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Angelo Gilardino

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Tutti i contenuti di Angelo Gilardino

  1. Pianista e compositore, ha insegnato fino a una decina d'anni fa al conservatorio di Padova. Ha scritto bella musica per chitarra, in un linguaggio tradizionale, armonicamente molto raffinato, espressivo, elegante. Pubblicato da Zanibon (Invenzione, Lied e Studio) e da Bèrben (Passacaglia) - ho citato soltanto i pezzi più significativi. Ha scritto anche musica per due, tre e quattro chitarre e un bellissimo Concerto per due chitarre e orchestra. Da anni si è ritirato dall'insegnamento e non si conoscono sue composizioni recentissime. Il trittico che Lei cita è stato inciso da Luigi Biscaldi, che gli era amico e sodale (studiava armonia con lui) in uno dei suoi pochissimi LP - ormai pezzi da collezionisti. dralig
  2. Si eserciti prendendo la posizione con il barré teso, poi si fermi, senza staccare la mano dalle corde allenti la pressione e prenda la postura del barrè rilassato. Alterni le due posture a moviola per una dozzina di volte, e faccia così per qualche tempo. Andrà a posto da sé. dralig
  3. Non come perno fisso, ma come aggiunta di potenza. Si sposta. Dà un'energia tremenda, utile per suonare sequenze di note singole con sffzz. dralig
  4. Perché no? Qualunque appoggio dà forza e stabilità alla mano, quindi anche un appoggio del pollice sulla sesta corda può risultare utile, sempre che sia ausiliario e non sostitutivo dell'equilibrio che la mano deve avere in sé, ed eccettuati naturalmente i casi in cui tale appoggio può creare inconvenienti musicali (pause non volute, spegnimento di risonanze timbricamente utili, etc.) Quando si agisce con le dita i-m-a sui bassi, se l'appoggio del pollice risulta utile, si può benissimo trasferirlo sulla tavola: non importa a che cosa ci si appoggia, se le corde o il legno. La mano destra deve essere "attaccata" alle corde, e per l'"attaccatura" ci si serve di diversi fattori. Se è "impostata" bene, la m.d. deve trovarsi, rispetto alle corde, nella stessa condizione in cui si troverebbe se fosse di ferro, e se, in luogo delle corde, ci fosse un magnete. Il che è quello che s'impara nella tecnica dell'arco del violoncello: l'attaccatura. La mano sinistra dei chitarristi in genere non dà problemi (se non di angolazione), proprio perché la sua funzione la obbliga a stare attaccata alle corde. Non è così, ma lo dovrebbe essere, anche per la destra. Quindi, il pollice della destra, quando non lavora, dovrebbe comportarsi come il pollice della sinistra: attaccarsi a qualcosa. dralig
  5. Mi sembra molto ragionevole constatare che proprio la specificità di quella domanda ha trovato impreparati a rispondere gli iscritti a questo forum. La domanda può trovare risposta solamente da parte di un etnomusicologo che abbia indirizzato i suoi studi verso la musica caraibica, e che abbia nel contempo una conoscenza testuale della musica di Leo Brouwer: converrà che si tratta di un insieme di competenze non comune. Io, ad esempio, conosco piuttosto bene la musica di Brouwer - e il conoscerla, oltre che doveroso, è anche piacevole, perché siamo amici - ma non sono un etnomusicologo e meno che mai ho studiato le matrici della musica cubana nei suoi vari strati. dralig
  6. Fin dalla scuola elementare, fui esortato a coltivare un mio (supposto) talento letterario. Nessuno invece mi esortò a far musica. Il fatto è che io non amo scrivere. Lo faccio solo per necessità professionale. Se c'è in me un talento (anche quello supposto) che rimpiango di non avere coltivato, è quello pittorico. Di quello letterario, proprio non me ne importa niente. A proposito di talenti, che ne è del Suo? dralig
  7. Bisognerà aspettare che il rubinetto della musica - che l'anno scorso ha dato ancora un filo d'acqua - si secchi del tutto, e allora passerò a uno di quei decorosi passatempi che i vecchi mettono in campo quando, tra la fine della vita e la fine dell'esistenza, c'è un po' di tempo da far passare. Magari, scriverò un libro di racconti. Se anche non avessi fantasia per inventarli, mi basterà raccontare quello che ho visto e vissuto, e ce ne sarà d'avanzo. dralig
  8. Un artista è off topic in questo mondo. dralig
  9. No somos nada. Donde acaba el pobre rio La inmensa mar nos espera. Antonio Machado, Soledades. "Non siamo niente. Dove finisce il povero ruscello Il mare immenso ci aspetta". dralig
  10. Alla mia età, essere pessimisti - o ottimisti, è lo stesso - vuol dire non aver capito niente. Si osservano le cose, le situazioni e le persone per quel che sono. Infatti, non lo fa. Quelli che lo fanno, non sono artisti, sono i tanti signor "io avrei potuto essere se", o "mi voleva Strehler". La felicità è una cosa da festival di Sanremo. Si. Io per esempio me la sono passata benissimo. dralig
  11. Gli "altri" sono molto attivi nel tentare in ogni modo di indurre gli artisti a smettere di essere. Essere artisti è una disgrazia grossa, che bisogna assolutamente rendere anche peggiore, spendendoci una vita. Così gli altri sono contenti. dralig
  12. Non serve a niente, e non ha alcun senso, domandarsi se si diventerà un Williams. L'unico obiettivo autentico per un artista è fare della propria opera uno specchio fedele di se stesso. Non serve a niente nemmeno interrogarsi sulle proprie doti naturali. Serve soltanto avere qualcosa da dire e volerlo dire. Per riuscirci, c'è una sola strada: il lavoro, il rigore, la serietà nel raccordare il grande progetto complessivo con le piccole vicende di ogni giorno. dralig
  13. Ci sono diversi modi di non capire niente. C'è il modo del trinariciuto che annaspa nella lettura e nell'esecuzione, spandendo attorno a sé i fetidi umori della sua mente antimusicale e della sua crassa ignoranza; e c'è il modo dottorale, quello del primo della classe che recita la musica come se l'avesse scritta lui, con impeccabile solfeggio, giuste articolazioni, appropriate dinamiche, e che trasmette con ciò il più totale vuoto di ogni possibile e immaginabile messaggio artistico. Tra il bovino sbuffante e il laureato pneumatoforo non so chi riesce più dannoso alla musica. E' una bella gara, forse con due vincitori. Un perfetto ex-aequo. dralig
  14. Sono assolutamente d'accordo... credo che la riflessione e la capacità di predisporsi e di aprirsi alla realtà giochi un ruolo fondamentale insieme alla volontà.... Credo che ciascuno sia artefice del proprio destino artistico. Bisogna dare fiducia a se stessi, aprirsi un credito illimitato, e poi rimboccarsi le maniche. Quando si finisce il lavoro, ci si ritrova più o meno come una pelle di tigre sul parquet, ma vivaddio il lavoro è fatto. dralig
  15. Non devo essermi spiegato bene. A mio avviso sessanta minuti di repertorio (anche difficilissimo) non bastano. Neanche come infarinatura. Neanche aggiungendogli gli altri sessanta minuti dell'ottavo. E' troppo poco. Un allievo dovrebbe conoscere un repertorio adeguato. Qualcosa che gli permetta di poter dire di conoscere il linguaggio del tale o talaltro compositore. Un aspirante concertista (ma anche un dignitoso strumentista) è costretto ad usare la sua buona volontà, i propri soldi, il proprio tempo per cercare altrove le informazioni che gli mancano. Se è intelligente. Nemmeno io devo essermi spiegato bene, anche se, rileggendo il messaggio che ho inviato ieri al riguardo, mi sembra che non dovrebbe dar luogo a equivoci. Ho detto - e ripeto, se pur con parole diverse - che un esame al conservatorio (p, per questo, in qualunque ordine di scuola) non è altro che una verifica a campione su un ben più vasto programma di studi che insegnanti e allievi devono avere svolto. Or bene, dopo che un candidato ha eseguito una Fantasia di Simone Molinaro o di Dowland, una Suite di Bach per liuto, una delle Sonate di Sor, la Sonata di Castelnuovo-Tedesco o la Cavatina di Tansman e, che so, "Nunc" di Petrassi, agli occhi di qualunque esaminatore onesto e competente non può sussistere il benché minimo dubbio residuale sulla qualità e sulla serietà della preparazione del candidato medesimo, e il fatto che al medesimo venga poi richiesto di eseguire un pezzo di un certo impegno dopo sole tre ore di studio spazza via ogni possibile interrogativo sulla solidità della preparazione, perché, lasciato a se stesso, il candidato non può avvalersi di altro che delle proprie capacità. Si aggiunga la prova orale, e il quadro è completo. Io sostengo che, a certificare l'idoneità di un candidato a esercitare le attività a cui il diploma dà accesso, una prova del genere è del tutto valida. E che non occorre altro. Un altro programma da concerto potrebbe solamente duplicare l'evidenza già rivelatasi in precedenza: non si dà il caso, infatti, di repentine folgorazioni. Ovviamente, il diploma di conservatorio non dà, in quanto tale, accesso all'attività concertistica, per esercitare la quale occorrono doti specifiche e preparazione corrispondente: sostengo che è fuori di luogo imporre a chi non ha mai inteso né dichiarato il proposito di fare il concertista di sostenere prove d'esame per superare le quali occorrono capacità da concertista. E' ingiusto, non soltanto nei confronti del candidato-musicista, ma anche - e soprattutto - nei confronti del candidato-cittadino, al quale si richiederebbero prestazioni tipiche di una professione alla quale il titolo rilasciato in cambio non prospetta, né tanto meno garantisce, alcun accesso. E un ricorso in tal senso avrebbe facilmente partita vinta, perché sarebbe legalmente fondatissimo. Temo che, interpretata così, l'analogia che io avevo proposto risulti fuorviante. Il medico condotto è automaticamente abilitato all'esercizio della sua professione dal titolo generico che ha conseguito; se vuole fare il dentista, l'otorinolaringoiatra o il cardiologo, dovrà specializzarsi e superare esami specifici di abilitazione. Lo stesso avviene per lo strumentista: se gli basta il diploma, perché vuole "soltanto" insegnare musica nelle scuole medie (e per fare questo dovrà seguire corsi di didattica della musica e superare esami specifici), non vedo perché lo si dovrebbe tormentare imponendogli di superare esami di strumento con quattro programmi da concerto, allo stesso modo in cui nessuno si sogna di imporre al medico generico il possesso di un paio di specializzazioni per poter esercitare dignitosamente in una semplice condotta. Se allievi furbastri e di insegnanti complici aggirano la fondamentale serietà dell'ordinamento degli studi musicali, non è certo infittendo le prove d'esame che si sradicherà la mala pianta: chi inganna in una sessione d'esame, ingannerà in due o in tre sessioni. E saremo daccapo. Converrà quindi lasciare alla coscienza di ciascuno - allievo o docente - di decidere come comportarsi, perché purtroppo le leggi possono irrogare sanzioni a chi trasgredisce, ma non possono obbligare i cittadini a essere persone per bene, se non lo sono di per se stessi. Inoltre, credo sia prudente evitare rappresentazioni in cui tutto il malaffare sta nei conservatori. Anche fuori dai conservatori, e cioè nei teatri, nelle società di concerti, nelle agenzie, nelle case editrici e discografiche, nella stampa di settore, troviamo il grano e il loglio abbondantemente mescolati, la propaganda che spaccia per straordinario quel che è qualsiasi, gli incarichi prestigiosi affidati per meriti di partito, di cosca o di alcova e non di valore artistico, le mezze tacche che si presentano come geni e quel sovvertimento del rapporto essere-parere contro il quale, da secoli, si è levata la voce di tanti maestri. Inascoltati. dralig
  16. Lungi da me ogni intento polemico nei confronti del conservatorio come istituzione e lungi anche l'idea di criticare i programmi ministeriali ma io, sinceramente, tutta questa difficoltà negli esami di chitarra del vecchio ordinamento non l'ho mai trovata. Furbi o non furbi l'esame dovrebbe servire da termometro di una preparazione ampia e profonda. A titolo puramente esemplificativo mi permetto di riportare quello che io chiedo ai miei allievi del corso di Firenze: repertorio solistico (due programmi da concerto per anno) due concerti per chitarra ed orchestra alla fine dei due anni del mio corso superiore ed un programma di musica da camera. Nella mia immaginazione questo dovrebbe essere il minimo per dare un po' di credibilità ad un programma di studi. Questo ovviamente oltre il carico di studi, letture etc.. Poi, per dare un po' di "peperoncino" alla cosa, alla commissione è permesso scegliere il programma da concerto che il giovane candidato suonerà (con un mese di anticipo). Un po' come avviene in molte stagioni concertistiche, dove un direttore artistico capace chiede di presentare varie opzioni di programma. Magari poi gli si fa suonare, il secondo giorno di esame, il concerto con orchestra (anche con pianoforte per carità), si prevede una prova di musica da camera per vedere se un giovane è o non è in grado di fare un minimo di concertazione, se ha un po' di lettura all'impronta etc. Scusi Edoardo, cerchiamo di rimanere con i piedi per terra e di non rimproverare le carrozze di non essere aeroplani. Intanto, io non ho scritto che il programma ministeriale di compimento superiore era "difficile", ho scritto invece, più verosimilmente, che era "alquanto impegnativo". Sulla serietà dell'impegno che occorre per mettere in piedi un programma di sessanta minuti con le costrizioni imposte dagli elenchi ministeriali non può esistere dubbio alcuno. Sulla difficoltà di tale programma, io non ho speso considerazioni semplicemente perché, tra le varie opzioni lasciate al candidato, è possibile compilare un programma più o meno difficile - ferma restando la serietà dell'impegno comunque necessario. E qui veniamo al punto principale. Non è scritto da nessuna parte, nell'ordinamente fondativo dei conservatori di stato, tanto meno dopo la riforma, che le varie scuole di strumenti debbano essere frequentate soltanto da futuri concertisti. Si dà ragionevolissimamente il caso che molti allievi che frequentano il conservatorio vogliano soltanto istruirsi in modo da poter suonare decentemente uno strumento in orchestra, oppure - caso ancora più frequente - dedicarsi all'insegnamento della musica nelle scuole. In questi numerosissimi casi - molto più numerosi di quelli di aspiranti all'attività concertistica - imporre programmi di esame con profilo di tipo virtuosistico sarebbe, oltre che un'assurdità, un'ingiustizia dal punto di vista dei diritti del cittadino: a chi voglia fare il medico condotto non si chiede una specializzazione in neurochirurgia o in cardiochirurgia, e le università non si sognano di andare a controllare se coloro che aspirano modestamente a conseguire una laurea in lettere per insegnare alla scuola media o al liceo sappiano scrivere come Gadda o Calvino. Quindi, nel vecchio e ora superato ordinamento, i programmi di esame - con le loro evidenti parzialità - tendevano ad accertare che il candidato avesse svolto correttamente una "pratica" abilitante. Che poi questa verifica non garantisse che chi la superava fosse un concertista, mi sembra ovvio: la scuola pubblica è, dev'essere per tutti, e non soltanto per pochi eletti. Se la scuola nella quale Lei insegna ha invece un profilo che seleziona soltanto aspiranti all'attività concertistica, è giusto, e direi normale, che i programmi siano adeguatamente rinforzati. Trovo normalissimo che, nello stesso stato, ci siano scuole musicali ordinarie, intese a fornire una preparazione generale media, e scuole musicali specializzate, intese a rifinire in ambiti molto specifici la preparazione dei candidati. Non trovo giusto ascrivere ai conservatori colpe che non hanno. Semmai, si può e si deve riflettere sulla fisionomia assunta dagli studi dopo la riforma, e qui si addensano, secondo me, nubi fosche all'orizzonte. dralig
  17. L'idea creativa dura mezza battuta, il resto lo si fa con la riflessione e con il lavoro. Parte da un'idea, un breve motivo, e da lì in poi ci dà dentro. Il più delle volte, finisce sulle picche, ma qualchevolta gli va bene e viene fuori il pezzo. Dal lavoro. dralig
  18. A scanso di equivoci, Ligabue fu un pittore naif. Non sono un suo ammiratore, ma ne conosco lo stile inconfondibile, e mi era parso di riconoscerlo nell'immagine pubblicata, che riproduce un suo dipinto. dralig
  19. Yamashita non è Lipatti, ma ha qualcosa da dire. Il solfeggio non è arte. dralig
  20. Certo. Faccia le scale diatoniche che avrà gà imparato senza usare la mano destra. Tutte. dralig
  21. Aneddoti edificanti raccontati - con quale aderenza ai fatti, è domanda da evitare caritatevolmente - con atteggiamento devozionale. Tarrega fu senz'altro un musicista ispirato e un chitarrista eccezionale, ma non il santo che Pujol ci ammannisce. Era un uomo con alcuni aspetti caratteriali evidenti, in piena luce, e altri molto meno evidenti, e un biografo dovrebbe occuparsi di renderli tutti chiari. Genuflettersi davanti a un santo che non è mai esistito è cosa da stolti, e probabilmente lo stesso Tarrega ne sarebbe stato infastidito. Domingo Prat, allievo sia di Tarrega che di Llobet, ci ha lasciato una testimonianza di segno opposto a quella di Pujol (contenuta nel "Diccionario de guitarristas", pubblicato a Buenos Aires nel 1934). Probabilmente, nemmeno Prat fu del tutto obiettivo, ma il suo atteggiamento è senz'altro più sano di quello dell'agiografo Pujol. dralig
  22. Il grande artista di tutto si occupa, meno che si essere grande. Non ha alcun senso. L'artista capta con mezzi sensibil - che sono soltanto suoi, individualmente - i una quantità eccezionale di segni e segnali - molti dei quali a chi non è artista sfuggono - e si impegna in una incessante ricerca per rendere espliciti, intelligibili, partecipati, tali segni e segnali in forme compiute, cioè in opere. L'unico suo impegno - che è capitale - è la coerenza, la consequenzialità, l'esattezza, della realizzazione in forme compiute di ciò che percepisce: questo, e solo questo, è il suo compito, e basta a occupare l'intera esistenza, non occorre altro. Grande? Che cosa vuol dire? Autentico, si. Fasullo, no. Giusto, si. Approssimativo, no. Grande è una valutazione espressa, più o meno sensatamente, da chi legge, guarda o ascolta. Il talento, se c'è, bene, se non c'è è lo stesso, uno se lo fabbrica. Quella che occorre, è l'esigenza. Nessuno ha mai creato opere d'arte in quanto tali. Un tizio aveva l'esigenza di motivare la sua vita, di darle senso, facendo una cosa sola: dipingere, comporre, scrivere versi o romanzi. Che ciò producesse, come risultato, un'opera d'arte, è cosa che riguardava gli altri, non il creatore: per lui, non era in gioco l'arte, era in gioco la vita, e il suo senso. Il talento? Si, ce l'ho, ebbene? Ma non è quello che soffia nelle vele. Il vento è l'esigenza, il bisogno di creare. E chi il talento non ce l'ha, a fronte di tale esigenza, si rompe la schiena e le cose le fa lo stesso: vedi van Gogh, che rispetto agli impressionisti era una scimmia, eppure li ha fregati... dralig
  23. Si. Collochi il mignolo della mano sinistra sulla prima corda al 12° tasto, avendo cura di far scendere la falangetta esattamente a 90 gradi rispetto alla corda. In questo modo, il dito appoggerà sulla corda il massimo della sua superficie di contatto e sfrutterà al meglio la pressione da esercitare (se invece la falangetta scende inclinata l'energia di pressione diventa energia di scivolamento e il lavoro si complica). Con questa collocazione della falangetta del mignolo, l'asse centrale della mano sinistra risulterà inclinato rispetto alla tastiera - di quanto, varia da mano a mano, a seconda di quanto il mignolo è "storto". Ebbene, questa è l'ìmpostazione. Osservi che l'indice e il medio scendono inclinati (poco male, sono grandi e forti) e osservi soprattutto che l'indice presenta alla corda non la punta, ma il lato sinistro (dal punto di vista di chi suona): ebbene, quella è la posizione migliore anche dell'indice, che appoggia lateralmente la faccia (non la punta), assumendo già la posizione a barré (anche sul solo cantino). Se la base dell'indice tocca il manico, tanto meglio: un appoggio in più. In altre parole, la discesa giusta del mignolo implica una leggera rotazione antioraria del polso, e quest'ultimo lavora in posizione semiestesa - quindi al massimo della sua potenza. Tra indice a barré e mignolo perpendicolare - con l'appoggio esterno del pollice - si forma una morsa potentissima, per cui la pressione da esercitare sulle corde si riduce al minimo, e comunque, quando la si deve esercitare, si è avvantaggiati al massimo. Come esercizio, trasferisca il mignolo, tasto per tasto, su tutta la tastiera, mantenendo inalterata l'angolazione della mano sinistra. Se il pollice - nel caso di una mano grande - oltrepassa la fatidica linea della metà del manico, infischiarsene. Imparato da ag nella sua pratica adolescenziale di violoncellista, e trasferito pari pari sulla tastiera della chitarra, dove funziona ovviamente altrettanto bene che nel violoncello. Escuela desrazonada de como no tocar la guitarra permettendo, o anche senza tale permesso. Tempo necessario a "cambiare impostazioni": 5 secondi. Se la cosa non risulta chiara e immediatamente esplicita in tutta la sua evidenza, buttarsi dalla finestra. dralig
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