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Angelo Gilardino

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  1. Intervengo amichevolmente, Sismova, in quanto dedicatario di uno tra i primi studi. Vorrei che A.G.confermasse la collocazione atonale di quella musica; o si è trattato di usare una parola di cui non conosce appieno il significato? Personalmente (e credo anche Angelo) apprezzo molto gli studi di Scriabin, ma quanto a suonarli... No, gli Studi non sono atonali, sono fondamentalmente modali - parecchi sono scritti con solo sette note - anche se, in alcuni casi, l'intelaiaitura modale è frantumata cromaticamente (per esempio nello Studio n. 1). Per atonale, si intende la musica che evita deliberatamente di tracciare, sia nei profili melodici che nelle voci del contrappunto, tutto ciò che è proprio della tonalità, per esempio le cadenze e le attrazioni gravitazionali tra accordi, e che tuttavia non fa uso della serie dodecafonica. Io adopero a volte la scala diatonica e a volte la scala cromatica, ma senza una decisa opzione atonale: oltre che aliena al mio modo di essere, la scelta atonale opporrebbe molti limiti e condizionamenti a una scrittura chitarristica libera e innovativa, e finirebbe con lo strangolarmi. Evito anche la tonalità tradizionale: in tutto il ciclo degli Studi ho scritto solo un pezzo tonale, con tanto di armatura in chiave, il Tema con Variazioni in omaggio a Fernando Sor. Nel secondo Novecento, grazie al cielo, svaniti i vari dogmi vetero-tonali o post-weberniani, con relativi apparati, ogni compositore che si sentiva libero in senso ideologico e tecnico-musicale, ha potuto riorganizzare lo spazio sonoro senza vincolarsi a obblighi: può essere tonale, atonale, modale, polimodale (io ho adoperato la bimodalità in gran parte della mia Sonata n. 1), seriale, etc., e gli conviene mettersi in grado di adoperare tutti questi stili senza giurare fedeltà eterna a nessuno. Gli serve tutto, e lui non è servo di niente. Nel Novecento, alcuni autori, pur seguitando ad adoperare la tonalità con le sue regole e i suoi poteri, hanno preferito evitare di scrivere le alterazioni in chiave: un esempio illustre è la "Sonata para guitarra" di Antonio José (Martinez Palacios), che è leggibilissima come composizione tonale; per contro, Frank Martin ha scritto le alterazioni in chiave nelle sue "Quatre Pièces Brèves", nelle quali la tonalità è spesso adombrata; ha però ritirato le alterazioni in chiave nella "Plainte" (terza delle "Quatre Pièces"), che è bitonale e che mescola - almeno nella sezione iniziale - le tonalità di si bemolle minore e di si minore. La chitarra è diatonica nell'accordatura e cromatica nella disposizione delle note lungo le corde. Mi è parso sensato - oltre che corrispondente al mio modo di sentire - comporre musica strutturalmente diatonica con svolgimento a volte diatonico ("accordale") e a volte cromatico ("tastieristico"), combinando i due generi. E' un uovo di Colombo? Siccome - quando ho cominciato a comporre - l'America era già stata scoperta, ho pensato che non era necessario varcare oceani. Bastava guardare lo strumento. dralig
  2. Molti degli Studi sono modali, non atonali. Non mi è mai sembrato giusto indicare alterazioni in chiave per la musica modale, e dunque le ho scritte nel corso delle singole misure; però, in un caso almeno, quello del brano intitolato "Ikonostas", l'editore (Matanya Ophee) ha voluto evitare la ripetizione delle alterazioni nel corpo del testo, e ha insistito per farmi scrivere un'armatura di chiave. Ho accettato. Ho adoperato la parola "studi" dandole un significato più ampio di quello normalmente inteso nel genere della musica scritta con finalità didattiche. Studi, in questo caso, non vuol dire soltanto che il chitarrista che li esegue "studia" delle tecniche e le loro applicazioni, ma anche altro: il compositore "studia" lo strumento mentre compone; studia nel senso che esplora al di là del cognito e del già noto, il lessico dello strumento con procedimenti - quelli compositivi - diversi da quelli adoperati dal virtuoso che suona materialmente la chitarra; il compositore "studia" un particolare equilibrio tra le formule idiomatiche e le forme musicali specifiche da forgiare per trasformare dei semplici mattoni (le cellule originarie) in parti di una costruzione; e poi per altri motivi che evito di descrivere qui, perché hanno carattere autobiografico, e non mi sembra il caso di raccontare me stesso anche in prosa. Non qui, almeno. dralig
  3. Secondo me "non può"; questa frase offende Dio e Gilardino. Non era mia intenzione di offendere nessuno,se lo fatto, chiedo scusa. Infinitamente scusa a Dio e Gilardino.Poi loro sapranno come castigarmi.Accetto tutto. Non so se è possibile, ma se si può cancellare(lo chiedo al forum).Altrimenti l'inferno per me sarà l'unica soluzione. Chiedo perdono. Dio non so - non mi ha ancora domandato consiglio su cosa fare - ma io si ti castigo: borsa del ghiaccio in testa e astensione dal computer almeno per 24 ore. Altrimenti, non rimarrà che candidarti al prossimo festival di Sanremo. dralig
  4. Un file pdf con la trascrizione di Yates è a tua disposizione. Dimmi come te lo devo inviare. Vedrai com'è ingegnosa. dralig
  5. No. La prima trascrizione pubblicata di "Asturias" (chiamiamola così) fu di Severino Garcia Fortea, un chitarrista dilettante (di professione medico) allievo di Tarrega. Segovia elaborò la propria trascrizione a partire da quella di Garcia Fortea. dralig "Several items of the Albéniz's piano repertory were arranged for guitar during the composer's lifetime. The first guitarist to do so was probably Francisco Tárrega (1852-1909), a fellow Catalan and an almost exact contemporary of Albéniz. Tárrega's most illustrious student Miguel Llobet also made guitar arrangements of Albéniz's piano music" Dal sito di Yates. Non "probably", but "certainly": se altri chitarristi avessero trascritto brani di Albéniz prima di Tarrega, oggi certamente lo sapremmo. E non lo ignorerebbe Yates, che ha rastrellato tutto ciò che esisteva nel campo Albéniz-chitarra, prima di dare alle stampe il suo volume di trascrizioni. Per l'esattezza, Tarrega trascrisse: Pavana (1893-1896); Granada (1900); Cadiz (Serenata espanola) (1905); Sevilla (senza datazione certa); Torre bermeja (idem). Una versione per due chitarre di "Granada" è del 1894; senza data, una versione per due chitarre di "Oriental". In sostanza, dunque, Tarrega trascrisse per chitarra sola non più di cinque pezzi di Albéniz. Alle sue trascrizioni, si aggiunsero quelle di Llobet (magistrali) e quelle di Garcia Fortea (non così indecenti come le descrisse Segovia, che però non mancò di farne buon uso). Le decine di trascrizioni pubblicate successivamente non sono altro che rimasticature delle trascrizioni della linea Tarrega-Llobet-Segovia. Il quale si arrabbiava molto nel vedere edizioni di brani di Albéniz copiate - in sostanza - dai suoi dischi. Ricordo una sua sfuriata quando l'editrice Union Musical Espanola pubblicò una trascrizione di "Asturias" fatta da un certo Maravilla... Yates ha dato una sterzata, offrendo un Albéniz senza debiti con la santissima trinità spagnola. Ha lavorato con grande acume e anche con fantasia. Il suo Albéniz è decisamente il migliore "sulla piazza". Ma gli insaziabili chitarristi si stanno spostando addirittura sui brani di "Iberia": Javier Riba, Carles Trepat... dralig
  6. L'unica trascrizione di "Asturias" che, divergendo da quella di Segovia, non la fa rimpiangere, anzi la supera, è quella di Stanley Yates. Il chitarrista anglo-americano ha trascritto tutti i lavori di Albéniz eseguibili con la chitarra, eccettuati alcun brani da "Iberia" recentemente trascritti da Javier Riba e da Carles Trepat. dralig
  7. No. La prima trascrizione pubblicata di "Asturias" (chiamiamola così) fu di Severino Garcia Fortea, un chitarrista dilettante (di professione medico) allievo di Tarrega. Segovia elaborò la propria trascrizione a partire da quella di Garcia Fortea. dralig
  8. No, non conosco il compositore che Lei cita, né la sua musica. Grazie della segnalazione, provvederò. dralig
  9. Da almeno un secolo il linguaggio musicale - mi riferisco ovviamente soltanto alla musica "colta" occidentale - si è frantumato in tante schegge, al seguito della frammentazione delle culture. La grammatica è stata sostituita dalle grammatiche. Nessun compositore o nessun studioso ha tuttavia mai pensato di valutare la musica scritta all'interno di un certo sistema con la grammatica di un altro. Un docente del tuo conservatorio, Iachino, pubblicò negli anni Cinquanta un manuale per la composizione dodecafonica. Conteneva le regole per maneggiare con cognizione di causa le tecniche del "modo di comporre con dodici suoni". Lo studiai avidamente, perché era la prima opera teorica - scritta in italiano - il cui studio avrebbe permesso di leggere responsabilmente le partiture di Dallapiccola (non poca cosa, per un ragazzo di provincia che stava imparando il mestiere). Notai subito che non appariva, nel trattato, alcun riferimento al sistema tonale. Era considerato storicizzato e acquisito, al pari della sua grammatica. Quando, alcuni anni più tardi, furono pubblicate le "Sechs Musiken" di Hans Erich Apostel, composizione dodecafonica per chitarra scritta da un allievo di Schoenberg, potei analizzarle grazie alla lettura del manuale di Iachino: altrimenti, non ne avrei capito niente. Era quindi ovvio che quell'opera, e più tardi la "Suite fur Gitarre allein" d Ernst Krenek, non potevano - e non dovevano - essere lette alla luce del sistema tonale: sgrammaticato sarebbe stato lo sprovveduto lettore che avesse tentato questa "lettura", non i lavori dei maestri tedeschi. Ogni compositore dotato di talento creativo forgia un proprio stile. Lo stile è la selezione di certe possibilità - di certi gesti, diciamo - tra i molti possibili. Ne consegue una grammatica: è tale in quanto distingue, nel novero del possibile, ciò che si deve fare e ciò che si deve evitare. Comporre significa mettere insieme, costruire: una nota non è niente, due note sono un rapporto, tre note sono un organismo, una cellula: da lì in poi, o c'è uno stile - e relativa grammatica - o potrà succedere qualunque cosa. Questo intendo per sgrammaticato: l'assenza, in un brano di musica, di una qualsiasi grammatica. E adesso si campa con quel che c'è. Nel 1947, Castelnuovo-Tedesco rifiutò di tornare in Italia, dove sarebbe stato nominato all'istante direttore di qualsiasi conservatorio a sua scelta, e di assumere il ruolo di patrono della musica conservatrice. Definì la musica italiana "un osso spolpato". Questo non impedì a Ghedini, a Dallapiccola e a Petrassi di scrivere i loro capolavori. Credo che quel che dobbiamo rifiutare sia precisamente il ruolo delle bambole. Se non c'è una lira, ci sostenteremo con i centesimi. Ma dobbiamo scrivere e suonare musica decente: non ci si può tirare indietro. dralig
  10. Io non ho "cazziato" nessuno, semmai qualcosa. Sono due cose diverse. Faccio il musicista, non m'intendo di "dilvulgazione", per questo non sono in grado di valutare gli aspetti non propriamente musicali dell'operazione intrapresa da Giulio Tampalini. Gli ho augurato e gli auguro di conseguire i risultati che si è prefisso perché tendenzialmente mi piace che gli affari del mio prossimo vadano bene. Anche i tuoi, naturalmente. dralig
  11. Nessuno - tolto Lei - ha definito "sgrammaticata" la musica dei Beatles. Si limitavano a comporre delle melodie di canzoni e ad abbozzare uno schema armonico. Poi, tutto passava nelle mani di fior di arrangiatori, i cui nomi non sono noti, ma che certamente conoscevano molto bene l'armonia e l'orchestrazione. Non posso dire di più, ma l'orchestrazione di "Eleanor Rigby" fu curata da una mano tutt'altro che sgrammaticata... dralig
  12. A costo di incorrere nelle ire dei superintenditori, dirò che io la penso come Regondi. Posso però assicurare che piaceva ascoltarlo a musicisti come Vlad, Gervasio, Porrino, Bucchi , Petrassi e chi più ne ha più ne metta. Del resto, come definirlo "sgrammaticato"? Scusa Carlo, ma a chi mai è venuto in mente di definire lo Studio di Rubira - poi divenuto noto come "Romance anonimo" e poi ancora come "Jeux Interdits", "Forbidden games", "Giochi proibiti", "sgrammaticato"? Io partecipo da anni alla discussione in corso sul forum spagnolo riguardante l'origine del brano ma, pur avendo letto al riguardo migliaia di messaggi, non mi è mai capitato di sentir dire che è un pezzo scritto male. Tanto che Paco Herrera ha potuto persino ventilare l'ipotesi - documentalmente non sostenibile - che sia opera del gran maestro della grammatica musicale applicata alla chitarra, don Fernando Sor. dralig
  13. Chi stabilisce tutto ciò? La risposta è semplice: chiunque, compreso Lei. Il giudizio di valore sull'opera d'arte si forma attraverso un processo al quale concorrono, a diversi livelli, tutti coloro che hanno interesse a comprendere. Nessuno può stabilire individualmente e definitivamente il valore di un'opera, ma chiunque abbia onesta intenzione di manifestare il suo giudizio o la sua opinione è intitolato a farlo: la somma dei giudizi espressi nel tempo porta a una stabilizzazione del giudizio - quella che ci fa percepire in modo ormai indiscutibile il valore dell'opera dei maestri (risparmio elenchi) e che non riconosce, invece, il valore di autori ormai dimenticati. I filtri valutativi sono quelli messi a disposizione dei lettori (nel caso della musica: lettori-ascoltatori), purché li sappiano adoperare. Oggi, sono pressoché unanimemente riconosciute, dagli studiosi, l'analisi storico-estetica e l'analisi musicale, considerate strumenti imprescindibili per comprendere i testi, riconoscere nei medesimi i risultati del genio, dell'ingegno, del talento, della tecnica, etc. Ovviamente, qualunque ascoltatore ha il pieno diritto di manifestare la propria opinione riguardo al valore di un'opera: tuttavia, il sacrosanto mi piace-non mi piace non può incidere, nella formazione di un giudizio equilibrato, nella stessa misura in incide, nei riguardi delle medesima opera, lo studio analitico svolto da uno specialista. Se così non fosse, la musica di Webern sarebbe oggi considerata meno valida di "Yesterday". E per fortuna le cose non stanno così. Chi stabilisce che cosa debba suonare un interprete? Non può essere che l'interprete stesso. Il quale, dal momento in cui rende pubbliche le sue interpretazioni registrate, sa benissimo di essere esposto alla critica e di dover rispondere delle sue scelte. Nella fattispecie, indirettamente interrogato dallo scrivente sulla coerenza delle sue scelte di repertorio, l'eccellente chitarrista Giulio Tampalini ha risposto, con l'abituale sua gentilezza: la sua risposta è utilissima a tutti coloro che possono aver condiviso le motivazioni della mia domanda, e - perché no? - anche a chi poteva averla considerata non necessaria. Colui che - di sua iniziativa - tentasse di dissuadere un interprete dalle sue scelte di repertorio rivelerebbe in modo lampante di essere uno stolto. I critici - quelli preparati e dotati di buona penna - sono certamente parte importante nella formazione del giudizio riguardante l'opera. Il diritto di scrivere quello che pensano è conferito loro dai committenti (giornali, riviste e altri mezzi di informazione) che li invitano a scrivere e li retribiscono. Come i compositori e gli interpreti, anche i critici possono essere eccellenti, mediocri, scadenti: in questo mondo, il grano e la gramigna crescono nello stesso campo, e pare che questa mescolanza non dispiaccia all'onnipotente. Chi non è d'accordo, farà bene a rassegnarsi: al momento, quella dei critici non sembra una specie in via d'estinzione. Risulta problematico appurare come Lei faccia a sapere che esistono "compositori che pensano di essere migliori di qualcunaltro e quindi si sentono in dovere di far rimarcare la loro superiorità?": Lei legge nel loro pensiero? Si sono confessati con Lei? Se tali compositori sono realmente validi, di certo confidano nel giudizio della storia. Se sgomitano per farsi notare, sono delle mezze tacche timorose del rischio di passare inosservate. Se pensano di poter migliorare il giudizio sulla loro opera tentando di sminuire quella altrui, sono degli imbecilli, ed è da escludere che la loro opera possa avere il benché minimo valore. Come ogni altra persona attiva in campo musicale, anche i compositori hanno le loro opinioni e godono del diritto di esprimerle. È comunque da escludere che, quando Stravinsky diceva: "Chissà perché ogni volta che ascolto un brano che non mi piace alla fine risulta essere di Villa-Lobos", intendesse innalzare la sua reputazione a spese di un collega meno celebrato di lui. O che - ancora peggio - intendesse ferirlo sul piano personale. Segovia affermò pubblicamente che la musica di Boulez era totalmente inutile. Questo non creò alcun sentimento di inimicizia tra i due gentiluomini. Prima di rispondere animosamente a dei messaggi, bisognerebbe leggerli e, se possibile, capire il loro significato. Riassumiamo i fatti: io ho scritto - su commissione di una rivista musicale italiana, il mensile "Suonare" - un articolo su un CD in cui Giulio Tampalini - in collaborazione con altri interpreti - ha registrato tre dei massimi lavori di Mario Castelnuovo-Tedesco. In una breve digressione, ho manifestato la mia sorpresa per il fatto che un interprete di tale categoria indulga a registrare anche musiche scadenti. Non ho menzionato né autori né opere in particolare, per la semplice ragione che, quando ascoltai la registrazione, mi limitai a poche misure, e solo di alcune tracce: mi bastarono per rendermi conto che si trattava di compositori della domenica. Non mi curai nemmeno di appurare "che cosa fosse di chi": non ritenni che ne valesse la pena. Di sicuro, non si trattava di Paolo Ugoletti - compositore che ha tutta la mia stima - né di Astor Piazzolla. Giorgio Signorile ha scritto il primo messaggio di questa discussione assumendo di essere lui l'autore - o uno degli autori - oggetto della mia disapprovazione. Si è detto ferito. Ho cercato di spiegare che non stimare il lavoro di un collega e amico non significa venir meno nel rispetto della sua persona. La mia spiegazione verrà accettata? Me lo auguro. Altrimenti, pazienza. Da lì, inferire che in questa discussione possano allignare propositi come la censura o il razzismo, mi sembra ridicolo. No, assolutamente no. Magari nel Suo mondo "sarebbe opportuno", nel mio, invece, un passo del genere sarebbe molto scorretto. Io non mi permetterei mai di sindacare le scelte di repertorio di un concertista, e di chiedergliene conto, con un'iniziativa a livello personale. Solo perché il CD in oggetto è espressione pubblica di un personaggio pubblico qual è Tampalini, io posso sentirmi in diritto di rivolgermi a lui con una domanda: formulata pubblicamente, a viso aperto, e a disposizione di chiunque possa avere interesse alla discussione. Assolutamente no! E' un compositore la cui musica detesto, ma la cui statura artistica non mi sognerei mai di negare - tanto che, quando volle che io mi occupassi della pubblicazione delle sue "Cinco Piezas", misi doverosamente da parte ogni mia riserva e lavorai come se avessi dovuto preparare l'edizione di un concerto di Tansman. Piazzolla aveva nel suo bagaglio lezioni come quelle di Alberto Ginastera e di Nadia Boulanger, e il suo dittico intitolato "Fuga y misterio" è scritto con arte. Non è questo un giudizio di valore, e molto risoluto? Lei, che ha domandato "chi stabilisce il valore musicale di una composizione" (lo stesso ovviamente vale per un'interpretazione), "chi stabilisce i filtri valutativi", etc., dimostra di essere un "chi" molto convinto, provvisto di "criteri valutativi" molto ben definiti, tali da permetterLe di concludere che il grande violinista suona Piazzolla "veramente male". I criteri valutativi esistono solo quando li applica Lei, il giudice "chi" è legittimato a emettere sentenze solo quando si identifica con la Sua persona? Oppure esistono e funzionano anche quando le conclusioni a cui conducono non risultano conformi al Suo pensiero? dralig
  14. Grazie Giulio per la tua risposta. La mia domanda manifestava la difficoltà di comprendere, in termini di valore musicale, la coerenza tra scelte di repertorio apparentemente aliene. Hai spiegato che la tua è stata una scelta strategica, e mi sembra di non aver nulla da aggiungere, se non l'augurio che i tuoi auspici si realizzino. dralig
  15. Nella mia strada il proposito di ferire gli altri è presente quanto l'inclinazione a pensare per luoghi comuni. dralig
  16. E' un po' difficile il tuo pensiero, Giorgio. Prima hai reagito perché supponevi che la mia sferzata si riferisse alle tue musiche. Ora, non è più necessario che ce l'avessi con quello che tu componi: "a prescindere che io [cioè tu] sia chiamato in causa" chiamare "musicaccia" la musicaccia è offensivo, anche se la cosa non ti riguarda. Io invece mi arrogo il diritto di dire che una composizione scritta male è scritta male, e che un compositore fasullo è un compositore fasullo. Non ne faccio una mia occupazione, né un mio scrupolo quotidiano, ma quando capita incidentalmente - come nel caso dell'articolo che ho scritto sul CD Castelnuovo-Tedesco/Tampalini - credo che il riferirmi a un genere di pseudocomposizione musicale definendola (secondo me caritatevolmente) da bazar sia espressione ed esercizio di un normalissimo comportamento culturale. Civile, utile e costruttivo. Sarebbe offensivo - come tu erroneamente sostieni - se si accompagnasse a una forma di ingiurioso disprezzo per le persone degli autori che quelle musiche hanno scritto, ma - attento! - la disapprovazione, anche dura, di un'opera in sede critica non ha nulla, assolutamente nulla che vedere con la mancanza di rispetto: fermati lì, caro Giorgio, perché del tuo memento ("rispettarsi è sacrosanto") io non ho alcun bisogno, e semmai sono in grado di spiegare a chi non lo sapesse in quali forme si può manifestare il rispetto. Ad esempio, il rispetto si manifesta anche evitando la captatio benevolentiae che induce a lodare indiscriminatamente chicchessia per esserne lodati a propria volta. Alle persone che rispetto non dico: avete scritto bella musica quando penso che abbiano mal rimasticato musica scritta due secoli fa. E se, vergognandomene, lo facessi, penserei di aver mancato loro di rispetto, cercando di ingannarle per profittazione. Questo sì che sarebbe offensivo. E se, alla mia critica che svela la vuotaggine della loro musica, reagissero chiamando in causa quel che non c'entra niente - il rispetto per le loro persone, e perché no anche l'affetto e l'amicizia (che non obbligano nessuno a mentire) - penserei che hanno molto da imparare, non solo in campo musicale. Se, per essere considerato "una bella persona", devo dichiarare che una risciacquatura di un pezzo del Carcassi è buona musica, allora ci tengo ad essere - e a sembrare - il più brutto possibile. C'è posto per tutti, Giorgio? Se è così, allora non possiamo sgridare chi non parla in nostra lode. Anche costui, che dice quel che pensa e che può argomentare, e che non cerca di risultare simpatico, anche a costo di risultare antipatico, fa parte dei "tutti" per i quali, da qualche parte, un posto ci dev'essere. Magari, nell'età in cui si formavano le coordinate della sua anima, questo tipaccio aveva letto e meditato l'immortale epigramma dedicato da Pier Paolo Pasolini a un famoso uomo di potere: "Sei così ipocrita che/Come l'ipocrisia ti avrà ucciso/Sarai all'inferno, e ti crederai in paradiso". dralig
  17. Non sono sicuro che tu abbia letto il mio articolo con la necessaria calma, perché - pur avendoti risposto - non ho ancora capito quale sia il nesso tra quello che io ho scritto e la tua presa di posizione. Peraltro, isolando (senza estrapolare scorrettamente) una tua domanda, credo di poter dare una risposta. Là dove scrivi: "Questo piccolo preambolo per chiedere all'amico Angelo se davvero crede che esista un confine preciso oltre al quale far musica -parlo di musica "colta" non canzonette- perde un valore alto e diventa come scrive lui "roba da bazar chitarristico" e soprattutto chi è deputato a sottolinearne e decretarne il valore o la limitatezza." La mia risposta è: si, davvero credo. Per suonare la chitarra o qualunque altro strumento, occorre sottoporsi a una lunga preparazione. Chi si presentasse in pubblico senza avere acquisito maestria nel dominio dello strumento, verrebbe considerato un incapace. Comporre è un mestiere che richiede una preparazione specifica non meno laboriosa di quella dello strumentista. Comporre è un atto basato su un sapere articolato. Questo sapere è basato sulla tecnica. Così come esistono virtuosi degli strumenti, esistono compositori bravissimi, più bravi di altri. Per una buffa stranezza - mentre il dilettante improvvisato che pretendesse di dare un concerto soltanto perché ha ascoltato molti concerti e molti dischi di chitarra verrebbe rimandato al primo anno a imparare a far le scale - il tizio che dalla sera alla mattina decide di essere diventato un compositore soltanto perché, come esecutore, ha familiarizzato con molta musica per chitarra, può anche darla a bere, a sé stesso e a un certo numero di altre persone. Resta il fatto che tenta di fare quello che non sa fare: comporre. Per rendersene conto, da parte di chi è in grado di leggere la musica oltre la soglie del solfeggio, bastano pochi istanti: uno sguardo a una pagina di musica è sufficiente, a un musicista degno di questo nome, per comprendere se chi l'ha scritta è un compositore o un venditore di elisir. Questa buffa stranezza dipende dal fatto che, nell'istruzione musicale di base, si insegna solo a leggere la musica, e non anche a scriverla. Questo non perché tutti debbano diventare compositori. I giovani che si laureano in lettere all'università dopo aver imparato i rudimenti della scrittura non sono scrittori, però se leggono un libro che incomincia con "Il giorno che io avevo andato" sono in grado di capire che chi l'ha scritto - e fatto pubblicare - non è uno scrittore. Musica che contiene - nella specificità del suo linguaggio - equivalenti di "Il giorno che io avevo andato" nei concerti di chitarra se ne ascolta molta. Io sono un vecchio che ama i mestieri e che ammira e rispetta coloro che li sanno fare con arte. Nel repertorio della chitarra, cerco le pagine scritte dai maestri - i maestri della forma, dello stile, della costruzione, della coerenza, della dignità, coloro che non avrebbero mai scritto una nota anche nella più complessa delle partiture senza averne motivazione e controllo assoluto. Li ammiro, li rispetto e li amo: sono stati, e sono, i miei modelli. Anche quando non scrivono grandi composizioni - come Castelnuovo-Tedesco - lasciano sempre sulla pagina l'impronta della dignità, del sapere, della devozione al far musica come a una sacra responsabilità. Per questo, e per quanto flebile possa essere la mia voce, esorto i giovani concertisti come Giulio Tampalini a spendersi nel vero e a lasciar da parte il fasullo. Apprendo con soddisfazione che Edoardo Dadone, diciannovenne virtuoso della chitarra dotato quanto pochissimi altri, ha appena superato l'esame di compimento di composizione. E che, accogliendo le mie calde esortazioni, proseguirà nello studio, fino al diploma di composizione. Ecco, è alle persone come lui che si affida - non la chitarra - ma la musica, il suo futuro, la sua sopravvivenza. I chitarristi forse pensano che passare una settimana a studiare la partitura del Concerto per orchestra di Bartok sia tempo pericolosamente sottratto allo studio "che conta davvero", quello speso sulla Ramirez-Colt. Io invece credo in un futuro in cui gli interpreti sappiano distinguere il grano dalla paglia e lascino che, a occuparsi del cuore, siano i cardiologi. dralig
  18. Caro Giorgio, il passo al quale ti riferisci occupa circa il 3% del mio scritto, che non riguarda la tua musica, ma la registrazione che Giulio Tampalini ha fatto di tre capolavori di Mario Castelnuovo-Tedesco. En passant, significa che la considerazione che tanto ti ha colpito è stata scritta a margine del tema principale, cioè come digressione. Eccola, un poco meno decontestualizzata: "Non ho lo spazio per descrivere – anche soltanto sommariamente – la forma e il carattere di questi tre lavori. L'ho fatto in altre sedi, ma posso anticipare quella che dovrebbe essere la conclusione di questo scritto: chi voglia captare l'essenza della musica castelnoviana per e con chitarra, assimilando il contenuto di questa registrazione giungerà proficuamente alla meta. Vorrei invece spendere qualche veloce considerazione sull'interprete principale, il chitarrista Giulio Tampalini. È capace di eseguire – e purtroppo anche di registrare in disco – articoli da bazar chitarristico da lasciare sgomenti, tanto è abissale la distanza tra la sua classe di strumentista e la musicaccia sgrammaticata che, Dio solo sa perché, qualche volta suona; però, quando si confronta con le pagine migliori del repertorio vero della chitarra, e specialmente con quelle di Castelnuovo-Tedesco, dimostra di sapersi identificare totalmente con la musica nel senso più alto del termine, fino ad annullare l'evidenza della sua bravura. Inoltre, pur centrando il bersaglio, non si accoda mai a nessun interprete precedente, e spalanca le finestre su panorami nuovi." L'assunto "pubblico e soddisfazione=autore della domenica" può essersi formato "in certi ambienti", ma non certo nella lettura del mio scritto sopracitato. E come tu lo abbia potuto vedere, proprio non lo so. dralig
  19. Caro Giorgio, tu sei felice, realizzato, parli al cuore delle persone, sei in sintonia con la gente, durante i tuoi concerti percepisci un sentimento alto e comune. Io sono ben lungi dall'abitare in siffatto paradiso, ma se in un'altra vita mi fosse data tale fortuna, ti assicuro che non cercherei altro, perché non ci sarebbe nient'altro che vorrei o non vorrei: basterei a me stesso, e mi basterebbero le fortune che avrei - quelle, non poche e non piccole, che tu possiedi. Per la verità, basto a me stesso anche poco felice come sono. E non cerco di piacere a tutti, e nemmeno a nessuno in particolare: se qualcuno opina che la mia musica non è buona, lo lascio opinare, e non cerco di annetterlo ai miei estimatori. Non ricordo il nome di un solo compositore che, nella storia della musica, abbia ottenuto, in vita (e spesso anche dopo) l'unanimità dei riconoscimenti - nemmeno Bach, e ancora pochi decenni fa Villa-Lobos opinava che la musica di Mozart fosse passabile solo per l'infanzia: perché mai dovrei inquietarmi della disapprovazione di un mio contemporaneo? Ancora meno, mi sentirei spinto a riguardare come un'accusa (addirittura) rivolta a me in particolare un commento generico buttato en passant da un tizio che inveisce dolcemente (l'ossimoro è deliberato) contro i compositori della domenica (quelli che non sanno il mestiere semplicemente perché non l'hanno imparato. Felicemente, penserei: "Non può avercela con me, perché io la grammatica la conosco e la rispetto, e la mia musica - che gli piaccia o no - è scritta con arte". Domenico Scarlatti si rivolgeva al lettore della sua musica con l'esortazione "vivi felice!". A te, che felice lo sei già, che cosa si può dire? "Continua così!". E sagrinti nen. dralig
  20. La prossima settimana, il Festival della chitarra di Cordoba pubblicherà un libro intitolato "Angelo Gilardino", dedicato alla mia opera di compositore, storico e musicologo. In segno di ringraziamento, rendo pubblica la registrazione (computerizzata) del brano che ho composto come un omaggio alla città andalusa, alle sue feste religiose e popolari e alla sua cultura. "Cruces de Mayo" è una Fantasia per chitarra e orchestra. http://soundcloud.com/angelo-gilardino/cruces-de-mayo AG
  21. Si Piero, questa versione magra delle famose Variazioni è nota agli studiosi. Fu pubblicata da Meissonnier a Parigi, e Brian Jeffery la colloca nel periodo 1817-1821, mentre l'edizione "completa" fu pubblicata a Londra nel 1821 (Royal Harmonic Institution). Nel sottotitolo dell'edizioni londinese è adombrata la storia della composizione. Vi si legge infatti "As Performed by the Author at the Nobilities Concerts". Non ci sarebbe stato alcun bisogno di precisare che l'edizione londinese conteneva il brano "come l'autore lo suonava ai concerti della nobiltà" se non ci fosse stata in circolazione un'edizione diversa. Ergo, Sor realizzò la composizione in due tempi, affidandone la prima versione a Meissonnier; poi ne creò un arricchimento, che pubblicò a Londra, accreditandolo nel sottotitolo. Non sconfessò la vecchia edizione - che nel frattempo era stata ristampata da altri editori europei: quella che tu hai trovato nel fondo Spencer è una, ma ce ne sono altre - ma nel 1827 Meissonnier pubblicò anch'egli la nuova versione. Ciao. dralig
  22. Questa considerazione equivale a un utile consiglio, caro James. Ne terrò conto. Grazie e cordialità. ag Giusto una curiosità dettata anche dal Suo intervento: con quale criterio un compositore sceglie la casa editrice a cui affidare la pubblicazione delle proprie opere ? Solo per la capillarità della distribuzione oppure anche per altre caratteristiche ? Ho notato che Lei ad esempio ha pubblicato le Sue opere con diverse case editrici : in prevalenza la Bèrben Edizioni Musicali ma anche con Edizioni Curci ed Edizioni Guitart (forse ne dimentico un altro paio). Grazie Taltomar Mi dispiace di non poter rispondere in modo soddisfacente alla Sua domanda. Per farlo, dovrei rendere noti aspetti dei rapporti tra autori ed editori della cui riservatezza non sono l'unico custode. In generale, tuttavia, posso dirLe che, a mio modo di vedere, un autore la cui opera sia oggetto di interesse da parte del mondo editoriale, dovrebbe affidarsi a case editrici i cui dirigenti gli dimostrano stima e spirito di collaborazione, evitando quelle situazioni governate unicamente dal business. Come compositore e come editor, mi ritengo molto fortunato per il modo con cui gli editori mi rappresentano e si curano del mio lavoro. Senza esagerare, li considero come degli amici, e finora non ho patito delusioni. dralig
  23. Si, ma è anche il più interessante, perché individua aspetti dell'opera di Sor che in precedenza non erano stati compresi. Per esempio, che la seconda parte della Fantasia op, 30 è un bel primo tempo di Sonata. dralig
  24. Stanley Yate3s, Sor's Guitar Sonats: Form and Style, in: Estudios sobre Fernando Sor, Instituto Complutense de Ciencias Musicales, Madrid. dralig
  25. Il significato dell'asterisco posto accanto al nome dei due Gentili (così come ad altri nomi) è spiegato nella nota che segue l'introduzione. Essa recita: "L'asterisco posposto ad alcuni nomi sta ad indicare l'incompletezza dei relativi testi biografici per non esserci stati trasmessi i dati richiesti". Il che significa: "Non sappiamo nulla di loro, salvo il fatto che hanno scritto e pubblicato musiche per chitarra". Ci sarebbe voluto poco - ottenendo l'indirizzo preciso degli interessati dal loro editore - a chiamarli al telefono o a inviare a casa loro un incaricato (l'Italia chitarristica di allora era una specie di confraternita, i chitarristi si incontravano come gli anarchici o i cultori dell'esperanto,e corrispondevano scambiandosi informazioni) a scuoterli dalla loro indifferenza (sempre che la richiesta dei dati fosse loro pervenuta). I compilatori del Dizionario del 1937 erano - lo dico affettuosamente - degli ingenui sprovveduti, e lo dimostra il fatto che non furono capaci di capire, leggendo la musica del Frate Cassio e della Gentili, che i due non suonavano affatto la chitarra. Specialmente lei, la Lisanella, componeva per chitarra adoperando, come sostegno, il pianoforte. Molto meno ingenuo, e pur dalla lontana Buenos Aires, il Prat riuscì ad appurare qualcosa di più credibile e di più circostanziato. Ed è per questo che ho chiesto a Sacchetti di fare delle ricerche a partire da quel che scrive il Prat, piuttosto che dal Dizionario di Terzi-Vio-Raspelli. Poggio Mirteto non è comunque in Afghanistan, qualche laureando in chitarra al conservatorio sarà prima o poi capace di andare in municipio e in parrocchia a compulsare le carte - piuttosto che scrivere la millesima tesi su Castelnuovo-Tedesco, no? dralig
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