bassa la chiave di violino come siamo abituati a fare noi -è un 'esercizio utilissimo anche se non contemplato dai programmi ufficiali. Si impara a poter leggere una quantità enorme di repertorio alla quale normalmente il chitarrista non si avvicina neanche ( tantissime musiche per liuto sono pubblicate solo sui due sistemi, per non parlare dei virginalisti, eccetera).
  11. Credo che molto sia disponibile gratuitamente e legalmente sul web. Per esempio una bella Fantasia di Fuenllana trascritta da Tim Brace, se non sbaglio. Esistono alcune integrali stampate, ma sono un po' costose: Milàn e Francesco da Milano furono pubblicati da Suvini Zerboni, Mudarra recentemente da Ut Orpheus di Bologna, Narvàez da Editorial Alpuerto di Madrid, dopo la storica edizione di Pujol reperibile più facilmente in biblioteca (a Bologna c'è). Una edizione moderna completa di Fuenllana manca, ed è un vero peccato. Ce n'è una della Oxford University Press, ma è una edizione musicologica curata da Jacobs poco utile ad uno studente di chitarra - i pezzi sono trascritti su due sistemi, in chiave di violino e basso - e costosissima; un vero peccato. Esistono poi alcune antologie parziali (Suvini Zerboni, una di Ricordi edita da Eliot Fisk, il volumetto sulla Spagna curato da Teuchert e temo ormai esaurito, ed altre di cui al momento non ricordo gli estremi a memoria.
  12. Va bene. In quel pezzo c'è il "rilevante impegno contrappuntistico" richiesto dal programma. Certo, tra i vihuelisti Milàn non è quello dal contrappunto più intricato (mentre le Fantasie di Narvàez e Fuenllana sono quasi tutte dei piccoli Mottetti strumentali), ma credo che la Fantasia n° 9 sia una scelta inattaccabile per l'esame di ncompimento medio.
  13. Il problema è che né Bach né Weiss hanno scritto per liuto rinascimentale a sei cori, come espressamente richiesto dal programma ministeriale che, inspiegabilmente, in tanti non leggono con attenzione. Se anche chiude un occhio la commissione , si tratta di una irregolarità verbalizzata che potrebbe saltar fuori anche in futuro. Io eviterei.
  14. Se Dalmi è già iscritto da qualche parte, per cambiare conservatorio dovrebbe fare una domanda di trasferimento, oppure ritirarsi (ma credo che i termini siano scaduti), fare l'esame di ottavo da privatista ed riiscriversi dove vuole lui.
  15. Intanto mi sbilancio nel dire che si tratta di una ammissione con fortissime possibilità di buon esito; tecnicamente è una ammissione al corso superiore, una volta che il compimento medio sia stato conseguito. Credo sia sufficiente presentare brani tratti dal programma d'esame del medio, soprattutto se l'esame del medio viene sostenuto adesso, nella sessione estiva; nessuno può pretendere che in poco tempo uno che ha appena fatto il medio metta su i pezzi del corso superiore prima di iniziare a farlo; direi che suonare bene qualche cosa tratta dal programma del medio, una volta che il medio sia stato assolto, dovrebbe senz'altro bastare.
  16. Intendevo dire che il pezzo non deve essere troppo facile per l'ottavo: infatti il programma parla di "rilevante impegno contrappuntistico". Potrebbe esserci qualche problema se si tratta di un pezzo troppo facile e breve (il fatto che sia lento, giustamente, di per sè non vuol dire che non sia abbastanza difficile). L'importanza e la statura artistica dell'autore sono comunque fuori di dubbio, ci mancherebbe! Quindi da quel punto di vista la scelta è ottima. Occhio solo alla difficoltà e all'impegno contrappuntistico del pezzo in questione.
  17. E' appropriatissimo, purché il livello di difficoltà sia adeguato (di solito lo è, anzi!)
  18. Ho letto il messaggio di Manu (posso seguire poco il Forum, ma qualcosa leggo!). La cosa su Aristotele mi ha un po' provocato. A scanso di equivoci io direi come la vedo così, prendendola un pochino alla larga: La storia della cultura e quindi anche della chitarra mi pare la facciano le idee, le scoperte, le genialità si potrebbe dire. Riconoscere una genialità quando appare è utile, se non altro aiuta a non perdere tempo. Da lì poi si può andare avanti (chi è capace di farlo): riconoscere una genialità non blocca, anzi apre, aiuta a camminare! Per stare sull'esempio (ma non sono un esperto, mi scuso): non direi che partire da Aristotele abbia bloccato l'intelligenza di San Tommaso! O partire da Platone abbia bloccato l'intelligenza di S. Agostino. Se invece ciascuno dovesse ogni volta ripartire da capo, allora sì che la cultura e la civiltà non avanzerebbero...E' vero, ci sono anche i pecoroni, che seguono senza capire; ma il problema , appunto è capire, se no seguire o non seguire non è che sia molto diverso, in fin dei conti. Ma in questo campo non è come vedere chi corre più veloce i cento metri: in quel caso tutti lo capiscono subito, basta un cronometro e macchine adeguate. Nella cultura è diverso: riconoscere un valore dipende dalla sensibilità, dalla educazione del gusto, dall'amare il vero più del proprio tornaconto, eccetera. (E se perfino in campo scientifico Pasteur doveva ripetere sempre i suoi esperimenti perché nel mondo accademico non volevano ascoltarlo, ci han messo un sacco di tempo a dargli ragione...). Io, per quello che ho capito della chitarra, mi permetto di dire, assumendomene tutta la responsabilità, che l'apporto di conoscenza alla tecnica della chitarra moderna data da Segovia è di una utilità incalcolabile, per non parlare di altri aspetti più profondi.Da 25 anni ci scavo dentro, scoprendo sempre più. Se lui avesse scritto un metodo, del resto, credo che tutti lo comprerebbero. Negli anni 50 in una intervista dichiarò di averlo fatto, ma il metodo non si è visto. Quel che c'è sono le 24 scale diatoniche (con la prefazione che è ne parte integrante), i 20 studi di Sor (anch'essi con la loro prefazione); gli esercizi sulle legature (idem), qualche indicazione contenuta in un disco della MCA, e poco altro. E poi ci sono le diteggiature. Io da anni le studio con meraviglia; ci sono in esse dettagli che - mi assumo ancora le mie responsabilità nel dichiararlo - rivelano la mano e la mente del genio, fin dalle cose degli anni '20. Potrei fare numerosissimi esempi, un po' li ho documentati e motivati nel mio corso di editing che ho tenuto in conservatorio a Bologna l'anno passato. Lo stesso Segovia poi cambiava spesso le sue diteggiature, era un processo in continua evoluzione anche per lui; comunque, partire da quelle pubblicate è già qualcosa, i criteri sono quelli che si possono intuire là, usando l'intelligenza. Segovia in queste pubblicazioni sulla tecnica o gli studi era parco di parole come lo era nell'insegnamento - chi ci è passato direttamente, come me, lo sa. Bisognava leggere tra le righe, o capire da una parola tante altre cose, o interpretare una battuta o una espressione; anche qui, si potrebbe dire: "chi vuole, capisca". Chi non vuole, padronissimo di gettare al macero tutto; io ribadisco che a mio giudizio sarebbe un peccato, come sperperare un patrimonio: è oro puro e invito ad approfittarne con intelligenza. Provare per credere. Piero Bonaguri
  19. Per rispondere alla domanda originale, sicuramente è di aiuto imparare ad usare anche il peso del braccio sinistro nei cambi di posizione. Il movimento eseguito usando il peso del braccio è più sciolto e veloce, di norma, di quello ottenuto solo impiegando i muscoli. A volte infatti si usa più pressione muscolare di quella richiesta, e si usa meno di quel che si potrebbe il peso del braccio, il che comporta un irrigidimento che fa muovere il braccio meno velocemente, oltre a creare altri problemi. Devo ad una illuminante lezione di Oscar Ghiglia alla Accademia Chigiana, tanti anni fa, una spiegazione per me abbastanza completa di come imparare ad usare il peso del braccio (sinistro e destro) e della mano (sinistra e destra). Quella cosa cambiò proprio il mio modo di studiare.
  20. Ciao Angelo. Molto interessanti le tue osservazioni sui due modi di comporre, partendo dal basso (Sor parla spesso, nella edizione inglese del Metodo, di "base") oppure, più modernamente, dal mettere a fuoco una linea melodica, e sui diversi stili di scrittura chitarristica. La citazione su Sor dalla intervista segoviana a Company continuava: <<...: e un grande critico francese della sua epoca lò chiamò (con grande esagerazione!) "il Beethoven della chitarra". Però, anche se c'era esagerazione, il solo fatto che il più grande critico della Francia di quei tempi lo paragonasse a Beethoven, è già abbastanza...>>. Su Segovia e Giuliani me ne è venuta in mente un'altra: al corso di Ginevra del 1982 un allievo suonò a Segovia una Rossiniana; Segovia lo ascoltò e poi gli disse: "Le consiglio di portare a casa questa musica e, se possibile, di perderla" (!) Ho citato tutte queste cose perché il dibattito stava prendendo una piega anche storica e mi sembravano interessanti un po' di testimonianze dirette. Riguardo l'osservazione di fernando sulla mentalità chitarristica "superata" sarebbe un discorso un po' lungo; ma credo che ( mi perdoni fernando) ovvietà come queste, diffuse senza tenere conto di tutti i fattori e diventate tra noi mentalità dominante, con tutto quello che poi si è innescato, siano anche responsabili della situazione non felicissima della chitarra nel mondo musicale di oggi. Come parere personale sono d'accordo che la questione "Sor o Giuliani" è malposta. Credo inoltre che sulla musica di Giuliani per chitarra sola sia stata posta a partire dagli anni settanta- ottanta un'enfasi eccessiva (musicalmente parlando, mi pare che il Giuliani migliore sia quello dove la chitarra è assieme ad altri strumenti o alla voce: ad esempio i Lieder con testi tedeschi, il Concerto Op.30, la Sonata in mi minore per violino e chitarra; nei pezzi per chitarra sola, tranne qualche felice eccezione come ad esempio la Sonatina Op. 71 N°3, trovo la musica di Giuliani, in genere e come valori musicali "assoluti", meno interessante). Mi sembra poi che alcune cose di Sor, come ad esempio il Minuetto Op. 11 N°1, oppure Op. 13 N° 1 - per fare solo due esempi - possano veramente figurare con dignità anche davanti alla grande musica strumentale di quel tempo. E non mi pare poco... Dal punto di vista didattico, mi pare ci sia una ulteriore valutazione da fare. Nei primissimi corsi di studio, se gli allievi sono anche molto giovani possono non cogliere facilmente il valore musicale di alcuni studi di Sor (Op.60, Op.31) ed essere più sensibili all'aspetto di "gioco strumentale" , anche se meno impegnativo musicalmente, contenuto in alcuni studi di Giouliani. Probabilmente devo tenere conto maggiormente di questo aspetto, qualche allievo mi ha rimproverato di usare troppo poco Giuliani con i piccoli... Del resto, non sarà un caso se Giuliani vendette il suo Metodo Op. 1 all'editore Artaria per 600 fiorni (lo stesso prezzo della settima Sinfonia di Beethoven), mentre Schubert vendette la Wanderer per 20 fiorini...
  21. Sull'argomento Segovia - Giuliani - Sor posso citare due testimonianze? La prima: in una intervista rilasciata ad Alvaro Company nel 1982 e poi pubblicata sulla rivista dell’Accademia Musicale Pescarese (se non erro), Segovia dice – cito testualmente - che "Giuliani, per esempio, era sì un buon compositore, ma la qualità della sua musica è, nondimeno, un po' inferiore alla sua tecnica di compositore". E poco più avanti: "Invece Sor, che non aveva la tecnica compositiva di Giuliani, era senza dubbio un enorme artista. Ci sono opere sue che sembrano di Beethoven giovane...". La seconda fonte è un colloquio che ebbi l'onore di avere con Segovia nella sua casa di Madrid, poco prima della morte del Maestro. Segovia, probabilmente in linea con quanto affermato nella intervista a Company, mi disse che le cose migliori di Sor sono alcuni pezzi brevi, come certi minuetti, mentre non apprezzava le Sonate.
  22. Fuenllana è un grande contrappuntista e moltissime tra le sue Fantasie hanno una durata ridotta. Anche le prime Fantasie del libro di Narvaez (che non segue l'ordine progressivo di difficoltà: le prime Fantasie sono più difficili delle ultime) sono impegnative dal punto di vista contrappuntistico e abbastanza brevi; in genere la musica di Narvàez è più adatta ad essere suonata in un recital rispetto a quella dell'austero e grandissimo Fuenllana.
  23. Avevo premesso un "mi pare" proprio perché non ero sicuro al cento per cento; ringrazio Butterfly per la precisazione! Piero Bonaguri
  24. Coincide con le informazioni che ho io: una qualsiasi laurea va bene. Mi pare che questo valga per tutti i bienni specialistici di tutte le università italiane.
  25. Gli studi di Sor sono stati scritti per uno strumento decisamente più corto del nostro e non c'è da meravigliarsi del fatto che alcuni, come quello citato, possano creare qualche problema di estensione se eseguiti su una chitarra moderna; Il Valzer N° 3 di Lauro dovrebbe invece poter essere eseguito abbastanza agevolmente su una chitarra 65 da una mano "normale". Bisogna poi vedere se la mano viene impiegata al meglio: la posizione e la tensione incidono sulla estensione, che d'altra parte dipende sia da fattori costituzionali che dall'esercizio. Prima di cambiare strumento occorrerebbe verificare con persona competente se il cambio sia proprio necessario; nel caso, si può fare e certamente ci sono liutai che costruiscono chitarre più piccole su commissione.
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