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Angelo Gilardino

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  1. Il progresso delle scuole chitarristiche in atto da almeno mezzo secolo a questa parte ha innalzato molto l'aspetto tecnico-meccanico e, in misura minore, ma pur ragguardevole, ha dato luogo anche a un approfondimento nella capacità di leggere i testi musicali al di là della pura e semplice decifrazione: sebbene in minoranza, esistono oggi docenti di chitarra in grado di guidare gli studenti a una lettura analitica della musica e anche a una visione prospettica, in senso storico, del repertorio. Quindi, il livello medio dei chitarristi di oggi è indubbiamente molto superiore a quello di 50 anni fa, e più arduo è divenuto il distaccarsene, eccellendo al disopra della media. Credo che i giovani maestri che oggi si affacciano alla vita concertistica disponendo di mezzi eccezionali non corrano il rischio di un'omologazione, anzi! Per stare tra nomi a tutti familiari, perché italiani, non vedo come un Lorenzo Micheli possa sembrare omologo di un Luigi Attademo (pesco due nomi tra gli eccellenti della generazione dei quarantenni di oggi, che è ricca di altri dotatissimi maestri). Venerdi scorso sono andato a Busto Arsizio ad ascoltare quello che credevo essere uno dei tanti bravissimi - ma dopo un minuto dall'inizio del concerto mi sono reso conto di trovarmi di fronte a un artista unico, un fuori categoria che non ha nulla da invidiare ai migliori pianisti, violinisti, violoncellisti suoi coetanei: è del 1981 e, pur tenendo le antenne dritte, non l'avevo mai sentito. Questo dimostra quanto sia arduo, oggi, emergere, e difficile il farsi apprezzare in modo corrispondente al proprio merito. Con un tipo del genere, c'è poco da omologarsi, le cose che fa lui, come lui le fa, non le può fare nessun altro. Ascolto da una vita i "Preludios" di Ponce, e da 23 anni la "Sonata" di Antonio José, e posso assicurare che non avevo mai udito nulla di simile. Si chiama Lukasz Kuropaczewski. dralig
  2. L'interprete che si ingegna di far risaltare tutti gli aspetti dell'opera che esegue non corre alcun rischio di cancellare sé stesso e i valori peculiari della sua arte. Se il suo livello è effettivamente molto alto, può riuscire a cancellare ogni traccia esteriore della sua bravura, ogni residuo di sforzo e, ovviamente, ogni tratto esibizionistico. Ma non potrà mai - né lo vorrebbe - nascondere le prerogative del suo stile - dal fraseggio alla tavolozza timbrica, dalla cavata alla gamma dinamica, etc. dralig
  3. I chitarristi dotati di personalità sono individualmente ben caratterizzati e riconoscibilissimi, come accade in ogni altra categoria di strumentisti. Anzi, è più facile riconoscere il suono di un chitarrista che quello di un pianista. dralig
  4. Dopo aver sottolineato la differenza tra le trovatine idiomatiche del chitarrista che s'improvvisa compositore (e, beato lui, crede di esserlo) e la composizione "vera", è giusto ammettere che è stata scritta, dall'avvento di Segovia in poi, molta musica per chitarra che, impeccabile dal punto di vista formale, risulta carente dal punto di vista idiomatico, e si manifesta in termini di pura e semplice compatibilità con la chitarra. Il che non basta. La musica strumentale non può eludere la proprietà idiomatica. In altre parole, un brano scritto bene per chitarra deve suonare nella chitarra più propriamente che in qualsiasi altro strumento. Non è così per parecchie "bagatelle", che un pianista può leggere d'acchito nel tempo giusto e con soave scorrevolezza, mentre il chitarrista più bravo riesce appena a far capire come potrebbero suonare, ma non suonano. Quindi, in estrema sintesi, la specificità della composizione chitarristica consiste nell' "interpretare" a fini musicali (cioè formali) elementi dell'idioma chitarristico scoperti o inventati dall'autore. Se non c'è costruzione musicale e gli elementi idiomatici restano dei mattoni; se c'è costruzione musicale senza proprietà idiomatica, l'edificio risulta inabitabile. Nelle mie lezioni di composizione chitarristica spiego, ricorrendo a molti, efficaci esempi tratti dalle opere dei maestri del passato, da Sor a Villa-Lobos, come un elemento idiomatico può essere utilmente "interpretato" dal compositore a fini propriamente musicali. Comporre è un mestiere serio, e comporre per chitarra è un mestiere specialmente serio. dralig
  5. Se ti interessa una lezione sui particolari criteri compositivi che, nella storia della musica, sono stati impiegati dai grandi maestri nella creazione di opere didattiche (criteri diversi da quelli adoperati per la composizione "libera") e, nel particolare, riguardo all'uso della progressione - anche negli studi per chitarra -, sui suoi valori didattici, sulla disciplina che ne deve regolare la pertinenza formale, sulla sua efficacia "estetica", e sui limiti e rischi connessi, sono a tua disposizione. Come sempre, con le musiche in mano, e le matite colorate per l'analisi. La musica è il mio mestiere, e non chiedo di meglio che esercitarlo. Quanto alle critiche, un autore che pubblica le sue opere le accetta un linea di principio e non discute direttamente il loro contenuto. Se poi vengono formulate da personaggi che, come tutta preparazione in campo compositivo, possono esibire un diploma di chitarra, le ragioni per astenersi da ogni considerazione si moltiplicano, e si riassumono efficacemente nel verso del Sommo Poeta: "Ché perder tempo a chi più sa più spiace". dralig
  6. Un mattone non è una casa, e non lo è nemmeno un mucchio di mattoni. Chiunque suoni la chitarra può, tentando le corde per gioco, "trovare un mattone". E poi trovarne un altro, e altri ancora. Il punto non è scovare, frugando nel reticolato corde-tastiera, qualche granello di pepe o qualche zuccherino. Il punto è metterli insieme, com-porli, in modo che abbiano un senso musicale: fino a che non si ergono in muri e in pareti, i mattoni non servono a niente. E' molto istruttivo, per gli studenti, essere guidati nella comprensione del processo che trasforma "il ritrovamento del mattone" in un'idea musicale, e un'idea musicale in premessa, o argomento da sviluppare (tema) o da iterare cambiando continuamente punto di vista (variazioni). L'osservazione di questo processo abilita lo scolaro a capire il discorso musicale e, in esso, la forza, l'ampiezza, l'originalità, la coerenza dell'artefice che l'ha costruito. O le sue debolezze. dralig
  7. Domanda impegnativa. No, non sento questo limite, perché sono nato contemporaneamente come chitarrista e come compositore. Subito dopo l'esame di solfeggio, incominciai lo studio della composizione, anche se allora non immaginavo di servirmene per comporre a mia volta, ma solo per comprendere a fondo la musica - quella che suonavo e che leggevo in partitura. Quindi, fin dai primi abbozzi compositivi per chitarra, imparai a forgiare i materiali in dimensioni e in proporzioni intrinsecamente chitarristiche, pensate nella "geografia" dello strumento. Il senso di limitazione che Lei descrive può essere patito - e ho conosciuto situazioni in cui certamente lo era - da compositori abituati a lavorare con l'orchestra, con il pianoforte, con l'organo: costoro pensano naturalmente in dimensioni e proporzioni molto più ampie di quelle in cui "nasce" il brano pensato da un compositore che sia anche chitarrista. Il punto, quindi, non è evitare di urtare delle barriere liminari, ma pensare in modo che queste non appaiano mai. Dipingere un quadro nel modesto formato di 40x50 centimetri è un limite solo se il pittore è nato come un affreschista e si è formato dipingendo pareti e volte. Uno dei rischi che ho avvertito, scrivendo per "il mio strumento", è invece quello di rimanere impigliato nell'idioma, perdendo di vista l'obiettivo essenziale del comporre, che è quello della forma musicale. Il limite - questo sì - in cui muore - ancor prima di nascere - la maggioranza delle musica scritta dai chitarristi, è quello di essere priva di forma, e di consistere soltanto in successioni di gesti idiomatici privi di un nesso costruttivo. Per distinguere un brano di musica per chitarra da una successione di gesti chitarristici annotati, basta - al musicista esperto - un'occhiata a una pagina, come a un architetto basta uno sguardo per capire se un edificio è stato progettato da un suo collega o costruito senza progetto, a spanne, da un muratore. dralig
  8. Gli studi verranno pubblicati entro l'anno. Ho appena finito di comporli, adesso devo curare la scrittura delle articolazioni, delle legature, delle dinamiche, dell'espressione; e poi l'impaginazione, che preparo di persona, inviando all'editore il testo bon à tirer. Fino al 1980 si, per comporre mi appoggiavo alla chitarra - ma scrivevo pochissimo. Da quando ho iniziato a comporre gli "Studi di virtuosità e di trascendenza" (1981), ho preferito scrivere a mente, e fino al 1995, l'anno in cui ho imparato ad adoperare i programmi di notazione musicale computerizzata, ho lavorato sempre e solo a mente. Successivamente, ho imparato a servirmi del playback, che adopero come correttore di bozze: ascoltando quello che scrivo, individuo i "lapsus calami" e li correggo. Il primo concerto per chitarra e orchestra, però, fu scritto nel 1996 durante i corsi estivi di Chatillon a memoria (non avevo con me una chitarra e tanto meno un computer). dralig
  9. Ieri, venerdi 16 maggio, ho concluso la composizione degli "Studi brillanti" per chitarra. Si tratta di dodici brani legati a specifiche finalità didattiche, descritte nei sottotitoli. Essi costituiscono il seguito della raccolta dei venti "Studi facili" (Edizioni Curci) e riflettono le mie convinzioni e le mie aspettative riguardo a quello che sarà il livello tecnico e musicale dei giovani chitarristi del prossimo futuro. Come spesso dichiaro a chi lamenta la difficoltà dei miei Studi, anche di quelli "facili", ho lavorato per l'umanità di domani, non per la gente di oggi. Ho lavorato per gli studenti che non accettano i loro limiti e che amano le sfide. Per indole, non sono un compositore divertente, e ancora meno lo divento quando, alla volontà di manifestare in musica il mio modo di essere e di pensare, si associa la responsabilità di insegnare qualcosa a chi mette la mia musica sul leggio. Angelo Gilardino
  10. Caro Christian, scriveva Vincent al fratello Theo: "Noi possiamo parlare solo attraverso i nostri quadri". Per questa ragione, trovo del tutto inutile spendere parole riguardo alla mia musica, essendo la medesima tutta pubblicata, quindi leggibile. Posso - e lo faccio - fornire qualche informazione circostanziale a chi mi rivolge domande sui miei pezzi (il significato di un titolo, dei dati sulle registrazioni di cui sono a conoscenza, etc.), ma evito accuratamente di entrare nell'area in cui potrebbe prendere forma una qualsiasi considerazione intorno al significato e al valore di quello che ho composto: deve parlare - e parla - da sé, sul leggio. Ogni parola che potrei aggiungere, servirebbe soltanto a manifestare il mio timore che quello che ho composto non sia di per sé sufficiente a rivelare quello che avevo in mente e quello che sono. E io questo timore non lo provo. Similmente, evito - nel modo più assoluto - di invitare qualunque categoria di interpreti - chitarristi, strumentisti, direttori - e di organizzatori a prendere in considerazione le mie opere per i loro programmi, e anzi considero questo genere di auto-promozione un indizio fortissimo della pochezza degli autori che a essa fanno ricorso. Non esiste interprete a questo mondo che, avendo eseguito musica mia, possa affermare di averlo fatto su mia richiesta o sollecitazione,.Nemmeno nell'attività di docente ho mai proposto a un allievo di imparare uno dei brani che pure ho composto con finalità didattiche. Inutile a dirsi, non ho mai esercitato la benché minima pressione per ottenere l'attenzione di critici, autori di recensioni, etc., e i rapporti che intrattengo con l'editoria musicale sono improntati alla stima e alla fiducia che mi è stata apertamente manifestata dai singoli direttori editoriali, ai quali - grazie al cielo - non ho mai tirare la giacca perché si accorgessero di me. Questo modo di essere e di agire accompagna da sempre la mia musica e segna come un marchio stlistico intrinseco alla medesima la sua diffusione nel mondo. Christian Saggese, sei un grande chitarrista perché Iddio ti ha fatto tale e perché il tuo lavoro ha realizzato la volontà del Creatore: io sono stato il tuo maestro, e se qualcosa da me hai imparato, lo hai fatto osservando il mio comportamento assai più che ascoltanto le mie parole. Tu sai che la musica rivela tutto di chi l'ha scritta, intus et in cute. Quindi, sai tutto di me, perché la mia musica la suoni. E la suoni perché hai deciso di suonarla, non perché io te l'abbia mai chiesto. Il personaggio che ti si accosta insinuando sospetti sulla mia musica che fa parte del tuo repertorio invece non immagina che a questo mondo esistano autori come me, che si affidano unicamente alle loro opere, e interpreti come te, che scelgono fidando soltanto nel loro giudizio. Ciao. Angelo Gilardino
  11. Si sono spese molte discussioni a proposito degli artifici che, in sede di editing delle registrazioni, farebbero apparire come grandi virtuosi anche delle mezze tacche. Non intendo entrare nel merito di questioni che nessun dibattito ha mai potuto dirimere, anche se, al riguardo, nutro convincimenti ben precisi. Quello che mi piace fare adesso è pubblicare questo link a un file audio. Contiene la registrazione "dal vivo" di un brano eseguito da Christian Saggese durante il concerto che ha tenuto il 23 febbraio 2014 a Bisignano, nel festival di chitarra svoltosi per la riapertura della scuola di liuteria intitolata ai fratelli De Bonis. Ero presente al concerto, e del resto la registrazione non lascia al riguardo adito a dubbi sul fatto che si stia ascoltando il chitarrista come effettivamente suona in pubblico, senza manipolazioni dell'editing. Reputo superfluo ogni commento, salvo uno: l'eccellenza non ha bisogno di aiuti tecnologici, anzi, il miglior servizio che le si può rendere è farla apparire qual è. Davvero. https://soundcloud.com/angelo-gilardino/gilardino-mozartiana-n-1-for-guitar dralig
  12. La risposta è ovvia. MCT scriveva su biglietti postali pieghevoli le lettere brevi, il cui argomento poteva essere esaurito in una facciata - anche se talvolta aggiungeva PS in verticale nei margini lasciati liberi dalla scrittura ordinaria - e adoperava invece carta da lettera leggera, da posta aerea, quando voleva scrivere lettere più lunghe, riguardanti temi che non potevano essere esauriti nello spazio limitato di un biglietto postale. Passando ad altro tema, credo che non ci sia motivo per astenersi dal pubblicare lettere di personaggi storici, quale che sia la loro incandescenza. I permessi verranno accordati: lo do per certo. dralig
  13. Infatti, nessuno l'ha mai fatto; né alcuno ha mai contestato a chi preferisce seguitare a comporre con carta e penna il sacrosanto diritto di farlo. Le argomentazioni a favore della notazione musicale computerizzata sono state addotte in riferimento al lavoro in sé - cioè a quel che si può fare con i diversi sistemi di scrittura da parte di chiunque, non da parte di Tizio e di Caio, che possono tranquillamente continuare a zuccherare il caffè o a sorbirlo amaro, a loro incontestabile piacimento. A margine: Castelnuovo-Tedesco talvolta scriveva su carta azzurra (cioè adoperando i biglietti postali che, a scrittura terminata, si richiudevano su sé stessi come delle buste), ma adoperava anche - e molto spesso - normalissima carta da lettera bianca e leggera, appositamente creata per la posta aerea. dralig
  14. L'indispensabile e insostituibile testa, al cui interno sono custoditi i segreti di ogni arte, trova nel computer - o, per chi lo preferisce, nel pianoforte - solo degli specchi, non delle appendici esterne funzionanti a mo' di cervello. Apple non ha ancora comperato il brevetto di Domeneddio. Inutile constatare il fatto che la qualità media delle composizioni scritte da quando esistono Finale e Sibelius - nel campo, per esempio, della musica per chitarra, sotto i nostri quotidiani sguardi - non è affatto migliorata; anzi, si potrebbe affermare che, da questo punto di vista, l'avvento dei programmi di notazione musicale ha contribuito a far crescere il cumulo dell'immondezzaio. Potremmo, my dear Marcello, concludere che il computer e i relativi programmi di notazione sono utilissimi soltanto a coloro che, per comporre qualunque brano per qualunque organico, ne potrebbero fare disinvoltamente a meno? Io credo di si. Ma, se stai per comporre una partitura per orchestra, a lavori conclusi mi saprai dire quanto tempo hai risparmiato nella preparazione delle parti - e quanti rischi di lapsus calami hai scongiurato - servendoti di Sibelius invece che della tua opera di amanuense. E con quanta tranquillità avrai mandato al direttore tali parti, serenamente sicuro del fatto che Sibelius è letteralmente incapace di scrivere nella parte di oboe un bequadro che in partitura è invece un diesis: cosa della quale la tua (nostra) mano, fallace e impudica, è capacissima, senza che con ciò risulti sminuita la qualità del tuo pensiero musicale. Addirittura, se il tuo puntiglio ti spinge alle soglie dell'acribia, ti sarai potuto permettere di ascoltare, con Sibelius, ogni singola parte, alla ricerca di ogni minimo accroc. E ti sarai così guadagnato, in vista delle prove d'orchestra, i sonni più tranquilli. Non sarai diventato un compositore di maggior caratura, ma un compositore che, in vista di una prima con noleggio delle parti, a una tazza di camomilla ricorre solo se la camomilla gli piace, non perché deve calmarsi i nervi. Ciao.
  15. Non ricordo di aver espresso giudizi sulle scelte di chi, all'uso dei programmi di notazione musicale computerizzata, preferisce seguitare nell'uso della carta e della penna. Ho solo detto che il loro lavoro è più faticoso e complicato di quello di chi adopera Finale o Sibelius. E questo nessuno lo può contestare: è nell'evidenza dei fatti. Lo è nel caso delle musiche per strumento solo, e lo è, in misura assai maggiore, per le partiture d'orchestra. Non soltanto non giudico la categoria degli amanuensi ma, per quanto personalmente mi riguarda, ai suoi esponenti devo soltanto essere grato: sono tra i più assidui committenti del mio lavoro di editor, proprio perché i programmi di notazione li so usare, e mi pagano benissimo. Quindi, lunga vita alla loro categoria. Che il talento non c'entri nulla con i sistemi di notazione adottati è decisione del Padre Nostro. Mi sembra tra le più chiaramente e apertamente rivelate. Mentre spesso la Sua Volontà si manifesta in modo oscuro, e arduo da comprendere per le povere creature che siamo, la Sua irregolare largizione del talento ai compositore di musica è lampante, così come lo è, al riguardo, la Sua totale negazione: bastano pochi istanti spesi nella lettura di una sola pagina per constatare se vi risplenda la luce dei doni celestiali e la sapienza di chi li ha ben spesi, o se vi regni il deserto. A questa evidenza, non c'è scampo. Come scriveva Vincent al fratello Theo, "noi possiamo parlare solo con i nostri quadri". dralig
  16. Se il pianoforte fosse stato proposto agli studenti di composizione per quello che era e che è, cioè un validissimo mezzo per studiare non soltanto scritturalmente l'armonia, il contrappunto, la fuga, etc., nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare: il buonsenso musicale è sufficiente per comprenderne l'utilità. Ma lo studio della composizione nei conservatori italiani è ipertroficamente pianocentrico: per diplomarsi in composizione, bisogna per forza diventare pianisti. Quindi, è ovvio che qualcuno lo mandi al diavolo. dralig
  17. Come Lei sa, alla fine degli anni Ottanta la stirpe degli incisori di musica arrivò ai confini dell'estinzione. La gloriosa arte non richiamava più apprendisti. In compenso, nasceva la categoria dei copisti di musica che adoperavano i primi programmi di notazione musicale computerizzata, Finale in primis. Chi, come me, lavorando nell'editoria musicale, dovette affrontare la novità, visse momenti di disperazione: la qualità grafica delle pagine di musica "incise" dai primi copisti computerizzati era disastrosa. Si stavano improvvisando, senza avere basi solide nell'arte della notazione - tutt'altro che semplice. Fu allora che, per gli autori, si pose l'aut aut: o diventare copisti di sé stessi, o rassegnarsi a vedere i proprii lavori pubblicati con una scrittura musicale brutta e sgrammaticata. Nel 1995 io ruppi gli induci e acquistai il primo computer. Ci volle un anno abbondante per imparare a fondo le regole della notazione musicale: non esisteva nemmeno un manuale in italiano, e dovetti studiare gli autori di lingua inglese: Ted Ross soprattutti, con il suo tremendo "The Art of Music Engraving", che spendeva decine di pagine per spiegare l'inclinazione delle aste che univano crome e semicrome - fu impegnativo come un corso di contrappunto. Con quella corazza, potei entrare responsabilmente nella selva oscura di Finale - programma ricco ma caotico e, allora, irto di buchi. Le prime partiture che preparai non furono impeccabili, ma certamente migliori di quelle degli "incisori" che mi avevano procurato un principio di ulcera. Da allora sono migliorato, e vado fiero del lavoro che ho fatto nel settore, preparando di persona notazione e impaginazione di tutte le edizioni della collana "The Andrés Segovia Archive". In quella serie, mi sono concesso addirittura dei preziosismi, come l'adozione del font musicale November, che ostenta delle piccole imperfezioni per emulare le incisioni delle grandi case editrici tedesche come Barenreiter, Schott, etc. Poi, è arrivato Sibelius, un programma simile a Finale ma più agile e intuitivo. I miei allievi di composizione sono tenuti a imparare lo stesso mestiere, al diavolo il pianoforte... dralig
  18. Ha ragione, mi scusi - per quanto assertivo, il mio messaggo di stamattina, riletto nel contesto della discussione, c'entra come i pipistrelli con gli angeli. dralig
  19. Io non tornerei indietro volentieri. Scrivere la musica a mano non era più facile e più veloce dello scriverla con un programma di notazione musicale computerizzata. Il lavorio della correzione è infinitamente agevolato dal computer: cancellare non significa procurare abrasioni a un foglio di carta fino a bucarlo; inoltre, è possibile in un batter d'occhio accumulare e confrontare un numero illimitato di versioni dello stesso pezzo - intero o diviso in parti - riservandosi di scegliere, di mescolare, di modificare all'infinito: operazioni che, con la scrittura manuale, erano dispendiosissime di tempo e di fatica. Inoltre - per chi preferisca, come me, scrivere senza ausilio di strumenti - la possibilità di controllare in playback che quello che si è scritto corrisponda effettivamente a quel che si aveva in mente è di grandissimo aiuto - e non c'è pianoforte o chitarra che potesse permettere tale verifica in modo altrettanto preciso qual è quello che offre il computer. Infine, e non minimamente, è possibile - imparando l'arte della notazione musicale -consegnare agli editori le proprie opere pronte per la stampa, risparmiando il logorante traffico della correzione delle bozze cartacee e i relativi, interminabili contenziosi con gli incisori. I vantaggi della tecnologia sono enormi, ma finiscono qui. Finale e Sibelius servono al compositore come Word e Pages servono allo scrittore. Scrive più agevolmente e corregge più facilmente, ma non scrive meglio: la qualità letteraria dei suoi romanzi e il word processor che adopera non hanno nulla che vedere. dralig
  20. Faccio notare che quello scritto era intitolato "Alcune note sull'interpretazione" - quindi non mirava a uno studio analitico del testo, ma soltanto a una serie di considerazioni di indole formale che, a parere dell'autore, avrebbero dovuto costituire i fondamenti di una lettura non di pura decifrazione. Si trattava, in sosrtanza, della scrittura di una parte di una lezione sulla Sonata Terza. dralig
  21. Stravinskij viveva di commissioni e di diritti d'autore, non aveva altri introiti per mantenere sé stesso e la sua famiglia. Inoltre, poiché la sua concezione del mestiere di compositore non faceva alcun affidamento sulla "ispirazione", ed era basata su un sapere di tipo "artigianale", ne conseguiva la sua disponibilità alla committenza. Come qualunque altro professionista in qualunque altro campo - anche non artistico - in cambio dei suoi lavori pretendeva un onorario. Trovo tutto ciò lecito, giusto, eticamente impeccabile. L'ironia con la quale talvolta manifestava questa sua pretesa di essere pagato era un condimento tutto sommato innocente di un principio sacrosanto. Questa capacità di autotutela è stata spesso, nella vita dei compositori, alternativa alla fame. Condizione nella quale un altro maestro del Novecento, non altrettanto capace di difendersi, visse gli ultimi anni della sua grama esistenza, e nella quale morì: Bela Bartok.
  22. Il pubblico non è una componente ancillare del fenomeno musicale, caro Alfredo. Ne fa invece parte strutturalmente. L'ascolto è attivo, e - sebbene siano ancora, a quanto ne so, da studiare scientificamente - le sue "attività" interagiscono con quelle degli interpreti in misura tale da concorrere al "totale" musicale. Il compositore immagina un'opera e ne "significa" ciò che è rappresentabile in una scrittura simbolica, inevitabilmente approssimativa; l'interprete, a partire da quei simboli, costruisce a sua volta un progetto sonoro - sia esso scorrevole, a flusso, alla Segovia, o a utopia architettonica, alla Marcello Rivelli - e l'ascoltatore, oltre ad "ascoltare", restituisce all'interprete, in una sorte di feed back quasi simultaneo all'audizione, una componente partecipativa, che influenza l'esecuzione ancora in corso. Per questo motivo gli interpreti-architetti preferiscono la registrazione al concerto: li molesta l'idea che altri possa mettere mano a quello che loro vanno edificando. dralig
  23. E' irreale credere che il compositore possa avere un'idea definitiva della sua musica, anche solo di una sua composizione. Un solo aspetto della musica è parametrato con precisione assoluta: l'altezza delle note. Dalle durate in poi, non c'è nulla di assoluto, e a nessun compositore al mondo è dato di ripercorrere nella sua mente un proprio pezzo per due volte in modo identico. Poiché la musica giunge agli interpreti attraverso una rappresentazione simbolica, è chiaro che non ha senso raccomandare ai medesimi di "suonare quel che è scritto", semplicemente perché ciò è impossibile. In realtà, l'interprete legge in apparenza da un leggio, ma non può dare dei comandi alle proprie dita se non passando attraverso una sua, previa rappresentazione mentale della musica, cioè attingendo a un leggio virtuale che egli forma osservando quello fisico. Aspettarsi che tale leggio virtuale coincida con quello del compositore - il quale, tra l'altro, non è in grado di formarsene uno definitivo, e lo varia di continuo - è pura illusione. Si tratta di una perdita, di uno scacco? No, io credo proprio di no. Dopo un'esecuzione del "Bolero", Ravel visitò Toscanini in camerino e si dolse con lui del tempo troppo svelto, al che il direttore gli rispose: "Lei della sua musica non capisce proprio niente". E' una battuta, ma si iscrive perfettamente nella realtà. Quello che Marcello sceglie nell'esecuzione del "Colloquio" - come in tutte le sue interpretazioni - corrisponde al suo modo ossessivo e maniacale di considerare ogni nota come un mattone di una costruzione in cui quello che conta, alla fine, più che la levigata perfezione del singolo mattone, è l'architettura, il profilo-volume dell'intero edficio nei suoi rapporti interni e nella sua spazialità. Io gli ho insegnato il valore formale dell'interpretazione, lui ha in un primo tempo accolto questa visione, salvo poi trasformarla in un suo progetto, in cui tenta di annullare la dimensione temporale per comprimere tutta la fenomenologia della percezione in un'unità che lui vorrebbe rendere sincrona, mentre neppure la percezione di un'architettura riesce a rendersi sinottica. Tanto gentile e tanto onesto "pare", ma in realtà è un folle. dralig
  24. Carissimo Carlo, nel dar seguito a un tuo messaggio, ho iniziato la mia risposta a modo di continuazione causata ("...Gli è che...") del tuo scritto, sicché del mio è difficile pensare che eluda un riferimento personale. Anche se - scrivendo su un forum - è bene non personalizzare gli scambi: ci osserva la meglio gioventù, e tu ed io, vecchi, non dobbiamo parlare tra di noi. L'idea del gas non mi dispiace. Non tutti i gas sono venefici, e pare che ne esistano anche di stimolanti, con effetti palpabili - sebbene, e purtroppo, temporanei - sull'IQ. Una buona spruzzata nelle sale, prima dell'inizio dei concerti di chitarra, mi sembrerebbe - se priva di effetti collaterali - provvidenziale. dralig
  25. Gli è che non ho nulla da aggiungere alla discussione. Posso solo raccontare la storia della genesi del pezzo. Nel 2001, si celebrarono a Linares le esequie di Andrés Segovia. Mancato il 3 giugno 1987 a Madrid, fu sepolto nel cimitero maggiore della capitale, ma solo temporaneamente. Aveva infatti disposto che le sue spoglie fossero tumulate nella cittadina andalusa che gli aveva dato i natali. La comunità linarense impiegò anni a istituire la fondazione Segovia e a ristrutturare l'edificio che avrebbe ospitato, in una cripta (per la verità alquanto lugubre), la tomba del maestro.. Infine, nel 2001 tutto fu pronto, e il 3 giugno 2001 ebbe luogo la traslazione. Linares celebrò i funerali come se Segovia fosse morto lì il giorno prima. Per l'occasione, fui incaricato di comporre un brano celebrativo. Era, per dirla in metafora rural-piemontese, una bella gatta da pelare. Chiunque abbia che fare con il "mondo della chitarra" può ben mettersi nei miei panni...Decisi dunque di compiere, nella città in cui era morto Manolete, una bella "veronica" e, invece di comporre un pezzo per chitarra - azzardo non meno temibile che quello corso da Manolete nell'affrontare il toro Islero, che gli risultò fatale - realizzai una delicata (almeno nelle mie intenzioni) versione per orchestra d'archi di quattro pezzi per chitarra sola scritti da tre diversi compositori (Ponce, Haug, Castelnuovo-Tedesco) per Segovia. Furono eseguiti in un memorabile concerto dell'Orchestra da Camera di Madrid, e io ne venni fuori illeso e persino festeggiato. Ma lì - tra i molti chitarristi che non me l'avrebbero fatta passare liscia se avessi scritto un pezzo per chitarra "approfittando" del funerale di Segovia - c'era anche Frédéric Zigante, il quale, a cena, mi disse che non me l'avrebbe fatta passar liscia lui, la veronica, e che il pezzo per chitarra in omaggio a Segovia lo dovevo sputar fuori comunque - tanto il momento del pericolo era finito, e nessuno avrebbe più trovato nulla da ridire. Tentai un'altra veronica, ma il prof di Torino mi marcava stretto, e d'altra parte aveva ragione, ben sapendo che il pezzo per chitarra sola io l'avrei anche avuto in mente, e che non mi sarebbe dispiaciuto scriverlo, se non fosse stato che, così facendo, avrei suscitato un altro putiferio, dopo quello del 1997, e mentre un putiferio può risultare divertente, due potrebbero causare noiosa assuefazione. Fu così che, nell'estate nel 2002, in quel di Muzzano biellese, e precisamente nella vasta casa dei Salesiani, dove si svolgevano i corsi di chitarra ex-Trivero, rifugiandomi per quattro giorni in portineria - dove peraltro espletavo impeccabilmente le funzioni del padre portinaio che mi aveva lasciato in usufrutto il suo gabbiotto - e sebbene sprovvisto di chitarra - ma abbondantemente munito di carta da musica e di pennarello - scrissi il "Colloquio con Andrés Segovia", dedicandolo doverosamente all'amico Frédéric, che ne fu anche il primo esecutore. Il brano ha ottenuto quasi unanime consenso, e inoltre è stato vigorosamente ingiuriato da un gagliardo campione del chitarrume italiota, il che è valso a rassicurarmi definitivamente dei suoi meriti. Forse ne farò anche una versione per archi, ma non per un funerale. Magari per un divorzio. Vostro aff.mo, dralig.
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