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Angelo Gilardino

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Tutti i contenuti di Angelo Gilardino

  1. Io ho registrato soltanto due dischi LP, uno nel 1973 e uno nel 1976. Il disco LP del 1973, pubblicato da Bèrben, conteneva musiche della collezione Bèrben-Gllardino (Wissmer, Haug, Duarte, Berkeley, Tansman); il disco LP del 1976, pubblicato da Rugginenti, conteneva musiche della collezione Bèrben/Gilardino di autori italiani (Rosetta, Bettinelli, Chailly, Mosso, Maghini). Il disco Rugginenti è normale - ossia la registrazione è rispettosa del suono che producevo. Il disco Bèrben purtroppo non lo è. Il produttore (il famoso chitarrista di musica leggera Luciano Zuccheri) prese la registrazione di un mio concerto "dal vivo" - senza errori di tecnica - e fin qui tutto bene - e poi la elaborò in uno studio di Milano, alla luce del suo convincimento che la chitarra classica avesse i cantini deboli d'intensità rispetto ai bassi. Non era certo il mio caso! Fece così trattare il registro acuto in modo da aumentarne molto l'intensità rispetto ai bassi, e ne venne fuori un suono klangy, da chitarra elettrica, che a lui piaceva molto. Avrebbe almeno dovuto filtrare gli armonici, ma non lo fece, e il disco fu stampato con quel suono, che io non qualifico, ma che di sicuro non era il mio. Ad ogni modo, io non ho dato autorizzazione a ristampare quei vecchi LP in CD. Verranno ristampate forse un giorno, se a qualcuno interesserà, per ragioni storiche, ascoltare come suonavano i compositori... dralig
  2. Non ho mai capito, Frédéric, perché Turina, che aveva una grafia musicale chiarissima ed elegante, ricorresse ai copisti, non solo quando si trattava di estrarre le parti dalle sue partiture orchestrali, ma anche in casi come quello della Sonata per chitarra, dove non si capisce quale sia il vantaggio apportato dall'intervento del copista. Comunque, il fatto che egli abbia apposto di suo pugno il titolo e la dedica accredita il manoscritto del copista come un autografo. Poi - come fai giustamente osservare - non esiste fonte assolutamente impeccabile, e nemmeno l'originale autografo è esente da errori. A mio giudizio, non c'è più motivo di servirsi della versione di Segovia, se non dal punto di vista storico, cioè per comprendere le motivazioni che suggerirono al maestro i suoi interventi. Molto importante è la presenza delle legature di frase nel secondo tempo, mentre credo che, nel manoscritto, il punto debole sia quello delle abbreviazioni degli accordi ripetuti nel terzo tempo. dralig
  3. L'edizione Alvarez è basata su un manoscritto opera di un copista incaricato da Turina - che infatti adoperò tale copia sia per il deposito alla SGAE che per inviarlo all'editore Schott, dai cui archivi proviene la copia in mio possesso da 20 anni - ed è autografo solo nelle soglie (titoli). Le discordanze tra i due testi sono molte. Poiché non vi sono ostacoli all'esecuzione della versione originale, quella di Segovia non dovrebbe più essere presa come testo-base, ma usata solo come riferimento per certe sue soluzioni invero ingegnose. Una volta messo a punto il testo in tutti i suoi dettagli, non vedo, per l'interprete maturo, alcuna necessità di ricorrere a modelli già esistenti: meglio elaborare una proprio visione dell'opera. Qualche spunto "poetico" può venire dall'ascolto delle composizioni di Turina per orchestra e per pianoforte. Ad ogni modo, nelll'esecuzione che Lei propone, gli armonici in uscita dal secondo tema nel primo tempo sono erroneamente eseguiti un'ottava sopra, in realtà devono stare in linea con il contesto melodico in cui sono collocati, e quindi vanno eseguiti nell'ottava reale. ag
  4. I programmi di studio dei conservatori italiani obbligano gli iscritti al corso di composizione a studiare pianoforte - studio chiamato "lettura della partitura" - fino a raggiungere, al momento dell'esame, una preparazione comparabile a quella di uno studente di pianoforte del settimo-ottavo anno. Si tratta di un retaggio della cultura musicale italiana, governata da musicisti pianocentrici che influenzarono il legislatore. Oggi, con la possibilità di avvalersi di programmi di notazione musicale che permettono di ascoltare in playback la musica che si scrive - dai compiti di armonia fino alle composizioni orchestrali - tale impegno appare facoltativo. In aggiunta, ai chitarristi che frequentano il corso di lettura della partitura viene spesso imposto di tagliare le unghie delle dita della mano destra, incompatibili con lo sviluppo della tecnica pianistica. Questa fu la ragione per la quale, in gioventù, scelsi di studiare composizione e non pianoforte. Mi rivolsi a un valido maestro che, in cinque anni (la metà della durata del corso in conservatorio) mi insegnò l'armonia, il contrappunto, la fuga, le forme musicali e che mi diede anche qualche lezione di orchestrazione. Il non poter disporre di un pianoforte, lungi dal danneggiare la mia formazione, stimolò lo sviluppo della peculiare capacità di immaginare e di sentire "interiormente" la musica scritta, capacità che considero la più importante risorsa del mio bagaglio di musicista. Infatti, componendo per orchestra, scrivo direttamente in partitura, senza bisogno di una redazione pianistica, e controllo perfettamente ogni dettaglio anche senza bisogno di suonare il pianoforte. Da quando, poi, ho incominciato ad adoperare Finale e Sibelius, il lavoro di scrittura - con i suoi andirivieni di ripensamenti e di correzioni - si è enormemente semplificato e accorciato, e francamente - pur senza auspicare l'abolizione del corso di lettura della partitura - mi sento di consigliare ai giovani chitarristi di evitare il dilemma unghie si-unghie no e di studiare composizione privatamente, o nelle istituzioni straniere che non impongono agli allievi di composizione di diventare anche studenti di pianoforte. dralig
  5. Nel suo Metodo per chitarra Sor dichiara la sua preferenza per l'attacco di polpastrello su basi estetiche, non come ripiego per poter suonare anche il pianoforte. dralig
  6. La domanda non è chiara: chi è stato il primo a fare che cosa? A suonare con le unghie o senza? Comunque, supponendo che Lei voglia sapere chi è stato il primo a suonare con le unghie, la risposta è: non lo sappiamo, perché molti metodi non fanno alcun riferimento all'uso - o meno - delle unghie, anche se contengono istruzioni su altri aspetti della tecnica. Sappiamo invece chi fu, tra coloro che suonarono, e insegnarono a suonare, con le unghie, il più importante: Dionisio Aguado, che non solo spiega le funzioni e le modalità d'attacco per adoperare le unghie, ma ne dà anche un apprezzamento di tipo estetico - cioè descrive il suono che si può ottenere. Contrario all'uso delle unghie fu invece Fernando Sor, che anzi dichiarò di aver persuaso il suo amico Aguado a tagliarsi l'unghia almeno nel pollice (Aguado però al riguardo non dice nulla). Francisco Tarrega adoperò le unghie ma, negli ultimi otto anni della sua vita, le elimiinò: questa sua scelta fu descritta da due suoi allievi, Emilio Pujol e Domingo Prat, in modo opposto. Pujol sosteneva che Tarrega si era tagliato le unghie per una ricerca di un suono migliore, Prat invece asserisce che era stato obbligato a tagliarsele perché, dopo la paralisi, aveva perso sensibilità tattile e le unghie gli si rompevano di continuo. dralig
  7. Caro Piero, io credo che invece le cose stiano al contrario, ossia che HVL avesse scritto prima una melodia per violino e orchestra, poi trasformata nell'Aria della Bachianas n. 5 con l'aggiunta del declamato centrale, e sono sicuro che, rovistando nel lascito del compositore, la redazione primaria salterebbe fuori. Ragioniamo: la parte melodica della Bachianas si canta una volta con un vocalizzo sulla "a" e una seconda volta a bocca chiusa: ti sembra logico, per una canzone, che la sezione principale e la sua ripetizione siano senza testo? A me, no. Il testo della Ruth Correa appare solo nel declamato centrale, ed è evidente che il compositore ha inserito questa sezione per far posto alla poesia, che altrimenti, nella melodia pre-esistente, non ci sarebbe entrata neanche a tirarla per i capelli. Quindi, suonando il brano per flauto e chitarra, non ci si allontana molto dalla prima idea del compositore. Non ho le carte, ma ci scommetterei una cena. dralig
  8. Caro amico, il Suo amarcord è commovente, ma si conclude in modo disfattista: la "vera passione" è diffusissima tra i giovani chitarristi, non pochi dei quali scelgono di dedicare la loro vita alla musica per chitarra, non - come il Suo compianto genitore - protetti da un altro lavoro, ma esponendosi ai mille, rischiosi incerti che tale scelta comporta, ivi compreso quello di dover trascinare il resto dei proprii giorni nelle secche di un misero bilancio, non sempre atto a mantenere una famiglia: se non è passione questa...Quanto al "tempo per studiare seriamente", suvvia, siamo seri: i chitarristi dell'epoca di Suo padre erano quasi tutti dilettanti - in Italia, allora, solo Mario Gangi e Carlo Palladino facevano il mestiere di chitarrista, tutti gli altri lavoravano come impiegati e suonavano nel tempo libero. Persino Benvenuto Terzi, il migliore di tutti, non si fidava della chitarra come mezzo di sopravvivenza, faceva il ragioniere nell'amministrazione dell'ospedale e, quando - giovanissimo - gli dissi che io avrei fatto il chitarrista e basta, miguardò sgomento come se gli avessi annunciato di essermi arruolato nella legione straniera. Quindi, il Suo bellissimo ricordo della figura di Suo padre finisce ingenerosamente e non veridicamente nei confronti dei chitarristi di oggi: si corregga. E cerchi di farsi venire in mente che cosa davvero c'era scritto su quel cartiglio, oltre a "Suzzi": poteva esserci un nome come Gallinotti o Piretti, e allora il non sapere "che fine abbia fatto" lo strumento (magari ce l'avrà in cantina o in solaio) sarebbe un gran peccato. dralig
  9. Nemmeno io, Piero, ed è per questo che ho domandato all'utente se Suzzi non sia il dedicatario della chitarra, invece che il suo costruttore. Che Gallinotti e Suzzi fossero amici, è certo.
  10. E' sicuro di aver letto, nel cartiglio, il nome del liutaio e non quello del chitarrista per il quale lo strumento fu costruito? Raffaele Suzzi, geometra di professione e appassionato di chitarra, era considerato - non so su quali titoli - un esperto di liuteria, ma non ho mai saputo che costruisse in proprio. dralig
  11. Chiedo scusa, ma non trovo il modo di far funzionare il link direttamente. Tuttavia, copiando l'indirizzo nella finestra del browser, il collegamento funziona. [Mod Edit] Ho aggiunto un'icona con link. Cerco in serata un plugin per la corretta gestione dei SoundCloud links. Giulio [/Mod Edit]
  12. Questo è il primo dei miei "7 Preludi" per chitarra in corso di pubblicazione presso le Edizioni Curci, in una splendida registrazione del giovane chitarrista Alberto Mesirca che, come me, ama il contrappunto.
  13. Guardi, se i chitarristi imparassero, oltre che a suonare la chitarra, a lavarsi le mani con acqua e sapone prima di cominciare una sessione di studio o un concerto, e se si prendessero il disturbo di pulire accuratamente le corde, detergendole e asciugandole prima di riporre lo strumento nell'astuccio, i bassi durerebbero il triplo e le corde di nylon non si dovrebbero cambiare più di una volta l'anno. dralig
  14. Tenne la stessa corda - non la stessa marca - per due anni circa. Lo stesso faccio io. Non vedo perché cambiare una corda di nylon, se mantiene la sua intonazione e se non si taglia in corrispondenza alle barrette. dralig
  15. Segovia usava corde Augustine, però aveva chiesto e ottenuto che il cantino delle mute destinate a lui avesse un diametro leggermente più grande - era una via di mezzo tra il cantino ordinario e la seconda corda. Prima di accettare una corda (delle tre superiori) ne provava almeno una mezza dozzina e, dopo aver trovato quelle la cui intonazione lo soddisfaceva, era molto restio a cambiarle - tenne lo stesso cantino per due anni. dralig
  16. C'è un passo davvero ripugnante nel messaggio sopracitato: "Molti esecutori studiavano con lui [Segovia] per incrementare il loro curriculum e non per la sua visione della musica o per la tecnica". Che esistessero miserabili di tal fatta, è tristemente vero. Che si possa, oggi, descrivere il loro comportamento nel tono della giustificazione (come dire: avevano un buon motivo per fingere di studiare con lui, quello di poter poi dichiarare di averlo fatto sul serio) è incredibile. La nube di scempiaggini alzatasi dopo la morte di Segovia ha assunto dimensioni apocalittiche. Io non sono mai stato né suo allievo né suo seguace, ma di fronte a certe affermazioni mi vergogno di essere stato un chitarrista. dralig
  17. Non ho mai ascoltato l'interpretazione del chitarrista che Lei menziona, quindi non posso esprimere nessuna opinione al riguardo. dralig
  18. Angelo Gilardino

    Chitarre Mario Garrone

    In effetti, Mario Garrone aveva annunciato il suo ritiro dall'attività, ma poi ci ha ripensato e ieri l'altro ho provato tre sue nuovissime chitarre, del tutto in linea con la sua normale produzione. Ha passato gli ottant'anni, ma è lucidissimo e assai vivace. Suppongo quindi che continuerà a costruire strumenti. Le differenze di quotazione delle sue chitarre - e di quelle di ogni altro artefice - nel mercato dell'usato dipendono principalmente dalle condizioni momentanee in cui versano coloro che le cedono: c'è chi vende una chitarra per comprarne una di maggior costo (non necessariamente migliore, ma solo più cara), chi vende perché ha smesso di suonare, chi vende perché ha l'ufficiale giudiziario alla porta di casa, etc. - ogni caso è una storia - e quindi, in ultima istanza, solo il compratore accorto, competente (o ben consigliato) può valutare se "il prezzo è giusto" o no. Le chitarre italiane, comprese quelle di Garrone, costano poco, e le chitarre classiche in generale, rispetto agli strumenti ad arco, hanno quotazioni irrisorie. Quindi, potendo, conviene comperare, perché è inevitabile che, in futuro, la situazione cambi. dralig
  19. Le Sue osservazioni sono fondate. Il fatto è che le difficoltà di lettura a vista si manifestano - da parte dei chitarristi - anche nelle parti di chitarra di composizioni da camera scritte da chitarristi. Provi con una composizione di un autore come Carulli, Molino, Giuliani, etc.: ben raramente troverà un chitarrista capace di andare da capo a fine senza impigliarsi da qualche parte, mentre i suoi colleghi - il flautista, il violinista, persino il violista, etc. - troveranno normalissimo leggere le loro parti tutte d'un fiato senza il minimo intoppo. Di questo guaio, si lagnava Niccolò Paganini, che provò uno dei suoi quartetti in quel di Napoli chiamando il miglior chitarrista della città: questi suonava variazioni imparate a memoria ma, davanti al leggio, non prendeva una nota giusta. Certo, la musica dei compositori non chitarristi risulta ancora più ostica alla lettura. Mi permetta però di ricordare alcuni colleghi capaci di leggere a prima vista qualunque composizione per chitarra: il defunto Siegfried Behrend, il maestro Gabriel Estarellas, l'ormai maturo virtuoso Christian Saggese, il giovane Edoardo Dadone. dralig
  20. Con risultati stupefacenti. Mi è capitato in questo periodo di leggere e studiare un pezzo molto intricato ma totalmente privo di diteggiatura e scritto su due pentagrammi in chiave di violino: una goduria. Domanda che mi frulla in testa da un po', e che giro a chi forse mi può dare una risposta (ma forse l'argomento meriterebbe un thread a sé): nella chitarra il "reticolato" di possibilità di diteggiatura è superiore rispetto agli altri strumenti? Ed è possibile collegare anche (ripeto: anche) a questo una maggiore difficoltà dei chitarristi nel leggere a prima vista? La risposta è si. Non solo una nota, o un accordo, o una qualunque configurazione polifonica si può collocare "oggettivamente" sulla tastiera della chitarra in diverse posizioni su corde differenti ma, nella stessa posizione e sulle stesse corde, ciascuna nota, accordo, figura contrappuntistica, può essere eseguita "soggettivamente" con un diverse diteggiature. Quindi, dal punto di vista puramente probabilistico - cioè senza mettere in gioco fattori di tipo estetico, pertinenti alla sfera dell'interpretazione - il reticolato corde-tastiera è assai più complesso delle situazioni che si danno con uno strumento a tastiera o a corde libere (arpa). Le difficoltà che i chitarristi in genere mostrano nella lettura a prima vista dipendono: a) da quanto sopra esposto; 2) dal tipo di notazione improprio invalso nella musica per chitarra - che si scrive male, a causa dell'adozione ormai irreversibile del pentagramma singolo; 3) dalla scarsa inclinazione dei chitarristi a far musica da camera, il genere di pratica che più di ogni altro necessita di una lettura pronta e precisa. dralig
  21. Potrà sembrare - ed effettivamente è - aliena alle tematiche di un forum di chitarra una discussione di questo argomento, ma l'impegno e la serietà dell'interlocutore esigono una risposta altrettanto seria. L'identificazione tra logos e spirito non è esatta, o perlomeno non lo è nell'ambito del sapere che ci è stato trasmesso dal Libro. Per non impancarmi a teologo - purtroppo non lo sono - cito, tra le molte fonti disponibili al riguardo, una delle più recenti, accreditate e laicamente stimabili (l'autore non è un teologo, ma un biblista). Scrive Sergio Quinzio ("Un commento alla Bibbia", Adelphi, 1991, pag. 546): "Non abbiamo un'espressione capace di rendere i contenuti di un termine ebraico come "davàr" - "parola", inseparabile dal suo compimento -; e non l'aveva neppure il quarto evangelista, che scrivendo in greco era condannato a scrivere "logos" (o "Logos"), termine troppo legato alle filosofie pagane, come noi siamo condannati a tradurlo con un teologico "Verbo", o con una "parola" (o "Parola") consumata da troppi usi insignificanti. È penoso aprire il Vangelo di Giovanni e trovarsi subito di fronte a questo davàr-omer-Logos-Verbum-Parola-parola, a proposito del quale nessuno potrebbe sperare di leggere neppure la millesima parte di quello che è stato scritto. Che cosa si esprime, o piuttosto che cosa si nasconde ormai da troppi secoli, dietro questa parola "Parola"? [...] Ma il termine greco disponibile per dire questo è vicino piuttosto a significare il contrario". Lo Spirito che irrompe nell'uomo non è quindi connaturato all'uomo, ma è qualcosa che lo raggiunge inspiegabilmente in un certo punto della sua vita, e la sconvolge. Gli Apostoli, fino alla Pentecoste, sono dei poveri grulli sperduti nella paura e nella viltà: se un briciolo di spirito fosse stato in loro, la morte del loro maestro non li avrebbe abbattuti, e certo non avrebbe permesso che Pietro, dopo aver visto miracoli e ascoltato la Parola, rinnegasse colui che gli aveva affidato le chiavi della sua chiesa. Infatti, dopo la resurrezione, Cristo non si manifesta agli Apostoli, ma a due loro conoscenti (Emmaus), perché ha ormai concluso la sua parabola terrena, e da allora in poi Dio sarà presente nel mondo in altra forma: quella che si manifesta nella fiamma pentecostale: lo Spirito trasforma quei poveri diavoli in poliglotti, taumaturgi e profeti. Ciò detto, avverto il pericolo - che le mie parole non hanno scongiurato - di lasciar intravvedere una mia personale convinzione di essere toccato dallo Spirito, e di parlare come chi senta che le parole gli vengono date. Ovviamente, non è così: ho soltanto inteso, con il mio intervento, offrire un contributo alla corretta lettura della parola "Spirito" spiegandone un'accezione che mi è familiare. Chi ha composto un omaggio a San Juan de la Cruz ("Noche oscura") e un concerto intitolato "Leçons de Ténèbres", sa di brancolare nel buio e di essere ben lontano dalla Luce. Il che non gli impedisce di leggere le storie di coloro che, invece, dallo Spirito furono investiti. Forse, in fondo, prevale una mia convinzione che il comporre musica fondata su altra musica - operazione che mi è familiare, e dalla cui pericolosa fascinazione debbo continuamente guardarmi per fare senza eccedere – sia anch'essa, non diversamente e non da meno del suonare musica altrui – un'operazione ermeneutica: per cui Britten sarebbe - e sinceramente lo credo - un interprete di Dowland proprio nella misura in cui è compositore in proprio. Il secolo ventesimo è stato il secolo dell'interpretazione - e delle sue derive... Senza pubblicare manifesti, mi sembra tuttavia importante l'osservazione del Domenicano sul primato della forma: la condivido, e nelle mie "interpretazioni" di Schubert, Sor, Giuliani, Tarrega, Ponce, etc., ho sempre lavorato sugli interni, mai sull'architettura. dralig
  22. Sicuramente il Sor degli Studi non concepiva un arpeggio se non come una serie di proiezioni orizzontali di successioni di accordi. Ogni volta che si tocca una nota che fa parte di un arpeggio soriano, si illumina una voce appartenente a un tessuto armonico idealmente compatto. In altre parole, l'armonia "realizzata" dello Studio n. 1 e quella "evocata" degli Studi in arpeggi sono sostanzialmente la stessa cosa presentata con due aspetti diffetenti. Nello Studio al quale ti riferisci il valore "polifonico" dell'arpeggio è evidente, e quindi bisogna arrampicarsi sugli specchi per evitare di variare il numero di corde-voci chiamate in azione dagli arpeggi. Orribile, poi, il fraintendimento di chi estrae, da uno studio in arpeggi di Sor, una presunta "melodia" (come se le altre voci non stessero implicando, nelle loro linee, dei profili cantabili). Ho dovuto ascoltare centinaia di volte il celeberrimo Studio in Si minore suonato come se fosse "La prière d'une vierge": una voce superiore - scambiata per una melodia - suonata a sbalzo, e uno stinto, disuguale arpeggio sottostante, in cui annegano le altre voci... dralig
  23. Questione vecchissima e mai risolta. Ci provò Fernando Sor, con una risentita prefazione alla prima edizione della sua Fantasia op. 7, ben scritta su un'accollatura a due pentagrammi - salvo doverla ristampare poco tempo dopo aver buttato nella spazzatura le copie invendute della sua dotta, prima realizzazione. Da allora in poi, si scrive su un'accollatura a due righi (entrambi in chiave di Sol con trasposizione delle note reali all'ottava superiore) quello che ragionevolmente non si può scrivere su un solo rigo. E' un ripiego, ma il tentativo di scrivere "organicamente" è fallito, punto e basta. Esistono due tipi di diteggiatura: quella strutturale e quella di aiuto alla decifrazione. Quella strutturale non si può omettere - la sua assenza darebbe luogo a una serie interminabile di equivoci e di discussioni. Quella di aiuto alla decifrazione è utile nei metodi e nei brani destinati agli allievi dei primi anni. Nei pezzi destinati a esecutori capaci, non solo è superflua, ma dà fastidio, perché, in un reticolato altamente probabilistico come è quello della chitarra, ogni esecutore ama cercare le proprie, personali diteggiature. Ciò nonostante, nell'ambito della medesima collezione di musiche per chitarra sola (Bèrben-Gilardino) le pochissime composizioni pubblicate senza diteggiatura registrano vendite pari a non più del dieci per cento rispetto alle composizioni diteggiate. Conclusioni: le diteggiature servono ai chitarristi per poterle sostituire con le proprie, facendo sapere - ieri solo nelle aule dei conservatori, oggi anche nei gruppi di discussione - quanto le proprie siano migliori. Eccezione: per alcuni "segoviani", le diteggiature di Segovia sono sempre geniali e insostituibili, anche quando, dall'ascolto dei dischi del maestro, risulta evidente che il primo a non adoperarle era lui. dralig
  24. E' questa la diteggiatura che immaginavo componendo il brano. Evito tuttavia di scrivere diteggiature della mano destra perché - componendo a mente, senza strumento - identifico all'istante le note e le loro diteggiature di tastiera (mano sinistra), ma non sempre - anzi piuttosto di rado - quelle della mano destra (a meno che non siano ovvie). In altre parole, nel processo di "introiezione" (grazie dottor Freud) della chitarra - quello che ha reso superfluo l'uso dello strumento per comporre e per leggere le musiche altrui - ho dimenticato di "tirar dentro" la mano destra, e "vedo e sento" solo le note proiettate sulla tastiera. Le mie diteggiature non sono le migliori - almeno da quanto ho visto, ogni concertista le modifica abbondantemente - e servono soltanto a rendere esplicito il processo che ha condotto a immaginare le note e il loro suono in un determinato modo. In quasi tutti i casi, dunque, sono diteggiature "strutturali", che manifestano unitariamente note e "posizioni". Nel modificarle, gli interpreti dovrebbero sempre tener conto di questo valore strutturale, migliorandone le applicazioni, ma senza trasformare la struttura: ad esempio, io non uso mai le scale - che ritengo (chitarristicamente) brutte - e, nei rarissimi casi di passi per gradi congiunti, adopero sempre una diteggiatura a campanelas. Immagino che se ne possano inventare di migliori, ma sempre nel genere campanelas. dralig
  25. Non credo che Lei abbia bisogno di istruzione sul significato del termine "spirito", ma concordo con Lei sulla vaghezza concettuale che ne sostiene (a fatica) l'impiego nel bel parlare italiota. Senza risalire fino alla terza persona della Santissima Trinità, e limitandoci alle sue manifestazioni terrene, lo spirito si rivela - nelle Scritture - in forma pneumatica (ruah in ebraico, ossia vento, soffio) o in forma ignea, e non è congenito alle persone: scende su di loro, le trasforma, le rende capaci di cose alle quali non erano state istruite: il parlare in lingue, il guarire le malattie, il profetare. Nella visione della Chiesa d'Oriente, la grande festa non è la Pasqua - cioè la Resurrezione - ma la Pentecoste, cioè la discesa dello Spirito sugli Apostoli, di per sé vili e tremebondi. Ne riescono diversi da prima: avevano corpo e anima, cui ora si aggiunge lo Spirito, che è dunque un potere ricevuto gratuitamente, non cercato, non coltivato, non meritato. Johann Sebastian Bach aveva certo familiarità con questa concezione. Lo Spirito dà l'energia che altrimenti l'artefice, con il suo solo essere anima e corpo, non avrebbe. Se considerata secondo tale visione, l'opera d'arte originata dallo Spirito non si manifesta in forme aperte, lasciando parte della sua energia in forma latente. Lo Spirito non postula interpretazioni; possiede, travolge, non lascia margini all'ermeneutica. Dallo Spirito non può essere estratto un altro Spirito. Altrimenti, il "vento paraclito", la "ruah", sarebbero andati a vuoto. Se lo "spirito di una Sonata" non è pienamente, totalmente, esaustivamente manifesto nella Sonata stessa, allora non è uno spirito. Il repertorio di ogni strumento trabocca di composizioni intitolate "Fantasia" alla stragrande maggioranza delle quali manca precisamente fantasia. dralig
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